In tema di rimborsi IVA, l’inosservanza delle formalità previste dal d.l. n. 258 del 2006, conv. in l. n. 278 del 2006, emanato a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE 14 settembre 2006, nella causa C-228/2005

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23514.

La massima estrapolata:

In tema di rimborsi IVA, l’inosservanza delle formalità previste dal d.l. n. 258 del 2006, conv. in l. n. 278 del 2006, emanato a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE 14 settembre 2006, nella causa C-228/2005, non può comportare la perdita del diritto del contribuente che, anteriormente a detta pronuncia, avesse già presentato istanza di rimborso e ricorso giudiziario avverso il diniego espresso o tacito dell’Amministrazione finanziaria, atteso che, da un lato, il suo diritto non trova fondamento nella disciplina sopravvenuta, ma nella riespansione dell’art. 19 del D.p.r. n. 633 del 1972, illegittimamente derogato dal legislatore italiano, mentre, dall’altro, non vi è alcuna disposizione implicante l’improcedibilità delle domande già formulate, per le quali si pone al più un’esigenza di completamento istruttorio.

Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23514

Data udienza 24 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. PERRINO Ma – A.

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 132.61 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) per procura speciale in calce al ricorso, presso il cui studio in (OMISSIS), e’ elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, n. 19/38/10, depositata in data 29 marzo 2010;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
(OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale, in epigrafe, con la quale e’ stato rigettato l’appello da questi proposto avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino;
la Commissione tributaria regionale, ha premesso, in punto di fatto, che: il contribuente aveva presentato in data 12 settembre 2006 una istanza di rimborso dell’Iva di Euro 7.781,52 versata per l’acquisto di una autovettura; l’Agenzia delle entrate non aveva dato risposta all’istanza, formandosi il silenzio-rifiuto; avverso il suddetto silenzio-rifiuto il contribuente aveva proposto ricorso; la Corte di giustizia, con sentenza del 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, aveva dichiarato incompatibile con l’ordinamento comunitario la disposizione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis1; il legislatore, con Decreto Legge 15 settembre 2006, n. 258, era intervenuto e aveva dato attuazione alla pronuncia della Corte di giustizia sopra indicata, riconoscendo il diritto alla detrazione dell’Iva per l’acquisto di beni strumentali; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso, avendo ritenuto che il contribuente non si era attenuto alle previsioni di cui al decreto legge sopra citato; avverso questa decisione aveva proposto appello il contribuente;
la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, avendo ritenuto che, se da un lato non poteva dichiararsi la decadenza del contribuente dalla presentazione della domanda di rimborso, nel merito non risultava data la prova che l’autovettura fosse inserita tra i beni strumentali dell’impresa del contribuente e che fosse effettivamente utilizzata a fini produttivi;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso (OMISSIS) affidato a quattro motivi di censura;
l’Agenzia delle entrate si e’ costituita con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Sul primo motivo di censura.
