L’errore del commercialista nel proporre in ritardo un ricorso contro un atto impositivo può far scattare il risarcimento del danno

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10586

La massima estrapolata

L’errore del commercialista nel proporre in ritardo un ricorso contro un atto impositivo può far scattare il risarcimento del danno solo se il cliente dimostra che, se presentata tempestivamente, la “contestazione” sarebbe stata accolta.

Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10586

Data udienza 29 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25731/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS) SAS, in persona del legale rappresentante sig.ra (OMISSIS) anche in proprio, (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1458/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/01/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2011 la societa’ (OMISSIS) s.a.s. (d’ora innanzi, per brevita’, “la (OMISSIS)”) e le sue due socie ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) convennero dinanzi al Tribunale di Milano (OMISSIS), esponendo che:
-) ad (OMISSIS), di professione commercialista, era stata affidata dalle attrici la gestione della contabilita’ e dei connessi adempimenti della societa’ (OMISSIS), societa’ avente per oggetto sociale l’esercizio d’una impresa di ristorazione;
-) tra il 2004 ed il 2006 l’amministrazione finanziaria aveva notificato sia alla societa’ che alle due socie, presso lo studio del commercialista, un avviso di liquidazione della maggiore imposta di registro dovuta sul contratto di compravendita dell’azienda gestita dalla societa’ (OMISSIS), e successivamente vari avvisi di accertamento relativi alle imposte sui redditi dovute per gli anni 2001, 2002 e 2003;
-) il convenuto non aveva informato le proprie clienti della notifica del suddetti avvisi; non le aveva messe al corrente della possibilita’ di aderire all’accertamento, ottenendo cosi’ una riduzione delle sanzioni; non aveva impugnato alcuni dei suddetti avvisi, e quelli che erano stati impugnati lo erano stati solo in nome della societa’, non nell’interesse delle due socie, ed in ogni caso il ricorso era stato rigettato dal giudice tributario sia in primo che in secondo grado.
Dedussero le attrici che, attraverso le suddette condotte, il convenuto aveva loro causato un danno, pari alle maggiori imposte ed alle sanzioni che esse erano state costrette a pagare all’erario.
2. Con sentenza n. 2479 del 2014 il Tribunale di Milano rigetto’ la domanda.
Il Tribunale ritenne:
-) non esservi prova del fatto che il commercialista omise di avvertire le clienti dell’avvenuta notifica dell’avviso di rettifica inerente l’imposta di registro;
-) che la scelta del professionista di non impugnare il suddetto avviso di rettifica non fu colposa;
-) che la circostanza che gli avvisi di accertamento notificati nel 2006 fossero stati impugnati tempestivamente in nome della societa’, ma tardivamente in nome delle socie era irrilevante, giacche’ l’eventuale accoglimento del ricorso proposto dalla societa’ avrebbe giovato anche alle due socie di essa;
-) la soccombenza della societa’ (OMISSIS) nel giudizio di impugnazione degli avvisi di accertamento non fu dovuta a responsabilita’ del professionista, giacche’ le attrici non provarono di aver fornito al commercialista la documentazione che, se prodotta in giudizio, avrebbe consentito l’accoglimento del ricorso;
-) in ogni caso, gli avvisi di accertamento notificati alla societa’ ed alle due socie erano dovuti a gravi irregolarita’ nella tenuta delle scritture contabili, irregolarita’ che andavano ascritte alla societa’ e non al suo commercialista, in quanto esse erano consistite nella mancata emissione di scontrini e fatture.
Tale decisione venne appellata dalle parti soccombenti.
3. Con sentenza 1 aprile 2015 n. 1458 la Corte d’appello di Milano rigetto’ il gravame, sostanzialmente confermando le valutazioni compiute dal primo giudice.
La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione dalla (OMISSIS), da (OMISSIS) e da (OMISSIS), con ricorso fondato su undici motivi.
L’intimato non si e’ difeso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano formalmente la “violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
Nell’illustrazione del motivo sostengono che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che non vi fosse prova che il commercialista non le avesse informate della ricezione della notifica dell’avviso di rettifica relativa all’imposta di registro.
1.2. Si puo’ ritenere un lapsus calami la denuncia della “violazione dell’articolo 360 c.p.c.” da parte della sentenza impugnata, evidente essendo che la Corte d’appello non ha applicato e non doveva applicare una norma dettata per il giudizio di cassazione. E’ plausibile, infatti, che la difesa delle ricorrenti avesse inteso denunciare che la sentenza impugnata presentasse il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5. Tanto sia detto anche per i successivi motivi di ricorso, i quali tutti si aprono con la lamentata “violazione dell’articolo 360 c.p.c.”.
