L’applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 12 luglio 2018, n. 18326.

La massima estrapolata:

1. L’applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, ma inderogabile, comportando in linea generale, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni corrisposti salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni.

2. La clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente, la cui previsione convenzionale è contemplata dallo stesso art. 1526 c.c., comma 2, con eventuale facoltà per il giudice di ridurre l’indennità convenuta “secondo le circostanze”, è da qualificarsi come clausola penale in quanto volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e che l’operatività della penale medesima è rimessa esclusivamente all’iniziativa di parte.

SENTENZA 12 luglio 2018, n.18326

Presidente Chiarini

Relatore Ambrosi

Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di Torino ha rigettato l’appello proposto da S.I. avverso la sentenza del Tribunale di Mondovì con cui era stata respinta l’opposizione proposta da questi avverso due decreti ingiuntivi richiesti da GE Capital Servizi Finanziari s.p.a. ed ottenuti dal Tribunale della stessa città nei confronti di S. , l’uno, con cui gli veniva richiesta la restituzione dell’autovettura oggetto del contratto di locazione e l’altro, con cui gli veniva ingiunto di corrispondere l’importo di Euro 23.687,08 a titolo di rate scadute, risarcimento dei danni ed interessi e spese per inadempimento dell’utilizzatore in relazione al medesimo contratto.
Per quel che ancora interessa, la Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
– ha ritenuto in parte infondate ed in parte inammissibili le doglianze formulate dall’appellante in ordine alla pretesa omessa pronuncia sulla eccezione di nullità della clausola contrattuale n. 15 del contratto di leasing per asserito contrasto con la norma imperativa in tema di vendita con riserva di proprietà ex art. 1525 c.c.; infondate, in quanto il giudice di prime cure aveva adeguatamente preso in esame la clausola de qua la quale riconosceva all’utilizzatore inadempiente il corrispettivo ricavato dalla vendita del bene; inammissibili, tenuto conto che dalla stessa prospettazione dell’appellante risultava che questi fosse stato inadempiente al pagamento di ben tre rate, con conseguente inapplicabilità della norma invocata;
– ha ritenuto come accertato in primo grado e incontestato tra le parti che il contratto in oggetto costituisse un cd. “leasing traslativo” al quale è applicabile analogicamente l’art. 1526 c.c. in caso di risoluzione contrattuale “onde evitare che, per effetto dell’inadempimento dell’utilizzatore, l’equilibrio contrattuale venga alterato con eccessivo arricchimento del concedente”. Ha aggiunto che l’applicazione analogica non sia “automatica”, ma che occorra valutare in concreto se le clausole contrattuali non contengano già un meccanismo riequilibratore quale, ad esempio, la previsione dell’accredito a favore dell’utilizzatore del corrispettivo della vendita del bene secondo il valore avuto al momento della risoluzione; nel caso di specie, ha ritenuto che detto meccanismo sia presente nella clausola n. 15 del contratto di leasing “per cui non pare effettivamente che il primo comma dell’art. 1526 c.c. possa trovare applicazione”.
– ha dato atto che la citata clausola fosse stata “appositamente” sottoscritta dall’utilizzatore il quale non poteva dirsi “neppure uno sprovveduto trattandosi di un legale libero professionista” e che essa prevedesse, per effetto della risoluzione, che l’utilizzatore dovesse mettere immediatamente a disposizione a sue spese il bene e che la società concedente avesse il diritto ad ottenere, per un verso, il pagamento immediato in un’unica soluzione dei tutti i canoni maturati alla data della risoluzione del contratto, nonché di tutte le altre somme e spese sostenute dalla società di leasing in conformità alle clausole contrattuale e, per l’altro, a titolo di risarcimento dei danni, un importo pari alla somma dei canoni che sarebbero maturati dalla data di risoluzione fono alla data della scadenza della locazione finanziaria e del prezzo di acquisto dovuto dall’utilizzatore alla fine della locazione finanziaria, con attualizzazione dei canoni secondo i criteri contrattuali;
