Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460.
Le massime estrapolate:
La ratio dell’amministrazione di sostegno e’ stata individuata nell’esigenza di offrire a chi si trovi nell’impossibilita’, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacita’ di agire, ravvisandosi in tale specifica funzione l’elemento caratteristico dell’istituto in esame rispetto agli altri gia’ previsti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6 attraverso la novellazione degli articoli 414 e 427 c.c.. E’ stato tuttavia precisato che, rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non gia’ al diverso, e meno intenso, grado di infermita’ o di impossibilita’ di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneita’ di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilita’ ed alla maggiore agilita’ della relativa procedura applicativa.
La predetta flessibilita’ si realizza principalmente attraverso tre disposizioni, che costituiscono i cardini della disciplina dell’istituto:
a) l’articolo 405 c.c., comma 5, nn. 3 e 4, secondo cui il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve indicare l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere compiere in nome e per conto del beneficiario, nonche’ quelli che quest’ultimo puo’ compiere solo con l’assistenza dell’amministratore;
b) l’articolo 409 c.c., comma 1, che, nel prevedere la conservazione della capacita’ di agire del beneficiario per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore, precisa che il beneficiario puo’ compiere in ogni caso gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana;
c) l’articolo 411 c.c., che, nel dichiarare applicabili all’amministrazione di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388 c.c. (comma 1) e quelle di cui agli articoli 596, 599 e 779 c.c. (comma 2), attribuisce al giudice tutelare il potere di disporre, con il provvedimento di nomina dell’amministratore o in un momento successivo, che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario della misura in esame, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni (comma 4).
Tali disposizioni, consentendo al giudice tutelare di conformare il libero esercizio delle facolta’ del beneficiario e la correlata ampiezza dei poteri d’intervento dell’amministratore in base alle esigenze di protezione della persona e di gestione degl’interessi patrimoniali emergenti da una valutazione in concreto delle condizioni psico-fisiche dell’interessato, forniscono un quadro di estrema duttilita’ dell’istituto, volto a superare l’alternativa secca tra capacita’ ed incapacita’, cui era improntata la precedente disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione, in modo tale da salvaguardare le residue capacita’ del beneficiario, permettendo nel contempo di far fronte ad una molteplicita’ di situazioni tra loro profondamente diverse, non necessariamente permanenti ne’ collegate obbligatoriamente ad uno stato d’infermita’ mentale.
In tema di matrimonio, in presenza di circostanze di eccezionale gravita’, la possibilita’ di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno il divieto previsto dall’articolo 85 c.c., attraverso un apposito provvedimento del giudice tutelare: pur rilevandosi che la diversita’ dell’ispirazione sottesa all’istituto dell’interdizione impedisce una generalizzata applicazione, in via analogica, delle limitazioni che ne derivano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, si e’ infatti ritenuto che il rilievo conferito dal legislatore al best interest di quest’ultimo, posto anche in relazione con la ratio della nuova misura, che ne permette l’utilizzazione anche in situazioni talmente gravi da giustificare in astratto il ricorso all’interdizione, non consenta di escludere a priori la possibilita’ d’imporre il predetto divieto attraverso l’esercizio del potere previsto dall’articolo 411 c.c., comma 4, ove, alla luce dell’interesse protetto dalla norma, la tutela dell’amministrato possa realizzarsi solo con l’estremo sacrificio della liberta’ matrimoniale.
Deve riconoscersi la possibilita’ d’imporre limitazioni alla capacita’ di donare, il cui esercizio da parte del beneficiario dell’amministrazione di sostegno non puo’ ritenersi precluso, in linea generale, dall’articolo 774 c.c., comma 1, avuto riguardo alla previsione dell’articolo 411, comma 2, che estende all’amministratore l’incapacita’ a ricevere prevista dallo articolo 779 per il tutore, ed a quella del terzo comma del medesimo articolo, che dichiara valide le “convenzioni” (ivi comprese, quindi, le donazioni) in favore dell’amministratore che sia coniuge o convivente o parente entro il quarto grado del beneficiario
Ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460
Data udienza 23 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14409/2015 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI RAVENNA;
– intimati –
avverso il decreto della Corte d’appello di Bologna depositato il 30 marzo 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 novembre 2017 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 4 novembre 2014, il Giudice tutelare del Tribunale di Ravenna, su ricorso del Pubblico Ministero, nomino’ un amministratore di sostegno a (OMISSIS), al quale estese anche le limitazioni e i divieti previsti dal codice civile nei confronti degl’interdetti con riguardo alla capacita’ di donare e di testare.
