Commette falso ideologico in autorizzazione amministrativa – anche tramite l’acquisizione della valutazione tecnica di parte privata- il pubblico ufficiale che nel rilascio non tiene conto degli strumenti urbanistico-paesaggistici

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 7 settembre 2018, n. 40178.

La massima estrapolata:

Commette falso ideologico in autorizzazione amministrativa – anche tramite l’acquisizione della valutazione tecnica di parte privata- il pubblico ufficiale che nel rilascio non tiene conto degli strumenti urbanistico-paesaggistici

Sentenza 7 settembre 2018, n. 40178

Data udienza 2 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta M – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/07/2017 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. LORI Perla, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto;
udito il difensore:
L’avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso, in subordine richiama la maturata prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza del 3 luglio 2017, con la quale la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa il 29 ottobre 2015 dal Tribunale della stessa citta’, ha riqualificato il fatto ascritto a (OMISSIS), imputato del delitto di cui agli articoli 110 e 479 c.p.- per avere rilasciato, quale responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), su istigazione e determinazione della committente e del progettista delle opere edilizie in relazione alle quali era chiesto alla P.A. l’esercizio del potere di assenso, un’autorizzazione paesaggistica da ritenersi falsa, perche’ attestante l’esistenza dei requisiti che ne avrebbero consentito la realizzazione nella fascia costiera del territorio comunale, sottoposto a vincolo paesaggistico, che di fatto non ricorrevano – nei termini di cui all’articolo 480 c.p., e, per l’effetto, ha rideterminato la pena inflitta.
Secondo quanto accertato nei giudizi di merito, in area sottoposta a tutela nel “Piano Urbanistico Territoriale Tematico Paesaggio” (PUTT/P) della Regione Puglia, era stata realizzata una casa di civile abitazione in assenza di autorizzazione paesaggistica, posto che quella rilasciata dal funzionario responsabile dell’ufficio tecnico del Comune salentino era da considerarsi ideologicamente falsa, avendo dato atto, contrariamente al vero, dell’esistenza dei presupposti in fatto che ne avrebbero consentito la legittima adozione: quindi perche’ era stata attestata la compatibilita’ ambientale del manufatto, ancorche’ la relativa volumetria (per un totale di 214,57 mc. in luogo dei 17,30 mc. edificabili, avuto riguardo all’indice di fabbricabilita’ di 0,01 mc/mq stabilito per la fascia costiera), fosse il risultato di un illegittimo asservimento urbanistico di fondi, perche’ non funzionale ad un’edificazione con finalita’ agricola e perche’ i fondi coinvolti nell’operazione non solo non erano contigui, ma, soprattutto, erano ubicati in zone urbanistiche (E2 ed E3) diverse.
2. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato sviluppa quattro motivi, enunciati nei limiti imposti dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1 Il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 522 c.p.p., sul rilievo che il giudice censurato aveva condannato l’imputato per il delitto di falso in autorizzazione amministrativa di cui all’articolo 480 c.p., sebbene il capo di imputazione avesse riferito la falsita’ alla sola relazione paesaggistica redatta dal tecnico di parte (OMISSIS) e non avesse fatto cenno all’esistenza di un accordo collusivo del funzionario comunale con la titolare delle opere edilizie e con il progettista, tanto avendo determinato la nullita’ della sentenza perche’ pronunciata per un fatto nuovo o diverso rispetto a quello contestato.
2.2. Il secondo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione all’articolo 480 c.p., e vizio argomentativo, evidenziando come la Corte territoriale avesse posto a fondamento dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputato per il delitto di falsita’ ideologica commessa dal pubblico ufficiale in autorizzazione amministrativa non una rilevata difformita’ di quanto certificato nell’atto rispetto alla realta’ fattuale, ma una serie di valutazioni del tutto sganciate da parametri interpretativi certi ed uniformi – a partire da quelli riguardanti i problemi di perdurante vigenza o meno della L. R. n. 56 del 1980, articolo 51, per effetto dell’adozione del piano urbanistico territoriale tematico “Paesaggio” (PUUT/P), con le conseguenti ricadute in tema di accorpamento, di distanze e di contiguita’ dei fondi, di zone urbanistiche omogenee -, suscettibili di riverberarsi sulla questione dei rapporti tra il permesso di costruire in materia urbanistico – edilizia e l’autorizzazione paesaggistica, quali provvedimenti caratterizzati, si, da una interferenza funzionale, ma basati su presupposti diversi, posto che la conformita’ alle norme urbanistiche non e’ omologabile alla compatibilita’ ambientale.
