Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Consiglio di Stato, Sentenza|3 settembre 2021| n. 6211.

Le censure formulate in memoria non notificata alla controparte.

Nel processo amministrativo, sono inammissibili le censure formulate in memoria non notificata alla controparte, sia nell’ipotesi in cui risultino completamente nuove e non ricollegabili ad argomentazioni espresse nel ricorso introduttivo, sia quando, pur richiamandosi ad un motivo già ritualmente dedotto, introducano elementi sostanzialmente nuovi, ovvero in origine non indicati, con conseguente violazione del termine decadenziale e del principio del contraddittorio.

Sentenza|3 settembre 2021| n. 6211. Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Data udienza 1 luglio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Principio dispositivo con metodo acquisitivo – censure formulate in memoria non notificata alla controparte – Censure formulate in memoria non notificata alla controparte – Inammissibilità – Ragioni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3321 del 2019, proposto da
Ex. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Arera – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Te.-Re. El. Na. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Zo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 00466/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Arera – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente e di Te.-Re. El. Na. S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nell’udienza pubblica del giorno 1 luglio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137 conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

FATTO

1. Con ricorso dinnanzi a questo Consiglio la società Ex. SpA ha appellato la sentenza n. 466/19 del Tar Lombardia, Milano, con cui sono stati rigettati i motivi di impugnazione svolti avverso gli atti posti in essere dall’Autorità di Regolazione per Energia Elettrica e Ambiente (per brevità, anche Arera) nei confronti della parte ricorrente, in relazione al “servizio di dispacciamento”.
In particolare, l’appellante, ricostruito il quadro regolatorio di riferimento, ha rappresentato che:
– con delibera n. 342/2016/E/EEL l’Arera ha avviato il “procedimento per l’adozione tempestiva di misure prescrittive e la valutazione di potenziali abusi nel mercato all’ingrosso dell’energia elettrica, ai sensi del regolamento (UE) 1227/2011 – REMIT” (il “REMIT”), ritenendo che le condotte tenute dagli utenti per il dispacciamento potessero rilevare potenzialmente anche sotto il profilo della compromissione della “interazione equa e concorrenziale tra domanda e offerta nei mercati elettrici”, costituendo una minaccia al buon funzionamento dei mercati; con il medesimo atto l’Autorità ha dato, altresì, mandato alla Direzione Sanzioni e Impegni di valutare i presupposti per l’avvio di eventuali procedimenti sanzionatori ad esito del procedimento;
– con la deliberazione n. 459/2016/E/eel del 4 agosto 2016 l’Autorità ha prorogato il termine di conclusione del procedimento;
– con successiva comunicazione CO25151-13/09/2016 del 13 settembre 2016 la Direzione Mercati Elettricità e Gas dell’Autorità ha comunicato ad Ex. le risultanze istruttorie del procedimento per l’adozione di provvedimenti prescrittivi e/o di misure di regolazione asimmetrica, dando atto della sussistenza dei presupposti “per proporre al Collegio dell’Autorità un provvedimento che ai sensi dell’art. 2, comma 20, lettera d) della legge 481/95 ordini alla Vostra Società di restituire a Te. gli importi corrispondenti alla quota non dovuta”;
– con lettera del 29 novembre 2016 Ex. S.p.A. ha replicato alla comunicazione della Direzione Mercati Elettricità e Gas, contestando i presupposti delle risultanze istruttorie e insistendo per la legittimità della propria condotta e l’assenza di ogni ipotesi di responsabilità ;

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

– con deliberazione del 22 giugno 2017 n. 460/2017/E/eel l’Autorità ha assunto un provvedimento prescrittivo nei confronti della ricorrente, ordinando la restituzione degli importi indebiti da quantificarsi a cura di Te. sulla base dei criteri ivi divisati;
– con lettera del 2 agosto 2017 Ex. S.p.A. ha presentato le proprie osservazioni critiche in merito alle conclusioni della delibera 22 giugno 2017 460/2017/E/eel;
– con ricorso in primo grado la società Ex. SpA ha impugnato la deliberazione n. 460/2017/E/eel (e i relativi atti connessi), denunciandone l’illegittimità per violazione del principio di legalità e irretroattività, ritenendo, in particolare, si fosse in presenza di provvedimenti sanzionatori aventi ad oggetto condotte non vietate al momento in cui furono tenute, incentrati su soglie di tolleranza non definite, introdotte soltanto con deliberazione n. 444/16 e applicate retroattivamente;
– in pendenza di giudizio, con deliberazione 890/2017/E/EEL l’Autorità ha confermato il pregresso provvedimento prescrittivo, rigettando i rilievi critici all’uopo formulati dalla società ricorrente;
– Te. ha, quindi, provveduto a quantificare in Euro 131.227,19 l’importo dovuto sulla base del provvedimento prescrittivo e dell’atto di sua conferma;
– la conferma e la determinazione del quantum debeatur sono state censurate dalla ricorrente mediante la proposizione di motivi aggiunti, con cui sono state estesi agli atti sopravvenuti i motivi di doglianza articolati in via principale, nonché sono stati contestati il difetto di motivazione in ordine ai rilievi critici svolti dalla ricorrente, l’arbitrarietà della determinazione del limite del 30% per gli sbilanciamenti non diligenti e l’omessa valorizzazione dei minori ricavi per sbilanciamenti positivi o i maggiori costi per sbilanciamenti negativi;
– il Tar ha rigettato i motivi di ricorso;

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

– il giudice di primo grado, nel motivare la propria decisione, non avrebbe tenuto conto della posizione specifica della società ricorrente, ivi compresi gli svantaggi per maggiori perdite sofferte da Ex. in relazione alle condotte contestate; nonché avrebbe erroneamente escluso sia la finalità chiaramente afflittiva dei provvedimenti censurati, sia la violazione dei principi di legalità e irretroattività, oltre che del legittimo affidamento riposto dagli operatori nel quadro normativo in vigore all’epoca dei fatti.
2. La sentenza di prime cure, dunque, è stata appellata mediante la formulazione di sei motivi di impugnazione.
3. Te. e l’Autorità si sono costituite in giudizio, resistendo all’appello.
Le parti intimate hanno svolto le proprie argomentazioni controdeduttive con memorie del 9.5.2019 (quanto a Te.) e 8.2.2021 (quanto ad Arera); Te. ha, altresì, depositato in data 9.2.2021 un’ulteriore memoria, richiamando le difese in atti.
4. La parte appellante ha replicato alle avverse deduzioni con memoria del 15.2.2021.
5. L’appellante e Te. hanno depositato in data 24.2.2021 note di udienza chiedendo la decisione della controversia; Te. ha, altresì, rilevato che la memoria di replica del 15.2.2021 risultava tardiva.
6. Con ordinanza n. 1872 del 5.3.2021, la Sezione ha sottoposto al contraddittorio delle parti una questione rilevata d’ufficio, afferente alla corretta perimetrazione del thema decidendum dell’odierno giudizio, oltre che, di conseguenza, alla novità delle censure svolte dalla parte appellante con memoria di replica depositata in data 15.2.2021.
In particolare, avuto riguardo ai motivi di impugnazione proposti con l’atto di appello e considerato il divieto di integrazione della domanda impugnatoria con mere memorie difensive, le parti sono state invitate a prendere posizione sulla possibilità di ricondurre ad uno specifico motivo di impugnazione dedotto con l’atto di appello la questione concernente il difetto di motivazione e di istruttoria asseritamente inficiante i provvedimenti impugnati in prime cure – erroneamente non rilevato dal primo giudice – per non avere l’Autorità accertato e adeguatamente motivato la correlazione tra gli sbilanciamenti effettivi imputati all’appellante e l’incremento dell’uplift in danno dell’utenza finale.
Riservata ogni decisione sul rito, sul merito e sulle spese, la Sezione ha anche disposto l’acquisizione, a cura della Segreteria della Sezione, delle relazioni di verificazione depositate nell’ambito dei giudizi n. r.g. 5758 e 5760 del 2019, al fine di garantire il pieno rispetto del contraddittorio processuale in relazione agli elementi istruttori suscettibili di fondare la decisione giudiziaria.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

7. Le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni, depositando memorie difensive, con cui hanno, altresì, preso posizione sulla questione rilevata d’ufficio dalla Sezione con ordinanza n. 1872/2021 cit.
Te. ha depositato pure repliche alle avverse deduzioni, mentre l’appellante ha depositato in data 30 giugno 2021 note di udienza con cui ha chiesto la decisione della controversia.
8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 1° luglio 2021.
DIRITTO
1. Pregiudizialmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello opposta da Te. e motivata sulla base dell’avvenuta notificazione del ricorso in appello nei confronti dell’Autorità presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, anziché presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
L’eccezione è infondata.
Come rilevato da questo Consiglio, “La notificazione del ricorso in appello, la quale sia stata eseguita in un “luogo” diverso da quello prescritto, ma non privo di un astratto collegamento con il destinatario, ne determina la nullità e non l’inesistenza, sanabile per il principio del raggiungimento dello scopo (sancito dall’art. 156 comma 3, c.p.c. e dall’art. 44 comma 3 c.p.a.) a seguito della costituzione della parte destinataria, anche se fatta dichiaratamente al solo fine di far rilevare la nullità . A maggior ragione l’effetto di sanatoria si produce quando, come è accaduto nella specie, la parte intimata abbia ampiamente argomentato anche nel merito, dando dimostrazione di essere in grado, per fatto volontario, di esercitare il diritto di difesa” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 maggio 2020, n. 3220).
Nel caso di specie, sebbene il ricorso in appello sia stato in effetti nullamente notificato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, anziché presso l’Avvocatura Generale dello Stato, in violazione di quanto prescritto dall’art. 11 R.D. n. 1611 del 1933 (che impone di notificare i ricorsi presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa e, dunque, in relazione ai ricorsi dinnanzi al Consiglio di Stato, presso l’Avvocatura Generale dello Stato avente sede in Roma), l’Autorità intimata si è comunque costituita in giudizio, compiutamente argomentando in ordine alle difese avverse (cfr. memoria dell’8 febbraio 2021); in tale modo sanando ex tunc il vizio di nullità inficiante la notificazione dell’impugnazione.
2. Ravvisata l’ammissibilità dell’appello, occorre procedere all’esame nel merito delle censure impugnatorie.
L’appello, in particolare, è articolato in sei motivi di impugnazione, suscettibili di trattazione congiunta per ragioni di connessione.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