2. Il reclamo proposto dal (OMISSIS) e’ stato rigettato dalla Corte d’Appello di Bologna con decreto del 30 marzo 2015.
Premesso che nella richiesta di nomina dell’amministratore di sostegno ai fini del compimento degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione doveva ritenersi compresa anche l’adozione d’interventi diretti a limitare la capacita’ di porre in essere atti di liberalita’, la Corte ha ritenuto giustificate le restrizioni imposte al reclamante, osservando che con la limitazione della capacita’ di testare prevista per l’interdetto l’articolo 591 c.c. mira a far si’ che le disposizioni di ultima volonta’ siano il frutto di scelte consapevoli compiute in presenza dei necessari requisiti psichici, e rilevando che il reclamante era risultato affetto da prodigalita’, perdite di memoria, mancanza di senso del denaro nonche’ da una certa confusione mentale, tali da comportare un concreto pericolo che eventuali disposizioni testamentarie fossero il frutto delle predette alterazioni. Ha concluso pertanto che correttamente il Giudice tutelare aveva esteso al reclamante le limitazioni riguardanti la capacita’ di donare e di testare, precisando che tale facolta’ poteva essere esercitata anche d’ufficio, una volta iniziato il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno.
3. Avverso il predetto decreto il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Gl’intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 407 e 411 c.c., sostenendo che quest’ultima disposizione esclude la possibilita’ di estendere d’ufficio al beneficiario dell’amministrazione di sostegno le norme dettate per l’interdetto e l’inabilitato, la cui applicazione comporterebbe uno snaturamento della funzione protettiva dell’istituto, caratterizzato da una tendenziale conservazione della capacita’ di agire. Afferma l’improprieta’ del richiamo del decreto impugnato all’articolo 407 c.c., penultimo comma, il quale, nel consentire al giudice tutelare d’intervenire anche d’ufficio, si riferisce esclusivamente alla ipotesi in cui si tratti di modificare o integrare un decreto gia’ emesso, e comunque non permette di applicare d’ufficio norme dettate per l’interdetto o l’inabilitato. Nell’ammettere la possibilita’ di provvedere d’ufficio, la Corte di merito e’ incorsa in contraddizione, avendo contestualmente affermato che la richiesta avanzata dal Pubblico Ministero comprendeva in realta’ quella di applicazione delle norme in materia di donazione e testamento dettate per l’interdetto; tale richiesta, peraltro, non soddisfaceva i requisiti di cui all’articolo 411 c.p.c., u.c., non recando un esplicito riferimento alle limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato ne’ al testamento, non an-noverabile tra gli atti di straordinaria amministrazione.
1.1. Il motivo e’ infondato.
Com’e’ noto, la ratio dell’amministrazione di sostegno e’ stata individuata da questa Corte nell’esigenza di offrire a chi si trovi nell’impossibilita’, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacita’ di agire, ravvisandosi in tale specifica funzione l’elemento caratteristico dell’istituto in esame rispetto agli altri gia’ previsti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6 attraverso la novellazione degli articoli 414 e 427 c.c.. E’ stato tuttavia precisato che, rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non gia’ al diverso, e meno intenso, grado di infermita’ o di impossibilita’ di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneita’ di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilita’ ed alla maggiore agilita’ della relativa procedura applicativa (cfr. Cass., Sez. 1, 26/10/2011, n. 22332; 29/11/2006, n. 25366; 12/06/2006, n. 13584).
