Azioni a difesa della proprietà e l’azione di rilascio o consegna

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|22 luglio 2021| n. 21067.

Azioni a difesa della proprietà e l’azione di rilascio o consegna.

In tema di azioni a difesa della proprietà, le difese di carattere petitorio opposte, in via di eccezione o con domande riconvenzionali, a un’azione di rilascio o consegna non comportano – in ossequio al principio di disponibilità della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – una mutatio o emendatio libelli, ossia la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, né, in ogni caso, implicano che l’attore sia tenuto a soddisfare il correlato gravoso onere probatorio inerente le azioni reali (cosiddetta probatio diabolica), la cui prova, idonea a paralizzare la pretesa attorea, incombe solo sul convenuto in dipendenza delle proprie difese.

Ordinanza|22 luglio 2021| n. 21067. Azioni a difesa della proprietà e l’azione di rilascio o consegna

Data udienza 22 gennaio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio – Eccezione del convenuto relativa alla proprietà esclusiva di un bene ritenuto condominiale dagli attori – Mancata formulazione di apposita domanda riconvenzionale – Esclusione della necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri condomini – Mancata prova della proprietà esclusiva del terrazzo – Proprietà condominiale – Negozio atipico di concessione in godimento – Natura temporanea – Possibilità di recesso in qualsiasi momento – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
sul ricorso 10417-2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS) in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
Condominio (OMISSIS) di (OMISSIS), in persona dell’amministratore p.t. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente –
nei confronti di:
(OMISSIS), rappresentato e difeso in proprio, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza n. 62/16 della CORTE d’APPELLO di SALERNO, depositata il 27/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Azioni a difesa della proprietà e l’azione di rilascio o consegna

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione dell’11.3.1995 il Condominio (OMISSIS) di (OMISSIS), in persona dell’amministratore p.t., conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Salerno (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo: la declaratoria di nullita’ delle Delib. assembleari 29 maggio 1973 e Delib. 7 febbraio 1984 per la mancata convocazione di tutti i condomini e per mancanza della richiesta unanimita’; la declaratoria del diritto del Condominio a riavere la piena disponibilita’ della terrazza condominiale, libera da persone e cose; la condanna dei convenuti alla rimozione delle due verande installate sulla terrazza e al ripristino del preesistente stato dei luoghi; la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione della terrazza e al pagamento delle spese processuali. Esponeva che con le suddette delibere i convenuti erano stati autorizzati a installare due verande sulla terrazza condominiale, ubicata sullo stesso piano dei loro appartamenti, con concessione limitata nel tempo e dietro corrispettivo e a condizione che tutti i condomini, anche quelli non presenti in assemblea, prestassero il relativo consenso scritto; che con successiva Delib. 20 ottobre 1988 entrambe le autorizzazioni erano state revocate dall’assemblea, dopo aver preso atto che la condomina (OMISSIS) non aveva prestato il consenso scritto alla realizzazione dei manufatti; che, nonostante la revoca, i convenuti non avevano provveduto a rimuovere le verande, cosi’ privando gli altri condomini dell’uso del terrazzo.
Si costituivano i convenuti contestando la domanda e chiedendone il rigetto. (OMISSIS) deduceva di essere comproprietario del suo appartamento in comunione con la moglie (OMISSIS).
Disposta l’integrazione del contraddittorio, si costituiva (OMISSIS), la quale, in via preliminare, eccepiva la prescrizione dell’azione di annullamento delle delibere assembleari. Deduceva che con le suddette delibere di fatto era ceduta una parte della terrazza condominiale in cambio dell’installazione di impianti di riscaldamento per l’intero edificio; che dall’epoca dell’autorizzazione rilasciata dall’assemblea a (OMISSIS) (dante causa di (OMISSIS)) per la costruzione della veranda, la terrazza era stata goduta in via esclusiva dai convenuti e il versamento della somma di Lire 10.000 mensili, lungi dal rivestire la natura di corrispettivo, serviva solo a scongiurare un acquisto della proprieta’ per usucapione, essendo gli appartamenti dei convenuti ubicati sulla terrazza. Infine, eccepiva che la natura e la conformazione dei luoghi, essendo la terrazza a livello degli appartamenti, escludeva che potesse operare la presunzione di condominialita’ della stessa.
Espletata prova testimoniale ed eccepito dai convenuti il loro diritto di proprieta’ esclusiva sul terrazzo ove insistevano le verande, era stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, i quali tutti si costituivano in giudizio, alcuni per effetto dell’integrazione del contraddittorio e altri con intervento volontario.
I convenuti eccepivano l’irritualita’ e la tardivita’ della chiamata in causa, dichiarando di non accettare il contraddittorio nei confronti degli interventori volontari e chiedendo la cancellazione della causa dal ruolo.