2.1 Con il primo motivo è contestato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione del principio di legalità e irretroattività, sebbene l’Autorità – con gli atti gravati in prime cure – avesse reputato illegittimo un comportamento tenuto in applicazione di una disciplina regolamentare entrata in vigore successivamente al compimento dell’attività contestata, in violazione del principio del legittimo affidamento ed in assenza dell’elemento soggettivo di consapevolezza dell’eventuale antigiuridicità della condotta.
Secondo la prospettazione dell’appellante:
– non si farebbe questione di provvedimento prescrittivo, bensì di atto sanzionatorio, alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte Edu;
– se l’Autorità prima e il TAR poi avessero considerato il sacrificio patito da Ex. in conseguenza della presunta violazione della disciplina (applicata illegittimamente in via retroattiva) sugli sbilanciamenti, l’importo oggetto di recupero avrebbe dovuto comunque essere quantificato in complessivi Euro 12.778,50;
– la condanna al pagamento di Euro 131.227,19, dunque, si sarebbe tradotta nella violazione dello stesso principio esposto dalla deliberazione n. 460/2017, che ostava alla valorizzazione esclusiva dei vantaggi ottenuti da Ex. (maggiori ricavi per sbilanciamenti positivi o minori costi per sbilanciamenti negativi), senza considerare e compensare anche gli svantaggi per Ex. derivanti dalle maggiori perdite sofferte a vantaggio della stessa Te.;
– facendosi questione di provvedimento sanzionatorio, risultavano violati anche i principi di legalità e irretroattività applicabili agli atti impugnati, atteso che il comportamento sanzionato non risultava precluso da alcuna norma o regolazione in vigore prima del luglio 2016;
– sarebbero state, inoltre, applicate in via retroattiva le nuove soglie di tolleranza introdotte dalla deliberazione n. 444 del 2016, che tuttavia non avrebbe potuto operare per il periodo anteriore al 1° agosto 2016;
– in tale modo sarebbero stati violati i principi posti sia dalla L. n. 689/81, in particolare, di legalità, di irretroattività, di determinatezza, di tassatività operanti in materia sanzionatoria; sia dalla L. n. 481 del 1995 che, in specie all’art. 2, consentiva di sanzionare le sole condotte già puntualmente individuate come illeciti prima del loro verificarsi, quando, invece, nella specie mancava una regola volta a stabilire un limite di tolleranza degli sbilanciamenti effettivi, tenuto conto, altresì, che nella specie gli sbilanciamenti contestati alla ricorrente risultavano del tutto marginali.
2.2. Con il secondo motivo di appello viene censurata l’erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui, pure qualificando il provvedimento impugnato come avente natura prescrittiva, aveva comunque escluso la violazione del principio del legittimo affidamento.
Secondo la prospettazione dell’appellante, si sarebbe addivenuti ad una modifica del quadro regolatorio di riferimento con la finalità, anziché di proteggere un interesse pubblico già tutelato, di sanzionare gli operatori per condotte ritenute illegittime in forza della sola riforma operata dall’Autorità nella seconda metà del 2016, con conseguente sua applicazione in via retroattiva.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

2.3. Con il terzo motivo di appello è censurata l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha ravvisato la legittimità della determinazione del limite del 30% per l’individuazione di sbilanciamenti non diligenti.
Secondo quanto contestato dall’appellante, invece:
– tale soglia di tolleranza sarebbe stata determinata sulla base della deliberazione n. 444/2016/R/eel, che, tuttavia, disponeva soltanto per il periodo successivo al 1° agosto 2016;
– non risulterebbe appropriato introdurre un soglia con cadenza mensile fissata pari al doppio della banda standard complessiva a regime e calcolata partendo dalle performance di “previsione dei prelievi conseguite da Te. negli ultimi 12 mesi relativamente alla zona di mercato Sud”, tenuto conto che in tale modo si sarebbe applicato agli utenti del dispacciamento un valore di banda derivato dalla programmazione di Te. S.p.a. per la quale, invece, non sono operanti in termini quantitativi le stesse metodologie di programmazione degli utenti del dispacciamento sia a breve che lungo termine; l’obiettivo di Te., infatti, sarebbe il mantenimento dell’equilibrio tra immissioni e prelievi sull’intera rete di trasmissione italiana, mentre quello di ogni unità di dispacciamento sarebbe la gestione al miglior prezzo del parco clienti associato.
L’appellante ha rinviato, inoltre, ai “motivi esposti nel ricorso introduttivo e segnatamente: violazione di legge, mancata e/o falsa applicazione dell’articolo 97 della Costituzione, nonché della legge 24 novembre 1981, n. 689 con particolare riferimento all’art. 1) e della legge 14 novembre 1995, n. 481, articolo 2, comma 20, lettera c); violazione del principio di legalità e di irretroattività della sanzione amministrativa, eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione del principio di proporzionalità, sviamento” (pagg. 23/24 appello).
2.4. Con il quarto motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure nella parte in cui ha reputato legittima la soglia del 30%, sebbene si trattasse di criterio di valutazione determinato in maniera del tutto illegittima dall’Autorità, esclusivamente avuto riguardo ad operatori di grandi dimensioni con quote di mercato dell’85% che hanno uno sbilanciamento complessivo “molto al di sotto del 15% calcolato con riferimento al prelievo complessivo”.
Difatti, a differenza di Ex., per gli operatori di grandi dimensioni con quote di mercato dell’85%, il dato di eventuali fisiologici prelievi anomali compiuti da alcuni clienti in eccesso o in difetto rispetto alle programmazioni comunicate in base ai dati dei consumi verrebbe ad essere mitigato in termini percentuali in ragione dell’elevato numero di clienti complessivo.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Il che sarebbe confermato dall’esperienza dell’appellante, che avrebbe registrato sbilanciamenti eccedenti la soglia de qua soltanto in zone caratterizzate da un numero inferiore di clienti, con valorizzazione di un dato privo di rilevante significato, in quanto del tutto marginale rispetto alla complessiva attività svolta dalla ricorrente.
2.5. Con il quinto motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure nella parte in cui non ha rilevato l’illegittima determinazione del quantum debeatur, avendo Te. illegittimamente quantificato i corrispettivi di sbilanciamento dovuti da Ex. valorizzando i soli vantaggi ottenuti dalla società in termini di maggiori ricavi per sbilanciamenti positivi o minori costi per sbilanciamenti negativi, senza considerare e compensare anche gli svantaggi per Ex. derivanti dalle maggiori perdite sofferte a vantaggio della stessa Te., in violazione dello stesso principio esposto dalla deliberazione n. 460/2017.
Correttamente quantificando gli svantaggi subiti da Ex., il quantum debeatur avrebbe dovuto essere pari a Euro 12.778,50, in luogo della maggiore somma di Euro 131.227,19.
2.6. Con il sesto motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure per l’ipotesi in cui questo Consiglio dovesse ritenere corretta l’applicazione, da parte di Te., del principio esposto nella delibera n. 460/2017, dovendosi limitare l’ordine di restituzione da parte dell’operatore esclusivamente ai corrispettivi effettivamente speculativi là dove Te. abbia subì to un concreto pregiudizio e l’utente del dispacciamento un uguale corrispondente beneficio.
3. Pregiudizialmente, deve essere correttamente perimetrato il thema decidendum dell’odierno giudizio.
3.1 Come rilevato con l’ordinanza n. 1872/2021, Te., nel controdedurre ai motivi di impugnazione, ha dedicato un paragrafo della propria memoria difensiva del 9.5.2019 alla “idoneità delle condotte dell’appellante ad incidere sull’uplift ad alterare il prezzo dell’energia”, facendo riferimento alla censura svolta a pag. 6 appello, con cui Ex. aveva rilevato che Arera “non avrebbe dimostrato l’idoneità delle condotte poste in essere da Ex. ad “alterare le modalità di approvvigionamento di Te. e, quindi, comportare una destabilizzazione del sistema di trasmissione” (pag. 6 Appello)” (pag. 12 memoria Te.).
La correlazione tra la strategia di non diligente programmazione ascritta in capo all’appellante e l’alterazione del prezzo dell’energia, attraverso gli effetti prodotti sul corrispettivo uplift, non è stata invece specificatamente esaminata dall’Autorità nella propria memoria difensiva dell’8.2.2021, diretta a contestare le censure articolate da Ex. nell’atto di appello.
La stessa appellante, richiamando le controdeduzioni svolte da Te. al punto VI della memoria difensiva del 9.5.2019, con la memoria di replica del 15.2.2021 (pagg. 5 e ss.) si è soffermata, altresì, su alcuni precedenti della Sezione – intervenuti a definizione di controversie introdotte da altri utenti del dispacciamento -, con cui sono stati accolti motivi di appello riferiti ad un preteso difetto di istruttoria e di motivazione inficiante provvedimenti prescrittivi analoghi a quello di specie, per non avere l’Autorità accertato e motivato in ordine alla sussistenza di un effettivo pregiudizio per l’utenza finale derivante dalle condotte di sbilanciamento in contestazione.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Al riguardo, l’appellante ha ritenuto che un motivo di appello ana a quello accolto nei precedenti giurisprudenziali all’uopo citati fosse stato proposto anche nell’ambito dell’odierno processo, avendo Ex. alle pagg. 6 e seguenti dell’appello dedotto che “una programmazione non corretta non determina automaticamente un erroneo approvvigionamento da parte di Te.. A riprova di ciò, basti poi notare che i criteri che Te. utilizza ai fini degli sbilanciamenti sono quelli indicati a pag. 5 dell’allegato 22 al Codice di Rete, dove non vengono menzionati i programmi degli utenti del dispacciamento. Da ciò discende il corollario che la programmazione posta in essere da un utente del dispacciamento:
(i) non può alterare le modalità di approvvigionamento di Te. e, quindi, comportare una destabilizzazione del sistema di trasmissione;
(ii) così come, essa non determina neppure rischi in relazione alla sicurezza della rete che ciascun utente del dispacciamento è tenuto a preservare ai sensi del Codice di Rete (TAR Lombardia, Sez. III, 24 giugno 2014, n. 1648, confermata da Consiglio di Stato, 20 marzo 2015, n. 1532)”.
Alla stregua di tali rilievi, l’appellante ha ritenuto che “indipendentemente dal lamentato vizio della violazione del principio di legalità e irretroattività dei provvedimenti impugnati in prime cure che hanno accertato il carattere abusivo della condotta della ricorrente, il mancato svolgimento da parte dell’Autorità dell’essenziale attività di verifica non consente di ritenere certa la correlazione tra gli sbilanciamenti effettivi imputati e l’incremento dell’uplift, con conseguente illegittimità della misura prescrittiva assunta a carico dell’odierna appellante.
I vizi di appello dedotti nel ricorso di Ex. nei termini di sussistenza del difetto di istruttoria e conseguente difetto di motivazione in ordine alla determinazione delle somme oggetto dei provvedimenti prescrittivi impugnati appaiono quindi fondati ed assorbono la valutazione di ogni altro differente motivo di impugnazione non trattato nella presente memoria di replica” (pagg. 10/11).
3.2 All’esito dell’ordinanza collegiale n. 1872 del 2021, con memoria conclusionale depositata in vista dell’udienza del 1° luglio 2021, l’appellante ha insistito nel ritenere che la mancata valutazione dell’Autorità sull’inidoneità della condotta asseritamente posta in essere da Ex. al fine di alterare le modalità di approvvigionamento di Te. e comportare una destabilizzazione del sistema di trasmissione sarebbe stata ritualmente introdotta in giudizio, sia in primo grado che in appello.
Al riguardo, l’appellante ha richiamato:
– le pagg. 7 e 9 del ricorso introduttivo dinnanzi al Tar e le pagg. 5 e 6 del ricorso in appello, in cui sarebbe stata articolata la “censura in riferimento alla mancata ed insufficiente verifica nei provvedimenti impugnati dell’effettiva modalità di approvvigionamento da parte di Te.” (pag. 4 memoria del 14 giugno 2021);
– le pagg. 22 e 23 del ricorso in appello;
– la condotta processuale tenuta da Te., che aveva dedicato nella propria memoria difensiva del 9.5.2019 un paragrafo all’idoneità delle condotte dell’appellante ad incidere sull’uplift e ad alterare il prezzo dell’energia, richiamando apposita censura svolta dalla ricorrente a pag. 6 dell’appello, riguardante proprio la mancata prova dell’idoneità delle condotte poste in essere da Ex. ad alterare le modalità di approvvigionamento e, quindi, a comportare una destabilizzazione del sistema di trasmissione;