2.3. Il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 42 e 43 c.p., e il vizio motivazionale, sul rilievo che la complessita’ delle norme suscettibili di regolamentare l’accorpamento dei fondi e l’asservimento degli stessi, che aveva costituito oggetto di una feconda ma non univoca interpretazione da parte del giudice amministrativo e che aveva suscitato applicazioni divergenti da parte di plurime autorita’ investite della tutela del paesaggio, era tale da elidere il dolo richiesto per il venire in essere del delitto contestato: sul quale, peraltro, la Corte territoriale non aveva neppure speso una perspicua motivazione, riferendosi genericamente all’esistenza di una serialita’ nel rilascio di provvedimenti amministrativi nel Comune di (OMISSIS) relativi ad edificazioni realizzate sulla base di cessioni di cubature in violazione dei parametri normativi, come pure la delicatezza del tema avrebbe richiesto.
2.4. Il quarto motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli articoli 62 bis, 132 e 133 c.p., e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, censurata nella parte in cui il giudice aveva omesso di tener conto che la predetta complessita’ normativa era almeno suscettibile di incidere sull’intensita’ dell’elemento soggettivo. Censura a parte viene mossa con riguardo alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, stigmatizzandosene il diniego perche’ giustificato dalla sola esistenza di precedenti penali per fatti della stessa indole.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.
1. L’eccepita nullita’ della sentenza impugnata, per violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza, ex articolo 522 c.p.p., a cagione dell’intervenuta condanna per la falsita’ nell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal funzionario comunale a fronte della contestazione della sola falsita’ nella relazione paesaggistica redatta dal progettista e direttore dei lavori, non coglie nel segno. Giova rammentare che per “fatto nuovo” si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge quale autonomo “thema decidendum” (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 2, n. 18868 del 10/02/2012, Osmenaj, Rv. 252822).
Nel caso che ci occupa l’imputato e’ stato ritenuto responsabile, in concorso con il progettista e direttore dei lavori – la cui posizione e’ stata stralciata per un vizio procedurale – e con la titolare delle opere edilizie destinate a civile abitazione, del reato di cui all’articolo 480 cod. pen., in relazione al rilascio della necessaria autorizzazione paesaggistica – trattandosi di edificazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – effettuato sulla base di inesistenti presupposti di compatibilita’ ambientale dell’intervento edilizio in progetto, rappresentati nella relazione tecnica all’uopo redatta dal concorrente (OMISSIS); di modo che nessun elemento estraneo al “thema decidendum” e’ ravvisabile. Peraltro, e’ jus receptum (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619) che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione radicale della fattispecie ritenuta in sentenza, nel senso di una trasformazione nei suoi elementi essenziali della fattispecie concreta rispetto a quella contestata, si’ da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione con conseguente reale pregiudizio dei diritti della difesa.
Poiche’ nella fattispecie scrutinata e ritenuta in sentenza si rinviene un nucleo essenziale comune rispetto alla fattispecie contestata, da identificarsi nell’inesistenza dei presupposti in fatto per il rilascio della richiesta autorizzazione paesaggistica, la denunciata violazione del diritto di difesa – che in ogni caso deve essere apprezzata in concreto tenuto conto dell’intero svolgimento dell’iter processuale – e’ da escludere, con la conseguenza che la questione dedotta e’ infondata.
2. Nel merito della vicenda al vaglio, e’ d’uopo premettere che il delitto di cui all’articolo 480 c.p., e’ stato riconosciuto sul presupposto dell’illegittimo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, non sussistendone i presupposti in fatto, posto che il manufatto in via di realizzazione, insistente in zona E3 âEuroËœverde agricolo – fascia costiera’, era destinato a civile e prevedeva una volumetria, pari a mc. 214,97, di molto superiore a quella massima consentita nella zona, pari a mc. 17,30 (essendo l’indice di fabbricabilita’ pari a 0,01 mc/mq), resa possibile da un’operazione di accorpamento di fondi – prevista nel progetto al fine di sfruttare ulteriore volumetria, cosi’ da superare il limite indicato – tuttavia non regolare, perche’ coinvolgente altri terreni agricoli non confinanti e non omogenei.