 

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Con sentenza n. 215/2007 del 29.1.2007 il Tribunale di Salerno dichiarava l’estinzione del processo, compensando tra le parti le spese processuali.
Avverso la sentenza proponevano appello il Condominio (OMISSIS) ed i suoi condomini, i quali chiedevano la riforma della sentenza impugnata, con il rigetto dell’eccezione di estinzione del processo e l’accoglimento della domanda proposta in primo grado. Essi deducevano: a) che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che i convenuti avessero tempestivamente eccepito l’estinzione del processo a norma dell’articolo 307 c.p.c.; b) che in ogni caso, la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di taluni condomini era stata superata dall’intervento spontaneo degli stessi, con la conseguenza che il processo non avrebbe potuto concludersi con una pronuncia in rito. Nel merito, riproponevano le domande, eccezioni e difese gia’ svolte in primo grado.
Si costituiva, in proprio, il condomino Avv. (OMISSIS) quale controricorrente; nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che contestavano il gravame chiedendone il rigetto. Non si costituivano (E ALTRI OMISSIS)
Con sentenza n. 62/2016, depositata in data 27.1.2016, la Corte d’Appello di Salerno accoglieva l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva per quanto di ragione la domanda e condannava (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a restituire al Condominio (OMISSIS), libere da persone e cose, le due porzioni della terrazza di copertura del fabbricato dagli stessi occupate con le verande realizzate a servizio dei rispettivi appartamenti, condannando gli appellati, in solido, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. In particolare, la Corte d’Appello accoglieva il primo motivo, rilevando che l’estinzione del processo per inosservanza del termine perentorio fissato dal Giudice a norma dell’articolo 102 c.p.c. per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari era stata eccepita dai convenuti non nella prima difesa successiva al verificarsi dell’evento estintivo, ma, al piu’, all’udienza del 7.5.2004 (ove, peraltro, era stata chiesta la cancellazione della causa dal ruolo), con la conseguente tardivita’ dell’eccezione e impossibilita’ di dichiarare estinto il processo. Il secondo motivo d’appello restava assorbito, ma si evidenziava che non era contestato tra le parti che, per effetto dell’integrazione del contraddittorio eseguita dall’originario attore e dell’intervento volontario da parte dei condomini non raggiunti dalla chiamata in causa, tutti i condomini erano stati posti in condizione di partecipare al processo. Nel merito, il Giudice di secondo grado qualificava l’azione proposta dal Condominio come di restituzione, per cui, ai fini della prova, era sufficiente che l’attore avesse dimostrato l’avvenuta consegna in base a un titolo e il suo successivo venir meno. L’azione di restituzione non era suscettibile di trasformazione in azione reale per effetto delle difese dei convenuti, che deducevano di essere proprietari del bene.

