Circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 1 luglio 2020, n. 19764.

Massima estrapolata:

Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo necessaria l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettività. (Fattispecie attinente a, tra le altre, condotte di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale poste in essere nel corso di manifestazione di protesta in opposizione alla esecuzione dell’opera pubblica denominata “Tav”).

Sentenza 1 luglio 2020, n. 19764

Data udienza 11 dicembre 2019

Tag – parola chiave: No Tav – Scontro con le forze dell’ordine – Affermazione di aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale – Scriminante – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
3. (OMISSIS), nato (OMISSIS);
4. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
5. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino il 14/12/2018;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Pietro Silvestri,
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Marco Dall’Olio, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso di (OMISSIS) e l’annullamento senza rinvio della sentenza per essersi i reati estinti per prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza con cui:
a) (OMISSIS) e’ stato condannato per il reato di danneggiamento aggravato di cose esposte a pubblica fede e destinate al pubblico servizio.
L’imputato avrebbe danneggiato, in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) i “betafence” posti a protezione del cancello collocato nei pressi della Centrale idroelettrica in (OMISSIS) (Capo a);
b) (OMISSIS) e’ stato condannato anche per il reato di cui all’articolo 341 bis c.p. per avere offeso, in presenza di piu’ persone, l’onore ed il prestigio dell’assistente di polizia, (OMISSIS), colpendolo con uno sputo mentre questi compiva un atto del suo ufficio (Capo b);
c) (OMISSIS) e’ stato condannato anche per il reato di danneggiamento aggravato, per avere divelto un palo della segnaletica stradale posto nelle vicinanze del cancello su indicato (capo c);
d) (OMISSIS) e’ stato condannato invece per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, per avere usato violenza – consistita nel rivolgere insistentemente un raggio di colore rosso prodotto da un puntatore laser verso gli occhi dell’assistente capo della polizia di stato (OMISSIS)- al fine di costringere questi ad interrompere la sua attivita’ di ordine pubblico in occasione di una manifestazione (OMISSIS) (capo d).
1.2. I fatti oggetto del processo attengono agli avvenimenti verificatisi la sera del (OMISSIS) presso l’area del cantiere (OMISSIS) a (OMISSIS); si sarebbe trattato di un’area protetta da un cancello appoggiato, da un lato, su un muraglione preesistente e, dall’altro, su una serie di reticolati metallici, fissati a dei blocchi di cemento infissi sul terreno, i c.d. betafence; nel corso di quella sera alcuni dei soggetti che stazionavano all’esterno del cancello per una manifestazione di protesta, fra cui gli odierni imputati, avrebbero dapprima scandito slogan di protesta e poi danneggiato la struttura a protezione del cancello.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) articolando due motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla configurabilita’ del reato ed al giudizio di penale responsabilita’.
La Corte avrebbe individuato due condotte al fine di ritenere sussistente il reato: lo scuotimento del betafence ed il piegamento di una parte metallica dello stesso.
La rilevanza delle prima condotta sarebbe stata esclusa dal Tribunale ma la Corte, pur affermando di condividere le valutazioni del primo Giudice, avrebbe poi di fatto mutato convincimento senza spiegarne la ragione.
Quanto alla seconda condotta, la stessa Corte di appello avrebbe affermato che l’azione sarebbe consistita “nel tentativo di staccare il pezzo di ferro per contribuire all’ulteriore demolizione del betafence”.
Dunque, si sarebbe trattato di un tentativo e non di un danneggiamento consumato.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge quanto alla ritenuta aggravante di cui all’articolo 625 c.p., n. 7; la circostanza non sarebbe configurabile in quanto la zona in cui il betafence era collocato sarebbe stata presidiata dalle Forze dell’Ordine che, dunque, avrebbero operato un controllo continuo sul bene.
In tal senso, si richiama la giurisprudenza formatasi in tema di furto aggravato.
Quanto alla natura di bene destinato ad un pubblico servizio, si sostiene che il betafence non sarebbe un bene di per se’ destinato alla resa di un servizio fruibile dal pubblico.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli altri imputati.
3.1. Con il primo motivo, relativo al capo A), formulato nell’interesse degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il presupposto da cui muovono i ricorrenti e’ che il reato sarebbe stato ritenuto facendo riferimento a due diverse condotte, quali l’attivita’ di battitura delle reti – in segno di protesta – e quella di scuotimento delle stesse da parte di piu’ soggetti.