La predetta flessibilita’ si realizza principalmente attraverso tre disposizioni, che costituiscono i cardini della disciplina dell’istituto:
a) l’articolo 405 c.c., comma 5, nn. 3 e 4, secondo cui il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve indicare l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere compiere in nome e per conto del beneficiario, nonche’ quelli che quest’ultimo puo’ compiere solo con l’assistenza dell’amministratore;
b) l’articolo 409 c.c., comma 1, che, nel prevedere la conservazione della capacita’ di agire del beneficiario per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore, precisa che il beneficiario puo’ compiere in ogni caso gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana;
c) l’articolo 411 c.c., che, nel dichiarare applicabili all’amministrazione di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388 c.c. (comma 1) e quelle di cui agli articoli 596, 599 e 779 c.c. (comma 2), attribuisce al giudice tutelare il potere di disporre, con il provvedimento di nomina dell’amministratore o in un momento successivo, che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario della misura in esame, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni (comma 4).
Tali disposizioni, consentendo al giudice tutelare di conformare il libero esercizio delle facolta’ del beneficiario e la correlata ampiezza dei poteri d’intervento dell’amministratore in base alle esigenze di protezione della persona e di gestione degl’interessi patrimoniali emergenti da una valutazione in concreto delle condizioni psico-fisiche dell’interessato, forniscono un quadro di estrema duttilita’ dell’istituto, volto a superare l’alternativa secca tra capacita’ ed incapacita’, cui era improntata la precedente disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione, in modo tale da salvaguardare le residue capacita’ del beneficiario, permettendo nel contempo di far fronte ad una molteplicita’ di situazioni tra loro profondamente diverse, non necessariamente permanenti ne’ collegate obbligatoriamente ad uno stato d’infermita’ mentale (cfr. Cass., Sez. 1, 11/09/2015, n. 17962; 22/04/2009, n. 9628).
L’ottica di prevalente tutela della persona e di conseguente valorizzazione delle sue residue capacita’, cui s’ispira la disciplina dell’amministrazione di sostegno rispetto a quella delle altre misure di protezione, maggiormente orientate a favore della salvaguardia della sfera patrimoniale, ha peraltro indotto la prevalente dottrina a dubitare della possibilita’ di ampliare la sfera del potere conformativo riconosciuto al giudice tutelare fino ad includervi la possibilita’ d’imporre restrizioni alla facolta’ di porre in essere gli atti c.d. personalissimi, cioe’ quegli atti (come i negozi familiari, quelli mortis causa, le donazioni) che, non tollerando l’intervento della volonta’ di un terzo in funzione d’intermediazione o integrazione di quella dell’interessato, non possono essere compiuti con la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore. Si e’ infatti osservato che, in quanto volta ad agevolare il pieno dispiegamento della personalita’ del beneficiario, attraverso il superamento degli ostacoli derivanti dall’infermita’ o comunque dalla menomazione che ha dato luogo all’adozione del provvedimento, la disciplina in esame mal si concilia con un sistema di preclusioni, sia pure introdotte caso per caso dalla autorita’ giudiziaria, riguardanti il compimento di atti che rappresentano per ogni individuo una fondamentale manifestazione di liberta’ ed un momento di realizzazione degl’interessi personali.
Tale orientamento non ha incontrato il favore della giurisprudenza di legittimita’, la quale, in tema di matrimonio, ha recentemente riconosciuto, in presenza di circostanze di eccezionale gravita’, la possibilita’ di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno il divieto previsto dall’articolo 85 c.c., attraverso un apposito provvedimento del giudice tutelare: pur rilevandosi che la diversita’ dell’ispirazione sottesa all’istituto dell’interdizione impedisce una generalizzata applicazione, in via analogica, delle limitazioni che ne derivano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, si e’ infatti ritenuto che il rilievo conferito dal legislatore al best interest di quest’ultimo, posto anche in relazione con la ratio della nuova misura, che ne permette l’utilizzazione anche in situazioni talmente gravi da giustificare in astratto il ricorso all’interdizione, non consenta di escludere a priori la possibilita’ d’imporre il predetto divieto attraverso l’esercizio del potere previsto dall’articolo 411 c.c., comma 4, ove, alla luce dell’interesse protetto dalla norma, la tutela dell’amministrato possa realizzarsi solo con l’estremo sacrificio della liberta’ matrimoniale (cfr. Cass., Sez. 1, 11/05/2017, n. 11536).