 

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Pertanto, la Corte d’Appello esaminava l’eccezione degli appellati, proposta nel corso del procedimento di primo grado, secondo cui essi sarebbero stati proprietari esclusivi della terrazza in questione. Deduceva la Corte che, in base all’articolo 1117 c.c., esiste una presunzione di proprieta’ condominiale per i tetti e i lastrici solari, se il contrario non risulta dal titolo; laddove, dagli atti di causa risultava la proprieta’ condominiale della terrazza. Inoltre, dai testi escussi risultava che alla terrazza potevano accedere anche gli altri condomini essendo in possesso delle chiavi delle porte di accesso alla medesima. Non avendo gli appellati fornito la prova dell’eccepita proprieta’ esclusiva della terrazza, la domanda del Condominio e dei condomini era ritenuta fondata. Aggiungeva la Corte che il rapporto negoziale instaurato tra il Condominio e i due condomini con la Delib. 7 febbraio 1984 era riconducibile a un negozio atipico con il quale si concedeva ai due condomini il godimento di porzioni del terrazzo condominiale in cambio di corrispettivo, con la facolta’ di realizzarvi le verande e a condizione che tutti gli altri condomini ratificassero per iscritto l’operato dell’assemblea. Per effetto del recesso esercitato dal Condominio, in quanto la condomina (OMISSIS) non aveva prestato il previsto consenso scritto, era venuto meno il titolo di godimento delle due aree. Non ricorrevano, invece, le condizioni per l’accoglimento della domanda risarcitoria, in quanto il danno da occupazione illegittima non era in re ipsa e l’attrice non ne aveva fornito la prova.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di quattro motivi. Resiste il Condominio (OMISSIS) con controricorso. Il condomino (OMISSIS) con controricorso chiede che, preso atto dell’avvenuta cessione dell’unita’ immobiliare int. (OMISSIS) in data 27.1.2010, sia disposta la sua estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva, rigettando il ricorso proposto nei suoi confronti, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite del presente giudizio.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 307 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Errores in procedendo Travisamento degli atti di causa su punti fondamentali Motivazione contraddittoria e illogica su fatti controversi e decisivi per il giudizio”. Secondo i ricorrenti l’eccezione di estinzione sarebbe stata sollevata nel primo atto difensivo successivo al verificarsi dell’evento estintivo e con precedenza su qualsiasi altra difesa: per la precisione, nelle note autorizzate del 19.1.2005 e nella comparsa conclusionale del primo grado del 6.12.2005. La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere non tempestiva l’eccezione di estinzione solo perche’ non sollevata nella prima udienza successiva al verificarsi dei fatti che a essa avevano dato luogo. Inoltre, nell’udienza del 18.9.2002 e in quella del 5.2.2003, la difesa degli odierni ricorrenti si opponeva alla concessione di un termine per integrare il contraddittorio e in tale opposizione andava individuata la proposizione di un’eccezione di estinzione.
1.1. – Il motivo e’ inammissibile e infondato.
1.2. – Va rilevato che, in materia di ricorso per cassazione, la commistione (in un singolo motivo) di piu’ profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilita’ quando non e’ possibile ricondurre tali diversi profili a specifici ed individuabili motivi di impugnazione, poiche’ le doglianze, anche se cumulate, devono essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza impropriamente rimettere al giudice il compito (non suo) di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 6734 del 2020; Cass. n. 26790 del 2018). Pertanto, nella enunciazione del motivo di ricorso per cassazione, e’ inammissible la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei ed incompatibili, facenti riferimento (come nella specie) alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione e la analisi di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto (che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma) ovvero quello del vizio di motivazione (che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione) (cfr. anche Cass. n. 26874 del 2018; conf. Cass. n. 19443 del 2011).
Ma anche a voler ritenere ammissibile il ricorso, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, allorche’ esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass. sez. un. 9100 del 2015; Cass. n. 8915 del 2018), la ragione di inammissibilita’, nella specie, va ravvisata nella mancata specificita’ del profilo riguardante l’asserito vizio di violazione e falsa applicazione di legge, cosi’ come riferito congiuntamente a disposizioni del codice civile e/o di procedura civile.
1.3. – Il vizio di violazione di legge consiste, dunque, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

 