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

– la graduazione dei motivi operata dall’appellante con le repliche del 15 febbraio 2021, attraverso le quali era stato chiesto l’esame prioritario del motivo riferito all’idoneità delle condotte dell’appellante ad incidere sull’uplift ad alterare il prezzo dell’energia.
3.3 Il Collegio ritiene che la questione giuridica dell’idoneità della condotta ascritta all’appellante ad influire sull’uplift in danno dell’utenza finale non sia stata oggetto di specifica censura articolata nell’ambito del ricorso in appello.
Al riguardo, si premette l’irrilevanza delle deduzioni di primo grado, non configurando l’appello un novum iudicium ma una revisio prioris istantiae (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 febbraio 2020, n. 844), con la conseguenza che il thema decidendum su cui è chiamato a statuire questo Consiglio è definito, anziché dal ricorso dinnanzi al Tar, dal ricorso in appello, cui deve aversi riguardo al fine di garantire la corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Pertanto, soffermandosi sulle deduzioni svolte nel ricorso in appello, per quanto più di interesse nella presente sede, si osserva che Ex. si è limitata (alle pagg. 5 e 6 del relativo ricorso) a descrivere le modalità di funzionamento del sistema, rilevando che:
– i corrispettivi di sbilanciamento sono determinati in modo tale che lo scostamento dai propri programmi è premiato quando risulta avere un effetto positivo sul sistema di trasmissione, con la conseguenza che al pagamento da parte di Te. nei confronti dell’operatore di corrispettivi di sbilanciamento corrisponde il mancato pagamento di Te. degli oneri per le risorse di dispacciamento sul MSD (Mercato per il Servizio di Dispacciamento) che altrimenti avrebbero dovuto essere state reperite da Te. a titolo oneroso;
– una programmazione non corretta non determina automaticamente un erroneo approvvigionamento da parte di Te.;
– Te. utilizza criteri ai fini degli sbilanciamenti -indicati a pag. 5 dell’allegato 22 al Codice di Rete-, non correlati ai programmi degli utenti del dispacciamento; sicché la programmazione posta in essere da un utente del dispacciamento non potrebbe alterare le modalità di approvvigionamento di Te. e, quindi, comportare una destabilizzazione del sistema di trasmissione, né sarebbe idonea a determinare rischi in relazione alla sicurezza della rete.
Tali deduzioni non configurano una specifica censura diretta contro l’operato di Arera, né integrano una contestazione di uno dei capi decisori fondanti la sentenza gravata.
3.4 In primo luogo, deve darsi continuità all’indirizzo interpretativo, in forza del quale “l’inammissibilità dei motivi di ricorso non consegue solo al difetto di specificità ma anche alla loro mancata indicazione, “distintamente”, in apposita parte dedicata a tale elemento del ricorso (sia esso di primo grado o d’appello), di cui i motivi costituiscono il nucleo essenziale e centrale. Lo scopo della disposizione è di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi, non di rado, oltre ad essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra ‘fattò e ‘motivà, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. ‘motivi intrusà, ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano in un vizio revocatorio (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 8)” (Consiglio di Stato, sez. I, 14 dicembre 2020, n. 2037; sulla necessaria suddivisione fra fatto e motivi, al fine di evitare i c.d. motivi intrusi, cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2021, n. 2940).

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Alla stregua di tali coordinate interpretative, è possibile soffermarsi sul contenuto dell’appello: Ex., dapprima, ha operato un “inquadramento generale della disciplina degli sbilanciamenti prima della riforma del 2016” (pagg. 3 e ss.); successivamente, ha ricostruito gli elementi caratterizzanti “la riforma in materia di sbilanciamento adottata a metà 2016” (pagg. 6 e ss.); all’esito, si è soffermata sul “procedimento condotto dall’Autorità nei confronti di Ex.” (pagg. 8 e ss.), sul “giudizio di primo grado” (pagg. 10 e ss.) e sulla “sentenza impugnata” (pagg. 12 e ss.); infine, ha indicato le “ragioni di diritto” per cui la sentenza dovrebbe essere annullata e/o riformata (pagg. 13 e ss.).
Ne deriva che le deduzioni svolte a pagg. 5 e 6 del ricorso in appello, da cui la ricorrente intende desumere una censura specificamente diretta a denunciare l’insussistenza di una correlazione causale tra sbilanciamenti e incremento del corrispettivo uplift traslabile sull’utenza finale, sono contenute in una parte del ricorso in appello che, lungi dall’essere dedicata a contestare l’erroneità della sentenza gravata (cui la parte ha provveduto nelle pagg. 13 e ss.) o l’operato amministrativo di Arera, tradottosi nell’adozione del provvedimento impugnato in prime cure (oggetto di disamina alle pagg. 8 e ss. del ricorso in appello), è deputata alla sola descrizione delle modalità di funzionamento del sistema, avuto riguardo, in particolare, all’attività svolta da Te..
Per l’effetto, non possono desumersi specifiche censure impugnatorie da una illustrazione generale delle caratteristiche del sistema elettrico, non specificatamente riferita al contenuto dispositivo e motivazionale della pronuncia gravata, né alla decisione amministrativa in concreto assunta dalla parte resistente e impugnata in prime cure.
3.5 In secondo luogo, si rileva che le deduzioni svolte dall’appellante alle pagg. 5 e 6 del ricorso in appello non riguardano, comunque, il tema della correlazione causale tra le condotte di sbilanciamento e l’incremento dell’uplift.
In particolare, le allegazioni attoree in esame mirano ad escludere in astratto, alla stregua della regolamentazione di settore, l’idoneità delle condotte ascritte agli utenti del dispacciamento ad influire sulle modalità di approvvigionamento di Te.; non si fa questione, invece, di censure specificatamente rivolte contro l’operato amministrativo di Arera, cui non viene contestato in concreto un difetto di istruttoria o di motivazione nell’accertamento -in relazione alla particolare posizione dell’odierna ricorrente- del nesso causale tra le strategie di programmazione per cui è causa e l’incremento dell’uplift fondante la determinazione prescrittiva impugnata in primo grado.
Peraltro, l’assunto attoreo, incentrato sull’inidoneità delle condotte degli utenti del dispacciamento a condizionare le azioni che Te. è chiamata a svolgere, in specie sul mercato del dispacciamento, risulta comunque infondato.
Lo sbilanciamento effettivo potrebbe infatti determinare non soltanto un effetto diretto sulla quantificazione degli oneri economici a carico di Te. a titolo di corrispettivi di sbilanciamento, suscettibile di incrementare la componente del corrispettivo uplift ex art. 44, comma 1, lett. a), cit., ma anche un effetto indiretto (attraverso la condotta attiva di Te. sul MSD) sulla determinazione del corrispettivo uplift, condizionando la componente di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), all. A, deliberazione ARERA n. 111/06 relativa ai servizi del dispacciamento.
Gli sbilanciamenti effettivi, comportando uno squilibrio del sistema, potrebbero imporre l’intervento di Te. sul mercato del dispacciamento, al fine di attivare le unità abilitate e ottenere, in tale modo, la variazione dei quantitativi di energia di cui il sistema necessita per il ripristino delle condizioni di equilibrio.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

I maggiori oneri sostenuti da Te. sul mercato del dispacciamento determinano, in tale caso, un incremento della componente del corrispettivo uplift di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), cit.
Per l’effetto, non può escludersi un’influenza delle strategie di programmazione non diligente, anche ove poste in essere da utenti titolari di unità non abilitate, sull’azione svolta da Te. sul mercato del dispacciamento.
3.6 Alla stregua delle considerazioni svolte, si osserva che, anche prendendo in esame le deduzioni svolte da Ex. alle pagg. 5 e 6 cit. (comunque inammissibili, in quanto non integranti una riproposizione di motivi di ricorso -assorbiti in primo grado- contro l’operato amministrativo in contestazione o censure impugnatorie contro un capo decisorio della sentenza gravata) non emergerebbero in ogni caso motivi di doglianza incentrati sul difetto di istruttoria e di motivazione inficiante gli atti assunti dall’Arera in ordine alla correlazione causale tra le condotte di sbilanciamento e l’incremento dell’uplift – costituente la questione esaminata dalla Sezione nei precedenti richiamati da Ex. nella memoria di replica del 15.2.2021 -, facendosi questione di una mera illustrazione del quadro regolatorio di riferimento, teso ad asseverare (infondatamente, per quanto osservato) l’inidoneità delle condotte degli utenti del dispacciamento ad influire sull’attività di Te..
3.7 Una censura riguardante la correlazione causale tra sbilanciamenti effettivi ascritti alla ricorrente ed incremento dell’uplift non potrebbe desumersi neppure dalle pagg. 22 e 23 del ricorso in appello, in cui si affronta una questione differente, riguardante l’illegittimità della soglia di tolleranza del 30% applicata con il provvedimento prescrittivo impugnato in primo grado; censura che sarà affrontata nel prosieguo della trattazione.
3.8 Parimenti, non potrebbe diversamente argomentarsi sulla base di quanto dedotto da Te. nella propria memoria difensiva, non essendo demandata alla disponibilità delle parti la perimetrazione del thema decidendum del giudizio, costituente una questione di ordine processuale, rilevabile anche d’ufficio dal giudice procedente, non influenzata da ipotetiche condotte di acquiescenza tenute dalle parti.
3.9 Infine, anche la graduazione delle censure proposta dall’appellante con le repliche del 15.2.2021 è irrilevante ai fini del decidere, in quanto riferita a nuove censure proposte per la prima volta con memoria difensiva, non esaminabili in giudizio e, dunque, neppure graduabili dalla parte ricorrente.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

