Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 giugno 2021| n. 16892.
Cassazione e l’onere del ricorrente della produzione degli atti.
In tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’articolo 369, comma 2, n. 4, del Cpc, così come modificato dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 40 del 2006, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’articolo 369, comma 3, del Cpc, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex articolo 366, n. 6, del codice di procedura civile, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.
Ordinanza|15 giugno 2021| n. 16892. Cassazione e l’onere del ricorrente della produzione degli atti
Data udienza 3 febbraio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Ricorso per revocazione – Pronuncia di inammissibilità – Impugnazione – Difetto di autosufficienza delle censure – Mancata produzione degli atti e dei documenti richiamati – Rigetto – Cassazione e l’onere del ricorrente della produzione degli atti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35054/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di erede di (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliate in Roma, presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS) (lorenzospallina.ordineavvocatiroma.org (OMISSIS)
(OMISSIS)
(OMISSIS) SAS. e (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1451/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 05/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
Cassazione e l’onere del ricorrente della produzione degli atti
RITENUTO
che:
1. (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) a r.l., ricorre, affidandosi a due motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo che aveva dichiarato inammissibile la revocazione proposta avverso la pronuncia della stessa Corte con la quale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, la societa’ era stata condannata al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore dei (OMISSIS) s.a.s., conseguenti alla risoluzione del contratto di affitto di azienda a suo tempo stipulato.
1.1. Per cio’ che interessa in questa sede:
a. la (OMISSIS) s.a.s (da ora (OMISSIS)) e la (OMISSIS) a r.l. (da ora Alimentari) avevano stipulato un contratto d’affitto di azienda, avente per oggetto l’esercizio commerciale per la vendita di alimentari con annessa cucina per produzione di cibi e pasti, a seguito del quale il medesimo esercizio commerciale era stato subaffittato ad una societa’ (” (OMISSIS) srl”) per la gestione di un bar, e ad una ditta individuale ( (OMISSIS)), per l’esercizio di una trattoria pizzeria;
b. la (OMISSIS) era stata evocata in giudizio dalla societa’ subaffittuaria, in quanto non era riuscita ad ottenere la voltura dell’autorizzazione amministrativa per mancanza del certificato di agibilita’, necessario per l’avvio dell’attivita’ commerciale; e, nell’ambito di quel giudizio, aveva chiamato in causa la (OMISSIS) chiedendo la risoluzione del contratto di affitto per inadempimento, visto che il bene locato non era idoneo per l’uso pattuito;
c. la (OMISSIS), nel costituirsi, aveva lamentato alcune inadempienze della parte attrice chiedendo, a sua volta, la risoluzione del contratto;
d. Il Tribunale di Palermo dichiaro’ risolto il contratto fra (OMISSIS) ed (OMISSIS) per prevalente inadempimento di quest’ultima che venne condannata al rilascio dell’azienda, oltre che alla restituzione in favore della (OMISSIS) srl, dei canoni di affitto ricevuti in relazione al contratto di subaffitto, anch’esso dichiarato risolto proprio in ragione del fatto che i locali ceduti erano privi del certificato di agibilita’; la sentenza venne confermata dalla Corte d’Appello ed il successivo ricorso per cassazione fu dichiarato inammissibile;
e. la domanda di revocazione proposta dinanzi alla medesima Corte territoriale, definita con la sentenza oggetto del presente giudizio di legittimita’, si fondava sulla falsita’, accertata (in thesi) in sede penale, del contenuto della perizia asseverata che aveva costituito il presupposto per il successivo rilascio delle autorizzazioni per le modifiche strutturali apportate, poi ritenuto inidoneo per ottenere il certificato di agibilita’ dell’immobile (necessario per la voltura delle licenze commerciali), e decisivo, in thesi, per l’esito sfavorevole alla (OMISSIS) della controversia sopra descritta.
2. Hanno resistito le parti intimate (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS) e gia’ socie della (OMISSIS) s.a.s., con controricorso illustrato anche da memoria.
3. La controversia e’ stata decisa in adunanza camerale ex articolo 380 bis.1 c.p.c..
Cassazione e l’onere del ricorrente della produzione degli atti
CONSIDERATO
che:
1. Con il prima motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (ritenendosi un evidente lapsus calami il riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 2), il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 395 c.p.c., in ordine dichiarazione di inammissibilita’ della domanda di revocazione: lamenta l’erronea interpretazione della Corte della norma richiamata, per mancanza di riferimento all’ipotesi specifica dedotta assumendo che, dal decreto di archiviazione conseguente alla querela proposta contro ignoti per truffa, falso, omissioni ed abuso di ufficio, poteva, comunque, desumersi che ci fosse stata, in sede penale, una valutazione della falsita’ dell’operato del perito dalla quale era derivato l’esito, a lui sfavorevole, della controversa risarcitoria.
