Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 16 maggio 2018, n. 21724.
La massima estrapolata:
In un caso di truffa aggravata in una gara pubblica esclusa l’applicabilità dell’indulto (legge 241/2006) alla società condannata alla sanzione perché quest’ultima è collegata ad una responsabilità amministrativa e non penale.
Sentenza 16 maggio 2018, n. 21724
Data udienza 30 marzo 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. TARDIO Angela – rel. Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere
Dott. APRILE Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) s.r.l.;
avverso l’ordinanza del 11/09/2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DI LEO Giovanni, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in data 11 settembre 2015 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione, cosi’ qualificato da questa Corte con sentenza del 3 luglio 2008 il ricorso per cassazione proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. avverso l’ordinanza del 21 gennaio 2007, emessa senza formalita’, ai sensi dell’articolo 672 c.p.p., comma 1, dal medesimo Ufficio che aveva respinto la richiesta della indicata societa’ di applicare l’indulto, di cui alla L. 31 luglio 2006, n. 241, sulla sanzione pecuniaria amministrativa di Euro 10.329,00, irrogata con sentenza del 5 luglio 2006 di detto Giudice, ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articoli 5, 13 e 24, in relazione a una truffa aggravata in gara pubblica, commessa il (OMISSIS) dal legale rappresentante dell’ente (OMISSIS).
Il Giudice rilevava che era pacifico in giurisprudenza che la L. n. 241 del 2006 non era applicabile alle sanzioni di cui all’articolo 9 n. 231 del 2001 per essere sanzioni collegate a responsabilita’ di natura amministrativa, non penale.
2. L’interessata societa’ ha chiesto, proponendo ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore avv. (OMISSIS), l’annullamento dell’ordinanza per violazione dell’articolo 609 c.p.p. e articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) in relazione all’applicabilita’ della L. n. 241 del 2006 alle violazioni previste dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
2.1. Secondo la ricorrente, l’ordinanza impugnata e’ del tutto abnorme perche’ adottata in assenza di ogni parametro legislativo di carattere sostanziale e processuale, consentendo l’applicabilita’ della L. n. 241 del 2006 “per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2016” di attrarre nell’ambito di efficacia dell’indulto la violazione ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
Detto decreto, sanzionando la persona giuridica in via autonoma e diretta con le forme del processo penale, ha introdotto sanzioni diverse da quelle irrogabili in precedenza agli enti, la cui responsabilita’, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimita’, e’ di natura tipicamente penale, subordinata e direttamente connessa alla commissione di un fatto costituente reato, pur essendo nominalmente amministrativa.
Ne’ puo’ negarsi natura di reato ai fatti per cui si procede in base all’indicato intervento normativo alla luce delle modalita’ del loro accertamento, con le garanzie e le forme del processo penale.
2.2. Lo stesso giudice di merito ha qualificato la pena pecuniaria, che ha applicato, come multa, ed e’ contra ius la correzione della sentenza disposta dal giudice della opposizione che l’ha qualificata come sanzione amministrativa, avendo il legislatore espressamente previsto i casi in cui ha ritenuto di escludere l’accertamento di un fatto e le correlate sanzioni dal processo penale, mentre, con riguardo alle ipotesi di fatti penalmente rilevanti previste dal ridetto decreto, sia l’accertamento delle responsabilita’ sia l’applicazione delle sanzioni e la fase esecutiva sono regolate dalle norme del codice penale e di quello di procedura penale.
Supporta tali argomentazioni, ad avviso della ricorrente, il dato normativo, statuendo il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 34 e 35, premessa l’osservanza delle disposizioni dettate dal codice di procedura e dal Decreto Legislativo n. 271 del 1989 per gli illeciti amministrativi costituenti reato, che sono applicabili all’ente le disposizioni processuali relative all’imputato.
Anche la L. n. 241 del 2006 in tema di indulto ne prevede l’applicazione in genere alle pene pecuniarie e non alle sole sanzioni penali.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha concluso con articolata requisitoria per la inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Questa Corte, intervenendo sul tema specifico, oggetto del dibattito giudiziario indotto dalla richiesta della societa’ ricorrente di applicazione dell’indulto, di cui alla L. n. 241 del 2006, alla sanzione inflitta con sentenza del 5 luglio 2006, per violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 24, comma 1, ha gia’ fissato il principio di diritto secondo cui l’indulto, operando con riferimento alle pene detentive e pecuniarie, non e’ applicabile alle sanzioni di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 9 in quanto sanzioni collegate a responsabilita’ di natura amministrativa e non penale (Sez. 2, n. 35337 del 13/06/2007, P.M. in proc. Cluster s.a.s., Rv. 239857), “versandosi in tema di illeciti amministrativi e non di reati (Sez. 2, n. 35337 del 13/06/2007, citata, in motivazione).
