Se l’avviso di accertamento riguarda solo il profilo della mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione senza accenni alla indeducibilità la società contribuente

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14570.

La massima estrapolata:

Se l’avviso di accertamento riguarda solo il profilo della mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione senza accenni alla indeducibilità la società contribuente non è tenuta a provare nulla sul punto per ottenere l’applicazione retroattiva della modifica dell’articolo 110 (commi 10 e 11) del Tuir

Ordinanza 6 giugno 2018, n. 14570

Data udienza 14 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2864-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 235/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 21/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 235/66/09, pronunciata in data 15.6.2009 e depositata in data 21.12.2009, con la quale – in controversia concernente avviso di accertamento notificato alla (OMISSIS) s.r.l. a titolo di IRPEG ed IRAP dovute per l’anno di imposta 2002 per recupero di costi ritenuti indeducibili ai sensi dell’articolo 76, commi 7-bis e 7-ter t.u.i.r. (vecchia numerazione, ora articolo 110, commi 10 e 11), in quanto relativi ad operazioni poste in essere con paese a fiscalita’ privilegiata (c.d. paesi black list: nella specie, Emirati Arabi Uniti) e non separatamente indicati in dichiarazione – sono stati accolti, previa riunione, gli appelli proposti dal legale rappresentante della contribuente e, parzialmente, dalla societa’ stessa, con applicazione della sanzione pecuniaria derivante dalla sopravvenuta disciplina di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, commi 301, 302 e 303.
Il giudice d’appello, in particolare, riteneva che: a) l’atto impugnato era fondato unicamente sulla omissione della separata indicazione dei costi in dichiarazione, con la conseguenza che, determinando tale irregolarita’, alla luce dello ius superveniens sopra citato, soltanto l’obbligo del pagamento di una sanzione e non piu’ l’indeducibilita’ dei costi, esso non poteva essere utilizzato ai fini della contestazione in giudizio dei presupposti sostanziali della deducibilita’, in quanto privo, sul punto, di idonea motivazione; b) era invalida la dichiarazione integrativa presentata dalla societa’ ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, articolo 2, comma 8 bis, in quanto presentata dopo l’inizio dell’attivita’ di accertamento, della quale la contribuente era stata messa al corrente; c) il regime sanzionatorio applicabile nella specie era quello, piu’ favorevole, introdotto dalla L. n. 296 del 1996, articolo 1, commi 302 e 303; d) con riferimento alla posizione del legale rappresentante della societa’, ai sensi del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 3, comma 2, e Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 7 conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio della societa’ dovevano ritenersi a carico esclusivamente di quest’ultima.
La societa’ contribuente e’ rimasta intimata. Il P.M. ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c., chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, viene dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articoli 76 e 110; L. 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 301, e L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 3 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; l’Agenzia ricorrente lamenta, in tale prospettiva, che erroneamente la CTR, in relazione ad una fattispecie verificatasi in data anteriore alla introduzione della L. n. 296 del 2006, ha attribuito efficacia retroattiva alla modifica dell’articolo 110 t.u.i.r. operata con la L. n. 296 del 1996, articolo 1, comma 301, in base al quale l’omessa indicazione separata delle spese sostenute per operazioni con imprese aventi sede in Stati inclusi nella lista dei paesi a fiscalita’ privilegiata (cd. Paesi black list) non determina piu’ l’indeducibilita’ di tali componenti reddituali, ma soltanto l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
Il motivo e’ infondato.
Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 10/06/2016 n. 11933 e Cass. sez. 5, 28/02/2017, n. 5085), la materia e’ regolata, per quanto qui di rilievo, dai seguenti principi:
a) dal 1 gennaio 2007, la L. n. 296 del 2006, articolo 1, commi 301 e 302 (il primo modificando l’articolo 110, commi 10 e 11 – gia’ Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 76, commi 7-bis e 7-ter, il secondo mediante l’inserimento del comma 3-bis nel Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 8) hanno mutato la disciplina che sanciva l’indeducibilita’ dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalita’ privilegiata – ove non fosse provato che i contraenti esteri svolgessero effettiva attivita’ commerciale, che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico, che le stesse avessero avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non fossero stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi – degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilita’ ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione, da un minimo di Euro 500,00 a un massimo di Euro 50.000,00;
b) in ordine al regime transitorio, dettato dalla L. n. 296 cit., articolo 1, comma 303, anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge sono degradate a violazioni formali e non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilita’ dei costi medesimi, ma sono soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, gia’ assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilita’) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dal legi n. 471 del 1997, articolo 8, comma 1;