– ha ritenuto inammissibile il motivo di gravame sulle spese tenuto conto che trattandosi di un giudizio avente ad oggetto due distinti decreti ingiuntivi e non avendo l’appellante impugnato il capo della sentenza che aveva rigettato l’opposizione ad uno dei due decreti monitori concernente la restituzione del veicolo, il capo non impugnato era passato in giudicato con conseguente definitività del capo di condanna dell’opponente alle spese dell’opposizione.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, S.I. propone ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Risponde con controricorso la GE Capital Servizi Finanziari s.p.a.. Il pubblico ministero ha presentato conclusioni scritte con cui ha invocato il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la Corte di appello di Torino abbia violato il dettato normativo dell’art. 1526 c.c.; deduce il ricorrente che la Corte territoriale, dopo aver correttamente dato atto dell’applicabilità in via analogica della regola di cui alla richiamata disposizione (dettata in tema di vendita con riserva di proprietà) al cd. leasing traslativo nell’ipotesi di risoluzione contrattuale – finalizzata ad evitare che, per effetto dell’inadempimento dell’utilizzatore, venga alterato con eccessivo arricchimento del concedente che potrebbe venire a godere dei canoni scaduti, di quelli a scadere attualizzati e del bene restituito, senza rispetto della funzione del contratto – ha aggiunto che ‘tale applicazione non è automatica, ma occorre valutare in concreto se le clausole contrattuali non contengano già un meccanismo riequilibratore quale, secondo costante giurisprudenza, si ravvisa ad esempio nella previsione dell’accredito a favore dell’utilizzatore del corrispettivo della vendita del bene secondo il valore avuto al momento della risoluzione’ ed infine, ha affermato che ‘nel caso di specie l’art. 15 CGC prevede un meccanismo riequilibratore, per cui non pare effettivamente che il primo comma dell’art. 1526 c.c. possa trovare concreta applicazione’. Al riguardo, il ricorrente deduce la inderogabilità dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 1526 c.c. al contratto di leasing traslativo e afferma che l’iter argomentativo seguito dalla Corte di merito si risolve in una violazione di legge ‘in quanto nella fase di sussunzione non se ne comprende la portata precettiva’, giungendo erroneamente a ‘qualificare come facoltativa, l’applicazione di una norma che invece, una volta accertati i relativi presupposti applicativi, ha carattere imperativo’. Lamenta che con ulteriore errore il giudice di appello abbia richiamato a sostegno del percorso motivazionale prescelto la recente giurisprudenza di legittimità secondo cui l’accredito all’utilizzatore delle somme ricavate tramite la vendita del veicolo viene considerato un meccanismo idoneo a ritenere inapplicabile all’ipotesi risolutiva in esame la richiamata norma codicistica. Da ciò sarebbe derivato l’indebito arricchimento per essere stato riconosciuto alla società di leasing a seguito della risoluzione, non soltanto la restituzione del veicolo, ma anche gli importi per canoni già incassati ed il risarcimento quantificato in Euro 66.574,11 a fronte di un canone complessivo di locazione di soli Euro 39.430,86.
2. Il motivo non è fondato.
2.1. Occorre premettere che la qualificazione del rapporto contrattuale in esame in termini di leasing traslativo per come operata dai giudici di merito è rimasta priva di censure in questa sede. Così come è pacifico che la Ge Capital Servizi Finanziari s.p.a. abbia richiesto l’applicazione della clausola convenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore con la quale veniva prevista, da un lato, la irripetibilità dei canoni e, dall’altro, il riconoscimento all’utilizzatore inadempiente di quanto ricavato dalla vendita del bene.
2.2. Ciò premesso, nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte affermato che l’applicazione in via analogica della disciplina dettata in tema di risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1526 c.c. al leasing traslativo, una volta che il rapporto contrattuale sia stato in tal senso qualificato, non è sussidiaria rispetto alla volontà delle parti, ma inderogabile, comportando in linea generale, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, la restituzione dei canoni corrisposti salvo il riconoscimento di un equo compenso in ragione dell’utilizzo dei beni tale da remunerare il solo godimento e non ricomprendere anche la quota destinata al trasferimento finale di essi, oltre al risarcimento dei danni (in tale senso, v. Cass. Sez. 3 12/09/2014, n. 19272; Cass. Sez. 3 27/09/2011, n. 19732; Cass. Sez. 3 29/03/1996, n. 2909).
