Grava sull’amministrazione l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati dal professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito conseguendone ricavi.

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19564.

La massima estrapolata:

Grava sull’amministrazione l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati dal professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito conseguendone ricavi. Non è più possibile avvalersi, infatti, di alcuna presunzione.

Ordinanza 24 luglio 2018, n. 19564

Data udienza 1 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente

Dott. NONNO Giacomo M – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paol – rel. Consigliere

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17361/2011 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 48/7/11, depositata il 4 marzo 2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 febbraio 2018 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:
– (OMISSIS) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 4 marzo 2011, che ha accolto solo parzialmente l’appello della contribuente avverso la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso proposto per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2005, era stato rideterminato il reddito e recuperate a tassazione le imposte non versate;
– dalla sentenza impugnata si evince che la rettifica della dichiarazione del contribuente, esercente attivita’ di medico, era fondata sulle risultanze di movimentazioni bancarie;
– il giudice di appello ha ritenuto giustificati alcuni dei prelievi imputati dall’Ufficio a ricavi, accogliendo, in tal modo, uno dei motivi di gravame formulato, confermando, per il resto la sentenza impugnata, ivi inclusa la imputazione dei prelievi residui quali ricavi dell’attivita’;
– il ricorso e’ affidato a tre motivi;
– ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, per aver la sentenza impugnata escluso l’illegittimita’ derivata dell’atto impositivo per difetto di motivazione dell’autorizzazione rilasciata dal direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate delle Marche alla richiesta di acquisizione di documentazione finanziaria inerente l’attivita’ della contribuente, le cui risultanze erano state poste dall’Ufficio a fondamento dell’avviso di accertamento;
– evidenzia, in particolare, che i presupposti fattuali posti alla base della richiesta di accesso alle informazioni finanziarie erano insussistenti, per cui, in ragione di tale circostanza, la relativa autorizzazione risulterebbe viziata;
– il motivo e’ infondato in quanto muove dall’assunto che il provvedimento di autorizzazione alla presentazione della richiesta di accesso a informazioni e documentazione finanziaria debba essere motivato e, quindi, che l’assenza della motivazione o l’insussistenza dei presupposti fattuali posti a fondamento della stessa possano essere sindacati;
– tale assunto e’ erroneo in quanto in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 7, non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perche’ in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perche’ la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non e’ nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 3, comma 1, e la L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7, prevedono l’obbligo di motivazione (cosi’, Cass. 3 agosto 2012, n. 14026);
– con il secondo motivo la ricorrente deduce l’insufficiente motivazione in ordine ad un punto controverso, individuato nella riconducibilita’ alla medesima dei conti correnti intestati esclusivamente al marito;
– sottolinea che il giudice di appello non avrebbe considerato che l’importo movimentato dal coniuge poteva essere, con maggiore probabilita’, frutto dell’attivita’ libero-professionale dallo stesso esercitata e che i due coniugi erano, all’epoca dei fatti, separati di fatto, formalizzando tale situazione a breve distanza di tempo;
– il motivo e’ infondato;
– infatti, la sentenza impugnata motiva la riferibilita’ all’attivita’ della contribuente delle operazioni di versamento su conti correnti intestati esclusivamente al coniuge di questa “con il reddito decisamente modesti ed oggettivamente inconciliabile (Euro 3.486,00) dichiarato dall’intestatario per quella stessa annualita’” e con il “rilevante lasso temporale (tre anni) decorso fra i versamenti sul conto e la vendita di un immobile (in Egitto) per il prezzo di Euro 100.00,00, tale da escludere ragionevolmente una diretta relazione” tra i due elementi;
– il riferimento a tali circostanze di fatto offre adeguata motivazione, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, della decisione assunta, consentendo l’agevole ricostruzione del percorso argomentativo seguito;
– non assume rilevanza, in senso contrario, la mancata valutazione della circostanza allegate dalla ricorrente in ordine allo stato di separazione di fatto all’epoca in essere, risolvendosi in un fatto nuovo, atteso che non vi e’ evidenza della sua allegazione nel corso dei precedenti gradi di giudizio;
– con l’ultimo motivo, la ricorrente si duole della insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto della controversia e della violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32;
– evidenzia che il giudice di appello avrebbe, dapprima, affermato che la mera indicazione del beneficiario delle somme prelevate e’ sufficiente a superare la presunzione di imputabilita’ degli stessi a ricavi prevista dalla norma oggetto di censura, quindi, pur a seguito della indicazione dei nominativi dei beneficiari da parte della contribuente, avrebbe ritenuto operante la presunzione con riferimento ad uno dei nominativi, per aver giudicato non plausibili le giustificazioni offerte;
– il motivo e’ fondato;
– il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1, n. 2, nella formulazione vigente al momento della decisione di secondo grado, stabilisce che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, “sono altresi’ posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche’ non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”;
– con sentenza del 24 settembre 2014, n. 228, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della disposizione in esame “limitatamente alle parole “o compensi””, ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse “lesiva del principio di ragionevolezza nonche’ della capacita’ contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attivita’ professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”;
– e’, dunque, venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attivita’, non essendo piu’ proponibile l’equiparazione logica tra attivita’ d’impresa e attivita’ professionale operata, ai fini della presunzione posta dall’articolo 32, dalla giurisprudenza di legittimita’ per le annualita’ anteriori (Cass. 9 agosto 2016, n. 16697; Cass. 11 novembre 2015, n. 23041);
– grava, dunque, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi, non potendosi avvalere della presunzione invocata;
– il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, che provvedera’ anche al regolamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e respinge i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Marche in diversa composizione.

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