Cassazione e la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 marzo 2023| n. 6394.

Cassazione e la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Esula dall’ambito applicativo degli articoli 115 e 116 cpc ogni questione che involga il modo in cui siano stati valutati dal giudice di merito gli elementi acquisiti, come pure il vizio ex articolo 360, primo comma, n. 5, del cpc, considerato, peraltro, che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, con la conseguenza che la denunzia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa.

Ordinanza|3 marzo 2023| n. 6394. Cassazione e la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Data udienza 9 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Compravendita – Restituzione di caparra confirmatoria – Avveramento della condizione risolutiva – Modifica degli indici di edificabilità – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina – rel. Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11198/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Francesco A. Scorsone e Caterina Zuardi Scorsone, elettivamente domiciliati presso il loro Studio Legale Associato in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.A.S. (gia’ (OMISSIS) s.a.s.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura a margine dell’atto di appello, dagli avv.ti Umberto e Lorenzo Monacchia, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura rilasciata a margine dell’atto di appello, dagli avv.ti Umberto e Lorenzo Monacchia, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6267/2019, pubblicata in data 18 ottobre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2023 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

Cassazione e la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, sulla base di sei motivi, nei confronti di (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.a.s., per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata che, riformando parzialmente la sentenza n. 2910/2013 del Tribunale di Roma, ha accolto in parte l’appello proposto dal (OMISSIS) ed integralmente quello proposto dalla (OMISSIS) s.a.s., rigettando le opposizioni avverso il decreto ingiuntivo n. 10123/08, emesso nei loro confronti su istanza della Edil 2005, e avverso il decreto ingiuntivo n. 16365/08, emesso nei loro confronti su istanza del (OMISSIS).
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che:
a) la (OMISSIS) s.a.s. aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo, nei loro confronti, per il pagamento della somma di Euro 150.000,00, oltre interessi, a titolo di restituzione dell’importo corrispondente alla caparra confirmatoria, versata in relazione al contratto preliminare di compravendita, sottoscritto in data 19 luglio 2002 – con il quale i coniugi si erano impegnati a cedere un terreno edificabile, sul quale la societa’ avrebbe dovuto realizzare un edificio – asseritamente divenuto inefficace a seguito dell’avveramento della condizione risolutiva prevista all’articolo 7 del medesimo contratto, laddove era stato convenuto che qualora l’indice di edificabilita’ fosse diminuito per effetto della modifica del piano regolatore generale prima del ritiro della concessione il contratto avrebbe perso efficacia;
b) in data 11 novembre 2008 l’arch. (OMISSIS) aveva chiesto ed ottenuto, nei loro confronti, dal Tribunale di Roma altro decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 42.580,81, quale compenso per l’incarico asseritamente ricevuto di “progettare la costruzione di un edificio residenziale in Roma, via Predosa, e di chiedere la concessione edilizia al Comune di Roma”;
c) avevano proposto opposizione avverso entrambi i decreti ingiuntivi e, a seguito di riunione dei relativi giudizi di opposizione, il Tribunale di Roma aveva dichiarato legittimo il recesso dal contratto preliminare esercitato dagli opponenti, accertando il diritto degli stessi di trattenere la somma di Euro 150.000,00 ricevuta a titolo di caparra confirmatoria e condannando l’arch. (OMISSIS) al risarcimento dei danni subiti dagli opponenti, liquidati in complessivi Euro 50.000,00;
d) in particolare, il Giudice di primo grado aveva rilevato l’inesistenza di una pattuizione che imponesse ai promittenti venditori di sostenere i costi di progettazione, accertando che dette spese, riguardando l’intero complesso immobiliare da edificare, all’interno del quale si trovavano i tre appartamenti che avrebbero dovuto essere ceduti ai promittenti venditori dell’area, oggetto del contratto preliminare, erano a carico della Edil 2005; aveva ritenuto fondata la domanda riconvenzionale di accertamento del diritto di recesso con ritenzione di caparra ed infondata la domanda restitutoria, non essendo la pratica di rilascio della concessione edilizia rispettosa di alcuni parametri; aveva accolto, altresi’, la domanda risarcitoria svolta nei confronti del (OMISSIS) per la perdita di valore del terreno a causa della riduzione degli indici di edificabilita’.