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 395 c.p.c., n. 2, in ordine alla pretesa insussistenza della dedotta falsita’: il ricorrente deduce che essa doveva essere ricondotta alla perizia svolta che aveva falsamente attestato l’altezza dei soppalchi collocati a quota inferiore a quella dichiarata ed asseverata, con cio’ precludendo il rilascio del certificato di agibilita’.
2.1. Il primo motivo mostra, preliminarmente, profili di inammissibilita’.
2.2. La censura, infatti, e’ stata articolata omettendo di riprodurre, sia direttamente, sia indirettamente il contenuto dell’atto di citazione per revocazione che avrebbe, in thesi, rispettato il requisito di ammissibilita’ ritenuto, invece, violato dalla Corte territoriale; ne’ il ricorrente ha provveduto, a mente del paradigma di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, a “localizzare” l’atto indicando la sede processuale in cui potesse essere rinvenuto dal Collegio (in particolare, se fosse presente in quello che si definisce, in chiusura del ricorso, “fascicoletto contenente fotocopia dei documenti cui si e’ fatto riferimento nel presente ricorso” (cfr. pag. 14 del ricorso sub 5) non indicando neanche di voler fare riferimento alla presenza della domanda di revocazione nel fascicolo d’ufficio.
2.3. Al riguardo, questa Corte ha affermato che “in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, cosi’ come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di impriocedibilita’ del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” e’ soddisfatto, sulla base del principio di strumentalita’ dalle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale i casi siamo contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 3, ferma in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilita’ ex articolo 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi” (cfr. Cass. S.U. 22726/2011; Cass. 21554/2017; Cass. 11599/2019).
3. Tanto premesso si osserva che il motivo e’ comunque, infondato in quanto il dovere del ricorrente di indicare quale ipotesi di revocazione intenda denunciare con riferimento all’articolo 398 c.p.c. – sulla cui violazione si e’ fondata la prima statuizione della Corte territoriale – e’ prescritto letteralmente dall’articolo 398 c.p.c. “a pena di inammissibilita’; la Corte territoriale, in assenza della specificazione postulata, “ha correttamente applicato la norma evocata dovendosi precisare, al riguardo, che la giurisprudenza richiamata dal ricorrente – secondo cui “il giudice della revocazione puo’, nell’ambito dei poteri di cui all’articolo 112 c.p.c., in sede di interpretazione della domanda riportare l’inquadramento preciso del fatto revocatorio sotto una delle previsioni dell’articolo 395 c.p.c., in diffornmita’ dell’indicazione datane dal richiedente, purche’ non si tratti di fatto ontologicamente diverso da quello dedotto dall’istante” (Cass. 3440/2006, Cass. 11865/2012) riafferma il principio generale che affida al giudice il potere di qualificazione della domanda, il quale tuttavia postula come premesso, che l’attore abbia provveduto ad allegare a quale ipotesi della norma intenda riferirla.
4. A cio’ si aggiunge che la decisione dei giudici d’appello si fonda su una seconda ratio decidendi coerente con la giurisprudenza di questa Corte: anche rispetto ad essa, la censura proposta risulta infondata.
4.1. Questo Collegio, condivide, infatti, il principio secondo il quale la falsita’ della prova deve essere accertata con sentenza passata in giudicato, laddove, nel caso in esame, essa e’ stata affermata nella incidentale statuizione contenuta nel decreto di archiviazione per prescrizione pronunciato in sede penale dal GIP sul
Procedimento proposto per querela per falso.
4.2. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che:
a. “il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex articolo 409 c.p.p., per la sua censura di atto giudiziale non definitivo, non integra accertamento della falsita’ di una prova che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 27, (cfr. Cass. 156/2015);
b. “l’articolo 395 c.p.c., richiedendo, quale presupposto dell’istanza di revocatoria, che si sia giudicato in base a prove “dichiarate false”, postula che tale accertamento sia avvenuto con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione di detta istanza” (cfr. Cass. 28653/2017; 1590/2020);
4.3. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi sopra richiamati, ragione per cui la censura e’ priva di giudicato fondamento.
5. Il secondo motivo rimane logicamente assorbito dalle argomentazioni articolate sulla prima censura.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
8. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui e’ tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla spesa del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 6000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui e’ tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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