Ai fini della concedibilita’ o del diniego della fattispecie di lieve entita’

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 12 giugno 2018, n. 26854.

La massima estrapolata:

Ai fini della concedibilita’ o del diniego della fattispecie di lieve entita’, il giudice e’ tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo escludere la concedibilita’ dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entita’”.

Sentenza 12 giugno 2018, n. 26854

Data udienza 24 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere

Dott. NARDIN Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/07/2017 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di condanna, resa all’esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale di Sassari il 19.07.2016, nei confronti di (OMISSIS), per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, relativo alla detenzione a fine di spaccio della sostanza stupefacente di tipo eroina, pari a gr. 462,02, che era suddivisa in 42 ovuli, che il prevenuto occultava nelle cavita’ corporee.
Il Collegio evidenziava che il principio attivo presente nella partita di droga era pari al 50,1%, dal quale erano ricavabili n. 8.383 dosi medie singole da mg. 25. Riteneva che il richiamato dato quantitativo e le modalita’ di occultamento della sostanza stupefacente impedivano di qualificare la condotta nell’ambito della fattispecie di lieve entita’. La Corte osservava che il trattamento sanzionatorio, con l’avvenuto riconoscimento delle attenuanti generiche, non era ulteriormente mitigabile.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore.
Con il primo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Osserva che il prevenuto ha svolto il ruolo di mera pedina, per le proprie disagiate condizioni di vita quale richiedente asilo, nel traffico di stupefacenti. L’esponente rileva che la Corte territoriale, a fronte di specifico motivo di censura, ha erroneamente fatto riferimento alla natura della sostanza drogante, pretermettendo la considerazione delle specifiche modalita’ dell’azione, indicative del carattere episodico della condotta.
Con il secondo motivo la parte contesta la dosimetria della pena, pure a fronte della manifestata resipiscenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ destituito di fondamento.
2. Soffermandosi sul primo motivo, occorre considerare che, in riferimento alle condizioni per l’applicabilita’ dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, secondo il prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita’, al quale il Collego si conforma per condivise ragioni, ai fini della concedibilita’ o del diniego della fattispecie di lieve entita’, il giudice e’ tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo escludere la concedibilita’ dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entita’” (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649).
Nel caso di specie, la Corte di Appello, nel censire le doglianze che erano state dedotte del prevenuto, ha dato corso ad una complessiva valutazione dei termini di fatto della vicenda in esame, conducente ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto potesse considerarsi di “lieve entita’”. Il Collegio ha rilevato che la quantita’ di principio attivo, il numero di dosi ricavabili (oltre ottomila) dalla droga detenuta e le modalita’ di occultamento all’interno del corpo umano, erano evenienze che non consentivano di ritenere integrata l’ipotesi attenuata. Al riguardo, il Collegio ha insindacabilmente osservato che le richiamate modalita’ dell’azione apparivano di particolare insidiosita’, in quanto idonee a vanificare i controlli delle forze dell’ordine, se pure realizzati mediante l’impiego di cani appositamente addestrati.
Orbene, le valutazioni espresse dal giudice del gravame, nell’apprezzare la non sussumibilita’ del fatto per il quale si procede nell’ambito applicativo dell’ipotesti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, non presentano le dedotte aporie di ordine logico e risultano percio’ immuni da censure rilevabili in sede di legittimita’. La Corte territoriale, invero, nei termini sopra richiamati, ha soddisfatto l’obbligo motivazionale afferente alla qualificazione giuridica del fatto ed ha giustificato il mancato riconoscimento dell’autonoma fattispecie di lieve entita’, sviluppando un percorso argomentativo saldamente ancorato agli acquisiti dati di fatto e non manifestamente illogico; e, come noto, sfugge dall’orizzonte della cognizione di legittimita’, la possibilita’ di procedere ad una considerazione alternativa degli elementi di fatto, scrutinati in sede di merito.
3. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimita’ su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, 22 settembre 2003, n. 36382 Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”, vedi Sez. 6, 4 agosto 1998 n. 9120, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298).
Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello, infatti, ha chiarito che il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice non poteva essere mitigato. Cio’ in quanto la pena base era stata individuata nel minimo edittale, quanto alla reclusione; in sentenza, si e’ poi sottolineato che la riduzione di pena, per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in misura inferiore a quella massima, si giustificava in considerazione delle richiamate modalita’ della condotta.
4. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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