3.11 Alla stregua delle considerazioni svolte, come pure eccepito dall’Autorità appellata, si conferma l’impossibilità di desumere dal ricorso in appello una censura riguardante il difetto di istruttoria e di motivazione, inficiante le determinazioni per cui è causa, in relazione all’accertamento dell’idoneità delle condotte di Ex. ad incidere sull’uplift.
Un tale motivo di appello è stato svolto dalla parte ricorrente soltanto con memoria difensiva, la cui funzione tipica non è tuttavia quella di introdurre nuove censure o proporre impugnative, ma soltanto di argomentare in ordine a censure già ritualmente dedotte con l’atto introduttivo del giudizio.
Per tali ragioni, in applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale accolto da questo Consiglio, secondo cui “nel processo amministrativo, sono inammissibili le censure formulate in memoria non notificata alla controparte, sia nell’ipotesi in cui risultino completamente nuove e non ricollegabili ad argomentazioni espresse nel ricorso introduttivo, sia quando, pur richiamandosi ad un motivo già ritualmente dedotto, introducano elementi sostanzialmente nuovi, ovvero in origine non indicati, con conseguente violazione del termine decadenziale e del principio del contraddittorio” (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. V, 15 luglio 2016, n. 3152), il nuovo motivo di ricorso introdotto dall’appellante soltanto con memoria difensiva deve ritenersi inammissibile.
4. Ciò rilevato, nonché precisato che il rinvio indeterminato agli atti di primo grado, senza alcuna precisazione ulteriore del loro contenuto attraverso la specificazione delle censure all’uopo svolte, è inidoneo ad introdurre in giudizio questioni giuridiche esaminabili nel merito, trattandosi di una mera formula di stile insufficiente a soddisfare l’onere di espressa riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a. (Cons. giust. amm. Sicilia, 30 aprile 2020, n. 2781), è possibile soffermarsi sui motivi di impugnazione ritualmente introdotti con il ricorso in appello.
5. A tali fini, in via preliminare, giova ricostruire la struttura e la funzione del servizio pubblico di dispacciamento, alla stregua della disciplina dettata dall’Autorità con delibera n. 111/06, attuativa delle previsioni degli artt. 3 e 5 del d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, tenuto conto dei chiarimenti già forniti al riguardo dalla Sezione (cfr. in specie sentenze nn. 1586, 2045 e 4422 del 2019).
5.1 La ragione d’essere del servizio di dispacciamento risiede nel dato fisico per cui l’energia elettrica non può essere, in linea di principio, immagazzinata al pari di altri beni di valore economico, ma deve essere prodotta e consumata nel momento in cui l’utente finale la richiede. L’attività di dispacciamento ? esercitata su tutto il territorio nazionale in regime di concessione dal gestore della rete di trasmissione nazionale (Te. s.p.a.) ? ha quindi la funzione di assicurare, in ogni momento, l’equilibrio fra produzione e consumo di energia elettrica, garantendo la sicurezza e continuità di fornitura di elettricità, in tale modo evitando gli sprechi, che conseguirebbero ad una superproduzione rispetto al consumo, e i distacchi (blackout), che conseguirebbero ad un sovra-consumo rispetto alla produzione.
La quantità di energia elettrica immessa nella rete dipende dall’entità della domanda e dell’offerta, come risultanti dalle contrattazioni che si svolgono nei mercati dell’energia e, principalmente, nel mercato del giorno prima (MGP) oppure nel mercato infra giornaliero (MI), che può andare a modificare quanto stabilito nel Mercato del Giorno Prima.
Relativamente al mercato del giorno prima (MGP), fino alle ore 12 della mattina precedente il giorno di consegna dell’energia, ovvero del giorno in cui i consumatori ne avranno bisogno, ogni operatore ammesso al mercato può proporre l’acquisto o la vendita di partite di energia per ciascuna ora del giorno successivo.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Nel mercato infragiornaliero (MI), che si svolge dalla chiusura del MGP fino a tutto il giorno di consegna dell’energia, ogni operatore può scambiare ulteriori partite di energia per l’aggiustamento dei programmi di immissione e di prelievo definiti sul mercato del giorno prima.
Posto che i dati dei mercati dell’energia sono basati su stime, vi è la possibilità che la produzione e il consumo reale si discostino dai programmi di immissione e prelievo negoziati sul mercato del giorno prima e sul mercato infragiornaliero – configuranti le quantità di energia elettrica dichiarata in immissione o in prelievo in relazione ad un periodo rilevante e ad un punto di dispacciamento -: in siffatte ipotesi, il servizio di dispacciamento opera come stabilizzatore del sistema di ultima istanza.
5.2 Alla stregua della disciplina dettata dalla delibera n. 111/06, emerge che tutti gli operatori di mercato, ovvero i soggetti che producono e vendono ovvero acquistano energia, sono tenuti a concludere con Te. il contratto per il servizio di dispacciamento, condizione necessaria per operare sul mercato elettrico (art. 4, comma 1, all. A, delibera 111/06); l’operatore acquista in tale modo la qualifica di utente del dispacciamento e concorre con la propria condotta a garantire le condizioni di equilibrio del sistema.
L’utente del dispacciamento, in particolare, è tenuto ad operare secondo i principi della buona fede oggettiva e della correttezza, in adempimento dei doveri di solidarietà sociale sullo stesso gravanti ex art. 2 Cost.: ai sensi dell’art. 14 della stessa delibera, egli è titolare, al contempo, del diritto e dell’obbligo di immettere in rete o di prelevare dalla rete in ciascun punto di dispacciamento una quantità di energia elettrica corrispondente ai programmi di immissione e prelievo di energia dalla rete.
Se le quantità programmate corrispondono a quelle reali, risulta assicurata la stabilità del sistema, perché domanda e offerta si equilibrano; altrimenti, qualora si verifichi uno scostamento dal programma vincolante, emerge uno sbilanciamento effettivo (positivo, ove si realizzi una maggiore immissione o un minor prelievo rispetto al programma vincolante, negativo, ove emerga una minore immissione o un maggior prelievo rispetto al programma vincolante), richiedente un intervento stabilizzatore nel mercato del dispacciamento.
5.3 Alla luce di tali preliminari considerazioni, deriva, quindi, che lo sbilanciamento effettivo risulta pregiudizievole per la stabilità del sistema, alterando le condizioni di equilibrio del mercato: gli utenti del dispacciamento, operando correttamente, sono, dunque, chiamati ad evitare lo scostamento dai rispettivi programma di immissione o prelievo, definendo con ogni cautela le proprie strategie di programmazione.
Per tali ragioni, ai sensi di quanto previsto dall’art. 14, comma 6, all. A, delibera n. 111 cit.: “[g]li utenti del dispacciamento delle unità fisiche di produzione e consumo sono tenuti a definire programmi di immissione e prelievo utilizzando le migliori stime dei quantitativi di energia elettrica effettivamente prodotti dalle medesime unità, in conformità ai principi di diligenza, prudenza, perizia e previdenza”.
5.4 L’emersione di uno sbilanciamento effettivo rileva sia nei rapporti tra le parti del contratto di dispacciamento, sia ai fini delle azioni di salvaguardia da intraprendere per garantire la sicurezza e continuità della fornitura di energia elettrica.
5.4.1 In particolare, nei rapporti tra le parti contrattuali, ai sensi dell’art. 14, commi 2 e 4, all. A, delibera n. 111 cit., l’energia immessa in eccesso o prelevata in difetto rispetto al programma vincolante si considera, ai fini economici, ceduta al gestore, tenuto al pagamento del relativo corrispettivo (di sbilanciamento); l’energia immessa in difetto o prelevata in eccesso rispetto al programma vincolante si considera invece, sempre ai fini economici, ceduta dal gestore, che in tale caso riceve il pagamento del corrispondente corrispettivo di sbilanciamento.
Tali operazioni hanno tuttavia valenza economica, ma non fisica, perché il gestore di rete, in quanto tale, non dispone di impianti propri che producano o consumino energia.
5.4.2 Ai fini del riequilibrio del sistema, invece, è stato costituito il mercato del servizio di dispacciamento (MSD), cui sono ammessi solo gli operatori a ciò specificamente abilitati, titolari di impianti denominati “unità di produzione o di consumo”, i quali si obbligano a immettere e/o a prelevare energia elettrica secondo le disposizioni impartite dal gestore della rete (per le unità non abilitate al MSD, invece, il programma vincolante è basato sulle sole offerte di acquisto -per le unità di consumo- e di vendita -per le unità di produzione- accettate su MGP e MI).

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

In tal mercato, diversamente dal mercato dell’energia elettrica all’ingrosso, la domanda è espressa dal solo gestore della rete (e non dagli utenti del dispacciamento) ed è una domanda rigida (rispetto al prezzo) per ciascuna delle risorse necessarie a garantire la sicurezza del sistema, ossia delle risorse necessarie ad assicurare il continuo equilibrio di prelievi ed immissioni sulla rete nel rispetto dei vincoli fisici del sistema.
Nell’ambito del MSD, si distinguono poi una fase ex ante, in cui il gestore acquista l’energia necessaria all’equilibrio del sistema basandosi su una previsione a breve termine, e una fase di bilanciamento (MB), in cui il gestore agisce in tempo reale.
La valorizzazione dell’energia elettrica che si forma nel mercato dei servizi di dispacciamento, peraltro, è spesso sensibilmente più elevata rispetto ai prezzi ordinari che si formato sul mercato all’ingrosso.
5.5 Ai sensi della regolazione ratione temporis applicabile nella specie, inoltre, i prezzi negoziati sul mercato del dispacciamento influenzavano, altresì, i prezzi di sbilanciamento applicabili per la regolazione dei rapporti economici tra le parti del contratto di dispacciamento.
Soffermando l’attenzione sulla determinazione dei corrispettivi di sbilanciamento dovuti agli utenti del servizio del dispacciamento, titolari di unità non abilitate ad operare sul MDS, emerge che la disciplina dettata dagli artt. 39 e 40 delibera n. 116/06 cit., nella formulazione vigente fino al 31 luglio 2016 (prima di essere modificata con delibera n. 444/2016/R/eel del 28 luglio 2016, entrata in vigore il 1° agosto 2016) prevedeva la valorizzazione degli sbilanciamenti effettivi per ciascun punto di dispacciamento relativo a unità non abilitate in applicazione del meccanismo del cd. single pricing, che consentiva la quantificazione dei prezzi di sbilanciamento soltanto sulla base del segno dello sbilanciamento aggregato zonale – determinato in funzione delle movimentazioni disposte da Te. sul mercato per il servizio del dispacciamento all’interno della macrozona di bilanciamento di riferimento -, senza tenere conto del segno dello sbilanciamento effettivo associato a ciascun punto di dispacciamento.
Per l’effetto, in presenza di uno sbilanciamento aggregato zonale positivo, gli sbilanciamenti effettivi associati a ciascun punto di dispacciamento appartenente alla macrozona di bilanciamento venivano valorizzati ad un prezzo non superiore a quello zonale, mentre, a fronte di uno sbilanciamento aggregato zonale negativo, i corrispondenti sbilanciamenti effettivi venivano valorizzati ad un prezzo non inferiore al prezzo zonale.
5.6 Non dipendendo il meccanismo single pricing dal segno dello sbilanciamento effettivo, risultava possibile per gli utenti del dispacciamento trarre vantaggi economici da sbilanciamenti effettivi discordi rispetto allo sbilanciamento aggregato zonale.
Difatti, uno sbilanciamento effettivo positivo (derivante da una maggiore immissione o da un minore prelievo di energia, rispetto al programma vincolante presentato ai sensi dell’art. 14, all. A, delibera n. 111/06 cit.), in presenza di uno sbilanciamento aggregato zonale negativo, consentiva all’utente del dispacciamento di rivendere energia a sbilanciamento a prezzo superiore (e comunque non inferiore) a quello zonale; così come uno sbilanciamento effettivo negativo (derivante da una minore immissione o da un maggiore prelievo di energia, rispetto al programma ex art. 14, all. A, delibera n. 111/06 cit.), in presenza di uno sbilanciamento aggregato zonale positivo consentiva all’utente del dispacciamento di acquistare energia a sbilanciamento a prezzo inferiore (e comunque non superiore) a quello zonale.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Come emergente dalle premesse della delibera n. 444/2016/E/eel (comunque inapplicabile nella specie, in quanto entrata in vigore in data 1 agosto 2016 e, pertanto, successivamente al periodo temporale preso in considerazione dai provvedimenti prescrittivi impugnati in prime cure), negli anni sono state rilevate dall’Autorità alcune anomalie che avevano comportato in diverse macrozone di bilanciamento segni dello sbilanciamento aggregato zonale non coerenti con l’effettivo stato di equilibrio del sistema, anche a causa di una non corretta contabilizzazione degli scambi di risorse di bilanciamento con le macrozone confinanti.
Tali anomalie, unitamente alla prevedibilità da parte degli utenti del dispacciamento del segno di sbilanciamento rispetto al prezzo zonale e, conseguentemente, del livello del prezzo di sbilanciamento rispetto al prezzo zonale, in applicazione del meccanismo del single pricing, avevano favorito l’adozione da parte degli utenti del dispacciamento a livello di macrozona di bilanciamento, di strategie di programmazione di unità di consumo e/o di unità di produzione non abilitate contrarie ai principi di diligenza, perizia, prudenza e previdenza, finalizzate a registrare significativi sbilanciamenti discordi rispetto allo sbilanciamento aggregato zonale per trarne un significativo vantaggio economico individuale.
Ne deriva che, tenuto conto della regolazione ratione temporis applicabile alla specie, la differenza fra i prezzi dell’energia nel MSD e i prezzi dell’energia nelle contrattazioni precedenti effettuate nel MGP poteva incentivare i comportamenti opportunistici dei titolari di unità di consumo, utenti del dispacciamento non abilitati al MSD che, sovradimensionando sistematicamente la propria previsione di prelievo, intendessero appropriarsi in tal modo del sopraprezzo. Quest’ultimo costituisce, peraltro, una componente dei costi delle attività di approvvigionamento d’energia -“uplift” – sostenuti in prima battuta dal gestore e poi suscettibili di essere caricati sugli utenti come una componente della bolletta elettrica.
5.7 Per fronteggiare il diffuso inadempimento dell’obbligo di programmazione diligente, l’Autorità, da un lato, ha adottato una riforma generale della disciplina degli sbilanciamenti (in esito ai documenti di consultazione 368/2013/R/eel, 163/2015/R/eel e 316/2016/R/eel), dall’altro, ha adottato una serie di provvedimenti prescrittivi nei confronti dei soggetti responsabili delle condotte abusive.
È utile ricordare che tali iniziative regolatorie hanno preso le mosse quando, nel corso del 2012, era stata registrata una sistematica e consistente differenza positiva (sbilanciamento) tra l’energia programmata in prelievo in esito al mercato del giorno prima (MGP) dagli utenti di dispacciamento in prelievo (titolari di unità di consumo come la società appellante) e l’energia misurata in prelievo imputabile agli stessi utenti.
In particolare, tale fenomeno aveva interessato la zona della Sardegna, dove risultava negativo il segno dello sbilanciamento aggregato zonale e positivo lo sbilanciamento effettivo degli utenti in prelievo (che programmavano più energia di quanto prelevato e consumato), con la conseguenza di applicare agli utenti i (più favorevoli) corrispettivi di sbilanciamento, di cui all’art. 40.3, lettera b, all. A, delibera n. 111/06.
Secondo l’Autorità, l’entità, la costanza e la sistematicità dello sbilanciamento effettivo positivo dell’insieme delle unità di consumo, imputabili a tali utenti, non poteva essere riconducibile ad errori di programmazione da parte di tali utenti, ma ad una specifica strategia speculativa.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