3. A tale principio deve darsi continuita’, sostenendo la natura amministrativa della sanzione pecuniaria, al di la’ del nomen iuris (multa) adottato dal giudice della cognizione, argomenti sistematici e letterali, che, ripercorsi dal Sostituto Procuratore generale nella requisitoria scritta, appaiono del tutto coerenti con un corretto inquadramento della peculiare responsabilita’ dell’ente, che -gia’ definita, nella relazione al decreto legislativo, come un “tertium genus” per le caratteristiche e norme proprie che la connotano, e ritenuta di natura “ibrida” anche dalla giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 2, n. 3615 del 20/12/2005, D’Azzo, Rv. 232956/7/8), evocata dalla ricorrente a sostegno della sua tesi- trova confermata la sua natura amministrativa nelle disposizioni specifiche dettate dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, e negli arresti giurisprudenziali che hanno ritenuto tale natura preclusiva dell’applicazione di istituti specificamente previsti per le sanzioni di natura penale.
Sotto il primo profilo vengono in considerazione le disposizioni pertinenti all’autonomia dell’illecito penale, commesso da parte di soggetto riconducibile all’ente, e di quello amministrativo riconducibile a quest’ultimo, e segnatamente, tra le altre, le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 74, che disciplinano le competenze in materia di esecuzione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato attribuite al “giudice indicato nell’articolo 665 c.p.p.”, e, tra le altre competente, prevedono quella per i provvedimenti relativi “alla cessazione dell’esecuzione nei casi di estinzione del reato per amnistia”; all’articolo 60 stesso decreto, attinenti alla decadenza della contestazione dell’illecito amministrativo in caso di prescrizione del reato da cui esso dipende, senza precludere la prosecuzione del procedimento incardinato (tra le altre, Sez. 5, n. 20060 del 04/4/2013, P.M. in proc. Citibank N.A., Rv. 255415, e giurisprudenza ivi richiamata); all’articolo 8 stesso decreto, relative alla responsabilita’ dell’ente per la commissione del reato presupposto anche nel caso in cui l’autore del detto reato non sia stato identificato o non sia imputabile o sia stato assolto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza dello stesso reato (tra le altre, Sez. 5, n. 20060 del 04/4/2013, citata, Rv. 255414, e giurisprudenza ivi richiamata).
Sotto il secondo profilo si e’, in particolare, rimarcato, con indubbia valenza ai fini che qui rilevano, che l’istituto della sospensione condizionale della pena non e’ applicabile alle sanzioni inflitte all’ente a seguito dell’accertamento della sua responsabilita’ da reato ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la cui natura amministrativa non consente l’applicabilita’ di istituti giuridici specificamente previsti per le sanzioni di natura penale (Sez. 4, n. 42503 del 25/06/2013, Ciacci, Rv. 257126), ed essendo peraltro previsti nel sistema sanzionatorio delineato dal detto decreto istituti diversi in funzione specialpreventiva (Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011, dep. 2012, Cerasino, Rv. 256705, non massimata sul punto)
4. L’ordinanza, che ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, che ha richiamato, coerentemente indicando come sanzione amministrativa quella inflitta alla societa’ ricorrente con la sentenza del 5 luglio 2006, resiste alle censure difensive.
La societa’ ricorrente, invero, omettendo di correlarsi con le ragioni della decisione e trascurando l’indicato precedente, contrappone una interpretazione della normativa di riferimento priva di alcun fondamento, non confrontandosi con le caratteristiche proprie della responsabilita’ amministrativa da reato, come volute e disposte dal nuovo sistema di responsabilita’ sanzionatoria introdotto dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, e assumendo di trovare argomenti, a sostegno della tesi della “responsabilita’ penalistica” dell’ente e della “accezione penalistica” del termine “multa” nella sentenza di condanna, in elementi che, al contrario, connotano il detto nuovo sistema, in punto di modalita’ di accertamento dell’illecito dell’ente, di determinazione e applicazione delle sanzioni, di tutela del principio di legalita’ e di rafforzamento delle garanzie, con “ibridazione della responsabilita’ amministrativa con principi e concetti propri della sfera penale” (come affermato da Sez. 2, n. 3615 del 20/12/2005, citata, in motivazione).
Ne’, mentre e’ solo assertivo il rilievo che dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 34 e 35 -relativi, rispettivamente, alle disposizioni processuali applicabili al procedimento relativo agli illeciti amministrativi derivanti da reato e alla estensione all’ente della disciplina relativa all’imputato- sia evincibile l’applicazione nella specie della disposizione di cui all’articolo 672 cod. proc. pen., possono trarsi ragioni di riflessione ne’ dall’avere il Giudice per le indagini preliminari ritenuto l’istanza valutabile in sede di esecuzione penale, attraverso il meccanismo penalistico dell’incidente di esecuzione, che e’ al contrario l’istituto che consente di valutare l’ammissibilita’ e la fondatezza della richiesta nel contraddittorio, iniziale o differito, delle parti, ne’ dal testo della L. n. 241 del 2006, che specificamente prevede che “e’ concesso indulto, per tutti i reati (…)” e collega a essi le pene detentive e pecuniarie indultabili.
5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
A tale dichiarazione segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ -valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione- al versamento della somma, ritenuta congrua, di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna al ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende.
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