2.1. Occorre rammentare che, in materia di vincolo di asservimento per scopi edificatori (cosiddetta “cessione di cubatura”), la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. 5, n.3637 del 28/06/2000) – puntualmente richiamata dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017 – dep. 19/01/2018, Siciliano e altri, Rv. 271770; Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014 – dep. 27/02/2015, Manzo e altri, Rv. 262512; Sez. 3, n. 21177 del 30/04/2009, Guardiano e altri, Rv. 243623; Sez. 3, n. 33884 del 12/07/2006, Ferrara, Rv. 235054) -ha, infatti, affermato che la corretta applicazione dell’istituto negoziale in esame – che comporta che il fondo cessionario sia caratterizzato da un indice di edificabilita’ superiore a quello originariamente goduto – prevede, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili, che i fondi interessati dalla cessione siano dotati del requisito della reciproca prossimita’ e siano caratterizzati dalla omogeneita’ urbanistica (scilicet, dall’avere tutti la stessa destinazione) e dalla medesimezza dell’indice di fabbricabilita’ originario, perche’ altrimenti, in assenza di dette condizioni, attraverso l’utilizzazione di tale strumento, astrattamente del tutto legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed, anzi, confliggenti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
2.2. Tanto sottolineato, in riferimento alla questione, sollevata in ricorso, dell’incidenza, nella fattispecie de qua, della Legge Regionale n. 56 del 1980, articolo 51, (Standards urbanistici), va ribadito quanto affermato da questa Corte, nello scrutinio di fattispecie del tutto omologhe, mediante l’enunciazione del principio di diritto secondo il quale la detta disposizione, che prevede limitazioni alla possibilita’ di procedere all’istituto dell’asservimento ai fini della sommatoria della cubatura edificabile di fondi diversi, in quanto confina la applicabilita’ dell’istituto in questione alle sole costruzioni funzionali alla destinazione agricola del fondo cessionario, e’ destinata a valere sino alla entrata in vigore dei piani territoriali (Sez. 3, n. 35166 del 28/3/2017, Cazzato, non massimata; Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 27/02/2015, P.M. in proc. Manzo e altri, Rv. 252612, non massimata sul punto); di modo che, essendo stato adottato, con deliberazione della Giunta regionale della Puglia del 15 dicembre 2000, n. 1748, il PUTT, Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio – da ritenersi piano generale di area vasta e, dunque, incluso nella generale dizione di “piani territoriali” di cui appunto all’incipit della norma: “Salvo quant’altro disposto da leggi statali e regionali, sino all’entrata in vigore dei piani territoriali” – si e’ verificata, una volta entrato in vigore quest’ultimo, la clausola risolutiva espressa della efficacia della predetta disposizione legislativa. Cio’ non toglie, tuttavia, come correttamente evidenziato anche dal giudice censurato, che la non applicabilita’ della norma regionale in questione, unicamente volta, a suo tempo, a disciplinare l’operativita’ dell’accorpamento di terreni agricoli non confinanti, significhi, per cio’ stesso, inapplicabilita’ anche delle condizioni per potere far luogo alla cessione di cubatura meglio indicate nel punto che precede e la cui tipizzazione e’ attualmente prevista dal Decreto Legge 13 maggio 2011, n. 70, articolo 5, comma 1, lettera c), convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106.
2.3. A lume di tale assetto disciplinare, deve, dunque, riconoscersi che i terreni costituenti oggetto della concreta cessione di cubatura, siccome connotati da diversa destinazione urbanistica e da diverso indice di fabbricabilita’, alla stregua della loro tipizzazione risultante dallo strumento urbanistico locale, essendo quelli cedenti qualificati come E2 e forniti di un indice di fabbricabilita’ 0,03 mc./mq. e quelli cessionari qualificati come E3 e forniti di indice di fabbricabilita’ 0,01 mc./mq., non potevano essere lecitamente presi in considerazione ai fini di un aumento di volumetria: volumetria che, cosi’ realizzata, non poteva rappresentare neppure la base di un valido giudizio di compatibilita’ ambientale.