c) tale lettura della disciplina di cui alla L. n. 296 cit., articolo 1, commi 301, 302 e 303 – che appare l’unica idonea a garantirne la tenuta sul piano della razionalita’ – non viola il principio di legalita’, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta e’, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente (cfr., altresi’, Cass. sez. 5, 14/01/2016, n. 6338 e 21/06/2016, n. 6651).
Ne consegue che la disciplina in esame ha, diversamente da quanto ritenuto dall’Agenzia ricorrente, integrale portata retroattiva (esplicitamente sul punto, Cass. Sez. 5, 27/02/2015, n. 4030, Rv. 634885 – 01, secondo cui “in tema di reddito d’impresa, l’abolizione del regime di assoluta indeducibilita’ dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalita’ privilegiata – cd. Paesi “black list” ove non separatamente indicati nella dichiarazione annuale dei redditi, a seguito della modifica al Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 110, commi 10 e 11, apportata dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 301, ha integrale portata retroattiva, come puo’ evincersi sia dalla “ratio” della nuova disciplina, che intende contemperare l’interesse del contribuente a poter dedurre i costi effettivamente sostenuti con quello dell’Amministrazione finanziaria ad un efficace controllo, sia dal dato testuale della L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, che cumula l’applicazione della sanzione prevista dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 8, comma 3 bis, introdotta dalla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 302, con quella prevista dall’articolo 8, comma 1 medesimo decreto, quest’ultima giustificata solo in ragione dell’estensione della portata retroattiva dell’abolizione del previgente regime d’indeducibilita’).
Del resto, occorre riconoscere che il declassamento della condotta prescritta a semplice adempimento formale, determina quale effetto non solo che la fattispecie, in caso di violazione dell’obbligo, non incide piu’ sulla deducibilita’ dei costi (salva la contestazione della assenza dei presupposti sostanziali descritti nel comma 11 cit.), ma altresi’ che la stessa, sul piano sanzionatorio, esula dal paradigma dell’infedele dichiarazione, non incidendo piu’ sul calcolo dei componenti di reddito. Ne consegue che l’eventuale persistente applicazione delle sanzioni previste dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 1, comma 2, sarebbe del tutto ingiustificata, oltre che incompatibile con il principio di proporzionalita’ delle sanzioni tributarie, con particolare riferimento alla necessita’ di tenere conto della distinzione fra violazioni sostanziali e violazioni meramente formali (principio che ha trovato riconoscimento anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE: cfr., ad esempio, la sentenza relativa alla causa C-272/13 del 17 luglio 2014).
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 76 e 110 t.u.i.r., L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 301, e articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel senso che, anche ritenuta l’efficacia retroattiva della modifica dell’articolo 110 citato, la CTR non avrebbe potuto ritenere tout court deducibili i costi considerati, disattendendo cosi’ la ripresa a tassazione effettuata dall’Ufficio, in assenza di prova, da parte della contribuente, della sussistenza dei requisiti sostanziali richiesti dall’articolo 110, comma 11, cit., ossia che l’impresa estera svolgesse una effettiva attivita’ commerciale, ovvero che l’operazione posta in essere rispondesse ad un effettivo interesse economico ed avesse avuto concreta esecuzione. In tal senso, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’Ufficio non potesse contestare, in sede contenziosa, l’esistenza dei presupposti sostanziali per la deducibilita’ dei costi in esame poiche’ la motivazione dell’atto impositivo si fondava esclusivamente sull’omissione della loro separata indicazione in dichiarazione.
Con il terzo motivo, che va esaminato congiuntamente al secondo, in quanto strettamente connesso, si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 76 e 110 t.u.i.r., Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 1; L. n. 296 del 2006, articolo 1, commi 302 e 303, e articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con particolare riferimento all’applicazione retroattiva delle sanzioni introdotte dall’articolo 1, commi 302 e 303 cit.
Deduce in tal senso l’Agenzia che la contribuente, dopo l’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, avrebbe potuto vedersi irrogare in giudizio, in luogo della sanzione di cui al Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 1 le sanzioni meno afflittive introdotte dalla citata legge soltanto fornendo in giudizio la prova di cui all’articolo 110, comma 11, primo periodo t.u.i.r., circa la sussistenza dei presupposti sostanziali della deducibilita’ dei costi derivanti dalle operazioni con imprese appartenenti a Paesi c.d. black list; e cio’ anche in caso di mancata contestazione da parte dell’Ufficio di tali requisiti nell’avviso di accertamento.
I predetti motivi sono infondati.
Premesso che la motivazione dell’avviso impugnato e’ chiaramente basata – come ritenuto dalla CTR e come risulta dal tenore testuale dell’atto, riportato in ricorso – sul profilo formale costituito dalla mancata separata indicazione dei costi nella dichiarazione della contribuente, va ribadito che costituisce principio generale del diritto tributario quello secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario – che (anche se con sue specifiche caratteristiche) e’, pur sempre, giudizio d’impugnazione di atti -, al fine di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa fiscale e di approntare una idonea difesa; ne consegue che l’ufficio non puo’, in sede contenziosa, porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle specificamente definite nella motivazione dell’atto stesso (tra le piu’ recenti, Cass. sez. 5, 21/01/2016, n. 11934; Cass. sez. 5, 18/03/2014, n. 9810; 02/07/2014, n. 22003; 14/01/2016, n. 6103).