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Risulta, quindi, inammissibile la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della mera indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).
1.4. – Quanto poi al profilo attinente alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (applicabile ratione temporis nella formulazione adottata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012) consente di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioe’, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente incidentale avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.
1.5. – Cio’ premesso in termini di ammissibilita’ (o di inammisssibilita’) della formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, va rilevato, in primo luogo, che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che, in tema di condominio degli edifici, ove (come nella specie) il convenuto eccepisca la proprieta’ esclusiva di un bene ritenuto condominiale dagli attori, senza formulare apposita domanda riconvenzionale, ma sollevando una semplice eccezione riconvenzionale, tesa solo a ottenere il rigetto delle domande attoree mediante un accertamento incidenter tantum, non occorre integrare il contraddittorio nei confronti degli altri condomini (Cass., sez. un., 25454 del 2013). Qualora, dunque, un condomino, convenuto dall’amministratore per il rilascio di uno spazio di proprieta’ comune occupato sine titulo, agisca in via riconvenzionale per ottenere l’accertamento della proprieta’ esclusiva su tale bene, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la controdomanda sull’estensione dei diritti dei singoli; pertanto, ove cio’ non avvenga e la domanda riconvenzionale sia decisa solo nei confronti dell’amministratore, l’invalida costituzione del contraddittorio puo’, in difetto di giudicato espresso o implicito sul punto, essere eccepita per la prima volta o rilevata d’ufficio anche in sede di legittimita’, con conseguente rimessione degli atti al primo giudice (Cass. n. 6649 del 2017). Come detto, i convenuti avevano sollevato una eccezione e non proposto una domanda riconvenzionale, come chiaramente affermato nella sentenza di secondo grado, peraltro non impugnata su tale specifico punto. Pertanto, non sussistendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario di tutti i condomini, l’ordinanza che aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti era da ritenersi inammissibile (sentenza impugnata, pagg. 5-7).

 