3. Avverso detta sentenza hanno interposto distinti gravami l’arch. (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.a.s. e, a seguito di riunione, la Corte d’appello di Roma ha confermato la revoca del decreto ingiuntivo per competenze professionali e riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva condannato l’arch. (OMISSIS) al risarcimento dei danni, evidenziando, che:
a) la prova per testi aveva consentito di acclarare che l’incarico di redigere il progetto era stato conferito all’architetto dall’impresa Edil 2005 e non dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS); b) la rappresentata grave negligenza dell’architetto era sconfessata dalla stessa prospettazione degli eventi fatta dagli appellati al giudice amministrativo, dalla quale emergeva che il mancato ottenimento della concessione era dipeso prima dallo smarrimento della pratica e poi dalle lungaggini e negligenze del Comune che aveva rigettato l’istanza senza esaminare i documenti integrativi o consentire ulteriori integrazioni; c) il fatto che la cessione degli appartamenti costituisse parte del corrispettivo della vendita del terreno faceva ritenere che l’impresa avesse inteso accollarsi il costo delle spese di progettazione.
Con riguardo all’appello di (OMISSIS) s.a.s. la Corte territoriale ha, poi, osservato che il fatto futuro e incerto che condizionava l’efficacia del contratto preliminare, ossia la modifica degli indici di edificabilita’, si era verificato in data 17 aprile 2003, di talche’ non era comprensibile il riferimento, contenuto nella sentenza del Tribunale, al mancato avveramento della condizione; ha, inoltre, escluso che si fosse formato un giudicato interno sulla statuizione del giudice di primo grado che aveva ritenuto legittimo il recesso dei promittenti venditori ed il loro diritto alla ritenzione della caparra, posto che la societa’ appellante aveva, sul punto, espressamente censurato la sentenza per omessa motivazione; alla stregua di tali motivi, ha riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accertato la legittimita’ del recesso ed il diritto alla ritenzione della caparra.
4. Resistono con autonomi controricorsi (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s.
5. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. cod. proc civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
In prossimita’ dell’adunanza camerale tutte le parti hanno depositato memorie ex articolo 380-bis.1. c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce, “relativamente alla statuizione in favore della (OMISSIS) indicato sia come motivo 3 che come motivo 5 in sentenza, la violazione dell’articolo 360, n. 4, con riferimento alla violazione delle norme di cui agli articoli 112 e 132 c.p.c. per vizio di ultra/extra petizione, error in procedendo e per non avere la Corte territoriale rilevato il vizio di cui all’articolo 342 c.p.c. per difetto di specificita’ dei motivi di appello”.
I ricorrenti, oltre a denunciare la mancanza di specificita’ dei motivi di appello, sostengono che la (OMISSIS) s.a.s. nei propri scritti difensivi non ha mosso contestazioni alla statuizione, contenuta nella sentenza del Tribunale, di declaratoria di intervenuto recesso dal contratto preliminare, ne’ ha mai avanzato domanda di restituzione della somma versata a titolo di caparra, di talche’ la decisione dei giudici di appello viola il principio di corrispondenza tra quanto chiesto e quanto pronunciato e non risulta rispettosa dell’onere di esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento del decisum.
Il motivo e’ infondato.
Come emerge dalle conclusioni rassegnate nell’atto di appello, riportate nel ricorso per cassazione e nella sentenza impugnata, la societa’ appellante, odierna controricorrente, ha chiesto la integrale riforma della sentenza di primo grado e la conferma del decreto ingiuntivo n. 10132/2008, emesso dal Tribunale di Roma, e, quindi, la condanna degli odierni ricorrenti al pagamento della somma di Euro 150.000,00, originariamente pretesa a titolo di rimborso della caparra confirmatoria, cosi’ censurando la decisione del Tribunale che, riconoscendo la legittimita’ del recesso dal contratto, aveva, invece, ritenuto che i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) potessero legittimamente trattenere l’importo richiesto. Del tutto correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso la formazione del giudicato interno, rilevando peraltro che la (OMISSIS) s.a.s. aveva espressamente impugnato la sentenza di primo grado per “omessa motivazione”.
Non e’, per tali ragioni, ravvisabile il vizio di difetto assoluto di motivazione, dovendosi ribadire il principio piu’ volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione e’ solo apparente e, quindi, nulla perche’ affetta da error in procedendo, quando, benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232); trattasi di grave anomalia motivazionale che non investe la sentenza impugnata che non si pone al di sotto del “minimo costituzionale”.
