Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 23 maggio 2018, n. 23075.
La massima estrapolata:
In tema di tentativo di estorsione, va considerata la potenzialità della minaccia stessa ad incutere paura, indipendentemente dal fatto che la vittima ne risulti effettivamente intimidita.
Sentenza 23 maggio 2018, n. 23075
Data udienza 26 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere
Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere
Dott. COSCIONI Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. PACILLI Giuseppina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/12/2016 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE COSCIONI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BALDI Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma confermava la sentenza con la quale (OMISSIS) era stato condannato per il reato di tentata estorsione, riducendo la pena inflitta in primo grado.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), eccependo che la Corte di appello aveva omesso di motivare sulla riconducibilita’ della condotta materiale attribuita al ricorrente alla fattispecie contestata, in particolare sulla idoneita’ dell’azione a produrre l’effetto di coartare la volonta’ della persona offesa; la sentenza si fondava su una duplice, indimostrata, ipotesi, e cioe’ l’esistenza di un clan (OMISSIS) e l’appartenenza ad esso dell’imputato e non aveva verificato se l’asserita implicita minaccia aveva un sufficiente carattere di concretezza ed era idonea a piegare la volonta’ della persona offesa (OMISSIS); la Corte di appello, reiterando l’errore commesso dal primo giudice, aveva continuato a ritenere che (OMISSIS) avesse appreso da (OMISSIS) l’intento estorsivo che i (OMISSIS) stavano maturando, mentre era stato lo stesso (OMISSIS) ad escludere che (OMISSIS) gli avesse anticipato una richiesta da parte dei (OMISSIS); in punto di fatto era stato accertato che la richiesta estorsiva era stata formulata nel corso di un colloquio durato non piu’ di cinque minuti e senza che essa avesse assunto il carattere di benche’ minima concretezza, tanto che (OMISSIS) non aveva mai dato peso alla minaccia, ritenendola evidentemente ne’ credibile, ne’ concreta.
1.2 Il difensore eccepisce inoltre che la Corte di appello aveva fondato la sua decisione sulle modalita’ realizzative del reato, valutate come inequivocabile manifestazione della pericolosita’ dell’imputato, senza articolare la benche’ minima argomentazione di tale supposta rappresentativita’, considerando anche l’unico precedente di (OMISSIS), definito banale dal primo giudice; non vi era poi mai stato alcun riferimento ad un clan, ne’ ad un “clan (OMISSIS)”; la sentenza non aveva poi esaminato il motivo relativo alla richiesta di concessione di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla recidiva per il divieto di cui all’articolo 69 c.p., comma 4, che pero’ operava solo in caso di recidiva reiterata e non in caso di recidiva infraquinquennale, quale quella di (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ parzialmente fondato.
1.1 Le censure prospettate con il ricorso relative alla responsabilita’ dell’imputato risultano formulate in relazione a motivi non consentiti e che non possono trovare ingresso dinanzi alla Corte, poiche’ per consolidato orientamento della Corte di cassazione va esclusa la possibilita’, per il giudice di legittimita’, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella gia’ effettuata dai giudici di merito, dovendosi limitare a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per giustificare il suo convincimento (v. tra le ultime Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, 3 Rv. 270519).
Nel caso in esame la Corte di appello ha esaurientemente motivato su tutti i punti del primo motivo di ricorso, evidenziando la conoscenza di (OMISSIS) relativa all’appartenenza dell’imputato al clan (OMISSIS), per cui aveva accettato di salire a bordo della autovettura di quest’ultimo per affrontare la questione della richiesta di somme di denaro, dimostrando quindi che la richiesta era idonea a coartare la sua volonta’, tanto che cercava di “togliersi quella che per lui era una spina nel fianco” (pag.3 sentenza impugnata); del tutto irrilevante e’ poi l’esistenza o meno di un clan (OMISSIS) e l’effettiva appartenenza allo stesso dell’imputato, posto che cio’ che rileva e’ che tali circostanze siano state ritenute sussistenti dalla vittima dell’estorsione, che ha preso seriamente in considerazione la richiesta estorsiva anche sulla base delle stesse.
Nessun dubbio vi puo’ poi essere sulla idoneita’ delle minacce a coartare la volonta’ della persona offesa, stante la gravita’ del male minacciato ( (OMISSIS) ha minacciato di dare fuoco al locale di (OMISSIS), qualora questi non gli avesse consegnato 500 Euro alla settimana), posto che la forza intimidatoria di tale comportamento appare in concreto idonea a ingenerare il timore presupposto del reato di estorsione; inoltre, come costantemente affermato da questa Corte, “nel reato di estorsione la minaccia, oltre che palese, esplicita e determinata, puo’ essere anche larvata o indiretta; essa deve ingenerare in chi la subisce un timore consistente nella paventata previsione di piu’ gravi pregiudizi, sicche’, in tema di tentativo, va considerata la potenzialita’ della minaccia stessa ad incutere paura, indipendentemente dal fatto che la vittima ne risulti effettivamente intimidita”. (Sez. 6, 10229 del 29/04/1999 Labalestra Rv.214396).
1.2 Quanto alla richiesta di concessione della attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, il motivo di ricorso e’ fondato, posto che la Corte di appello ha motivato sul punto limitandosi ad affermare che il giudizio di prevalenza era impedito dal divieto posto dall’articolo 69 c.p., comma 4, che richiama l’articolo 99 c.p., comma 4, senza pero’ considerare che al ricorrente era stata contestata soltanto la recidiva infraquinquennale ex articolo 99 c.p., comma 2, rispetto al quale non opera il divieto previsto dall’articolo 69 c.p., comma 4; sulla richiesta vi e’ quindi stata una omessa motivazione, per cui la sentenza deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello per il giudizio relativo a quanto eccepito con il motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per il giudizio sul punto.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l’accertamento di responsabilita’.
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