5.8 Con la deliberazione del 29 ottobre 2014, n. 525/2014/R/erl, recante “Modifiche e integrazioni alla disciplina degli sbilanciamenti effettivi di energia elettrica”, è stato, quindi, imposto agli utenti del dispacciamento di definire i loro programmi di immissione e prelievo, evitando qualsiasi sbilanciamento volontario e attenendosi alle “migliori stime” dei quantitativi di energia elettrica effettivamente a disposizione e necessari.
In particolare, tale delibera ha disposto che, a partire dal 1 novembre 2014, l’art. 14.6 dell’Allegato A della deliberazione n. 111/06, sulle condizioni per l’erogazione del servizio di dispacciamento dell’energia elettrica sul territorio nazionale, fosse così riformulato: “Gli utenti del dispacciamento delle unità fisiche di produzione e consumo sono tenuti a definire programmi di immissione e prelievo utilizzando le migliori stime dei quantitativi di energia elettrica effettivamente prodotti dalle medesime unità, in conformità ai principi di diligenza, prudenza, perizia e previdenza”. Ai sensi dell’art. 14.7, all. A, delibera 111/06, è stato, inoltre, previsto che il gestore di rete segnala alla Autorità “significativi e reiterati scostamenti dall’applicazione dei principi enunciati al comma precedente”, ovvero dai principi della programmazione vincolante prudentemente calcolata, “per l’adozione dei relativi provvedimenti di competenza”.
5.9 Alla stregua di tali approfondimenti, che la sezione conferma, è possibile esaminare le censure svolte dalla parte ricorrente.
6. Preliminarmente, deve osservarsi che gli atti impugnati in primo grado costituiscono manifestazione del potere prescrittivo spettante all’Autorità ai sensi dell’art. 2, comma 20, lettera d), della legge n. 481 del 1995, secondo cui l’Autorità “ordina al soggetto esercente il servizio la cessazione di comportamenti lesivi dei diritti degli utenti, imponendo, ai sensi del comma 12, lettera g), l’obbligo di corrispondere un indennizzo”.
Gli elementi costitutivi descritti dalla fattispecie normativa de qua ricorrono tutti nel caso in esame.
6.1 In primo luogo, la violazione delle regole di condotta diligente in materia di programmazione dei prelievi si traduce, secondo le precisazioni che verranno fornite infra, in un comportamento suscettibile di avere come conseguenza diretta la lesione “dei diritti degli utenti” alla formazione del prezzo dell’energia elettrica corrispondente al suo valore reale.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Difatti, concorrendo i prezzi di sbilanciamento, ai sensi dell’art. 44, all. A, delibera n. 111/06, a determinare il corrispettivo per l’approvvigionamento delle risorse nel mercato per il servizio di dispacciamento (cd. corrispettivo uplift) traslabile sull’utenza finale, un incremento degli oneri sostenuti da Te. per il pagamento dei prezzi di sbilanciamento, in conseguenza di condotte non diligenti tenute dagli utenti del dispacciamento, è, in ipotesi, idoneo a determinare un incremento dei costi sostenuti dall’utenza finale, recuperabile attraverso provvedimenti prescrittivi rientranti nella competenza dell’Autorità appellata.
6.2 In secondo luogo, il comportamento oggetto dei provvedimenti impugnati in prime cure è stato ascritto in capo all’utente del dispacciamento, qualificabile come “soggetto esercente il servizio”, locuzione, nello specifico contesto dell’attività di dispacciamento, riferibile non solo al concessionario, ma anche agli utenti del dispacciamento, che -con la propria condotta- concorrono, unitamente al gestore della rete, ad assicurare la stabilità e sicurezza del sistema, essendo, pertanto, soggetti all’applicazione di specifici obblighi strumentali alla corretta fornitura del servizio di dispacciamento.
Come chiarito dalla Sezione (sentenza n. 1586 del 7 marzo 2019), “contrariamente alla tesi dell’appellante, gli sbilanciamenti non costituiscono affatto una sorta di automatica risorsa del dispacciamento, avendo comunque sempre l’effetto o di obbligare il gestore della rete ad intervenire per riportare in equilibrio la rete elettrica. Non solo, è la stessa società a confermare che le valorizzazioni dell’energia elettrica che si formano nel mercato dei servizi di dispacciamento sono spesso sensibilmente più elevate dei prezzi ordinari. La differenza fra i prezzi dell’energia nel MSD e i prezzi dell’energia nelle contrattazioni precedenti effettuate nel MGP può costituire, pertanto, un costo addizionale che confluisce nei costi delle attività di approvvigionamento d’energia – c.d. uplift – sostenuti in prima battuta da T. e poi addossati sugli utenti come una componente della bolletta elettrica. Ciò giustifica l’esplicito richiamo ai principi generali di correttezza e prudenza nel definire i programmi di immissioni, così da contenere entro limiti fisiologici gli sbilanciamenti che inevitabilmente si vengono a concretizzare, e censurare quelle condotte volte a creare sbilanciamenti per mere finalità speculative, abusando del servizio pubblico di dispacciamento, i cui eventuali oneri si riflettono sui consumatori finali. In definitiva, non appare illogico, né manifestamente sproporzionato l’intento dell’Autorità volto a censurare quei comportamenti opportunistici tesi unicamente a lucrare un arricchimento attraverso il preventivato aggravio del sistema di dispacciamento, pur se nell’esercizio dei propri diritti di immissione e prelievo di energia elettrica nel/dal sistema”.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Ne deriva che gli utenti del dispacciamento sono tenuti ad operare sul mercato, adottando strategie di programmazione diligenti, essenziali per evitare sbilanciamenti effettivi suscettibili di pregiudicare le condizioni di equilibrio del sistema.
La realizzazione degli interessi pubblici sottesi al servizio di dispacciamento dipende, quindi, dalla necessaria cooperazione -regolata, altresì, attraverso lo strumento contrattuale, componente necessaria dell’assetto regolatorio applicabile in materia (art. 4 all. A del. n. 111 cit.)- tra gestore della rete e utente del dispacciamento, che, pertanto, concorrono nell’esercizio del relativo servizio e, sotto tale profilo, sono qualificabili, entrambi, “soggetti esercenti il servizio” ai sensi dell’art. 2, comma 20, lettera d), della legge n. 481 del 1995.
6.3 In terzo luogo, l'”obbligo di corrispondere l’indennizzo” ha portata esemplificativa e non tipizzante le misure prescrittive adottabili dall’Autorità, riferendosi ai casi (diversi da quelli qui in esame, perché relativi alla regolazione sulla qualità ) in cui si registrino violazione dei livelli generali o specifici del servizio.
In particolare, si ritiene che l’ordine prescrittivo possa consentire non soltanto di inibire la prosecuzione di comportamenti attivi, violativi dei diritti dell’utenza, ma anche di rimuovere i relativi effetti, conseguentemente prodotti in danno dell’utenza, allo stato persistenti. Anche in siffatte ipotesi, l’Autorità ordina la cessazione di un comportamento dell’esercente il servizio, il quale, dopo aver leso i diritti dell’utenza in conseguenza dell’inottemperanza agli obblighi sullo stesso gravante, si astiene dal ripristinare le condizioni di regolare funzionamento del mercato alterate dalla propria condotta, consentendo in tale modo la protrazione dei relativi effetti lesivi.
L’ordine dato alla società appellante di pagare a Te. s.p.a. gli importi indebitamente trattenuti per effetto degli sbilanciamenti volontari ? affinché siano (con le modalità che spetta allo stesso regolatore definire) riassegnati all’utenza finale ? non costituisce, peraltro, una sanzione in senso stretto, tenuto conto che non trae la propria giustificazione nell’integrazione di un illecito, bensì è ancorata alla lesione dei diritti dell’utenza finale a una corretta formazione del prezzo sui mercati e a una corretta determinazione del valore delle risorse per dispacciamento.
Per l’effetto, posto che la norma attributiva del potere richiede l’integrazione di una lesione dei diritti dell’utenza, ma non impone come unica forma di intervento la corresponsione di indennizzi agli utenti lesi, costituente una delle misure all’uopo adottabili, lo scopo della norma è quello di consentire il ripristino del regolare funzionamento delle condizioni di mercato, suscettibile di avvenire anche imponendo la restituzione delle somme, ingiustamente riscosse dagli operatori economici, in favore degli utenti attuali.
Il che è avvenuto nella specie, tenuto conto che Te. non costituiva il beneficiario finale, bensì era chiamata a valorizzare le somme restituite dagli operatori attraverso la riduzione del corrispettivo uplift traslabile sull’utenza, con conseguente emersione di un beneficio finale in capo all’utenza tutelata dalla norma attributiva del potere in commento.
7. I provvedimenti impugnati in prime cure, dunque, non hanno la funzione di punire un illecito concretamente commesso, espressivo di disvalore giuridico secondo un giudizio ordinamentale, come tale da sanzionare mediante l’applicazione di una misura afflittiva; bensì tendono a ripristinare le condizioni di funzionamento che il mercato avrebbe espresso ove non fosse stato perturbato dal comportamento opportunistico dell’operatore, tutelando, dunque, i diritti dell’utenza finale lesi da un comportamento antigiuridico dell’esercente il servizio (nel significato supra tracciato), tradottosi nell’esecuzione di sbilanciamenti effettivi volontari, violativi degli obblighi di diligente programmazione ex art. 14 all. A del. n. 111/06 cit.
L’obbligazione restitutoria rientra, quindi, tra le misure prescrittive suscettibili di essere assunte dall’Autorità ex art. 2, comma 20, lettera d), della legge n. 481 del 1995, tenuto conto che, alla stregua della chiara tassonomia legislativa, dettata dall’art. 2, comma 20, della legge n. 481 del 1995, al potere sanzionatorio, di cui alla lettera c), è estranea qualunque finalità ripristinatoria o riparatoria, propria del potere prescrittivo, di cui alla lettera d).