In termini non diversi, pur dovendosi escludere la possibilita’ di estendere in via analogica al beneficiario dell’amministrazione di sostegno l’incapacita’ prevista dall’articolo 591 c.c., comma 2, n. 2 per l’interdetto, occorre ammettere, conformemente ad un orientamento manifestatosi in dottrina, che il giudice tutelare possa imporre allo stesso, mediante il provvedimento di nomina dell’amministratore o successivamente, una limitazione della capacita’ di testare, ove le condizioni psico-fisiche dell’interessato appaiano compromesse in misura tale da indurre a ritenere che egli non sia in grado di esprimere una libera e consapevole volonta’ testamentaria. Allo stesso modo, deve riconoscersi la possibilita’ d’imporre limitazioni alla capacita’ di donare, il cui esercizio da parte del beneficiario dell’amministrazione di sostegno non puo’ ritenersi precluso, in linea generale, dall’articolo 774 c.c., comma 1, avuto riguardo alla previsione dell’articolo 411, comma 2, che estende all’amministratore l’incapacita’ a ricevere prevista dallo articolo 779 per il tutore, ed a quella del terzo comma del medesimo articolo, che dichiara valide le “convenzioni” (ivi comprese, quindi, le donazioni) in favore dell’amministratore che sia coniuge o convivente o parente entro il quarto grado del beneficiario.
Le obiezioni sollevate in proposito dalla dottrina maggioritaria muovono innanzitutto dal carattere eccezionale dell’incapacita’ di testare, intesa come restrizione della fondamentale liberta’ di compiere un atto che costituisce espressione della sfera sentimentale-affettiva propria di ogni uomo, e dalla conseguente tassativita’ delle ipotesi previste dall’articolo 591 c.c., il quale, nel limitare la predetta incapacita’ all’interdetto, non fa alcun riferimento ad altre figure d’incapaci, primo fra tutti l’inabilitato. Si e’ osservato inoltre che, in quanto destinato ad operare post mortem, l’atto in questione, nel quale trovano spazio disposizioni di carattere non solo patrimoniale, ma anche familiare e personale, non e’ in grado di arrecare alcun pregiudizio al suo autore, mentre gl’interessi dei suoi familiari restano tutelati dalla facolta’ di esercitare l’azione di riduzione, se legittimari, ed in ogni caso dalla possibilita’, prevista dall’articolo 591, comma 2, n. 3, di ottenere l’invalidazione del testamento, ove provino che il suo autore versava, per qualsiasi causa, anche transitoria, in stato d’incapacita’ d’intendere e di volere al momento in cui l’atto fu posto in essere. All’azione di annullamento resterebbe parimenti affidata, in caso di donazione, la tutela dei familiari e dello stesso beneficiario, conformemente alla disciplina dettata dall’articolo 775 c.c.. In linea piu’ generale, si afferma infine che l’estensione dell’incapacita’ di testare e donare al beneficiario dell’amministrazione di sostegno rischia di perpetuare la rigida dicotomia capacita’-incapacita’ che caratterizzava gl’istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, nonche’ la logica patrimonialistica cui gli stessi risultavano prevalentemente improntati, ed il cui superamento costituiva il principale obiettivo perseguito attraverso l’introduzione della nuova disciplina.
