L’immissione in un fondo patrimoniale della nuda proprietà di due immobili in occasione di contestazioni fiscali da parte dell’amministrazione fiscale può comportare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 26 settembre 2018, n. 41704.

La massima estrapolata:

L’immissione in un fondo patrimoniale della nuda proprietà di due immobili in occasione di contestazioni fiscali da parte dell’amministrazione fiscale può comportare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Sentenza 26 settembre 2018, n. 41704

Data udienza 8 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/01/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CUOMO Luigi;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore, avv. (OMISSIS);
Il difensore presente – rilevata la prescrizione del reato – si riporta ai motivi del ricorso e chiede la revoca della confisca disposta dalla Corte d’Appello.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza del 12/02/2017, ha confermato la sentenza del Tribunale di Siena del 16/06/2014, che ha condannato (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, alla pena di mesi quattro di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, oltre alle pene accessorie ed ha disposto la confisca della nuda proprieta’ di due beni immobili di proprieta’ di (OMISSIS).
(OMISSIS) e’ stato condannato perche’, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o dell’Iva, degli interessi e delle sanzioni per il valore complessivo di Euro 621.981,50, ha compiuto atti fraudolenti sui propri beni, consistiti nell’aver costituito il 26/01/2010 un fondo patrimoniale nel quale ha conferito la nuda proprieta’ di due immobili, cosi’ sottraendoli alla pretesa erariale, dopo che il 29/12/2009 l’agenzia delle entrate di (OMISSIS) gli aveva notificato tre avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2004, 2005 e 2006.
2. Il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 12/02/2017.
2.1. Con il primo motivo la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione con riferimento all’elemento oggettivo del reato.
Quanto all’elemento materiale del reato, rileva la difesa che al ricorrente e’ stato contestato di aver costituito un fondo patrimoniale, nel quale ha conferito la nuda proprieta’ di due beni immobili, cosi’ sottraendoli alla pretesa erariale.
Ritiene pero’ la difesa che la costituzione del fondo patrimoniale non e’ un atto “idoneo a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”, perche’ (si richiama la sentenza della Corte di Cassazione n. 3738/2015 e l’ordinanza n. 3738/2015), i beni facenti parte del fondo patrimoniale sono espropriabili anche per debiti tributari. Senza necessita’ di azione revocatoria l’Erario puo’ procedere all’espropriazione forzosa sui beni del fondo patrimoniale. Dunque manca l’effettivo ostacolo all’attivazione dell’azione esecutiva.
2.2. Ritiene poi la difesa che sussista il vizio di motivazione sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato perche’ la Corte di appello ha apoditticamente affermato che la destinazione dei beni al fondo integri la fattispecie fraudolenta.
La Corte di appello, per la difesa, ha omesso di valutare la situazione concreta sottoposta al suo controllo, non considerando che si tratta di un’impresa individuale e che il lavoro del suo titolare e’ destinato alle esigenze della famiglia. Per la difesa, la motivazione e’ assente anche quanto ad uno degli elementi costitutivi del reato, e cioe’ la necessarieta’ che l’atto fraudolento possa rendere inefficace l’azione esecutiva dello Stato, non essendo stata altresi’ fornita alcuna giustificazione di come eventuali ipotetiche opposizioni del debitore potrebbero raggiungere il risultato di impedire la riscossione coattiva, non risultando sufficiente la loro astratta proponibilita’ ad integrare il pericolo richiesto dalla norma in esame.
Per la difesa poi (punto 3) il vizio della motivazione sussiste perche’ non sono state esaminate le prove documentali della difesa:
– l’Avviso di iscrizione di ipoteca sui diritti immobiliari di nuda proprieta’ dell’imputato emesso da (OMISSIS) in data 14/2/2013, prodotto in primo grado all’udienza 5/5/2014) e da cui emerge la libera espropriabilita’ dei beni (essendo l’ipoteca propedeutica all’azione esecutiva);
– la sentenza della Commissione Tributaria del 27/5/2015 (prodotta in secondo grado), che ha espressamente riconosciuto e ribadito giudizialmente la definitiva ammissibilita’ dell’iscrizione ipotecaria e quindi la libera assoggettabilita’ ad esecuzione forzata per crediti tributari dei beni del fondo patrimoniale.
3. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
3.1. Al punto A), la difesa afferma che vi e’ stata errata applicazione della norma incriminatrice, perche’ la condotta non e’ stata compiuta con l’intenzione specifica di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario.
Per la difesa la Corte di appello ha erroneamente equiparato, con semplicistica presunzione, il fondo patrimoniale e l’atto fraudolento.
3.2. Al punto B) la difesa ha contestato il vizio di mancanza ed illogicita’ della motivazione in quanto gli elementi valorizzati nella sentenza impugnata o non hanno alcun valore indiziante (vicinanza temporale tra la costituzione del fondo e la notifica dell’accertamento fiscale) o sono fondati su circostanze non risultanti dal materiale probatorio (asserita inclusione nel fondo patrimoniale di tutti i beni di proprieta’ dell’imputato).
Per la difesa poi e’ stata illogicamente valutata la prova documentale costituita dal certificato di nascita del figlio dell’imputato (datato in epoca anteriore alla notifica dell’accertamento fiscale) ed altresi’ totalmente omessa la valutazione di una prova decisiva (testimonianza della moglie dell’imputato).
Quanto alla contiguita’ temporale tra la notifica degli avvisi di accertamento (22/12/2009) e la costituzione del fondo patrimoniale (26/01/2010) rileva la difesa che il criterio induttivo e’ illogico perche’ la costituzione del fondo non e’ la reazione immediata e d’impeto alla prima formale comunicazione della pretesa tributaria.
Rileva poi la difesa che la Corte di appello nell’affermare che l’imputato ha costituito nel fondo tutte le sue proprieta’, e’ caduto nel travisamento delle prove, non risultando affatto dagli atti che (OMISSIS) non fosse titolare di altri beni immobili o mobili rimasti estranei al fondo, con cui poter comunque garantire la pretesa tributaria.
Rileva la difesa che la Corte di appello non ha valutato la tesi difensiva, debitamente documentata, che la costituzione del fondo patrimoniale era stata determinata dalla volonta’ dell’imputato di tutela della famiglia, attuata in occasione della nascita del proprio figlio, avvenuta in data 9/12/2009 e quindi prima della notifica degli avvisi di accertamento (21/12/2009).
Ritiene poi la difesa che sussista il vizio del travisamento della prova per omissione in quanto non e’ stata considerata la deposizione della teste (OMISSIS) (moglie dell’imputato), la quale, sentita all’udienza del 3/2/2014/ha tra l’altro riferito: a) che i contatti con il notaio per la redazione dell’atto costitutivo del fondo erano stati presi “diversi mesi prima della nascita del figlio” e che il certificato di nascita del bambino (avvenuta il 9/12/2009), porta la data del 14 dicembre 2009, “fu fatto…, per poi portarlo al notaio per chiudere la pratica e fare l’atto”. Per la difesa, da tali prove emerge che la decisione di procedere alla costituzione del fondo patrimoniale era precedente alla notifica degli avvisi di accertamento.
4. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione quanto alla disposta confisca.
La difesa ha contestato la qualificazione giuridica dei beni inclusi nel fondo patrimoniale, come corpo del reato di sottrazione fraudolenta e al contempo profitto del reato medesimo.
Per la difesa, la qualificazione giuridica e’ errata: non trattarsi di profitto del reato, perche’ i beni erano gia’ esistenti nel patrimonio dell’imputato, per essergli stati donati dal nonno, sicche’ non possono costituire il ricavato o il benefico (prodotto o profitto) conseguito dal reato.