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

8. Le considerazioni svolte consentono di evidenziare, inoltre, da un lato, che non sussiste alcuna duplicazione di misure afflittive, dall’altro, che l’intervento amministrativo posto in essere dall’Autorità non assume natura regolatoria.
8.1 Sotto il primo profilo, si osserva che il procedimento prescrittivo, concluso con l’adozione degli atti impugnati nel presente giudizio, non è caratterizzato dalla medesima funzione, né si fonda sui medesimi presupposti propri del procedimento sanzionatorio; con conseguente inconferenza delle censure attoree argomentate sull’asserita natura sanzionatoria degli atti per cui è causa.
Nell’esercizio del potere sanzionatorio, l’Autorità è infatti chiamata ad irrogare una misura afflittiva, al fine di punire l’illecito concretamente commesso, avuto riguardo alla gravità della violazione riscontrata, con un giudizio incentrato sul comportamento tenuto dall’agente, da valutare anche in ragione del coefficiente psicologico di colpevolezza e della gravità della lesione provocata all’interesse protetto dalla disposizione violata.
Nel caso di specie, invece, come supra osservato, la misura adottata dall’Autorità non ha natura afflittiva, in quanto non tende a sanzionare l’utente del dispacciamento, né è graduata tenuto conto della gravità della violazione contestata all’agente; bensì mira esclusivamente a rimediare alle conseguenze che gli sbilanciamenti effettivi contestati all’odierna appellante, eseguiti in violazione dell’obbligo di diligente programmazione ex art. 14, all. A, del. n. 111/06 cit., hanno prodotto sulla formazione del corrispettivo uplift traslabile sull’utente finale; presupponendo, dunque, un accertamento oggettivo, incentrato sulla lesione cagionata ai diritti degli utenti (parte tutelata dall’intervento amministrativo in contestazione), costituente il proprium dell’attività prescrittiva esercitabile ai sensi dell’art. 2, comma 20, lett. d), cit.
Non discorrendosi di sanzioni pecuniarie, ma di obblighi restitutori a garanzia dell’utenza finale, da un lato, l’Autorità non era tenuta ad esercitare nel medesimo procedimento il potere prescrittivo e quello sanzionatorio, dall’altro, non è configurabile una duplicazione di misure afflittive in danno del medesimo soggetto e per lo stesso fatto.
8.2 Sotto il secondo profilo, deve rilevarsi che le delibere in esame non introducono norme integrative del quadro regolatorio di riferimento aventi effetto retroattivo, bensì ricollegano una prescrizione ordinatoria ? di cui si è sopra argomentata la base legale ? alla violazione di un obbligo già vigente al tempo in cui è stata attuata la strategia di non diligente programmazione per cui è causa, avente ad oggetto la definizione di ” programmi di immissione e prelievo utilizzando le migliori stime dei quantitativi di energia elettrica effettivamente prodotti dalle medesime unità, in conformità ai principi di diligenza, prudenza, perizia e previdenza”.
9. Ne deriva, altresì, l’infondatezza delle censure incentrate sulla lesione del principio del legittimo affidamento.

 

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Al riguardo, si osserva che “il principio dell’affidamento trova la sua giustificazione nella circostanza che il privato possa confidare nella stabilità di un atto amministrativo, quando abbia ragione di ritenere che l’atto sia legittimo e comunque abbia prodotto i suoi effetti per lungo tempo, senza che sia intervenuto alcun “rilievo” da parte dell’amministrazione che lo ha emanato” (CGA, 23 maggio 2017, n. 243).
Affinché possa riscontrarsi una posizione di legittimo affidamento, occorre, dunque, che la parte privata sia beneficiata da un pregresso atto amministrativo, costitutivo di una situazione di vantaggio acquisita in buona fede, consolidatasi nel proprio patrimonio giuridico per via del decorso di un apprezzabile periodo temporale.
Nel caso di specie, non sussiste una pregressa regolazione amministrativa, favorevole alla parte privata, retroattivamente modificata dall’Autorità procedente, con conseguente insussistenza di un legittimo affidamento su un precedente assetto regolatorio tutelabile in giudizio.
L’ARERA, infatti, ha assunto la propria decisione applicando la disciplina vigente al momento in cui l’odierna appellante ha tenuto la strategia di programmazione non diligente in contestazione, prescrivendo, dunque, l’obbligo restitutorio in ragione della violazione di un obbligo giuridico già gravante sulla ricorrente al tempo dei fatti di causa, produttivo di una lesione dei diritti dell’utenza finale.
10. Parimenti, deve negarsi la natura ablativa dei provvedimenti impugnati in prime cure.
Nella specie l’obbligo restitutorio imposto a carico dell’appellante, come si osserverà amplius infra, non ha ad oggetto utilità acquisite dall’utente del dispacciamento nell’esercizio della propria libertà di impresa e, pertanto, non estingue un diritto soggettivo o comunque una situazione giuridica attiva spettante alla ricorrente; bensì riguarda benefici economici conseguiti dall’operatore in violazione della normativa di settore, ostativa alla realizzazione di sbilanciamenti effettivi volontari in conseguenza di una strategia di programmazione non diligente.
11. L’azione provvedimentale in contestazione non può, neanche, essere censurata in ragione di un’asserita disparità di trattamento tra gli operatori economici, tenuto conto che l’Autorità ha ascritto in capo a ciascun utente del dispacciamento soltanto le conseguenze derivanti dalla propria condotta, valutata alla stregua di bande di tolleranze che -come si osserverà nella disamina delle censure al riguardo svolte dal ricorrente – risultano ragionevoli, in quanto espressive della diligenza professionale esigibile dagli operatori di settore nella definizione delle strategie di programmazione.
L’utilizzo di siffatte soglie percentuali ha, dunque, assicurato la parità di trattamento tra gli operatori economici, consentendo di individuare un parametro uniforme di valutazione degli sbilanciamenti effettivi realizzati dai singoli utenti del dispacciamento.
Peraltro, non può neanche ritenersi che l’intervento amministrativo in contestazione abbia alterato le condizioni di concorrenza, tenuto conto che la misura prescrittiva intendeva evitare che gli operatori economici, incisi dall’azione provvedimentale, potessero beneficiare di guadagni non consentiti dall’ordinamento.

 

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12. Non potrebbe neppure contestarsi l’inammissibilità di un intervento provvedimentale idoneo ad influire su profili di esecuzione contrattuale.
In subiecta materia deve, infatti, rilevarsi che la produzione pubblica di regole di governo dei mercati investe da tempo anche il diritto dei contratti, il cui contenuto risulta sempre più spesso dettato da decisioni pubbliche assoggettate al regime del diritto amministrativo.
L’impiego del contratto per la realizzazione, in forme e con graduazioni diverse, di finalità di “regolazione” del mercato ha dato vita ad una fenomenologia assai articolata: in un ampio novero di ipotesi le norme regolamentari conformative dell’autonomia privata sono volte a fronteggiare “inefficienze” corrispondenti alle varie forme di fallimenti del mercato (razionalità individuale, asimmetrie informative, esTe.lità, monopoli); altre volte il tratto funzionale dell’intervento regolatorio è quello di simulare, in un dato settore di attività, le dinamiche del mercato concorrenziale nei contesti connotati da vincoli naturali impeditivi del pieno confronto concorrenziale; in altri casi ancora, la regolazione del contratto non opera in chiave correttiva dei fallimenti del mercato (e, quindi, dell’efficienza allocativa), bensì in funzione redistributiva.
Le principali questioni giuridiche che il caso di specie pone all’attenzione del Collegio riguardano: da un lato, le condizioni necessarie perché il contratto possa essere eterointegrato da una fonte amministrativa; dall’altro, la possibile concorrenza, in caso di violazioni degli obblighi contrattuali, di rimedi pubblici accanto a quelli tradizionali civilistici.
Gli atti di fonte secondaria adottati nell’esercizio della funzione regolatoria condizionano in vario modo lo svolgimento dell’autonomia privata, giungendo finanche a limitarne il campo elettivo di esplicazione, nella misura in cui: dettano il procedimento di formazione del contratto e le modalità di informazione precontrattuale; prescrivono forme ad substantiam e requisiti di forma-contenuto; integrano il contenuto del regolamento (spesso con riguardo anche alle variabili economiche dello scambio); impongono il compimento di negozi giuridici o ne vietano la stipulazione; disciplinano il comportamento da tenersi nella fase esecutiva.
La circostanza che regole restrittive della libertà contrattuale scaturiscano da atti di autorità amministrative pone il problema delle condizioni in presenza delle quali tali atti siano abilitati a disciplinare un campo costituzionalmente riservato alla competenza delle leggi o degli atti aventi forza di legge.
Senza dubbio la fonte amministrativa deve operare su espressa delega del legislatore. La necessaria intermediazione della legge si desume, non solo dalla natura relativa della riserva di cui agli artt. 41 e 42 della Costituzione (la libertà di fare contratti strumentali all’esercizio dell’iniziativa economica è infatti costituzionalmente protetta nella stessa misura in cui riceve protezione l’iniziativa economica, ovvero nella stessa misura in cui è tutelata la proprietà dei beni negoziati), ma anche dalle pertinenti disposizioni del codice civile. L’art. 1372 c.c., nell’attribuire “forza di legge” alla manifestazione di volontà sorretta da comune intenzione, esclude la possibilità di modificare “in via amministrativa” l’assetto di interessi stabilito dalle parti, salvo che tale potere non sia previsto dalla legge (art. 1374 c.c.) ovvero prefigurato nell’accordo stesso. In definitiva, essendo il potere di autoregolamentazione dei privati attribuito dalla legge, la “conformazione amministrativa” del contratto richiede un fondamento normativo avente pari rango nel sistema delle fonti. L’art. 1339 c.c., secondo il consolidato orientamento interpretativo, si riferisce non soltanto al caso nel quale la legge individui essa stessa direttamente la clausola da inserirsi nel contratto, ma anche all’ipotesi in cui la legge preveda che l’individuazione della clausola sia fatta da una fonte normativa da essa autorizzata.
Ciò posto, la delega normativa non può compendiarsi nella sola attribuzione di competenza amministrativa, ma deve accompagnarsi anche da un corredo “minimo” di direttrici sostanziali riferite (quantomeno) agli scopi, all’oggetto ed ai presupposti, in coerenza con il principio di legalità sostanziale posto a base dello Stato di diritto, in virtù del quale “non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa” (Corte costituzionale, sentenza n. 115 del 2011).
Quando il contratto rappresenta una componente del processo regolatorio, l’inadempimento delle relative obbligazioni non assume rilievo soltanto sul piano delle relazioni intersoggettive, bensì è idoneo a ripercuotersi sul funzionamento dell’intero mercato. L’inadeguatezza dei tradizionali rimedi civilistici “interni” alle ragioni del contratto, rende necessario l’esercizio di poteri correttivi pubblicistici idonei ad estendere il proprio raggio d’azione al di là dello stretto perimetro definito dall’interesse delle parti.
Alla stregua delle considerazioni svolte, emerge che nel caso di specie non si fa questione di un mero inadempimento negoziale, idoneo ad esaurire la propria rilevanza inter partes (in ragione della natura individuale dell’interesse creditorio conseguentemente leso): il contratto di dispacciamento, come osservato, costituisce una componente del quadro regolatorio del mercato elettrico, avente la funzione di dettare regole precettive a tutela dell’interesse generale al corretto funzionamento dell’intero mercato, che l’utente del dispacciamento è tenuto ad osservare a garanzia delle relative condizioni di stabilità .
L’inosservanza delle obbligazioni fondate nel contratto di dispacciamento, dunque, incidendo sul corretto funzionamento del mercato, non assume una rilevanza meramente civilistica, bensì si traduce, altresì, nella violazione di norme amministrative, dettate a tutela del pubblico interesse alla sicurezza e continuità della fornitura di energia elettrica, suscettibili di rilevare ai fini dell’esercizio del potere prescrittivo spettante all’Autorità ai sensi dell’art. l’art. 2, comma 20, lettera d), legge n. 481 del 1995.
In ogni caso, nella specie le misure prescrittive adottate dall’Autorità non sono ancorate esclusivamente alla violazione di un’obbligazione negoziale, rinveniente la sua fonte nel contratto di dispacciamento in concreto concluso tra l’appellante e Te., bensì sono fondate sull’inosservanza dell’art. 14.6 all. A delibera n. 111 cit., che impone agli utenti del dispacciamento, in via immediata e diretta, l’obbligo di diligente programmazione della propria attività di immissione o prelievo di energia dalla rete.
In particolare, gli utenti del dispacciamento delle unità fisiche di produzione e consumo, anche non abilitate, sono tenuti a definire programmi di immissione e prelievo utilizzando le migliori stime dei quantitativi di energia elettrica effettivamente prodotti dalle medesime unità, in conformità ai principi di diligenza, prudenza, perizia e previdenza: lo sbilanciamento violativo di siffatte regole di cautela professionale si traduce, pertanto, nell’inottemperanza di obblighi giuridici, di fonte pubblicistica, gravanti sull’operatore nell’espletamento della propria attività .