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1.6. – Sotto altro aspetto, questo collegio rileva come, correttamente, la corte distrettuale aveva ritenuto che i convenuti (OMISSIS)- (OMISSIS) non avessero tempestivamente eccepito l’estinzione del giudizio per mancata integrazione del contraddittorio nei termini e che il Tribunale avesse, viceversa erroneamente, dichiarato l’estinzione del processo, ai sensi dell’articolo 307 c.p.c., secondo cui l’estinzione puo’ essere dichiarata solo se eccepita prima di ogni altra istanza e difesa, successivamente al concretizzarsi della fattispecie estintiva.
Tale indicazione era dovuta, per non controversa affermazione delle parti, allo smarrimento del fascicolo d’ufficio (causa, tra le altre, della mancata prova che i convenuti all’udienza del 5.2.2003 si sarebbero opposti alla concessione di una proroga del termine per l’integrazione del contraddittorio e che fino all’udienza del 7.5.2004 gli stessi non avrebbero formulato alcuna istanza e/o difesa) che si configurava quale prova (precedente a quello del 7.5.2004), da cui risultava che il difensore dei convenuti avesse depositato copia della domanda di condono edilizio del 28.2.1995: la cui relativa produzione di documenti in giudizio costituisce senza dubbio attivita’ difensiva. Pertanto, la richiesta di cancellazione della causa dal ruolo (neanche di estinzione) era proposta per la prima volta all’udienza del 7.5.2004, ormai tardivamente, come correttamente rilevato dal Giudice d’appello.
2. – Con il secondo giudizio, i ricorrenti deducono la “Violazione e falsa applicazione degli articoli 307 e 291 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Errores in procedendo – Travisamento degli atti di causa su punti fondamentali – Motivazione contraddittoria e illogica su fatti controversi e decisivi per il giudizio”, poiche’ la Corte di merito avrebbe errato nel non rilevare d’ufficio la mancata integrazione del contraddittorio da parte del Condominio nei termini perentori stabiliti dal primo Giudice. Percio’ non sarebbe stata necessaria l’eccezione di estinzione, dal momento che la mancata integrazione del contraddittorio disposta dal Tribunale rappresentava una circostanza sufficiente a giustificare la declaratoria di estinzione del processo. Inoltre, le comparse di intervento volontario erano state depositate ben oltre la scadenza dei termini perentori fissati dal primo giudice per l’integrazione del contraddittorio e, quindi, in un momento in cui si era gia’ verificata la condizione per dichiarare estinto il giudizio, il cui effetto retroagisce al momento in cui si verifica l’evento estintivo.
2.1. – Il motivo non e’ fondato.
2.2. – Va osservato come tutti i condomini si fossero spontaneamente costituiti a mezzo di comparsa di intervento volontario, risultando cosi’ sanato il difetto di integrita’ del contraddittorio. La giurisprudenza di legittimita’ e’ pacifica nell’affermare che eseguire l’integrazione del contraddittorio trovava i suoi equipollenti nell’intervento volontario del litisconsorte pretermesso. Inoltre, tutti i condomini intervenuti si erano limitati a far proprie le domande, eccezioni e deduzioni fino ad allora svolte dal Condominio, accettando la causa nello stato in cui si trovava nel momento dell’intervento. In tale situazione, poiche’ nessuna delle parti originarie era stata privata di facolta’ processuali, il Giudice non poteva rilevare d’ufficio il difetto del contraddittorio, ma deve decidere la causa nel merito.
3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione e falsa applicazione degli articoli 1117 e 1362 c.c. e ss. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 Travisamento degli atti di causa su punti fondamentali Motivazione contraddittoria e illogica su fatti controversi e decisivi per il giudizio”, poiche’ la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere la natura condominiale della terrazza de qua. Osservano i ricorrenti che nel fabbricato vi sarebbero state due terrazze, una a livello degli appartamenti di proprieta’ dei medesimi e un’altra al di sopra degli stessi, per cui se gli originari costruttori del Palazzo avessero voluto estendere la comunione anche alla terrazza dove insistono gli appartamenti lo avrebbero espressamente dichiarato, al pari di come avevano fatto per la soprastante terrazza di copertura. Per cui, l’unica via per accedere alla terrazza soprastante era la porta posizionata sul pianerottolo del quinto piano, e solo per tale ragione le chiavi della stessa erano in possesso anche di altri condomini. Di conseguenza, la terrazza a livello adiacente agli appartamenti dei ricorrenti erano di loro proprieta’ esclusiva, sia perche’ cio’ risultava dal tenore dei titoli che succedutisi nel tempo e che, in ogni caso, nulla dicevano in contrario, sia per le particolari caratteristiche della superficie in questione che soddisfacevano i criteri distintivi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’, per individuare le terrazze a livello (cfr. Cass. n. 20287 del 2017; Cass. n. 21340 del 2017; Cass. n. 22339 del 2019). Cosi’, la Corte d’Appello avrebbe dovuto disporre anche la nomina di un CTU per meglio comprendere la situazione dei luoghi di causa; oltre che avrebbe dovuto tenere conto del senso letterale dei termini utilizzati dalle parti onde qualificare la “la comunione alla soprastante terrazza di copertura del palazzo ed alla scalinata di accesso”.

 