In contrario, occorre tuttavia rilevare che la predetta dicotomia e’ destinata inevitabilmente a riemergere in presenza di atti, come quelli personalissimi, rispetto ai quali, a fronte di una grave compromissione delle facolta’ cognitive o volitive dell’autore, non sembrano agevolmente ipotizzabili forme d’intermediazione o integrazione da parte di terzi, a meno che le stesse non si traducano nella prestazione di un consenso al compimento dell’atto, la cui necessita’ si porrebbe pero’ in stridente contrasto con il carattere personale dello stesso e con la valorizzazione della capacita’ del beneficiario, cui tende l’istituto in esame. Significativa, in tal senso, e’ la mancata previsione dell’incapacita’ di testare per il caso dell’inabilitazione, la cui pronuncia, richiedendo che lo stato d’infermita’ mentale non sia talmente grave da far luogo all’interdizione, postula evidentemente il possesso di residue facolta’ cognitive e volitive sufficienti a consentire l’autonoma formazione ed espressione di una volonta’ testamentaria libera e consapevole: non e’ un caso, d’altronde, che, in riferimento all’ipotesi dell’infermita’ mentale, la distinzione tra i presupposti dell’interdizione e quelli dell’inabilitazione resti affidata al diverso grado di menomazione delle facolta’ psichiche, la cui generica individuazione da parte del legislatore impone, nel relativo apprezzamento, di far riferimento, oltre che alla capacita’ di provvedere autonomamente alla cura della propria persona, a quella di porre in essere gli atti che, preclusi all’interdetto, sono invece ordinariamente consentiti all’inabilitato.
Al di la’ di tali considerazioni, peraltro, e’ proprio la generalizzata esclusione del potere d’imporre limitazioni al compimento di singoli atti, anche personalissimi, senza far luogo necessariamente all’interdizione, a riproporre, contro le intenzioni dei suoi stessi sostenitori, quell’alternativa tra capacita’ ed incapacita’, che l’introduzione dell’amministrazione di sostegno mira a superare, in tal modo riducendo le potenzialita’ applicative dell’istituto, in contrasto con gli obiettivi avuti di mira dal legislatore, che sulla diversificazione dei provvedimenti del giudice tutelare ha contato proprio al fine di consentirne l’adeguamento alle peculiarita’ delle singole fattispecie ed alle specifiche esigenze di protezione del beneficiario. E se e’ vero che, in riferimento alla capacita’ di testare, tali esigenze sono destinate a cessare con la morte di quest’ultimo, mentre rispetto sia al testamento che alla donazione quelle di tutela dei familiari possono essere soddisfatte mediante l’impugnazione dell’atto, e’ anche vero, pero’, che, in presenza di situazioni di eccezionale gravita’, tali da indurre a ritenere che il processo di formazione e manifestazione della volonta’ possa andare incontro a turbamenti per l’incidenza di fattori endogeni o di agenti esterni, l’esclusione a priori della capacita’ di testare o donare puo’ rivelarsi uno strumento di tutela assai piu’ efficace non solo dell’interesse di coloro che aspirano alla successione, ma anche della persona del beneficiario, potenzialmente esposta a pressioni e condizionamenti.
Quanto poi alla possibilita’ d’imporre d’ufficio le predette restrizioni, e’ sufficiente richiamare da un lato l’articolo 405 c.c., comma 5, nn. 3 e 4, che, imponendo al giudice tutelare d’individuare gli atti che l’amministratore puo’ compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli che quest’ultimo puo’ compiere solo con l’assistenza dell’amministratore, gli consente di conformare il contenuto del provvedimento alle esigenze di protezione emergenti dall’istruttoria espletata, dall’altro il disposto dell’articolo 407 c.c., comma 4, il quale, in ossequio alle finalita’ pubblicistiche dell’istituto, attribuisce al medesimo giudice il potere di modificare o integrare, anche d’ufficio, in qualsiasi momento le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore, in tal modo confermando che, sebbene il provvedimento debba essere assunto a seguito di ricorso, secondo la testuale previsione dell’articolo 407 c.c., comma 1 e dell’articolo 411 c.c., comma 4, ultimo periodo, nell’adozione delle relative determinazioni il giudice non e’ obbligato ad attenersi alle richieste delle parti.
2. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degl’intimati.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.
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