1.3. Nondimeno, anche cosi’ riletto il motivo di ricorso, esso resta manifestamente inammissibile.
In primo luogo, infatti, le ricorrenti lamentano il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ma non illustrano quale sarebbe stato il “fatto decisivo” trascurato dalla Corte d’appello.
In secondo luogo, quel che piu’ rileva, il motivo lamenta nella sostanza un’erronea valutazione delle prove, censura ovviamente non consentita in sede di legittimita’.
1.4. Nella parte finale del motivo, nonostante la sua intitolazione, le ricorrenti censurano la mancata ammissione delle prove testimoniali da esse richieste: ma anche tale censura e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 6, dal momento che le ricorrenti ne’ hanno trascritto i capitoli delle prove che assumono illegittimamente rigettate, ne’ hanno ulteriormente illustrato tale doglianza, in violazione del principio di specificita’ del ricorso per cassazione, richiesto a pena di inammissibilita’ della norma appena ricordata.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’erroneita’ della sentenza nella parte in cui ha affermato che non costitui’ colpa, per il professionista convenuto, la scelta di non impugnare l’avviso di rettifica dell’imposta di registro. Sostengono che quell’imposta non era dovuta, che le ragioni addotte dalla Corte d’appello per rigettare la loro domanda sono state “illogiche”.
2.2. Il motivo e’ inammissibile per totale inintelligibilita’.
Giovera’ ricordare, al riguardo, che un ricorso per cassazione e’ un atto nel quale si chiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico cosi’ scandito:
(a) quale sia stata la decisione di merito;
(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;
(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.
Nel nostro caso, a parte qualsiasi rilievo sulla consequenzialita’ e sulla coerenza logica della tecnica scrittoria adottata dalla difesa delle ricorrenti, resta il fatto che nelle deduzioni contenute alla p. 55 del ricorso non e’ ravvisabile alcuna chiara censura.
Sul piano dell’analisi del periodo, in buona sostanza in esse si dice soltanto che la Corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la domanda, e non lo fece. Il che propriamente non e’ una censura, ma una contrapposizione della propria valutazione a quella del giudice di merito.
Sul piano della logica formale, le ricorrenti non spiegano in cosa sia consistito l’errore, e quale la diversa regola da applicare.
Un ricorso cosi’ concepito non puo’ che dirsi inammissibile per totale aspecificita’.
Ne’ rileva la circostanza che la sentenza impugnata contenesse errori di diritto piu’ o meno evidenti.
Questa Corte, infatti, puo’ conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non puo’ rilevarne d’ufficio, ne’ puo’ pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come gia’ ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano che la sentenza d’appello sia “ingiusta ed erronea in violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 111 Cost.”. Nell’illustrazione del motivo, di ostica decodificazione, le ricorrenti sembrano prospettare una censura cosi’ riassumibile:
(-) il commercialista ha impugnato tardivamente l’avviso di accertamento notificato alle due socie della societa’ (OMISSIS).
(-) la Corte d’appello ha escluso che tale condotta fosse colposa;
(-) la Corte d’appello ha errato nel compiere tale valutazione; l’errore commesso dal commercialista invece c’era, e consistette nel fatto di avere ritenuto che la richiesta di accertamento con adesione formulata in nome e per conto della societa’, bastasse di per se’ a prorogare i termini per l’impugnazione dell’avviso di liquidazione anche per le due socie.
3.2. Il motivo e’ inammissibile, per piu’ ragioni.
In primo luogo perche’ le ricorrenti, pur formalmente invocando il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (e cioe’ l’omesso esame d’un fatto decisivo), in realta’ non prospettano alcun omesso esame di fatti decisivi.
In secondo luogo il motivo e’ inammissibile per totale difetto di decisivita’: infatti l’errore del commercialista, consistito nel proporre tardivamente un ricorso avverso un atto impositivo, in tanto puo’ ritenersi produttivo di danno, in quanto si deduca e dimostri che, se tempestivamente proposto, quel ricorso sarebbe stato verosimilmente accolto.
Deduzione e dimostrazione che, nel caso di specie, non risulta essere stata prospettata dinanzi al giudice di merito, ne’ le ricorrenti deducono dove, quando ed in che modo avvennero l’una e l’altra, nel corso del giudizio di merito, anche in questo caso in violazione del precetto di specificita’ del ricorso, richiesto a pena di inammissibilita’ dall’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 6.
