Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 16 luglio 2018, n. 18335.
La massima estrapolata:
Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1456 c.c. solo quando, all’esito dell’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo; tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifica indicazione delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata
Ordinanza 16 luglio 2018, n. 18335
Presidente Bianchini
Relatore Marcheis
Fatto e diritto
Premesso CHE:
L.S.M. ricorre in cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, depositata l’11 marzo 2014, che ha accolto l’appello proposto dalla società Beni Stabili e ha respinto la domanda da lui fatta valere in primo grado, così riformando la pronuncia del Tribunale di Roma. Il Tribunale aveva accolto la domanda di L. di condanna della società convenuta al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, previo accertamento della risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un appartamento, per grave inadempimento della promittente venditrice Beni Stabili che non aveva rispettato il termine fissato per la stipulazione del contratto definitivo; la società, costituendosi, aveva affermato che il termine previsto (30 novembre 2001) non era essenziale e il ritardo era comunque imputabile a Italgestioni Immobiliari e a Domus Investimenti e chiamava in causa le due società, chiedendo in via principale il rigetto della domanda e in via subordinata di essere manlevata dalle società chiamate in garanzia.
Resiste con controricorso la società Beni Stabili.
Le intimate Italgestioni Immobiliari e Domus Investimenti non hanno proposto difese.
Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.
Considerato CHE:
I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
a) Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la Corte d’appello pronunciato d’ufficio su fatti che non sono stati prospettati dall’appellante, in particolare in relazione alla qualificazione quale non inadempimento grave del silenzio tenuto dalla promittente venditrice a partire dalla comunicazione del recesso da parte del promissario acquirente sino alla citazione in giudizio.
Il motivo è infondato. Esso censura non l’esame di un fatto non allegato, ma la diversa valutazione operata dalla Corte d’appello, rispetto al giudice di primo grado, di un fatto pacificamente acquisito al processo, valutazione, quella del primo giudice, censurata dalla società Beni Stabili con i primi due motivi d’appello, così che nella decisione non è ravvisabile il vizio di ultra petizione.
b) Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi: il secondo contesta violazione ed errata applicazione dell’art. 1457 c.c. per avere la Corte d’appello negato valore di termine essenziale alla data fissata per la stipulazione del contratto definitivo, dopo aver condotto una indagine limitata al solo profilo oggettivo, senza considerare le motivazioni personali del ricorrente; il terzo lamenta violazione degli artt. 1455 e 1453 c.c. per non avere ritenuto rilevante l’inadempimento costituito dalla mancata stipulazione del definitivo alla data fissata, passando ‘sotto la lente di ingrandimento’ gli interessi perseguiti dall’attore e invece limitandosi a esaminare ‘en passant’ il contegno della società Beni Stabili.
I motivi sono infondati. L’accertamento dell’essenzialità del termine, l’importanza dell’inadempimento, il comportamento tenuto dalle parti nell’esecuzione del contratto rientrano nella sfera di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile davanti a questa Corte di legittimità ove congruamente e plausibilmente motivato. Nel caso di specie la Corte d’appello da un lato ha considerato che i motivi soggettivi allegati dal ricorrente non traspaiono dal testo del contratto, e in particolare dalla lettura della clausola 6, e dall’altro lato ha valorizzato, ai fini della valutazione dell’importanza dell’inadempimento, la nota del 7 dicembre 2001 con la quale il ricorrente, dopo soli sette giorni dalla scadenza del termine per la stipulazione del contratto definitivo, aveva dichiarato di ritenere risolto il contratto preliminare concluso. La pronuncia è così coerente con l’orientamento di questa Corte, per cui ‘il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1456 c.c. solo quando, all’esito dell’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo; tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione ‘entro e non oltre’ quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifica indicazione delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata’ (Cass., 21838/2010).
c) Il quarto motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e degli artt. 4 e 11, comma 2, del d.m. 140/2012: la Corte d’appello ha condannato il ricorrente alle spese di entrambi i gradi di giudizio ‘senza dare contezza di quanto liquidato per ogni singola fase del giudizio’, così violando l’art. 11, comma 2 del citato d.m., che recita ‘il compenso è liquidato per fasi’.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello ha liquidato le spese di entrambi i gradi del giudizio distintamente liquidando quelle relative al primo grado e quelle concernenti il grado d’appello, così che, non lamentando il ricorrente la mancata considerazione di specifiche fasi del giudizio ovvero il superamento dei limiti massimi stabiliti dal citato d.m., l’invocata violazione non sussiste.
II. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-bis del d.p.r. n. 115/2002, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
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