Neppure puo’ dirsi sussistente la violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, che ricorre ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (Cass., sez. 6 – 5, 03/07/2019, n. 17897). Ebbene, alla luce di tale principio, la sentenza impugnata non merita censura, atteso che la (OMISSIS) s.a.s. si e’ riportata a tutte le ragioni e argomentazioni poste a fondamento della pretesa fatta valere in sede monitoria e nel giudizio di primo grado, alle quali fa riferimento la Corte d’appello, che non ha, quindi, oltrepassato i confini della domanda formulata.
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza, “(Relativamente alla statuizione in favore della (OMISSIS) indicato come motivo 1 in sentenza) per violazione dell’articolo 360, comma 1, n. 3 per aver ritenuto erroneamente applicate dal primo giudice le norme ex articoli 1358 e 1359 c.c. nonche’ ex articoli 1362 e 1363 c.c. ed ancora articolo 1385 c.c., comma 2, e cosi’ falsamente applicate dalla Corte territoriale dette norme” e si deduce che la Corte d’appello, nell’esaminare l’articolo 7 del contratto concluso con la (OMISSIS) s.a.s., non ha fatto corretta applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale.
Il motivo e’ inammissibile.
Posto che l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., sez. 1, 09/04/2021, n. 9461).
Nell’illustrazione del motivo i ricorrenti si limitano ad addebitare alla sentenza la violazione dei criteri di cui agli articoli 1362 e 1363 c.c., assumendo in modo estremamente generico che il giudice d’appello non avrebbe “fatto alcun riferimento alla effettiva volonta’ delle parti, alle loro determinazioni ed anche con riferimento al tempo dell’accordo (19 luglio 2002) ed al tempo gia’ noto alle parti di entrata in vigore dei nuovi indici (17 aprile 2003) con un lasso di tempo di ben otto mesi ben sufficiente per l’approvazione del progetto qualora l’attivita’ del tecnico, prescelto dalla societa’, fosse stata corretta”; omettono, tuttavia, di specificare le ragioni per le quali l’esegesi ritenuta dal giudice di merito sarebbe errata e per quale ragione il criterio che si assume violato risulterebbe male applicato dall’esegesi seguita dal giudice di merito.
Con riguardo alle ulteriori violazioni (articoli 1358, 1359 e 1385 c.c.) contestate con il mezzo in esame, la censura difetta di specificita’ e non risulta esplicata e comprensibile, perche’ i ricorrenti si limitano a richiamare stralci della motivazione della sentenza senza spiegare i motivi per i quali la sentenza impugnata si riveli contrastante con le norme evocate.
3. Con il terzo motivo – “(con riferimento all’accoglimento delle domande di entrambi gli appellanti relativamente ai capi di assenza di loro responsabilita’ in ordine ai danni subiti dai signori (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ di validita’ ed applicabilita’ della clausola di “nullita’ del contratto” e che la mancata approvazione del progetto e’ dipesa non da responsabilita’ dell’arch. La Ferrata bensi’ ed unicamente dall’entrata in vigore del nuovo Piano regolatore del Comune di Roma)” – si denuncia “Violazione dell’articolo 360, nn. 4 e 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla violazione delle norme di cui all’articolo 115 c.p.c., comma 1, e articolo 116 c.p.c., nullita’ della sentenza per avere la Corte omesso di esaminare, allegato sin dal n. 1 delle osservazioni dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo quanto ivi dedotto ed eccepito (pagg. da 2 a 8) ivi compresi anche i richiamati atti e documenti allegati anch’essi al fascicolo di parte come documenti 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 12, 14, 19, 21, 31, 32, 33 e 34 ed ora nel fascicolo ex articolo 369 c.p.c., n. 4 con i nn. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26, tutti decisivi per dimostrare che sulla base di essi qualora il progetto fosse stato correttamente eseguito esso sarebbe stato regolarmente approvato”.
I ricorrenti si dolgono che i giudici di appello avrebbero omesso di valutare le risultanze istruttorie, indicate dalle parti come decisive, ed in particolare la documentazione comprovante, da una parte, come la Determinazione del Comune di Roma che aveva respinto il progetto dell’arch. (OMISSIS) attestasse che era stato esaminato prima del termine di entrata in vigore del nuovo Piano Regolatore e, dall’altra, che ove il progetto fosse stato correttamente redatto sarebbe stato approvato nei tempi previsti. Soggiungono che la prova testimoniale aveva consentito di accertare che le spese di progettazione e di rilascio della concessione erano a carico della societa’, essendo stato l’incarico conferito dalla (OMISSIS) s.a.s., e che l’arch. (OMISSIS) non aveva dimostrato che la propria attivita’ era esente da responsabilita’.