 

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In altri termini, si tratta di obblighi imposti dalla normativa amministrativa, suscettibili di produrre una lesione dei diritti dell’utenza finale, per propria natura, dunque, trascendenti il singolo rapporto contrattuale, la cui violazione, pertanto, non si esaurisce in un mero illecito civile, sub specie di inadempimento negoziale, contestabile attraverso gli ordinari rimedi civilistici; bensì configura una violazione amministrativa idonea a fondare misure pubblicistiche assumibili dall’Autorità di settore.
13. Le considerazioni svolte conducono, altresì, a ritenere che i benefici derivanti dall’attività svolta in sbilanciamento, in violazione dei principi di diligenza, prudenza, perizia e previdenza, non costituiscano utili legittimamente acquisiti nell’esercizio dell’attività di impresa e, come tali, consolidati nel patrimonio giuridico individuale; facendosi questione di benefici appresi in violazione di un divieto gravante sull’utente del dispacciamento, prescritto dall’art. 14.6 all. A delibera n. 111 cit. e comunque immanente nel sistema, in quanto discendente dai doveri di solidarietà sociale che l’operatore economico è tenuto a rispettare nell’esecuzione del contratto di dispacciamento.
Come precisato dalla Sezione, “Il divieto di sbilanciamento volontario preesisteva rispetto ai fatti di causa, perfezionatesi in nel periodo gennaio-luglio 2016, in quanto sancito: sia dall’art. 14, comma 6, della deliberazione n. 111/2006 a carico di tutti gli utenti del servizio di dispacciamento (secondo cui gli obblighi di immissione e prelievo previsti nei contratti stipulati con Te. devono essere intesi alla stregua di vincoli “comportanti anche l’impegno di non operare sbilanciamenti volontari”); sia dal canone oggettivo di comportamento della buona fede oggettiva che integra l’oggetto dell’esatto adempimento delle obbligazioni che gli utenti del servizio assumono nei confronti di Te. s.p.a.” (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 giugno 2019, n. 4422).
Ne deriva che l’utente del dispacciamento non può minimizzare i rischi di impresa, programmando sbilanciamenti volontari e aspirando al conseguimento degli utili (in termini di maggiori ricavi o minori costi) in ipotesi valorizzabili nella regolazione delle partite economiche con il gestore della rete; essendosi in presenza di condotte vietate dall’ordinamento.
Ai sensi dell’art. 14 all. A della delibera n. 111 del 2006 cit., nella formulazione ancora oggi vigente, ciascun utente è infatti titolare, al contempo, del diritto e dell’obbligo di immettere in rete o di prelevare dalla rete in ciascun punto di dispacciamento una quantità di energia elettrica corrispondente ai programmi di immissione e prelievo di energia dalla rete.
I programmi di immissione e di prelievo negoziati sui mercati dell’energia, pertanto, non soltanto generano un diritto ma impongono anche un obbligo per l’utente del dispacciamento di immettere o prelevare quantitativi di energia corrispondenti a quelli previamente programmati; sicché, lo sbilanciamento, traducendosi nella violazione di programmi vincolanti, non può ritenersi consentito dall’ordinamento.
La ratio sottesa alla natura vincolante di siffatti programmi è, infatti, quella di garantire l’equilibrio del sistema, messo in pericolo dalla realizzazione di uno sbilanciamento: se tutti gli operatori svolgessero la propria attività di produzione o di consumo di energia elettrica in conformità ai rispettivi programmi di immissione o di prelievo, risulterebbe, infatti, garantito l’equilibrio del sistema, evitando gli sprechi conseguenti ad una superproduzione rispetto al consumo o i distacchi (blackout) derivanti da un sovra-consumo rispetto alla produzione.

 

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La divergenza tra prelievi e immissioni programmate e prelievi ed immissioni effettive, in particolare, comporta effetti negativi sull’equilibrio del mercato, costringendo Te. ad intervenire nello svolgimento del servizio di dispacciamento per assicurare la sicurezza del sistema, sostenendo oneri economici – destinati a ripercuotersi sull’utenza finale attraverso il corrispettivo uplift – a condizioni deteriori rispetto a quelli emergenti da una condizione di equilibrio.
Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base dell’esistenza di disposizioni che regolano gli sbilanciamenti effettivi, tenuto conto che una tale disciplina non legittima lo sbilanciamento, ma rimedia agli effetti allo stesso associabili. L’eventuale previsione di un “premio” per l’utente del dispacciamento, a fronte di talune tipologie di sbilanciamento (in specie, “contro fase”), non consente di ritenere in ogni caso lecita l’inosservanza dei programmi vincolanti di immissione e di prelievo, ammettendo la regolazione amministrativa soltanto sbilanciamenti fisiologici, non evitabili secondo una programmazione ispirata ai principi di diligenza, prudenza, perizia e previdenza.
14. Non potrebbe censurarsi neppure la limitazione del periodo temporale oggetto dell’intervento provvedimentale (rispetto a quello specificato in sede di comunicazione delle risultanze istruttorie), sia perché il riferimento ad un arco temporale inferiore rispetto a quello ipotizzato in sede istruttoria si traduce in un beneficio per l’utente coinvolto nell’esercizio del potere prescrittivo, che non potrebbe subire l’adozione di misure restitutorie, riferite ad un periodo ulteriore rispetto a quello oggetto del provvedimento impugnato; sia perché nella specie l’Autorità ha adeguatamente motivato la propria decisione, rilevando che gli scostamenti effettivi violativi dell’art. 14 all. A del. n. 111 cit. si fossero concentrati in prevalenza nel periodo gennaio – luglio 2016, con conseguente ragionevole astensione dell’esercizio del potere prescrittivo per il periodo anteriore.
15. Deve essere rigettata anche la censura incentrata sulla determinazione di bande di tolleranza alla cui stregua valutare la strategia di diligente programmazione svolta dagli utenti del dispacciamento.

 

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Al riguardo, il Collegio ritiene di confermare l’indirizzo già espresso dalla Sezione, secondo cui “L’Autorità ha correttamente preso in considerazione non tutti gli sbilanciamenti, ma soltanto quelli caratterizzati da livelli quantitativi e reiterazione nel tempo che risultassero incompatibili con la diligenza richiesta all’operatore professionale, nell’utilizzo di un pubblico servizio. I criteri di valutazione della diligenza nella programmazione di prelevi e delle immissioni sono esemplificati sin dalla relazione alla delibera 197/2013/E/eel, ove si dimostra come, alla luce dei dati raccolti, gli operatori che rappresentano una quota di mercato dell’85% hanno uno sbilanciamento complessivo molto al di sotto del 15% (calcolato con riferimento al prelievo complessivo), mentre solo la restante quota di mercato del 15% ha uno sbilanciamento complessivo che arriva anche a valori superiori al 100% (con ciò intendendosi programmi vincolanti con valori oltre il doppio del prelievo effettivo)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 giugno 2019, n. 4422).
Nel caso di specie, la soglia di tolleranza applicata alla società ricorrente ? in linea con la delibera 444/2016 che ha fissato una banda standard del 30% per gli sbilanciamenti delle unità di consumo – è adeguatamente rappresentativa del margine tollerabile di errori nella programmazione anche per gli operatori con piccoli portafogli (cfr. il documento di consultazione 316/2016/R/eel, p. 24).
Peraltro, il mero superamento della soglia del 30% non è stato nella specie ritenuto sufficiente per l’integrazione della violazione dell’art. 14.6 all. A del. n. 111 cit, avendo avuto la sola funzione di delimitare l’ambito di accertamento dell’Autorità, ferma rimanendo la necessità di individuare elementi propri del caso concreto, idonei a qualificare come diligente anche una programmazione eccedente la soglia presa in esame.
L’Autorità, difatti:
– ha valutato, nell’ambito dei sbilanciamenti superiori a tale soglia, soltanto sbilanciamenti non episodici (par. 48 provvedimento prescrittivo), essendo probabile che uno sbilanciamento isolato, anche se di rilevante dimensioni, non sia da imputare ad una strategia di programmazione negligente;
– ha qualificato i parametri della deliberazione n. 444/2016 quali elementi idonei a quantificare una sovraremunerazione dell’utente non dovuta da parte dei Te. “in linea di massima” (par. 60 provvedimento prescrittivo) e, pertanto, quale indice presuntivo suscettibile di deroga nel caso concreto;
– ha comunque permesso all’odierno appellante di fornire elementi peculiari, riferiti alla propria posizione, per modificare i criteri di calcolo di cui all’Allegato B (par. 72 provvedimento prescrittivo).

 

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Pertanto, il riferimento alla soglia di tolleranza del 30% non si traduce in un’applicazione retroattiva di delibere sopravvenute – regolanti, peraltro, una materia diversa, rappresentata dalla valorizzazione dei corrispettivi di sbilanciamento -; il che impedisce, altresì, di configurare la lesione del legittimo affidamento invocata in appello, non facendosi questione di un’applicazione retroattiva della sopravvenuta regolamentazione di settore in senso sfavorevole alla parte privata.
Difatti, mentre con la delibera n. 444/16 cit. è stato introdotto un nuovo meccanismo di calcolo del corrispettivo di sbilanciamento, incentrato su una banda di tolleranza del 30%, nell’ambito del procedimento prescrittivo, invece, il superamento della soglia del 30% è stato inteso quale indice presuntivo di uno sbilanciamento violativo dell’art. 14.6 cit., ferma rimanendo la necessità di limitare l’esame ai soli sbilanciamenti non episodici ed esaminare i concreti elementi fattuali forniti dal singolo operatore; si è, dunque, in presenza di un parametro di diligenza già desumibile dall’osservanza dei comportamenti di mercato che, coerentemente, l’Autorità ha preso in esame sia ai fini della modifica della disciplina sui corrispettivi da sbilanciamento, sia per valutare le condotte negligenti degli operatori del settore.
16. L’utilizzo di una stessa soglia percentuale non può, inoltre, ritenersi pregiudizievole per gli utenti del dispacciamento di minori dimensioni, avendo, anzi, assicurato la parità di trattamento tra gli operatori economici, consentendo di individuare un parametro uniforme di valutazione degli sbilanciamenti effettivi realizzati dai singoli utenti del dispacciamento, senza predeterminare valori assoluti che, per il loro carattere fisso, sarebbero stati forieri di discriminazioni ingiustificate.
Peraltro, gli stessi operatori di minori dimensioni sono in condizione di adottare efficienti strategie di programmazione idonee a contenere i relativi scostamenti, avendo una conoscenza diretta dei profili di immissione e prelievo dei propri punti di dispacciamento, connotati da ridotti volumi di immissione e prelievo; né sono emersi, comunque, in giudizio elementi di prova tesi dimostrare l’inattendibilità del parametro impiegato dall’Autorità, avuto riguardo alla dimostrata performance media di mercato degli operatori caratterizzati anche da un ridotto portafoglio di clienti.
In ogni caso, l’entità e la sistematicità degli scostamenti dei prelievi effettivi realizzati dall’appellante è spiegabile nella specie solo con il perseguimento di una strategia commerciale speculativa: sono stati infatti documentati sbilanciamenti anche superiori al 100% rispetto all’energia effettivamente prelevata a consuntivo e per più mesi consecutivi (Allegato B, tabella 1, della delibera prescrittiva, zona Sud).
17. Non potrebbe neanche sostenersi che, risultando il prezzo di sbilanciamento condizionato dai prezzi formatisi sul MSD – cui partecipano esclusivamente le unità abilitate -, il maggior esborso dovuto da Te. per effetto dell’acquisto o della vendita di energia a sbilanciamento debba essere imputato in capo alle sole unità abilitate o comunque non sia ascrivibile anche agli utenti titolari di unità non abilitate.
Difatti, il fattore prezzo deve essere applicato ai quantitativi di energia immessa o prelevata in eccesso o difetto dai singoli utenti rispetto ai propri programmi vincolanti negoziati sui mercati dell’energia; sicché, dipendendo le quantità di energia sbilanciate dalla condotta individuale degli utenti del dispacciamento, questi devono ritenersi responsabili degli sbilanciamenti in concreto procurati.