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 19, comma 1, lettera g) e articolo 32, comma 1, (nonche’ del Decreto Legge 15 settembre 2006, n. 258, articolo 1, comma 1; lo stesso, peraltro, e’ articolato in submotivi di ricorso che di seguito si precisano:
1) avendo il contribuente impugnato un provvedimento di silenzio-rifiuto, l’Agenzia delle entrate non avrebbe potuto motivare, successivamente, le ragioni del rigetto sostenendo il mancato assolvimento dell’onere probatorio, dovendosi limitare il thema decidendum alla sola questione della disapplicazione o meno della normativa interna per contrarieta’ alla normativa comunitaria, con esclusione, quindi, di altre ragioni di contestazione attinenti al merito;
2) il contribuente, avendo presentata istanza di rimborso prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge 15 settembre 2006, n. 258, non era tenuto a reiterarla, in forza della suddetta previsione normativa, ed a produrre la documentazione richiesta dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 febbraio 2007, n. 258;
3) il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sulla questione prospettata relativa al fatto che nessun obbligo di riproposizione dell’istanza di rimborso poteva essere configurata a carico del contribuente, anche in considerazione del fatto che il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate era stato emesso oltre il termine di 45 giorni decorrente dalla data di pubblicazione del Decreto Legge n. 258 del 2006;
4) il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sulla questione prospettata relativa al fatto che la procedura di rimborso forfetaria introdotta con il Decreto Legge n. 258 de3l 2006 conteneva prescrizioni meno favorevoli rispetto a quelle che ordinariamente disciplinano i rimborsi, in violazione del principio comunitario di equivalenza e di effettivita’;
il motivo in esame, diversamente articolato dal ricorrente secondo quanto sopra specificato, potrebbe in astratto avere un fondamento limitatamente al submotivo n. 2), ma lo stesso risulta non decisivo, secondo quanto si avra’ modo di chiarire in seguito, sicche’ e’ da ritenersi infondato;
va precisato, a tal proposito, che e’ incontestato che il contribuente ha presentato la domanda di rimborso relativo all’acquisto delle autovetture in data precedente sia all’adozione della sentenza della Corte di giustizia 14/09/2006, causa C-228/2005, che all’intervento del legislatore interno di cui al Decreto Legge n. 258 del 2006; con la questione prospettata al n. 2), si censura la sentenza per avere ritenuto che il contribuente, con la suddetta istanza, aveva optato per la seconda scelta riconosciuta dal legislatore interno, quindi di non procedere alla richiesta di rimborso forfetario, ma analitico, sottoponendosi, in tal modo, al particolare regime probatorio richiesto;
precisa, in particolare, il ricorrente, che ragionando nei suddetti termini, il giudice di appello ha ritenuto, implicitamente, che l’istanza di rimborso in esame, sebbene presentata in data antecedente all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 258 del 2006, rientrasse nell’ambito di applicazione della suddetta previsione normativa;
va precisato, a tal proposito, come gia’ chiarito da questa Suprema Corte (Cass. civ. Sez. 5, Sent., 10 aprile 2015, n. 7229), che la decisione della Corte di giustizia sopra citata ha statuito che la esclusione di determinati beni dal regime delle detrazioni, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis 1, comma 1, lettera c) e d), violava l’ordinamento comunitario, in quanto disposta “senza previa consultazione del comitato consultivo d’imposta sul valore aggiunto istituito dall’articolo 29” della sesta direttiva 77/388/CEE, ed in quanto priva di limitazioni temporali connesse ad una specifica congiuntura economica come espressamente richiesto dall’articolo 17, n. 7 della predetta direttiva, con la conseguenza che le norme statali, in quanto illegittimamente derogative al principio del diritto alla detrazione d’imposta sul valore aggiunto enunciato dall’articolo 17, n. 1 della Sesta direttiva, non potevano essere opposte dallo Stato membro al soggetto passivo al quale, pertanto, doveva essere consentito di “poter ricalcolare il suo debito d’imposta sul valore aggiunto conformemente alle disposizioni dell’articolo 17, n. 2 della sesta direttiva 77/388 nella misura in cui i beni e i servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta” (cfr. dispositivo 2 e 3, sentenza Corte di giustizia in data 14.9.2006 in causa C228/05, Stradasfalti s.r.l.);
lo Stato e’ quindi intervenuto a determinare le modalita’ di recupero della imposta – rimasta priva “ab origine” di causa giustificativa versata dai soggetti passivi, emanando il Decreto Legge 15 settembre 2006, n. 258 (recante “disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunita’ Europee in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05 in materia di detraibilita’ dell’IVA”), entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione (15.9.2006) e convertito con modificazioni in L. 10 novembre 2006, n. 278, che, all’articolo 1, comma 1 – nel testo risultante dalla conversione – dispone che “Ai fini dell’attuazione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunita’ Europee del 14 settembre 2006 nella causa 228/05, in sede di prima applicazione i soggetti passivi che fino alla data del 13 settembre 2006 hanno effettuato nell’esercizio dell’impresa, arte o professione acquisti ed importazioni di beni e servizi indicati nel Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19 bis1 comma 1, lettera c) e d), presentano in via telematica entro il 15 aprile 2007, apposita istanza di rimborso, utilizzando uno specifico modello, da approvarsi entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Con il medesimo provvedimento sono individuati i dati e i documenti che devono essere indicati o predisposti a fondamento dell’istanza di rimborso. Con il predetto provvedimento possono essere, inoltre, stabilite le differenti percentuali di detrazione dell’imposta per distinti settori di attivita’ in relazione alle quali e’ ammesso il rimborso in misura forfettaria. Resta ferma, per i contribuenti che non aderiscono al suddetto rimborso forfettario, ovvero per coloro che non presentano l’istanza entro il predetto termine, la possibilita’ di dimostrare il diritto ad una detrazione in misura superiore presentando apposita istanza ai sensi del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 21 e successive modificazioni, contenente i dati e gli elementi comprovanti la misura, nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, dell’effettivo utilizzo in base a criteri di reale inerenza, stabiliti con il provvedimento di cui al presente comma. Al fine di evitare ingiustificati arricchimenti, i dati hanno ad oggetto anche gli altri tributi rilevanti ai fini della complessiva determinazione delle somme effettivamente spettanti”; ed al comma 2 dispone che “Sono in ogni caso escluse le procedure di detrazione e di compensazione dell’imposta sul valore aggiunto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1972, n. 633, articolo 19 e segg. ed al Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17”;
in questo quadro ricostruttivo, non puo’ ritenersi che il diritto alla restituzione dell’imposta versata in adempimento di un obbligo di legge venuto meno con effetto “ex tunc” in conseguenza della pronuncia del Giudice comunitario trovi titolo nella sopravvenuta disciplina legislativa, in quanto l’accertata incompatibilita’ originaria della norma fiscale limitativa del diritto alla detrazione IVA ha determinato la riespansione della efficacia della norma fiscale illegittimamente – derogata (Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19) sulle cui disposizioni trova necessario fondamento il diritto al rimborso del credito IVA che i soggetti passivi non hanno potuto portare in detrazione in relazione alle operazioni concernenti i beni illegittimamente esclusi, venendo in tal modo ad essere ripristinata la legalita’ del sistema comunitario della imposta sul valore aggiunto fondata (ex articolo 17, par. 1 “il diritto a deduzione nasce quando la imposta deducibile diviene esigibile”, paragr. 2 “nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo e’ autorizzato a dedurre dall’imposta di cui e’ debitore: a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da altro soggetto passivo…”, direttiva 77/388/CEE) sul principio della detrazione della imposta (attraverso il quale si realizza il meccanismo della neutralita’ fiscale che e’ alla base del tributo) che deve essere riconosciuta a tutti quei soggetti passivi che effettuino operazioni di cessione di beni e di prestazioni di servizi nell’esercizio di una attivita’ economica (cfr. da ultimo Corte giustizia 6.9.2012 causa C324/11, Gabor Toth, punti 23-28; id. 21.6.2012 cause riunite C80/11 e C-142/11, Mahageben kft, e David);
ne consegue che, nella fattispecie, non puo’ ragionarsi, come invece fatto dal giudice di appello, nel senso che l’istanza di rimborso presentata prima dell’intervento legislativo rientrasse nella disciplina e nei limiti da questo indicati, in quanto la pretesa del contribuente, in questo caso, e’ direttamente disciplinato dalle norme della direttiva comunitaria e rinviene il proprio fatto generatore esclusivamente nella effettuazione di una delle operazioni considerate imponibili dalla legge (cfr. Corte cass. 5 sez. 28.6.2012 n. 10808), insorgendo il diritto nel momento stesso in cui diviene esigibile la imposta applicata sulla cessione di beni o prestazione di servizi: ne segue che gli Stati membri non possono inserire condizioni o requisiti diversi da quelli previsti dalle norme comunitarie, ne’ introdurre una disciplina modificativa dei fatti costitutivi del predetto diritto di fonte comunitaria;
conseguenza rilevante di quanto sopra detto e’ che all’adempimento degli oneri formali e temporali prescritti dal Decreto Legge n. 258 del 2006 non puo’ ricondursi carattere costitutivo del diritto al rimborso;
peraltro, l’esame della normativa statale sopravvenuta non conduce alla conclusione che le nuove disposizioni trovano indiscriminata applicazione anche nel caso – che ricorre nella specie – in cui il contribuente, anteriormente alla pronuncia della Corte di Lussemburgo, avesse gia’ presentato istanza di rimborso (sul presupposto della eccepita incompatibilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis 1, con la sesta direttiva) ed avesse presentato ricorso avverso il diniego tacito dell’Ufficio finanziario alla restituzione della imposta;
dal tenore della disposizione del D.L., articolo 2 (che non contempla effetti retroattivi) e dal complessivo testo normativo non emergono, infatti, prescrizioni implicanti la improcedibilita’, in sede amministrativa, delle domande di rimborso gia’ presentate dai soggetti passivi ne’ emerge alcuna esigenza di rimessione in termini di tali soggetti, atteso che il termine di decadenza (eliminato, peraltro, in sede di conversione del decreto legge), originariamente stabilito dall’articolo 1, comma 1 cit. D.L., concerneva soltanto la presentazione della “istanza telematica” volta a conseguire il rimborso “forfetario” della imposta – secondo differenti percentuali di detraibilita’ della imposta relativa a beni presuntivamente considerati dalla legge ad utilizzo promiscuo -, essendo in ogni caso consentito presentare ordinaria istanza, nel termine di decadenza previsto dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 21, comma 2 per ottenere il rimborso in misura integrale delle somme non detratte;
sicche’, nessun onere di adempimento delle formalita’ previste dal Decreto Legge n. 258 del 2006 (tanto meno quello della “ripresentazione” della domanda di rimborso) poteva esser fatto gravare sul contribuente, ne’, come invece ritenuto dal giudice di appello, poteva ritenersi che l’istanza presentata dovesse essere corredata secondo le prescrizioni dettate dallo jus superveniens;
le considerazioni svolte conducono a escludere l’applicazione indiscriminata delle disposizioni del “jus superveniens” anche ai giudizi pendenti aventi ad oggetto il rimborso del credito d’imposta (Cass. civ., 5 sez., 28.8.2013 n. 19757);
fatta la suddetta considerazione, deve peraltro precisarsi che, con riferimento alle istanze presentate prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 258 del 2006, se non puo’ ragionarsi in termini di applicabilita’ delle prescrizioni formali introdotte dal suddetto intervento normativo, puo’ porsi, tuttavia, una esigenza di completamento istruttorio, in relazione alla verifica della spettanza del credito in relazione ai presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19;
ed invero, come precisato, l’effetto del contrasto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis1 con la normativa dell’Unione, poi espressa dalla pronuncia della Corte di giustizia del 14 settembre 2006 nella causa 228/05, e’ quello della riespansione dell’efficacia della norma derogata dal suddetto articolo, quindi del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 che detta le regole generali in materia di detrazione dell’imposta;
sotto tale profilo, non fondato e’ il motivo di censura di cui al n. 1) sopra indicato, relativo al fatto che, avendo il contribuente impugnato un provvedimento di silenzio-rifiuto, non sarebbe stato possibile per l’Agenzia delle entrate motivare, successivamente, le ragioni del rigetto sotto forma di assenza dell’onere probatorio, in quanto cio’ avrebbe dovuto comportare, secondo il contribuente, l’effetto di limitare il thema decidendum alla sola questione della disapplicazione o meno della normativa interna per contrarieta’ alla normativa comunitaria, con esclusione di censure di merito;
in realta’, proprio la questione della disapplicazione della norma interna in contrasto con quella comunitaria imponeva la verifica della sussistenza dei presupposti per la detrazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, quindi anche della inerenza e della strumentalita’ del bene all’attivita’ del contribuente;
per quanto riguarda, infine, la questione di cui al punto n. 3) sopra indicato, relativo alla decorrenza del termine di 45 giorni per l’adozione del provvedimento dirigenziale, nonche’ quella di cui al punto n. 4), relativa alla inosservanza del principio di effettivita’ e di equivalenza, le stesse devono considerarsi assorbite dalla considerazione espressa in ordine alla non applicabilita’, al caso di specie, delle previsioni contenute nel Decreto Legge n. 258 del 2006; secondo quanto sopra esposto, il motivo di censura in esame potrebbe avere un astratto fondamento solo sotto il profilo della non corretta decisione del giudice di appello in ordine alla questione dell’applicabilita’ all’istanza di rimborso presentata dal contribuente prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 258 del 2006;
tuttavia, per quanto si dira’ in seguito, lo stesso non e’ decisivo, posto che, presupposto per l’applicazione della disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 e, quindi, per il riconoscimento del diritto alla detrazione (o, come nel caso di specie, del rimborso) era la dimostrazione da parte del contribuente dell’inerenza o della strumentalita’ del veicolo all’attivita’ professionale dallo stesso svolta, profilo su cui comunque il giudice si e’ pronunciato ed in relazione al quale il contribuente non ha espresso motivi di censura;
2. Sul secondo motivo di censura.
Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per violazione e mancata applicazione dell’articolo 17, par. 2, n. 1, della 6 Direttiva n. 77/388/CEE e violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19-bis 1, comma 1;
in particolare, si censura la sentenza per non avere tenuto conto del fatto che il contribuente aveva dimostrato l’utilizzo dell’autoveicolo con l’allegazione delle schede contabili delle schede carburanti, da cui risultavano ventiquattro schede contabili, due per ogni mese, per un consumo complessivo annuo di 3.572,00; inoltre, la pronuncia avrebbe erroneamente fatto riferimento al fatto che il contribuente era gia’ proprietario di un autocarro, mentre il veicolo in esame era una automobile, sicche’ la normativa invocata, ai fini del rimborso, era quella dell’autoveicolo, il cui limite alla detraibilita’ era del tutto svincolata da quella degli autocarri;
a tal proposito, si evidenzia che la pronuncia impugnata ha espressamente escluso che il veicolo fosse inserito a pieno titolo tra i beni strumentali dell’impresa, arte o professione del richiedente e che il contribuente non ha in alcun modo provato che il veicolo fosse effettivamente utilizzato ai fini produttivi;
la stessa, in particolare, per motivare le suddette conclusioni, ha fatto riferimento alla circostanza che: il contribuente aveva prodotto unicamente la fattura di acquisto, il registro cespiti e l’inquadramento camerale; lo stesso, che svolgeva attivita’ di installatore tecnico, era gia’ proprietario di un autocarro, mentre il veicolo per il quale era stato chiesto il rimborso Iva era una automobile BMW 525; il contribuente, al fine di dare prova dell’inerenza del mezzo all’attivita’ professionale, non aveva prodotto le schede di carburante ritualmente compilate (ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 444 del 1997, articoli 2, 3, 4, 5) con l’indicazione del chilometraggio, il benzinaio e la localita’;
come e’ dato a vedere, il giudice di appello ha espressamente valutato, ai fini della fondatezza della domanda di rimborso dell’Iva versata per l’acquisto dell’autoveicolo, la sussistenza o meno del requisito dell’inerenza del mezzo all’attivita’ svolta dal contribuente ed ha valutato il materiale probatorio a disposizione, pervenendo alla conclusione che la stessa non fosse fondata;
a prescindere, quindi, dalla questione, sopra affrontata, della non corretta applicazione della previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis1, oggetto di pronuncia della Corte di giustizia, con il percorso motivazionale seguito il giudice di appello ha valutato, secondo i criteri di cui al medesimo Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, se le spese di acquisto dell’autovettura fossero inerenti all’attivita’ esercitata dal contribuente, ed e’ addivenuto alla conclusione che non sussisteva alcuna prova documentale da cui potere accertare il suddetto requisito;
il motivo in esame, in questo contesto, si limita a censurare la pronuncia unicamente con riferimento alla mancanza di allegazione della scheda contabile delle schede dei carburanti;
peraltro, nell’esporre il presente motivo di doglianza, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente si limita a sostenere di avere allegato le schede contabili in esame, senza riprodurre in ricorso il contenuto che consenta di ritenere sussistente il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per la controversia e senza precisare, come era necessario, che le suddette schede risultavano complete dell’indicazione del chilometraggio, del benzinaio e della localita’, profili ritenuti necessari dal giudicante per potere accertare, in concreto, l’inerenza e la strumentalita’ del mezzo;
privo di pregio, inoltre, e’ il motivo di censura relativo al riferimento all’autocarro compiuto dal giudice di appello, in quanto tale mezzo e’ stato considerato al fine di supportare la considerazione della non strumentalita’ dell’autoveicolo, proprio in ragione del fatto che, essendo il contribuente un soggetto che svolgeva l’attivita’ di installatore tecnico, il possesso dell’autocarro ha costituito motivo, per il giudice di appello, per escludere che l’autovettura avesse valenza strumentale ai fini dell’attivita’ svolta;
con il terzo motivo si censura la sentenza e’ impugnata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per violazione e mancata applicazione dell’articolo 91 c.p.c., comma 1, per non avere pronunciato sul motivo di appello con cui si contestava che la pronuncia di primo grado, nel condannare al pagamento delle spese di lite, non aveva distinto tra diritti ed onorari;
il motivo e’ inammissibile;
la censura in esame, relativa all’omessa pronuncia del giudice su di un motivo di appello avrebbe dovuto essere censurata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4);
inoltre, la stessa difetta di autosufficienza, non avendo parte ricorrente riportato e trascritto, nel ricorso, lo specifico motivo di censura in appello prospettato al giudice del gravame e non preso in considerazione dal medesimo;
con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 15, comma 2-bis, per avere applicato, in sede di condanna alle spese per onorari a seguito della pronuncia di rigetto dell’appello, un importo superiore a quanto applicabile secondo il Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127;
il motivo e’ infondato;
facendo riferimento al valore della controversia, pari all’importo dell’Iva di cui e’ chiesto il rimborso di Euro 7.781,52, l’importo di Euro 1.496,00, liquidato quale onorario nella pronuncia di condanna al pagamento delle spese processuali, rientra nell’ambito degli importi minimi e massimi previsti dal Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, tabella AII, per le voci relative alle controversie di valore compreso da Euro 5.200,001 e Euro 25.900,00;
in particolare, per la voce 12, l’importo massimo e’ di Euro 415; per la voce 19, l’importo massimo e’ di Euro 810,00; per la voce 20, l’importo massimo e’ di Euro 425,00, per un importo massimo complessivo di Euro 1655,00;
la pronuncia del giudice di appello, che ha stabilito un onorario pari a Euro 1.496,00 e’, quindi, all’interno dei suddetti parametri;
si precisa, a tal proposito, che secondo questa Suprema Corte, “la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non puo’ formare oggetto di sindacato in sede di legittimita’” (Cass., sez. 2, 3 aprile 1999, n. 3267, m. 524935, Cass., sez. 2, 22 giugno 2004, n. 11583, m. 573803, Cass., sez. 3, 24 ottobre 2007, n. 22347, m. 599830 Cass. civ. Sez. 1, 09 ottobre 2015, n. 20289);
in conclusione, in ricorso e’ infondato, con conseguente rigetto e condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese di lite, che si liquidano in complessive Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

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