Il motivo e’ inammissibile.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, “per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c.” (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867; Cass., sez. U, 05/08/2016, n. 16598).
Il presupposto della violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ invece che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura e’ ammissibile, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui e’ ancora consentito il sindacato di legittimita’ sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle stesse Sezioni unite (Cass., sez. U, n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34474; Cass., sez. U, n. 20867/20, cit.).
Le critiche che i ricorrenti rivolgono alla sentenza si risolvono, in effetti, al di la’ dell’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, in una contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito e non e’, pertanto, inquadrabile ne’ nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892); e cio’ sia perche’ la contestazione della persuasivita’ del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non piu’ censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia perche’ con il ricorso per cassazione la parte non puo’ rimettere in discussione, contrapponendovi la propria, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimita’ (Cass., sez. 6-5, 15/05/2018, n. 11863; Cass., sez. 6-5, 17/12/2017, n. 29404; Cass., sez. 1, 02/08/2016, n. 16056).
Infatti, ammettere in sede di legittimita’ la verifica della sufficienza o della razionalita’ della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella decisione impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass., sez. U, 2018, n. 28220).
Va, dunque, ritenuta insussistente la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., poiche’ esula dall’ambito applicativo delle predette disposizioni ogni questione che involga il modo in cui siano stati valutati dal giudice di merito gli elementi acquisiti, come pure il vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, considerato, peraltro, che il mancato esame di un documento puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento, con la conseguenza che la denunzia in sede di legittimita’ deve contenere, a pena di inammissibilita’, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass., sez. 5, 05/12/2014, n. 25756; Cass., sez. 3, 26/06/2018, n. 16812).
4. Con il quarto motivo – “(Relativamente all’accoglimento delle domande dell’arch. (OMISSIS) in ordine ai motivi indicati con i numeri 3, 4 di assenza di sua responsabilita’ in ordine alla mancanza approvazione del progetto e alla mancata responsabilita’ per danni nei confronti dei signori (OMISSIS) e (OMISSIS))” – si deduce “Violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla violazione delle norme di cui all’articolo 115 c.p.c., comma 1 e articolo 116 c.p.c., nullita’ della sentenza per avere la Corte omesso di esaminare, allegato sin dal n. 1 delle osservazioni dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo quanto ivi dedotto ed eccepito (pagg. da 2 a 8) ivi compresi anche i richiamati atti e documenti allegati anch’essi al fascicolo di parte come doc.ti 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 12, 14, 19, 21, 31, 32, 33 e 34 ed ora nel fascicolo ex articolo 369 c.p.c., n. 4 con i n. ri 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 26, decisivi per dimostrare che sulla base di essi qualora il progetto fosse stato correttamente eseguito esso sarebbe stato regolarmente approvato. Mancata applicazione delle norme di cui agli articoli 2229 e segg. c.c.”.
I ricorrenti rimarcano che tutti i documenti prodotti attestano che la mancata approvazione del progetto era stata determinata dalle lacune e dagli errori dell’arch. (OMISSIS) che aveva determinato l’inutile decorso del tempo e la possibilita’ di vedere approvato il progetto nei tempi usuali.
Il motivo e’ inammissibile perche’ non e’ volto a denunciare vizi di violazioni. di legge, ma a riproporre questioni di fatto gia’ sottoposte all’esame dei giudici di merito ed a sollecitare, da parte di questa Corte, una diversa ricostruzione della vicenda fattuale, in contrapposizione con quella operata dai giudici di appello, preclusa in sede di legittimita’.
La Corte territoriale ha acclarato che la responsabilita’ contestata all’arch. (OMISSIS) si scontra con la prospettazione dei fatti sviluppata dagli stessi ricorrenti con la impugnazione proposta dinanzi al giudice amministrativo, con la quale avevano lamentato che la domanda di concessione edilizia era stata respinta non in conseguenza di eventuali errori ascrivibili all’architetto, ma a causa della condotta del Comune che aveva dapprima smarrito la pratica e, successivamente, allungato i tempi di approvazione, rendendo in tal modo impossibile ottenere l’atto amministrativo sulla base delle prescrizioni del vecchio piano regolatore, essendo stato, nell’aprile 2003, approvato il nuovo piano regolatore che aveva modificato gli indici di edificabilita’ del terreno oggetto del contratto preliminare. Trattasi di apprezzamento di fatto, che non puo’ essere posto in discussione in questa sede mediante il mero richiamo ai numerosi documenti prodotti nel corso del giudizio di merito, di cui si omette di specificare la decisivita’ ai fini di una diversa valutazione della condotta dell’arch. (OMISSIS).