Ritiene poi la difesa che la confisca ex articolo 240 c.p., di tutti i beni immobili dell’imputato presenti nel fondo patrimoniale, peraltro senza formulare il giudizio di pericolosita’lsia illegittima perche’ al piu’ avrebbe dovuto disporsi la confisca per equivalente, cioe’ commisurata al mancato pagamento del tributo, oltre interessi e sanzioni.
La difesa ha infine dedotto il difetto di motivazione, trattandosi di confisca facoltativa ai sensi dell’articolo 240 c.p.; per la difesa, non e’ stata data risposta ai motivi di appello, con cui si evidenziava il fatto che il credito tributario non e’ ancora definitivamente accertato, ma e’ sub iudice in fase di giudizio di cassazione.
La difesa segnala che i beni sono gia’ stati oggetto di iscrizione ipotecaria sicche’ il fisco puo’ agire in via esecutiva nonostante il conferimento nel fondo patrimoniale. La confisca si concretizza dunque in una inammissibile duplicazione della pretesa dello Stato, potendosi verificare che al contribuente vengano confiscati in sede penale i beni immobili e lo stesso debba poi provvedere comunque ad assolvere l’eventuale pendenza tributaria senza poter utilizzare il suo patrimonio perche’ ormai confiscato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di violazione di legge, e’ manifestamente infondato.
1.1. Il conferimento di beni nel fondo patrimoniale puo’ concretizzare il delitto Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 11.
Va ricordato che il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Come affermato da Cass. Sez. 3, sentenza n. 3011 del 05/07/2016, Di Tullio, Rv. 268798, attraverso l’incriminazione della condotta prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario.
Cfr. sul punto anche Cass. Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077, secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non e’ il diritto di credito del fisco, bensi’ la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori.
La’ norma punisce due distinte condotte: l’alienazione simulata ed il compimento di atti fraudolenti.
Per quanto qui interesse, per atto fraudolento (cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, sentenza n. 3011 del 05/07/2016, Di Tullio, Rv. 268798), deve intendersi qualsiasi atto che, non diversamente dalla alienazione simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realta’ (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo piu’ difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario.
Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, il delitto e’ un reato di pericolo concreto; in ossequio al principio di offensivita’, si deve valutare l’idoneita’ ex ante dell’atto a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale del debito erariale.
La diminuzione della garanzia puo’ essere anche solo parziale, non necessariamente totale (Cass. Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, dep. 2016, Arosio, Rv. 266134), purche’ effettivamente in grado di mettere a rischio l’esazione del credito.
La condotta puo’ essere posta in essere con ogni atto di disposizione del patrimonio che abbia la sua causa nel pregiudizio alle ragioni creditorie dell’Erario.
Il carattere fraudolento di determinate operazioni negoziali presuppone che l’attivita’ fraudolenta sia nascosta attraverso lo schermo formale di attivita’ o documenti apparentemente regolari (Cass. Sez. 3, n. 40319 del 2016, Scandiani) o l’adozione di un atto formalmente lecito – come l’alienazione di un bene – pero’ caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Cass. Sez. 3, n. 25677 del 16/5/2012, Caneva e altro, Rv. 252996).
1.2. La costituzione di un fondo patrimoniale e’ stata considerata condotta che puo’ concretizzare il delitto di cui all’articolo 11 quando consenta al contribuente di sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario (Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007, Soldera, Rv. 238821).
Si e’ di recente affermato che, ai fini della integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, la costituzione di un fondo patrimoniale non esonera dalla, necessita’ di dimostrare, sia sotto il profilo dell’attitudine della condotta che della sussistenza del dolo specifico di frode, che la creazione del patrimonio separato sia idonea e finalizzata ad evitare il soddisfacimento dell’obbligazione tributaria, con la conseguenza che il giudice e’ tenuto a motivare sulla ragione per cui la segregazione patrimoniale rappresenta, in concreto, uno strumento idoneo a rendere in tutto o in parte inefficace il recupero del credito erariale. In tal senso Cass. Sez. 3, n. 47827 del 12/07/2017, Dinelli, Rv. 271321.