Ne’, puo’ ragionevolmente ritenersi che, per effetto di un eventuale vuoto sanzionatorio venutosi a determinare a causa della cessazione di efficacia della Legge Regionale Puglia n. 56 del 1980, articolo 51, non vi siano piu’ limiti alla operativita’ della cessione di cubatura, con la conseguenza che, per un verso, l’intervento edilizio di cui alla vicenda in esame sia conforme agli strumenti urbanistici e paesaggistici e, per altro verso, che le condizioni a suo tempo previste per far luogo all’accorpamento di fondi non costituiscano piu’ i parametri alla stregua dei quali formulare il giudizio di compatibilita’ ambientale sotteso al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Come, invece, gia’ rilevato da questa Corte (Sez. 3, n. 35166 del 28/3/2017, Cazzato, non massimata; Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 27/02/2015, P.M. in proc. Manzo e altri, Rv. 252612, non massimata sul punto), il trasferimento e la sommatoria della volumetria di zone agricole distanti tra di loro integrano operazione suscettibile di alterare sostanzialmente la valenza paesaggistica dei luoghi sottoposti a tutela dal Piano urbanistico territoriale tematico della Regione Puglia e integrano una situazione di fatto in contrasto con quella che consente l’adozione di un valido provvedimento di assenso alla costruzione dal punto di vista della compatibilita’ paesaggistica.
2.4. Di qui, dunque, la falsita’ dell’autorizzazione paesaggistica, nella parte in cui attesta la compatibilita’ dell’intervento edilizio, descritto nella relazione tecnica allegata all’istanza redatta dal tecnico (OMISSIS), rispetto alle norme di piano poste a tutela di uno sviluppo territoriale attuato nel rispetto delle bellezze naturali dell’area sottoposta a vincolo.
3. Tanto doverosamente premesso, occorre riconoscere che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della regula iuris affermata dal diritto vivente, secondo cui e’ configurabile il reato di falso ideologico in autorizzazione amministrativa pur commesso mediante una valutazione tecnica in un contesto implicante la valutazione e accettazione di parametri normativamente determinati (Sez. 3, n. 41373 del 17/07/2014, P.M. in proc. Pasteris e altri, non mass.; Sez. 1, n. 45373 del 10/06/2013, Capogrosso e altro, Rv. 257895).
Infatti, se e’ indubitabile che il pubblico ufficiale sia assolutamente libero nella propria attivita’ valutativa allorche’ non possieda alcun margine di scelta quanto ai criteri cui improntare la propria delibazione, di modo che il documento che contiene il giudizio formulato all’esito della stessa non e’ destinato a provare la verita’ di alcun fatto, nel caso in cui, invece, la valutazione da compiersi deve essere effettuata sulla base di criteri predeterminati, si e’ in presenza di un esercizio di discrezionalita’ tecnica, che vincola la formulazione del giudizio ad una verifica di conformita’ della situazione fattuale a parametri prefissati, con conseguente integrazione della falsita’ se detto giudizio di conformita’ non sia rispondente ai parametri cui esso e’ implicitamente vincolato (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli e altro, Rv. 266803; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, Platamone e altro, Rv. 254305; Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 249858).
Alla stregua di tali massime di orientamento interpretativo, va, dunque, preso atto che, nell’ipotesi al vaglio, la valutazione di compatibilita’ ambientale espressa nell’autorizzazione paesaggistica non poteva compiersi unicamente sulla base di quanto rappresentato nella relazione tecnica allegata all’istanza di parte, essendo il funzionario comunale imputato tenuto a verificare la coerenza della situazione rappresentata con i parametri urbanistici e paesaggistici codificati dalle norme di piano e dalle disposizioni legislative e regolamentari siccome interpretati dalla giurisprudenza amministrativa. Donde, poiche’ l’oggetto della valutazione di compatibilita’ ambientale riguardava un aumento di volumetria da realizzarsi in una fascia costiera sottoposta a vincolo, non sarebbe dovuto sfuggire al pubblico ufficiale, investito di funzioni tecniche e, pertanto, tenuto a conoscere quantomeno le disposizioni dello strumento urbanistico comunale, che i fondi coinvolti nell’operazione di cessione di cubatura, secondo la stessa tipizzazione operata dallo strumento urbanistico comunale, fossero dotati di una diversa destinazione urbanistica e di un diverso indice di edificabilita’, essendo stati ivi qualificati, quelli cedenti, come E2 e forniti di un indice di fabbricabilita’ 0,03 mc./mq. e, quelli cessionari, come E3, oltre che forniti di indice di fabbricabilita’ 0,01 mc./mq.: da cio’ deriva che l’operazione predetta non era ictu oculi consentita, alterando sostanzialmente il piano di sviluppo del territorio rispettoso del paesaggio. Nondimeno, quanto alle altre condizioni di ammissibilita’ dell’asservimento di fondi, il funzionario comunale non era neppure vincolato allo “star del credere” di quanto rappresentato dal progettista redattore della relazione allegata all’istanza di rilascio del provvedimento, posto che l’organo competente al rilascio aveva l’obbligo giuridico di verificare, svolgendo in qualunque modo, e non necessariamente con un sopralluogo, i necessari controlli circa la sussistenza delle relative condizioni. In tal senso depone la pacifica elaborazione interpretativa cui ha dato corso questa Corte ripetutamente affermando che: “Integra il reato previsto dall’articolo 479 c.p., il rilascio di autorizzazione paesaggistica, da parte del responsabile dell’ufficio tecnico competente, nella consapevolezza della falsita’ di quanto attestato dal richiedente circa la sussistenza dei presupposti giuridico-fattuali per l’accoglimento della relativa domanda” (Sez. 3, n. 42064 del 30/06/2016, Quaranta e altri, Rv. 268083), posto che l’autorizzazione paesaggistica ha natura di atto pubblico, poiche’ destinata a comprovare l’attivita’ di esame della documentazione prodotta dal richiedente e ad esprimere la relativa valutazione tecnica del pubblico ufficiale” (Sez. 5, n. 35556 del 26/04/2016, Renna, Rv. 267953).