Nella materia in esame, inoltre, la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di osservare che l’inderogabilita’ della specifica contestazione della mancanza dei requisiti sostanziali di deducibilita’ dei costi e’ rafforzata dalla previsione (contenuta nell’articolo 110, comma 11, cit.) secondo cui “l’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilita’ di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove” della sussistenza dei detti requisiti (e la omissione di tale avviso determina l’illegittimita’ dell’atto impositivo per violazione del contraddittorio procedimentale: Cass. 10/06/2015, n. 20033).
Da tale premessa discende dunque che, in presenza di avviso di accertamento contemplante la sola violazione formale della mancata indicazione separata dei costi derivanti dalle operazioni con imprese non residenti in territori con regime fiscale agevolato, l’ambito del giudizio non puo’ estendersi alle ulteriori violazioni, di carattere sostanziale, sulle quali soltanto interferiscono l’operativita’ dei contraenti esteri e l’effettivita’ delle operazioni.
In tale prospettiva, va, altresi’, osservato che tale criterio – anche per le fondamentali funzioni di garanzia che, sul piano del diritto di difesa del contribuente, la motivazione dell’atto impositivo assolve nell’ambito dell’ordinamento tributario – non puo’ ritenersi derogato dalla previsione della L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, laddove subordina l’applicazione retroattiva della disposizione del precedente comma 302 alla prova di cui all’articolo 110 comma 11, primo periodo t.u.i.r.; previsione che d’altro canto, per parte sua, intende solo ribadire che la degradazione da presupposto d’indeducibilita’ a violazione amministrativamente sanzionata, attuata dalla disciplina sopravvenuta, riguarda solo il profilo formale della violazione, consistente nella mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione (cfr. Cass. sez. 5, 14/01/2016, n. 6103).
Occorre, pertanto, concludere che nella specie, poiche’ la contestazione contenuta nell’avviso di accertamento riguardava esclusivamente il profilo formale della mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione, senza alcun accenno alla loro sostanziale indeducibilita’, la societa’ contribuente non era tenuta a svolgere attivita’ probatoria sul punto, al fine di ottenere l’applicabilita’ retroattiva della modifica dell’articolo 110, commi 10 e 11 t.u.i.r.
Con il quarto motivo di ricorso, l’Agenzia deduce insufficiente motivazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel senso che, ove la decisione impugnata andasse interpretata nel senso che, ad avviso della CTR, l’avviso di accertamento conteneva una vera e propria ammissione da parte dell’Ufficio circa la sussistenza dei requisiti sostanziali di deducibilita’ dei costi in esame – anziche’ la semplice non contestazione tali elementi, ritenendosi assorbente la mancanza di separata indicazione dei costi -, la stessa decisione sarebbe incorsa nel denunciato vizio motivazionale su fatto decisivo, in quanto gli elementi indicati, valutati alla stregua di criteri di normalita’, ragionevolezza e verosimiglianza, non potrebbero mai condurre a riconoscere l’esistenza di siffatta ammissione.
Il motivo, quand’anche non assorbito da quelli che precedono, risulta manifestamente infondato, in quanto muove da un presupposto – peraltro, formulato in termini meramente possibilistici o ipotetici – che non trova riscontro nella ratio decidendi della sentenza impugnata: essa, infatti, non ha affermato l’esistenza di una vera e propria ammissione da parte dell’Ufficio circa la sussistenza dei presupposti sostanziali per la deducibilita’ dei costi, trattandosi di circostanza non rilevante ed, ancor meno, decisiva, atteso che era, piuttosto, la mancata contestazione di tali requisiti da parte dell’ufficio nell’ambito della motivazione dell’avviso di accertamento – che, come detto, si fondava esclusivamente sull’omissione della loro separata indicazione in dichiarazione -, a far si’ che l’oggetto del giudizio non potesse estendersi alle ulteriori violazioni di carattere sostanziale.
Con il quinto ed il sesto motivo di ricorso, la ricorrente deduce omessa motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in ordine ai presupposti sostanziali per la deducibilita’ dei costi e, in ogni caso, per l’applicazione del piu’ favorevole regime sanzionatorio di cui alla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 303, costituiti dall’effettivo svolgimento da parte dell’impresa estera di una effettiva attivita’ commerciale, ovvero dalla rispondenza dell’operazione posta in essere ad un effettivo interesse economico e dalla sua concreta esecuzione.
Anche tali motivi sono infondati, alla luce di quanto osservato trattando dei precedenti motivi, che si richiama integralmente, non potendo rientrare nel thema decidendum la sussistenza dei presupposti sostanziali per la deducibilita’ dei costi in esame.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non v’e’ luogo a pronuncia sulle spese, in considerazione del fatto che la societa’ contribuente e’ rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

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