1.3. In punto di diritto, con riferimento al caso concreto oggetto delle sentenze di merito, deve rilevarsi che il conferimento nel fondo patrimoniale della nuda proprieta’ di due immobili puo’ concretizzare il reato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 11.
La costituzione del fondo patrimoniale, ai sensi dell’articolo 167 c.c., avviene, da parte di ciascuno o di ambedue i coniugi, per far fronte ai bisogni della famiglia; ai sensi dell’articolo 168 c.p.c., comma 2, i frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale sono impiegati per i bisogni della famiglia.
Deve rilevarsi che il conferimento della sola nuda proprieta’ di un immobile di fatto limita notevolmente l’utilita’ dello stesso conferimento perche’ i frutti del bene immobile non possono essere impiegati per i bisogni della famiglia, spettando all’usufruttuario.
Dunque, il conferimento della sola nuda proprieta’ e’ di per se’ un indice dello scopo fraudolento dell’operazione, posto che alcun concreto vantaggio immediato ne riceve il fondo patrimoniale.
1.4. Quanto poi alla espropriabilita’ dei beni conferiti nel fondo patrimoniale, deve precisarsi che, oltre ai limiti stabiliti per i coniugi ai sensi dell’articolo 169 c.c., per la costituzione di ipoteca, l’articolo 170 c.c., la cui rubrica recita “Esecuzione sui beni e sui frutti”, dispone che l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non puo’ aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
In sostanza, l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi, compresa l’iscrizione di ipoteca, puo’ avvenire solo se il creditore agisce con la consapevolezza che il debito era stato contratto per i bisogni della famiglia.
Le sezioni civili della Corte di Cassazione hanno infatti affermato (cfr. Cass. Sez. 3, n. 5385 del 05/03/2013, Barrotta contro Equitalia Romagna Spa, Rv. 625376 – 01; si tratta della sentenza su cui si fonda quella richiamata dalla difesa) che “L’articolo 170 cod. civ., nel disciplinare le condizioni di ammissibilita’ dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 1973, n. 602, articolo 77. Ne consegue che l’esattore puo’ iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, qualora il debito facente capo a costoro sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero quando – nell’ipotesi contraria – il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non conosceva l’estraneita’ ai bisogni della famiglia; viceversa, l’esattore non puo’ iscrivere l’ipoteca – sicche’, ove proceda in tal senso, l’iscrizione e’ da ritenere illegittima – nel caso in cui il creditore conoscesse tale estraneita’”.
In concreto, l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale puo’ avvenire solo per i debiti contratti per i bisogni della famiglia.
2. Manifestamente infondato e’ anche il primo motivo con cui la difesa ha dedotto il vizio della motivazione.
Va infatti rilevato che il motivo di appello si fondava su due questioni: la possibilita’ per l’erario di aggredire i beni del fondo patrimoniale e l’avvenuta iscrizione di ipoteca da parte di (OMISSIS).
La Corte di appello di Firenze ha risposto adeguatamente e con motivazione immune da vizi alle due questioni proposte con l’appello.
Ferme le considerazioni gia’ espresse, la Corte di appello di Firenze ha infatti correttamente osservato che la costituzione del fondo patrimoniale mediante il conferimento della nuda proprieta’ dei due immobili ha reso piu’ difficile il recupero del credito. Ha rilevato la Corte di appello di Firenze, in punto di diritto, che il fondo patrimoniale non e’ sempre aggredibile dall’erario in quanto il debitore puo’ dimostrare in sede di opposizione che il debito tributario sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Tale principio e’ stato affermato, oltre che dalle sezioni civili della Corte di Cassazione, anche da Cass. Sez. 3, n. 47827 del 12/07/2017, Dinelli, Rv. 271321, in motivazione.
Ne consegue che e’ irrilevante ai fini della sussistenza del reato, l’avvenuta costituzione di ipoteca posto chefnel caso in esame, i crediti per l’erario sono relativi agli anni di imposta 2004, 2005 e 2006, laddove la costituzione del fondo patrimoniale e’ avvenuta il 26/01/2010, sicche’ e’ palese che il debito non sia stato contratto per i bisogni della famiglia.
3. Anche il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Ed invero, la Corte di appello di Firenze ha applicato la norma ritenendola a dolo specifico ed ha indicato tutte le circostanze di fatto in base alle quali ha ritenuto provata l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato.
3.1. Con il motivo la difesa ha in realta’ effettuato una sua ricostruzione alternativa dei fatti, in tal modo pero’ chiedendo alla Corte di Cassazione un’attivita’ di valutazione delle fonti di prova che le e’ preclusa.
3.2. Va poi osservato che il dato oggettivo del conferimento di tutti i beni immobili di proprieta’ del ricorrente nel fondo patrimoniale risulta dalla sentenza di primo grado e non e’ stato contestato con l’appello.
In ogni caso, non risulta alcuna produzione documentale della difesa dalla quale risulta che il ricorrente e’ proprietario di altri beni oltre a quelli conferiti nel fondo patrimoniale.
3.3. Quanto al travisamento della prova per omissione, in relazione alle dichiarazioni di (OMISSIS), deve rilevarsi che il motivo e’ inammissibile per genericita’ non avendo la difesa adempiuto all’onere di allegazione; in ogni caso, non e’ possibile dedurre il grado di incidenza sul complessivo ragionamento della Corte di appello di Firenze in base alla riproduzione parziale e parcellizzata avvenuta nel ricorso delle dichiarazioni della teste.
4. E’ manifestamente infondato anche il terzo motivo sulla confisca.
4.1. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036, hanno affermato che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, e’ costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e puo’, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario.
La Corte di Cassazione (cfr. Cassa Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015, Chiarolanza, Rv. 262754) ha poi chiarito che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma.
Il profitto pertanto non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto (Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015, Trust, Rv. 265036; nello stesso senso Cass. Sez. 3, n. 37136 del 2017, Tartaglia).
La Corte di Cassazione ha altresi’ affermato (cfr. Cass. Sez. 3, n. 3095 del 23/11/2016, dep. 2017, Pugliese, Rv. 268986) che i beni immobili appartenenti a soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 1, in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale e’ stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione anche come prezzo o profitto di tale delitto.
4.2. La Corte di appello di Firenze ha correttamente applicato tali principi perche’ ha ritenuto che sia stata disposta la confisca diretta del profitto del delitto Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 11, e, con un giudizio in fatto, non valutabile in questa sede in assenza di elementi di segno diverso, ha ritenuto che il loro esatto valore – e non la provenienza dei beni come erroneamente ritenuto dalla difesa costituisca il vantaggio economico direttamente proveniente dalla condotta illecita.
Una volta individuato il profitto in tale valore, la Corte di appello di Firenze ha correttamente escluso che la confisca potesse essere operata per equivalente, perche’ tale tipo di confisca puo’ essere disposta solo se quella diretta del profitto non e’ possibile.
Va infine osservato che alcuna rilevanza ha la definitivita’ dell’accertamento tributario, salvo gli eventuali effetti sull’entita’ del profitto, non rilevanti in questa sede, anche conseguenti ad azioni esecutive o al pagamento del debito tributario.
5. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5.1. Quanto alla richiesta formulata in sede di conclusioni dalla difesa di dichiarare estinto il reato per prescrizione, deve rilevarsi che la prescrizione del reato sarebbe maturata il 26/07/2017, quindi dopo la sentenza della Corte di appello di Firenze.
Pero’, non puo’ essere dichiarata la prescrizione del reato maturata dopo la sentenza di appello, in presenza di un ricorso inammissibile.
L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilita’ di dichiarare le cause di non punibilita’ di cui all’articolo 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimita’.
5.2. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, si condanna altresi’ il ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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