Nell’ambito di tale seconda condotta, si aggiunge, sarebbe possibile soggettivamente distinguere fra chi avrebbe operato in concreto per divellere la rete ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) e chi, come i ricorrenti, si sarebbero invece limitati ad una mera attivita’ di scuotimento: si sostiene che tale attivita’ non sarebbe riconducibile a nessuna delle condotte indicate nell’articolo 635 c.p..
Ne’, si aggiunge, la sentenza avrebbe adeguatamente affrontato il tema del concorso di persone, e cioe’ se l’attivita’ dei ricorrenti fosse stata causale rispetto al danneggiamento commesso da altri e sorretta dal dolo di compartecipazione.
3.2. Con il secondo motivo, relativo ai reati di cui ai capi a) e c) e formulato nell’interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta aggravante di cui all’articolo 625 c.p., n. 7.
Il tema e’ sostanzialmente quello gia’ indicato nel ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS).
3.3. Con il terzo motivo, relativo ai reati di cui ai capi a) e c) e predisposto nell’interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, esclusa in ragione dell’intervenuto danneggiamento di larga parte della recinzione posta a protezione del cantiere; l’assunto difensivo e’ che la Corte di appello avrebbe travisato gli elementi di prova ed avrebbe trasformato il danneggiamento in piu’ punti della rete in un danneggiamento di larga parte della recinzione (in tal senso si richiama il contenuto di alcune testimonianze).
3.4. Con il quarto motivo si lamenta, quanto al capo b), l’erronea declaratoria di manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale in relazione al reato di oltraggio rispetto agli articoli 3 e 27 Cost..
Il reato in questione sarebbe plurioffensivo e tutelerebbe l’onore ed il decoro della persona che agisce quale organo della P.A. nonche’ quello della stessa Pubblica amministrazione; si assume, tuttavia, che la maggior parte della condotte riconducibili al reato in esame sarebbero offensive del solo onore della persona fisica che agisce e non anche l’andamento dell’azione amministrativa.
Il contrasto con i parametri costituzionali si porrebbe sotto il profilo della ragionevolezza rispetto ad altre due fattispecie, quella di cui all’articolo 342, oltraggio a corpo politico, e quella di cui all’articolo 594, aggravato dall’articolo 61 c.p., n. 10.
Il primo di detti reati, anch’esso di natura plurioffensiva, tutelerebbe l’interesse al normale funzionamento della P.A., al prestigio di questa, ma anche quello del rispetto dovuto ai Corpi ed alle rappresentanze e sarebbe attualmente punito in modo meno grave rispetto all’oltraggio: cio’ rivelerebbe l’irrazionalita’ del diverso piu’ grave trattamento sanzionatorio previsto per il reato previsto dall’articolo 341 bis c.p..
Quanto al secondo illecito, ormai depenalizzato, l’assunto e’ che una offesa priva di uno dei due requisiti di cui all’articolo 341 bis c.p. sarebbe irrilevante penalmente, mentre condotte analoghe, cioe’ con la offesa solo alla persona che agisce, sarebbe sanzionata molto severamente.
Cio’ sarebbe spiegabile solo se si considerasse essenziale nell’articolo 341 bis c.p. l’offesa alla P.A. in quanto tale, ma cio’ aumenterebbe i dubbi di legittimita’ della diversa sanzione prevista per fattispecie come quella in esame, nonche’ della previsione della procedibilita’ d’ufficio.
Dunque, una questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 341 bis c.p. in relazione, da una parte, all’articolo 3 Cost. quanto alla sua permanenza nel codice penale, e, dall’altra, in ordine alla sanzione prevista dalla legge.
3.5. Con il quinto motivo, relativo al capo b) e formulato nell’interesse di (OMISSIS), si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di penale responsabilita’ per il reato di cui all’articolo 341 bis c.p. per avere la Corte ritenuto sussistente la fattispecie a prescindere dalla percezione effettiva dell’offesa oltraggiosa da parte di terzi.
3.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di penale responsabilita’ per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (capo d) con riguardo all’imputato (OMISSIS); la sentenza sarebbe viziata per avere ritenuto violenta la condotta di rivolgere insistentemente un raggio laser di colore, verso gli occhi di terzi, senza considerare che la nozione di violenza presuppone una estrinsecazione di energia fisica immediatamente realizzativa di una situazione idonea ad incidere sulla liberta’ psichica del soggetto passivo; sotto altro profilo, la sentenza sarebbe viziata per avere valorizzato un approccio prognostico, relativo, cioe’, a cio’ che sarebbe potuto accadere, laddove invece, ai fini del reato contestato, sarebbero necessari atti che immediatamente siano impeditivi per il pubblico ufficiale di compiere l’atto del suo ufficio.