 

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Pertanto, le conseguenze derivanti da una strategia di programmazione non diligente e comunque non rispettosa dei principi di cui all’art. 14, all. A, del. n. 111/06, non possono ascriversi ai soli operatori titolari di unità abilitate, ma devono imputarsi in capo ai singoli utenti del dispacciamento responsabili dalla violazione dei rispettivi programmi di prelievo e di immissione.
18. Non meritano condivisione neanche le censure incentrate sulla mancata compensazione tra costi e profitti registrati dall’utente del dispacciamento nel periodo in considerazione.
La compensazione non può avvenire ponendo in raffronto i saldi dei profitti e delle perdite registrati nelle varie zone in esame.
Le strategie di programmazione di immissione o prelievo vengono valutate avuto riguardo alla singola zona in cui opera l’unità di produzione o consumo e per ciascun periodo orario, ponendo a confronto le quantità di energia programmate e quelle effettivamente immesse o prelevate.
Per l’effetto, facendosi questione nella specie di provvedimento prescrittivo, avente come presupposto la violazione dei principi di diligenza, perizia, prudenza e previdenza nella programmazione dei prelievi, nonché valorizzandosi la programmazione su base zonale, l’Autorità ha correttamente previsto la sola compensazione dei profitti e delle perdite registrate separatamente in ciascuna delle zone prese in considerazione.
Non sarebbe stato, invece, possibile compensare (oltre che i profitti e le perdite registrate “separatamente per ciascuna zona e ciascun mese”, come previsto al par. 69 del provvedimento prescrittivo, anche) le posizioni nette riguardanti le differenti zone in considerazione; come infondatamente sembra ritenere l’appellante.
Un tale metodo di calcolo avrebbe determinato, infatti, la valorizzazione di un importo non significativo delle strategie di programmazione non diligente poste in essere dall’utente del dispacciamento, costituenti, invece, il presupposto del provvedere.
L’eventuale emersione di una posizione netta negativa nell’ambito di una data zona (implicanti una perdita per l’operatore, risultando le perdite superiori ai benefici), dunque, non avrebbe consentito di riconoscere alla parte un corrispondente credito da compensare con le posizioni nette positive (implicanti un beneficio per l’operatore, risultando le perdite inferiori ai benefici) registrate in differenti zone; bensì avrebbe evidenziato soltanto la sussistenza, nell’ambito della relativa zona, di una strategia di programmazione (non diligente, ma) inidonea a produrre un pregiudizio per l’utenza finale (stante l’assenza di un aggravio economico a carico del sistema), come tale irrilevante ai fini dell’adozione del provvedimento prescrittivo (e, pertanto, correttamente valutata con il valore 0 ai fini della quantificazione dell’obbligo restitutorio).
In definitiva, potendo le strategie di programmazione essere valutate soltanto su base zonale, è stata legittimamente prevista la compensazione delle perdite e dei profitti conseguiti dall’utente del dispacciamento (per effetto di strategie di programmazione non diligenti) separatamente per ciascuna zona, senza consentire la compensazione di ulteriori valori tra loro non confrontabili – espressivi di strategie di programmazione suscettibili di autonoma e differenziata considerazione -, dati dalle posizioni nette riferibili alle ulteriori zone in cui ha operato l’utente del dispacciamento.
Parimenti, risulta legittima una valorizzazione delle posizioni nette su base mensile, facendosi questione di un parametro ragionevole, espressivo di un congruo arco temporale di valutazione degli effetti discendenti dalle strategie di programmazione attuate dall’utente del dispacciamento.

 

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19. Non potrebbe neppure contestarsi l’erroneità della liquidazione operata da Te., difettando la prova delle allegazioni attoree.
Al fine di delineare gli oneri probatori gravanti sul ricorrente, anche in applicazione del principio di vicinanza della prova e di autoresponsabilità, occorre verificare se la parte privata abbia la disponibilità dei mezzi di prova necessari per dimostrare la sussistenza dei fatti allegati.
Ferma rimanendo la necessità che il perimetro del thema decidendum sia circoscritto dalla parte – attraverso puntuali allegazioni in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda proposta -, qualora il ricorrente sia in condizione di provare le proprie allegazioni, il giudice procedente non può disporre l’acquisizione di atti o documenti rientranti nella disponibilità della parte privata, da questa non prodotti per una propria scelta processuale.
In tali ipotesi, in applicazione dell’art. 2697 c.c. e del principio di autoresponsabilità sotteso a tale disposizione – che grava la parte delle conseguenze sfavorevoli discendenti dalla propria condotta, spontaneamente e volontariamente tenuta – il ricorrente che abbia omesso di produrre le prove rientranti nella sua disponibilità non potrebbe invocare l’intervento sostitutivo giudiziale, dovendo la domanda attorea essere rigettata perché incentrata su fatti rimasti indimostrati.
Qualora, invece, i mezzi di prova rilevanti ai fini della decisione siano nell’esclusiva disponibilità dell’Amministrazione resistente e la parte ricorrente abbia comunque offerto elementi di prova idonei a rendere verosimili le proprie allegazioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 4 settembre 2020, n. 5356, che discorre di “onere di fornire gli indizi affinché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori”), il giudice procedente, correggendo “l’istituzionale disuguaglianza tra le parti al di fuori del processo” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 20 novembre 2014, n. 32), è abilitato ad esercitare i propri poteri istruttori, conferiti dagli artt. 64 e ss. c.p.a., disponendo l’acquisizione dei mezzi di prova necessari a garantire la completezza dell’istruttoria, in funzione della pronuncia da rendere a definizione della controversia.
Come precisato da questo Consiglio, in definitiva, il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice: “ma ciò vale quando i mezzi di prova risultino nella disponibilità esclusiva dell’amministrazione intimata, ma non quando, come nel caso di specie, la prova risulti nella piena disponibilità della parte che propone l’impugnazione, trovando applicazione, in quest’ultimo caso, il generale principio dell’onere della prova desumibile dalla regola generale dell’art. 2697 cod. civ., secondo le cui prescrizioni chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” (Consiglio di Stato, sez. V, 30 gennaio 2020, n. 746).
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, non emerge la prova delle allegazioni attoree, nonostante si facesse questioni di fatti costitutivi di una censura impugnatoria, da provare a cura della parte ricorrente con mezzi istruttori rientranti nella sua disponibilità .

 

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In particolare, l’odierna appellante sostiene che Te. non avrebbe computato, nel quantificare l’obbligo restitutorio imposto dal provvedimento prescrittivo, le perdite sostenute dalla società .
Si fa questione di fatti correlati allo svolgimento dell’attività di impresa, la cui prova rientra nella disponibilità della parte ricorrente, potendo essere fornita attraverso la produzione di documenti contabili riguardanti i profitti e le perdite registrate da Ex. nell’attuazione di strategie di programmazione non diligenti.
Per l’effetto, discorrendosi di fatti dedotti a sostegno di una censura impugnatoria e documentabili con mezzi di prova nella disponibilità della parte ricorrente, l’onere della prova avrebbe dovuto essere adempiuto dalla società Ex. ex art. 2697 c.c.
Al riguardo, Ex. si è, tuttavia, limitata a valorizzare i documenti nn. 15 e 16, ritenendo che gli importi positivi ivi indicati, sommati da Te. per la quantificazione dell’obbligo restitutorio, fossero riferiti ai soli profitti derivanti dalle strategie di bilanciamento attuate in ciascuna zona e in ciascun mese, non essendo state computate le perdite su base zonale registrate dalla società .
Una tale prova non risulta fornita in atti, né è desumibile dai documenti richiamati dalla ricorrente.
In particolare, i documenti nn. 15 e 16 in esame non dimostrano che, per ciascun mese e per ciascuna zona, nel quantificare i valori positivi da sommare per liquidare l’importo complessivo dell’obbligo restitutorio, Te. abbia preso in esame i soli profitti conseguiti dall’operatore su base zonale, senza tenere conto delle perdite registrate nei medesimi mesi e nelle stesse zone.
È infatti ben possibile che i valori positivi emergenti da tali documenti corrispondano già (come pure rilevato da Te., anziché ai soli benefici conseguiti dall’operatore) a posizioni nette, derivanti dall’avvenuta compensazione dei profitti (in termini di maggiori ricavi per sbilanciamenti positivi o minori costi per sbilanciamenti negativi) e delle perdite (in termini di minori ricavi per sbilanciamenti positivi o maggiori costi per sbilanciamenti negativi) che la società aveva registrato -in relazione a strategie di programmazione non diligenti-, separatamente, in ciascuna zona e in ciascun mese di riferimento, come prescritto dal par. 69 del provvedimento prescrittivo.

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

Te. non avrebbe, invece, dovuto procedere ad una (ulteriore) compensazione tra le posizioni nette emergenti dai documenti 15 e 16, riferite a zone e periodi mensili distinti, tenuto conto che, alla stregua di quanto supra precisato, le strategie di programmazione poste in essere dall’utente del dispacciamento dovevano essere valutate separatamente in ciascuno degli ambiti spaziali e temporali in cui ha operato l’odierna ricorrente.
Non risultando documentata un’erronea applicazione delle previsioni recate nel provvedimento prescrittivo, anche le censure riguardanti la quantificazione dell’obbligo restitutorio non possono essere accolte.
Rimangono salve le eventuali rideterminazioni da eseguire sulla base dei dati a conguaglio, ove differenti rispetto a quelli stimati, in ipotesi considerati da Te. ai fini della liquidazione del quantum debeatur.
20. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere rigettato e, per l’effetto, deve confermarsi la sentenza gravata.
Le spese di giudizio del grado di appello devono essere regolate in applicazione del criterio della soccombenza, a carico dell’appellante e nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte appellante a pagare, a titolo di spese di giudizio del grado di appello, l’importo complessivo di Euro 4.000,00 oltre oneri di legge ove dovuti, di cui Euro 2.000,00, oltre oneri di legge ove dovuti, in favore dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, ed Euro 2.000,00, oltre oneri di legge ove dovuti, in favore di Te.-Re. El. Na. S.p.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

Censure formulate in memoria non notificata alla controparte

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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