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3.1. – Il motivo non e’ fondato.
3.2. -L’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilita’ del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprieta’; con la seconda, di natura personale, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, puo’ limitarsi alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l’insussistenza ab origine di qualsiasi titolo (Cass. n. 13605 del 2000; cfr. Cass. n. 795 del 2000).
In tema di azioni a difesa della proprieta’, le difese di carattere petitorio opposte, in via di eccezione o con domande riconvenzionali, ad un’azione di rilascio o consegna non comportano – in ossequio al principio di disponibilita’ della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – una mutatio od emendatio libelli, ossia la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, ne’, in ogni caso, implicano che l’attore sia tenuto a soddisfare il correlato gravoso onere probatorio inerente le azioni reali (cosiddetta probatio diabolica), la cui prova, idonea a paralizzare la pretesa attorea, incombe solo sul convenuto in dipendenza delle proprie difese (Cass., sez. un., n. 7305 del 2014).
Cio’ detto, in termini di valutazione della acquisizione del quadro probatorio a sostegno dell’assunto circa la proprieta’ esclusiva dei ricorrenti della terrazza in questione, ne e’ stata dedotta, nel corso del procedimento di primo grado, la proprieta’ esclusiva dei medesimi. Affermazione questa in contrasto con vendite effettuate a terzi dagli originari proprietari e costruttori dell’edificio, risultando alla Corte distrettuale, da tali atti, la proprieta’ condominiale della terrazza in questione, non avendo i ricorrenti fornito la prova della loro eccepita proprieta’ esclusiva (sentenza impugnata, pagg. 9-11).
3.3. – Giustamente, il rapporto negoziale instaurato tra il condominio e i due condomini con la delibera in questione veniva ricondotto, dalla Corte di merito, ad un negozio atipico idoneo a concedere il godimento di porzioni del terrazzo condominiale in cambio di corrispettivo riconducibile, con la facolta’ di realizzarvi i manufatti ivi descritti e con la convinzione che tutti gli altri condomini ratificassero per iscritto l’operato dell’asseblea.
4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano l'”Omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Motivazione contraddittoria, illogica e insufficiente su fatti controversi e decisivi per il giudizio”. La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere corretto il recesso esercitato dal Condominio, nonostante l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte da (OMISSIS) (dante causa di (OMISSIS)) e dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS). Con il verbale di assemblea 29.5.1973 (OMISSIS) era stato autorizzato, senza limiti temporali, a costruire sulla terrazza una veranda fissata al suo appartamento, offrendo, come contropartita, di accollarsi il costo dell’installazione dell’impianto di riscaldamento per l’intero Palazzo. Con riferimento ai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), l’assemblea, con verbale del 7.2.1984 e all’unanimita’ dei presenti, autorizzava anche (OMISSIS) a realizzare una veranda fissata al suo appartamento, precisando che l’autorizzazione aveva validita’ di due anni, rinnovabile di volta in volta e il Condominio si riservava la facolta’, in caso di effettiva necessita’, di revocare in qualsiasi momento tale autorizzazione.
4.1. – Il motivo e’ inammissibile ed infondato.
4.2. – Dopo la modifica dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il difetto di motivazione non puo’ essere fatto valere con riguardo ai profili di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, di cui al predetto paradigma (v. sub 1.4., cui si rinvia) provocando al contrario la inammissibilita’ del motivo.
4.3. – Correttamente la Corte distrettuale ha qualificato il rapporto negoziale instaurato tra il condominio e i due condomini ricorrenti, con la delibera in questione, come negozio atipico idoneo a concedere ai due condomini il godimento di porzioni del terrazzo condominiale in cambio di corrispettivo, con la facolta’ di realizzarvi i manufatti ivi descritti e con la condizione che tutti gli altri condomini ratificassero per iscritto l’operato della assemblea.
Si osserva che tutti i contratti con cui si trasferisce solo il godimento di un bene sono per loro natura temporanei, per cui e’ sempre possibile la facolta’ di recesso a prescindere da inadempimento. In particolare, con la Delib. assemblea 29 maggio 1973 (OMISSIS) chiedeva e otteneva dal Condominio l’autorizzazione a costruire sulla terrazza condominiale impegnandosi a pagare le spese per la realizzazione della colonna montante per l’impianto di riscaldamento centralizzato (impianto disattivato nel 1988), ed avrebbe avrebbe dovuto corrispondere al Condominio un fitto annuo anticipato di Lire 10.000 per l’occupazione di parte della terrazza condominiale; risultandone chiara la volonta’ comune delle parti di instaurare un rapporto negoziale temporaneo, con possibilita’ di recesso in qualsiasi momento, senza necessita’ di addurre un valido motivo.
5. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresi’ la dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente Condominio (OMISSIS) delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, nonche’ del controricorrente (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 1.800,00 di cui Euro 200,00, per rimborso spese vive oltre, per ciascuno, al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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