4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo le ricorrenti lamentano (questa e’ la qualificazione che il Collegio ritiene di dare al motivo in esame, anch’esso niente affatto perspicuo) che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistente la colpa del commercialista consistita nel non aver prodotto, nel giudizio dinanzi la commissione tributaria avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione relativo all’Irpef, la documentazione a sostegno dell’impugnazione.
Deducono che “per i documenti da produrre nel giudizio in commissione tributaria era il professionista che doveva valutarli con la dovuta diligenza, anche in base alle richieste dell’ente impositore (…); risulta difficile pensare che il professionista non era in possesso della relativa documentazione”.
4.2. Il motivo e’ inammissibile, per due ragioni.
In primo luogo, perche’ quello in esso denunciato non e’ affatto un vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, quanto piuttosto di valutazione delle prove.
Ma una censura di questo tipo cozza contro il consolidato e pluridecennale orientamento di questa Corte, secondo cui non e’ consentita in sede di legittimita’ una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e cosi’ via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermo’ il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioe’ che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte e’ incensurabile in Cassazione”).
In ogni il motivo non contiene nessuna motivata censura alla sentenza impugnata, ma solo una espressione ottativa (“riesce difficile pensare che”).
5. Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo le ricorrenti lamentano, formalmente richiamando l’articolo 360 c.p.c., n. 5, che la sentenza d’appello sarebbe erronea, nella parte in cui ha ritenuto che la notifica degli avvisi di accertamento, e poi la soccombenza nel giudizio di opposizione avverso gli stessi, fu dovuta alle gravi irregolarita’ fiscali e contabili commesse dalle attrici, e non alla condotta del professionista.
Sostengono che il convenuto “era perfettamente a conoscenza che gli avventori del locale pagavano a pranzo all’incirca Lire 15.000 e non Lire 40.000”.
Sostengono che, di conseguenza, fu il professionista a redigere per conto delle socie una dichiarazione fiscale errata.
5.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile, in primo luogo perche’ non prospetta alcun vizio di omesso esame di fatti decisivi.
In secondo luogo, perche’ prospetta questioni squisitamente di merito. In terzo luogo perche’ la condotta colposa ascritta al convenuto nell’illustrazione del motivo (ovvero la redazione di una dichiarazione dei redditi errata) appare nuova: di essa non si fa cenno nella sentenza impugnata, ne’ le ricorrenti deducono in quale atto ed in quali termini, nei gradi di merito, prospettarono tale profilo di colpa professionale.
6. Il sesto motivo di ricorso.
6.1. Col sesto motivo le ricorrenti tornano a lamentare, formalmente richiamando l’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’erronea valutazione delle prove da parte del giudice di merito.
6.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile, per le ragioni gia’ indicate supra, § 4.2.
7. Il settimo, l’ottavo, il nono ed il decimo motivo di ricorso.
7.1. Le ricorrenti, dopo avere contraddistinto con i numeri da 1 a 6 i motivi sin qui esaminati dalla p. 67 del ricorso in poi iniziano una nuova numerazione, e prospettano altri cinque motivi di ricorso.
I primi quattro di tale secondo gruppo di motivi sono totalmente sovrapponibili a quelli appena illustrati, e sono inammissibili per le medesime ragioni.
8. L’undicesimo motivo di ricorso.
8.1. Con l’undicesimo motivo di ricorso (contraddistinto dal n. 5, illustrato alle pp. 77 e ss. del ricorso) le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, “la violazione dell’articolo 2043 c.c. e articolo 96 c.p.c.”.
Sostengono che essendo le loro domande fondate, esse non potevano essere condannata per lite temeraria ex articolo 96 c.p.c.. Soggiungono che l’appellato non aveva neanche invocato tale condanna.
8.2. Il motivo e’ tanto inammissibile quanto infondato.
E’ inammissibile, perche’ manca totalmente di illustrazione; e’ infondato in quanto il testo dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, vigente ratione temporis consentiva la condanna anche d’ufficio.
9. Le spese.
9.1. Non e’ luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’intimato.
9.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dall’articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di la (OMISSIS) s.a.s., (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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