È stato altresì precisato che la clausola di irripetibilità dei canoni riscossi dal concedente, la cui previsione convenzionale è contemplata dallo stesso art. 1526 c.c., comma 2, con eventuale facoltà per il giudice di ridurre l’indennità convenuta ‘secondo le circostanze’, sia da qualificarsi come clausola penale in quanto volta alla predeterminazione del danno risarcibile nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore e che l’operatività della penale medesima sia rimessa esclusivamente all’iniziativa di parte (così, v. Cass. Sez. 3 12/09/2014, n. 19272).
In tale ambito, è stato chiarito che le clausole che attribuiscono alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell’utilizzatore, l’intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso del bene, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli di cui essa aveva diritto, potendo configurare un assetto convenzionale manifestamente eccessivo rispetto all’interesse del creditore di cui all’art. 1384 c.c.. In particolare, nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, il controllo da parte del giudice consiste nel comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto; al fine di evitare che clausole penali nel contratto di leasing traslativo attribuiscano al concedente vantaggi eccessivi, sono state indicate le seguenti sintomatiche correzioni convenzionali le quali consentano all’utilizzatore inadempiente – una volta restituito l’intero importo del finanziamento – o il diritto di recuperare proprietà e disponibilità del bene oggetto di leasing in termini prestabiliti e precisi oppure il diritto di imputare il valore del bene alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere, ove così le parti abbiano convenzionalmente stabilito e sempre che le relative scelte siano concordate e non rimesse all’arbitrio dell’una o dell’altra di esse (Cass. 17/01/2014 n. 888; Cass. Sez. 3 13/01/2005, n. 574).
2.3. Tanto richiamato, la Corte di appello, condividendo quanto affermato dal giudice di prime cure, ha in primo luogo – in conformità con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra ricordato – ritenuto che al contratto di leasing traslativo in oggetto sia applicabile analogicamente l’art. 1526 c.c. previsto in tema di vendita con riscatto di proprietà; ha ritenuto in secondo luogo, seppure con espressione poco felice, che detta applicazione non fosse tuttavia ‘automatica’, in realtà, intendendo e, per questo applicando correttamente la norma di cui si lamenta qui la violazione, valutare in concreto la clausola penale concordata tra le parti, concludendo nel ritenere, con accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità (se non per violazione dei criteri ermeneutici ovvero per vizio di motivazione), che la volontà delle parti avesse inteso riequilibrare l’assetto dei diversi interessi contrapposti attraverso un meccanismo quale quello in esame – consentito dall’art. 1526 comma 2 c.c. e ritenuto conforme dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata- ove veniva previsto, per un verso, la irripetibilità dei canoni e, per l’altro, il riconoscimento all’utilizzatore inadempiente del diritto di imputare il valore dell’immobile alla somma dovuta in restituzione delle rate a scadere.
L’accertamento condotto dalla Corte territoriale ha dato altresì debitamente conto che la scelta convenzionalmente operata fosse stata sufficientemente concordata tra le parti tenuto conto che essa era stata appositamente sottoscritta, che l’utilizzatore non poteva ‘nemmeno dirsi uno sprovveduto, trattandosi di un legale libero professionista’ e che il conteggio offerto dall’utilizzatore al fine di sostenere l’illegittimità del pagamento richiesto con decreto monitorio – riproposto tal quale nell’odierno giudizio di cassazione (secondo cui l’importo riconosciuto alla società concedente ammontava quasi al doppio del canone stabilito)- non fosse corretto atteso che il parametro di valutazione del valore del veicolo oggetto di leasing, preso a riferimento dalla parte alla data di risoluzione del contratto, veniva stimato sulla rivista ‘(omissis) ‘ mentre la stima concordata prevedeva che fosse parametrato alla stregua della pubblicazione ‘(omissis) ‘.
In conclusione il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono poste a carico della parte ricorrente e liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali, in favore della parte controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
a norma dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *