In ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’i.v.a. in rivalsa

Corte di Cassazione, sezione sesta tributaria, Ordinanza 28 maggio 2018, n. 13354.

La massima estrapolata:

In ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’i.v.a. in rivalsa, la prova che la prestazione non e’ stata effettivamente resa dal fatturante, perche’ sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per se’, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiche’ l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’i.v.a. a soggetto non legittimato alla rivalsa, ne’ assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta (circostanza, quest’ultima, che esclude qualsivoglia rilevanza al mancato conseguimento, da parte della societa’ cessionaria, di un qualche beneficio economico dall’effettuazione delle operazioni contestate); con l’effetto che, in tal caso, sara’ il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’i.v.a. versata (a prescindere, quindi, dal conseguimento di un vantaggio economico).

Ordinanza 28 maggio 2018, n. 13354

Data udienza 4 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4687/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale e’ domiciliata in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4085/65/2016 della Commissione Tributaria Regionale della LOMBARDIA, Sezione staccata di BRESCIA, depositata il 7/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 4/04/2018 dal Consigliere Dott. Lucio LUCIOTTI.
RILEVATO
– che, in controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini IVA emessi relativamente agli anni di imposta 2007 e 2008, con cui l’amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. redatto dalla G.d.F., che aveva accertato il coinvolgimento della (OMISSIS) s.r.l. in una c.d. “frode carosello”, aveva disconosciuto e, quindi, ripreso a tassazione l’IVA esposta in una serie di fatture emesse dalla predetta societa’ per operazioni soggettivamente inesistenti, l’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, cui non replica la societa’ intimata, avverso la sentenza in epigrafe indicata che aveva rigettato l’appello proposto dalla predetta Agenzia avverso la sfavorevole sentenza di primo grado;
– che, secondo i giudici di appello, non sussisteva la prova della complicita’ della societa’ contribuente nelle operazioni contestate, di sottofatturazioni volte alla frode fiscale, mentre “da carenza di strutture logistiche, di organizzazione adeguata, di rappresentanza in capo alle societa’ interposte non sono supportate da prove fondate e soprattutto atte a dar vita a presunzioni gravi, precise e concordanti”; dichiarava, inoltre, di condividere le valutazioni fatte dal giudice penale, che aveva “dichiarato non luogo a procedere” nei confronti del legale rappresentante della societa’ contribuente “perche’ il fatto non sussiste”, ritenendole “valide non solo in sede penale, ma anche nella presente sede tributaria, in base alle motivazioni ed alle prove versate in causa”;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato articolo 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.
CONSIDERATO
– che con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’articolo 654 c.p.p. e articoli 115 e 116 c.p.c., sostenendo che la sentenza impugnata contiene un rinvio acritico alla sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della societa’ contribuente, essendo invece noto che nessuna automatica autorita’ di cosa giudicata puo’, nel separato giudizio tributario, attribuirsi alla sentenza penale di assoluzione, essendo il giudice tributario tenuto a valutare nel suo specifico ambito la condotta delle parti e l’acquisito materiale probatorio;
– che il motivo e’ inammissibile; invero, il riferimento all’accertamento eseguito in sede penale e’ stato effettuato dalla CTR ad abundantiam, dovendosi ravvisare la ratio decidendi che sostanzia la statuizione qui impugnata nei passaggi motivazionali immediatamente precedenti alle argomentazioni censurate nel mezzo in esame, da cui emerge chiaramente che i giudici di appello fondano la decisione sul difetto di prova della “complicita’” tra i soggetti coinvolti nella c.d. “frode carosello”, sul disconosciuto valore presuntivo della mancanza nelle societa’ cartiere di strutture logistiche ed adeguata organizzazione e sulla mancanza di “oggettivo riscontro di benefici derivanti da sotto fatturazione”;
– che, pertanto, la censura che il primo mezzo di impugnazione veicola, e’ sostanzialmente inammissibile per difetto di interesse (cfr. Cass. n. 22380 del 2014);
– che con il secondo motivo e’ dedotta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 60-bis, commi 2 e 3 e articolo 2697 c.c.; sostiene la ricorrente che la CTR aveva omesso di applicare la disposizione fiscale censurata che prevede la solidarieta’ passiva della societa’ cessionaria nel pagamento dell’imposta non versata dalla societa’ cedente;
– che il motivo e’ inammissibile per la novita’ della questione dedotta, la cui prospettazione nei precedenti gradi di merito non e’ desumibile ne’ dal contenuto del ricorso ne’ dalla sentenza impugnata; secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, “qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017);
– che e’ invece fondato il terzo motivo di ricorso con cui e’ dedotta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 e articolo 2697 c.c.; motivo incentrato sul riparto dell’onere probatorio in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, in base al quale e’ sufficiente, ai fini dell’adempimento dell’onere probatorio posto a carico dell’amministrazione finanziaria, che questa provi la mancanza di strutture logistiche e di adeguata organizzazione della societa’ cedente, mentre non e’ tenuta a fornire la prova della “complicita’” tra cedente e cessionario, come invece erroneamente ritenuto dalla CTR;
– che, come costantemente affermato da questa Corte, anche in una pronuncia emesse tra le medesime parti (Cass. n. 2260 del 2018), relativa, pero’ a diverso anno di imposta, “in ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’i.v.a. in rivalsa, la prova che la prestazione non e’ stata effettivamente resa dal fatturante, perche’ sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di per se’, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, poiche’ l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante cessionario o committente) induce ragionevolmente ad escluderne l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’i.v.a. a soggetto non legittimato alla rivalsa, ne’ assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta (circostanza, quest’ultima, che esclude qualsivoglia rilevanza al mancato conseguimento, da parte della societa’ cessionaria, di un qualche beneficio economico dall’effettuazione delle operazioni contestate); con l’effetto che, in tal caso, sara’ il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’i.v.a. versata (a prescindere, quindi, dal conseguimento di un vantaggio economico) (cfr. Cass. 13.3.2013, n. 6229; Cass. 21.4.2017, n. 10120, secondo cui, in tema di evasione a mezzo di “frodi carosello”, quando l’operazione soggettivamente inesistente e’ di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa ne’ assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, e’ soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente – cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta)”;
l’amministrazione finanziaria non aveva fornito prova di complicita’ nelle operazioni contestato” e che le carenze di strutture logistiche e di adeguata organizzazione aziendale delle socia “cartiere” non costituivano presunzioni qualificate e dell’esistenza “di benefici derivanti da sottofatturazione”;
– che, in sintesi, va accolto il terzo motivo, dichiarati inammissibili gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla competente CTR che rivalutera’ le questioni di merito alla stregua dei principi sopra enunciati, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia Sez. Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
Motivazione semplificata.

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