Sotto ulteriore profilo la motivazione sarebbe viziata quanto alla prova dell’elemento soggettivo.
3.7. Con il settimo motivo, formulato per tutti gli imputati, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta insussistenza della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 1.
3.8. Con l’ottavo motivo, anch’esso formulati nell’interesse di tutti gli’ imputati, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata sostituzione della pena detentiva con quella della liberta’ controllata, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 53.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi presentati nell’interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili.
2. Sono inammissibili il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) ed il primo motivo di quello presentato dall’avv. (OMISSIS) nell’interesse degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
Rispetto ad una adeguata motivazione con cui la Corte di appello, richiamando anche la sentenza di primo grado, ha ricostruito i fatti in modo logico e spiegato perche’ le condotte attribuibili agli imputati assumono rilievo al fatto unitario e “collettivo”, posto in essere a titolo di compartecipazione criminosa, nulla di specifico e’ stato dedotto.
Le censure dedotte si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’articolo 606 c.p.p..
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non puo’ essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ considerati maggiormente plausibili, o perche’ assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacita’ esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e’ in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148).
Gli odierni ricorrenti hanno riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimita’ nel sindacato sui vizi della motivazione non e’ tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
E’ possibile che nella valutazione sulla “tenuta” del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, rv. 209145).
Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorche’ i giudici di secondo grado, come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed ai passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado e, a maggior ragione, cio’ e’ legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia’ esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
La Corte di cassazione ha chiarito che sono censure di merito, inammissibili nel giudizio di legittimita’, tutte quelle che attengono a “vizi” diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicita’”, dalla sua contraddittorieta’ su aspetti essenziali perche’ idonei a condurre ad una diversa conclusione del processo.
Inammissibili, in particolare, sono le doglianze che “sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento” (cosi’, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., rv. 262965).
Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell’impugnazione di appello, di talche’ la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.
3. Non diversamente, sono inammissibili il secondo motivo proposto nell’interesse di (OMISSIS) ed il secondo motivo del ricorso sottoscritto dall’avv. (OMISSIS), relativi alla configurabilita’ dell’aggravante prevista dall’articolo 625 c.p., n. 7; la Corte ed il Tribunale hanno precisato in punto di fatto che il presidio di polizia era stata attivato a protezione del cantiere (OMISSIS) e delle lavorazioni che in esse venivano compiute e non della rete o della segnaletica stradale; dunque, un danneggiamento di un bene “fuori dalla diretta vigilanza e quindi esposta al rispetto dei terzi”.
Ne’ dubbi possono sussistere quanto alla destinazione a pubblico servizio del bene danneggiato da (OMISSIS); nel caso di specie, si trattava di un bene su cui appoggiava il cancello che impediva l’accesso al cantiere e che dunque assolveva una funzione di protezione dell’area pubblica: un bene che, per opera dell’uomo, assumeva una funzione di strumentalita’ e complementarieta’ funzionale di altro bene pubblico.
4. E’ inammissibile anche il terzo motivo proposto dall’avv. (OMISSIS), quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’articolo 62 c.p., n. 4, in relazione ai delitti contestati ai capi a) e c), avendo i giudici di merito chiarito come nella specie si sia trattato di un danneggiamento di “piu’ parti di una lunga recinzione del cantiere, “compiuto in un lasso considerevole di tempo, da piu’ persone, con svariati strumenti, fino a divellere piu’ betefence”.
Rispetto a tale trama argomentativa, il motivo rivela la sua aspecificita’ e tende a sollecitare una diversa ricostruzione fattuale.
5. E’ manifestamente infondata anche la questione di legittimita’ costituzionale sollevata con il quarto motivo del ricorso dell’avv. (OMISSIS).