5. Con il quinto motivo – “(Relativamente alla statuizione in favore dell’arch. (OMISSIS) concernente all’annullamento della pronuncia risarcitoria contenuta nella sentenza di primo grado disposta dalla Corte territoriale)” – si denuncia la “Violazione dell’articolo 360, n. 4, con riferimento alla violazione delle norme di cui agli articoli 112, 132 e 342 c.p.c. per vizio di ultra/extra petizione, error in procedendo e per non avere la Corte territoriale rilevato il vizio di cui all’articolo 342 c.p.c. per difetto di specificita’ dei motivi di appello”.
I ricorrenti si dolgono che i giudici di secondo grado hanno respinto la domanda risarcitoria dagli stessi svolta nei confronti dell’architetto (OMISSIS) e sostengono che nell’atto di impugnazione, pur richiedendo la riforma integrale della sentenza di primo grado e la conferma del decreto ingiuntivo, l’architetto nella narrativa dell’atto difensivo nulla aveva dedotto a contestazione dell’intervenuta condanna, ne’ mosso critiche al passo motivazionale riguardante tale pronuncia, cosicche’ la sentenza qui impugnata sarebbe stata emessa in violazione delle disposizioni normative denunciate.
Il motivo e’ in parte infondato ed in parte inammissibile.
Come gia’ evidenziato al § 1), il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (Cass., sez. 6 – 5, 03/07/2019, n. 17897).
Alla stregua di tale principio, la sentenza impugnata non merita censura, atteso che la Corte d’appello, accertata l’assenza di responsabilita’ in capo all’architetto, ha del tutto correttamente escluso che lo stesso potesse essere tenuto al risarcimento del danno, in favore degli odierni ricorrenti, per la perdita di valore del terreno derivante dalla riduzione degli indici di edificabilita’.
La doglianza e’, invece, inammissibile la’ dove si denuncia la violazione dell’articolo 342 c.p.c..
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessita’ di consentire al giudice di legittimita’ di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – trova applicazione anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali siano contestati errori da parte del giudice di merito; ne discende che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullita’ dell’atto di appello per genericita’ dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte; l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso (Cass., sez. 1, n. 29495 del 23/12/2020; Cass., sez. L, 04/02/2022, n. 3612).
Tale onere non e’ stato assolto dagli odierni ricorrenti.
6. Con il sesto motivo – “(Relativamente, sempre, alla statuizione in favore dell’arch. (OMISSIS) concernente l’annullamento della pronuncia risarcitoria contenuta nella sentenza di primo grado disposta dalla Corte territoriale)” – i ricorrenti censurano la decisione impugnata per “violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con riferimento all’articolo 111 Cost. e all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per essere la sentenza priva di motivazione in punto di accoglimento dell’appello e di mancata pronuncia sulla domanda di manleva”. Lamentano che, laddove i giudici di appello hanno respinto la domanda risarcitoria e di manleva, la sentenza non offre argomentazioni definibili quale motivazione, poiche’ non da’ conto delle ragioni su cui poggiano il loro convincimento.
In conformita’ all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232), la motivazione addotta dal giudice e’ tale da consentire di comprendere le ragioni e, quindi, l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, posto che, come gia’ detto, la Corte d’appello, dopo avere escluso che gli odierni ricorrenti avessero intrattenuto un rapporto contrattuale con il (OMISSIS) ed avere affermato che l’incarico di progettare il complesso immobiliare era stato conferito all’architetto dalla (OMISSIS), ha, come inevitabile conseguenza, escluso che il (OMISSIS) potesse rispondere dei danni lamentati dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) e che potesse essere tenuto a manlevarli.
La motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetica, consente di comprendere il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello e, pertanto, sfugge alla censura ad essa rivolta.
7. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto che con le memorie depositate i controricorrenti si limitano a dichiarare “di non dover aggiungere altro rispetto a quanto gia’ dedotto ed argomentato con il controricorso ex articolo 370 c.p.c.” e ad insistere nell’accoglimento delle conclusioni gia’ rassegnate, che vengono riprodotte, senza minimamente illustrare le argomentazioni difensive.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della (OMISSIS) s.a.s., delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore di (OMISSIS)7Ferrara (OMISSIS), delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

 

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