Va, dunque, affermato che: “In tema di autorizzazione paesaggistica, la discrezionalita’ nel rilascio di essa e’ vincolata alla verifica della conformita’ della situazione rappresentata dalla parte richiedente alle previsioni normative ed a quelle degli strumenti del piano di governo del territorio urbanistici e paesaggistici, con conseguente integrazione del reato di falso ideologico, quanto meno in autorizzazione amministrativa, se il detto giudizio di conformita’ non sia rispondente agli indicati parametri”.
Ne consegue che e’ privo di pregio il profilo di censura relativo alla inconfigurabilita’ della fattispecie di reato ritenuta in sentenza, per difetto del relativo elemento materiale.
4. Infondato e’ il motivo incentrato sul vizio di violazione degli articoli 42 e 43 c.p., e sulla carenza di motivazione in punto di elemento soggettivo della fattispecie medesima. La Corte territoriale, invero, ha adeguatamente motivato sul punto, facendo leva sulla qualifica e sulla competenza del (OMISSIS), il quale, essendo un tecnico comunale addetto alla cura delle pratiche urbanistiche e paesaggistiche e, quindi, un esperto del settore, non avrebbe potuto non conoscere – o, almeno, avrebbe dovuto impegnarsi in tal senso con la dovuta diligenza – la normativa di riferimento, per quanto complessa essa fosse.
La sentenza impugnata ha, poi, puntualmente confutato l’assunto difensivo secondo cui l’imputato avrebbe agito per leggerezza o in base a un’errata interpretazione delle disposizioni normative, richiamando la giurisprudenza di questa Corte che, nella materia de qua, ha stabilito che e’ compito del pubblico dipendente astenersi dal porre in essere comportamenti dubbi ed acquisire dai competenti organi amministrativi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimita’ dell’attivita’ svolta, in modo da adempiere a quell’onere informativo che puo’ rendere scusabile l’errore sulla legge penale (Sez. 3, 35166 del 28/03/2017, Cazzato e altri, non massimata; Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, dep. 28/07/2016, Guardigni ed altri, Rv. 268120; Sez. 6, n. 35813 del 21/06/2007, dep. 28/09/2007, P.M. e P.C. in proc. Bensi e altri, Rv.237767).
5. Il motivo che denuncia la mancata applicazione delle circostanze di cui all’articolo 62 bis c.p., e, in ogni caso, l’eccessivita’ della pena e’, anch’esso, destituito di fondamento. Secondo il costante orientamento di questa Corte, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Nel caso di specie, il giudice distrettuale ha assolto al prescritto onere motivazionale, sia pure succintamente, in maniera adeguata, facendo riferimento all’entita’ delle opere che si intendevano realizzare.
6. Il rilievo che attinge la mancata concessione della sospensione condizionale della pena non tiene conto dell’argomentazione complessivamente sviluppata dal giudice di appello, il quale, sulla base di tutte le circostanze passate in rassegna in motivazione, ivi compresa quella relativa al fatto che l’imputato non fosse nuovo a comportamenti del calibro di quello costituente oggetto della regiudicanda, ha ritenuto, con motivazione implicita ma del tutto in linea con i criteri di cui all’articolo 164 c.p., comma 1, di esprimere una prognosi negativa in ordine alla futura astensione dell’appellante dalla commissione di reati.
7. Le suesposte ragioni impongono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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