Si tratta di una questione gia’ ritenuta infondata il 04/12/2019 dalla Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 284, ha spiegato testualmente come:
– nella nuova fisionomia risultante dalla riforma del 2009, l’oltraggio si configuri come delitto offensivo anche del buon andamento della pubblica amministrazione, sub specie di concreto svolgimento della (legittima) attivita’ del pubblico ufficiale, non diversamente da quanto accade per il delitto di cui all’articolo 337 c.p. che si pone in rapporto di possibile progressione criminosa rispetto all’oltraggio;
– proprio tale specifica dimensione offensiva non sia invece presente – se non in termini del tutto sfumati ed eventuali – nel delitto di oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario, che si limita a richiedere che l’espressione offensiva sia profferita “al cospetto” del corpo, della sua rappresentanza o del collegio, ovvero addirittura mediante comunicazione offensiva “a distanza” diretta ai destinatari, senza esigere alcun nesso con il compimento di uno specifico atto dell’ufficio da parte dell’istituzione offesa;
– rispetto a tale dimensione offensiva – e a fronte della riduzione, rispetto al passato, dell’ambito applicativo della fattispecie – non possa ritenersi irragionevole la scelta del legislatore di stabilire per l’oltraggio “individuale” un quadro edittale piu’ severo di quello previsto per il delitto di oltraggio a corpo politico, amministrativo o giudiziario;
– nemmeno possa ritenersi fondata la censura formulata con riferimento al principio di proporzionalita’ della pena, trattandosi di una doglianza “gia’ in astratto poco plausibile” in rapporto al massimo edittale, essendo normalmente possibile per il giudice utilizzare i propri poteri discrezionali ex articolo 133 c.p. per commisurare – all’interno della cornice edittale – una pena inferiore, proporzionata al disvalore del fatto concreto.
Alla luce delle considerazioni indicate discende l’inammissibilita’ della questione, proposta – al di la’ dell’ulteriore riferimento al depenalizzato reato di ingiuria-sostanzialmente negli stessi termini nel presente processo.
6. Manifestamente infondato e’ il quinto motivo del ricorso proposto dall’avv. (OMISSIS), relativo al giudizio di penale responsabilita’ quanto al reato di cui all’articolo 341 bis c.p., avendo la Corte di appello chiarito che i fatti furono commessi alla presenza di piu’ persone; sul punto, la Corte di cassazione ha in piu’ occasioni chiarito che ai fini della configurabilita’ del reato di oltraggio di cui all’articolo 341-bis c.p., e’ sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiche’ gia’ questa potenzialita’ costituisce un aggravio psicologico che puo’ compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828).
7. Sono inammissibili anche il settimo e l’ottavo motivo del ricorso proposto dall’avv. (OMISSIS).
Quanto al settimo, relativo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’articolo 62 c.p., n. 1, i motivi di particolare valore morale sono di norma ritenuti quelli che corrispondono a valutazioni etiche pressoche’ unanimemente condivise; in tal senso si fa tradizionalmente riferimento all’amore materno, alla solidarieta’ verso il prossimo.
I motivi di particolare valore sociale sono invece quelli che, in un determinato momento storico, sono valutati favorevolmente in una data comunita’ organizzata.
In dottrina si e’ fatto rilevare come in una societa’ pluralista, esigere una incondizionata approvazione da parte dell’intera collettivita’ significherebbe fornire una interpretazione abrogativa della norma; in tal senso si ritiene preferibile fare riferimento ad un’etica che sia approvata “ampiamente” nel tempo e nel luogo in cui il reato e’ commesso.
Anche la Corte di Cassazione ha in piu’ occasioni affermato che possono essere ritenuti motivi di particolare valore morale o sociale solo quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva ed intorno ai quali vi sia un generale consenso.
Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non e’ peraltro sufficiente l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo necessaria l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettivita’; ne consegue che l’attenuante non puo’ trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’erronea opinione del soggetto attivo del reato, ma non e’ conforme alla morale ed ai costumi condivisi dalla prevalente coscienza collettiva (Sez. 6, n. 27746 del 31/05/2018, T., Rv. 273681; Sez. 1, n. 20443 dell’08/04/2015, Nobile, Rv. 263593; Sez. 1, n. 20312 del 29/04/2010, Agostini, Rv. 247459; Sez. 5, n. 31635 del 24/06/2008, Beolchi, Rv. 241180; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224077).
Il motivo rilevante deve essere inoltre la vera causa psicologica del reato e non un indiretto riferimento.
Nel caso di specie, i fatti oggetto del processo, che sono espressione della volonta’ di opporsi alle forze dell’ordine, alla esecuzione di una determinata opera pubblica, ovvero di riprendere il controllo di una parte del territorio dello Stato, non possono considerarsi affatto direttamente funzionali all’affermazione di motivi sociali generalmente condivisi, quali il diritto all’ambiente o il diritto alla salute; solo in via ipotetica, mediata, indiretta si puo’ ritenere che le condotte attribuite agli imputati fossero volte al perseguimento di valori fondanti uno Stato democratico, costituzionalmente riconosciuti e tutelati, come, appunto, i diritti indicati.
La giurisprudenza ha escluso la configurabilita’ della circostanza attenuante in relazione ai reati di devastazione e saccheggio, violenza a pubblico ufficiale, lesioni personali commessi nel corso di una manifestazione pacifista, di protesta, atteso che anche la radicale contrarieta’ a ogni espressione di intolleranza razziale e di avversione ai principi democratici non vale a configurare l’attenuante (Sez. 1, n. 11236 del 27/11/2008, Rv. 243220).
Sotto altro profilo, con particolare riferimento al motivo politico, la Corte ha in maniera condivisibile affermato che i motivi politici e l’ideologia sociale o politica, pur potendo indubbiamente costituire motivi di particolare valore morale e sociale quando abbiano un elevato contenuto etico e siano condivisi dalla collettivita’, non sempre vanno considerati tali e certamente non lo sono quando diano origine a un disegno diretto a realizzare asserite finalita’ di giustizia sociale, mediante il ricorso generalizzato alla violenza indiscriminata e sopraffattrice dell’altrui liberta. (Sez. 1, n. 11160 del 14/05/1980, Picchiura, Rv. 146386).
La ragione, si e’ sottolineato, e’ di tutta evidenza, in quanto, diversamente ragionando, le piu’ disparate motivazioni – facenti capo agli innumerevoli orientamenti politici che possono esser presenti nel corpo sociale (compresi quelli contrari allo spirito della Costituzione e che propagandano, ad es. la lotta armata) – dovrebbero essere meritevoli di trattamento sanzionatolo attenuato (Sul tema, in relazione a fatti sovrapponibili a quelli per cui si procede, Sez. 6, n. 54424 del 27/04/2018, Calabro’, in motivazione).
Non diversamente, quanto all’ottavo motivo di ricorso, relativo alla mancata concessione del beneficio della conversione della pena detentiva con la liberta’ controllata, a fronte di una puntigliosa motivazione della Cotte di appello, che ha fatto riferimento alla personalita’ degli imputati, gravati da precedenti penali dimostrativi della “assoluta inefficacia deterrente delle precedenti condanne”, nulla di specifico e’ stato dedotto.
8. E’ invece infondato il sesto motivo del ricorso dell’avv. (OMISSIS), relativo al giudizio di penale responsabilita’ per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (capo d) con riguardo all’imputato (OMISSIS); si e’ gia’ detto di come, secondo il ricorrente, la sentenza sarebbe viziata per avere la Corte ritenuto violenta la condotta di rivolgere insistentemente un raggio laser di colore verso gli occhi di terzi, senza tuttavia considerare che la nozione di violenza presuppone una estrinsecazione di energia fisica immediatamente realizzativa di una situazione idonea ad incidere sulla liberta’ psichica del soggetto passivo.
Il tema attiene al se l’uso di un raggio laser verso gli occhi di un terzo, possa essere considerata una condotta violenza.
Il requisito della violenza generalmente si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la liberta’ di autodeterminazione e di azione della persona offesa (tra le tante, Sez. 2. n. 11522 del 3/03/2009, Rv. 244199 che ha definito la liberta’ morale come liberta’ di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicche’ alla liberta’ morale va ricondotta sia la facolta’ di formare liberamente la propria volonta’ sia quella di orientare i propri comportamenti in conformita’ delle deliberazioni liberamente prese; Sez. 5, n. 40291 del 06/06/2017, Rv. 271212).
Nel caso di specie, secondo la Corte di appello, la condotta dell’imputato sarebbe consistita “nel cercare di abbagliare l’Agente, direzionandogli negli occhi il puntatore laser” (cosi’ testualmente la sentenza impugnata a pag. 6; non diversamente, il Tribunale secondo cui la condotta sarebbe consistita in un “disturbo agli occhi”).
Si tratta di una motivazione che, obiettivamente, rispetto ad uno specifico motivo di appello non consente di comprendere in cosa specificamente sia consistita la condotta, quale sia stata la sua portata temporale, le modalita’ concrete con cui essa fu attuata e, dunque, di ritenere manifestamente infondato il motivo di ricorso per cassazione.
Ne consegue che, in assenza della prova evidente della innocenza ed esclusa l’inammissibilita’ del motivo dedotto, la sentenza deve essere annullata senza rinvio quanto al capo d), per essersi il reato contestato a (OMISSIS) (commesso il (OMISSIS)), estinto per prescrizione.
9. Alla inammissibilita’ dei ricorsi proposti nell’interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla posizione di (OMISSIS) perche’ il reato ascrittogli e’ estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibili gli altri ricorsi e condanna (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *