L’azienda ereditaria deve ritenersi oggetto di comunione se vi sia la finalità del solo godimento in comune

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 11 aprile 2019, n. 10188.

La massima estrapolata:

L’azienda ereditaria deve ritenersi oggetto di comunione se vi sia la finalità del solo godimento in comune secondo la sua consistenza al momento dell’apertura della successione. Tuttavia, se viene esercitata per finalità speculative con nuovi conferimenti in vista di ulteriori utili, sulla base dell’incremento degli elementi aziendali, può verificarsi che: o l’impresa è esercitata da tutti i coeredi, e in tal caso l’originaria comunione incidentale si trasforma in una società (sia pure irregolare o di fatto); ovvero l’impresa viene esercitata da uno o più eredi, e in tal caso la comunione incidentale è limitata all’azienda così come relitta dal “de cuius”, con gli elementi esistenti all’apertura della successione, mentre l’impresa esercitata dal singolo o da parte dei coeredi è riferibile soltanto ad esso o ad essi con gli utili e le perdite relativi. (Fattispecie in cui un solo erede aveva esercitato un’azienda farmaceutica cedutagli da padre in virtù di atto dichiarato nullo e il relativo compendio era entrato a far parte della comunione ereditaria, con la conseguenza che, a fini divisionali, la consistenza dell’azienda doveva essere quella dell’apertura della successione, mentre le spese, gli incrementi e i decrementi, essendo ascrivibili al solo imprenditore che aveva esercitato l’azienda, non potevano essere considerati comuni).

Sentenza 11 aprile 2019, n. 10188

Data udienza 5 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 22134-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 953/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 28/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2019 dal Presidente FELICE MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 499 del 2011 il Tribunale di Teramo, su domanda degli eredi di (OMISSIS), dichiaro’ nulla la scrittura privata del 16.10.1970 con cui questi aveva ceduto al figlio (OMISSIS) la farmacia sita in (OMISSIS), e che detta farmacia cadeva pertanto nell’asse ereditario del de cuius, morto nel (OMISSIS).
Con sentenza n. 705 del 2013 lo stesso Tribunale pronuncio’ lo scioglimento della comunione ereditaria tra gli eredi ed assegno’ ad (OMISSIS) la piena titolarita’ della farmacia, condannandolo al pagamento dei conguagli in favore degli altri eredi proporzionalmente alle loro quote nella misura di Euro 325.026,69 per ciascuno di essi o dei loro eredi subentrati nel processo.
Per la riforma di quest’ultima sentenza proposero appello principale (OMISSIS) e appello incidentale gli altri eredi. Per quanto qui interessa, l’appello principale promosso da (OMISSIS) contesto’ la decisione di primo grado per avere valutato la farmacia al valore corrente all’epoca della decisione, omettendo di considerare che l’azienda attuale, da lui gestita a partire dal 1970, per effetto della sua gestione e delle innovazioni apportate, stimate dal consulente tecnico d’ufficio in Euro 566.746,42 e consistite anche nell’acquisto di tre appartamenti impiegati nel suo esercizio, era diversa da quella esistente al momento della sua cessione ovvero a quello dell’apertura della successione; lamento’, inoltre, il contrasto con la sentenza non definitiva n. 499 del 2011, che aveva affermato il diritto dei coeredi ad un conguaglio monetario pari al valore dell’azienda caduta in successione alla data del decesso dell’originario titolare; contesto’, infine, che nella stima dell’azienda fosse stato calcolato il valore dall’avviamento commerciale, che era dovuto esclusivamente al suo apporto personale, e che tra le spese da lui affrontate non fossero stati invece considerati due finanziamenti bancari che egli aveva ottenuto per la gestione della farmacia.
Con sentenza n. 953 del 28.7.2015 la Corte d’appello dell’Aquila accolse solo in parte l’impugnazione principale e respinse quella incidentale, riformando la sentenza impugnata in relazione alla sola quantificazione delle somme dovute a titolo di conguaglio, che ridusse nell’importo di Euro 318.574,94, reputando che tra i costi sopportati da (OMISSIS) nella gestione dell’azienda andasse compreso quello relativo al finanziamento bancario da lui ottenuto nel 1978 per la somma di Lire 50.000.000. Nel merito respinse gli altri motivi di gravame, ritenendo corretto il criterio seguito dal giudice di primo grado il quale, ai fini della formazione delle quote, aveva stimato i beni ereditari al valore corrente all’epoca della decisione e non al momento dell’apertura della successione ovvero al momento, ancora precedente, in cui l’appellante aveva iniziato la gestione dell’azienda; che rispetto alla precedente sentenza n. 499 del 2011 non vi era alcun contrasto, in quanto la frase ivi contenuta che riconosceva il diritto dei coeredi ad un conguaglio monetario pari al valore dell’azienda caduta in successione alla data del decesso dell’originario titolare non postulava un criterio temporale per la determinazione del valore dell’azienda, ma intendeva soltanto indicare il momento in cui il bene era caduto in successione; che correttamente il primo giudice aveva ricompreso ai fini della stima del bene il valore dell’avviamento, concretandosi esso in un miglioramento latu sensu del bene comune, che in quanto tale andava ricondotto all’intera massa e quindi ripartito tra i vari condividenti.
La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da (OMISSIS), con ricorso affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS) e di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), e (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di ricorso denunzia violazione degli articoli 2555 e 457 c.c., del principio secondo cui nell’asse ereditario rientrano tutte le situazioni giuridiche attive e passive facenti capo al de cuius al momento dell’apertura della successione, e del Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, articolo 110, L. 2 aprile 1968, n. 475, articolo 12 e L. 2 aprile 1981, n. 34, articolo 3.
Il mezzo censura la sentenza impugnata per aver respinto la contestazione dell’appellante circa il fatto che l’azienda farmaceutica considerata nel suo stato attuale era un quid aliud rispetto a quella caduta in successione, essendo stata completamente trasformata dal (OMISSIS) in oltre quarant’anni di esercizio economico, anche con l’apporto di ingenti migliorie (Euro 566.746,42, secondo la stima del c.t.u.), ed anche mediante ampliamento della sua sede, per la quale erano stati acquistati ben tre appartamenti.
Sostiene parte ricorrente che la Corte ha inoltre violato il Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, articolo 110 letto in coordinamento con gli articoli 2555 e 457 c.c., ed il principio secondo cui nell’asse ereditario rientrano tutte le situazioni giuridiche attive e passive facenti capo al de cuius al momento dell’apertura della successione. La L. n. 34 del 1981, articolo 1, comma 3 vigente all’epoca, stabiliva infatti che nel caso di decesso del farmacista titolare e proprietario della farmacia i diritti degli eredi alla titolarita’ e gestione provvisoria della farmacia possono essere esercitati per un periodo di tre anni, mentre l’articolo 110 citato pone a carico del nuovo titolare l’obbligo di rilevare gli arredi, le provviste e le dotazioni della farmacia e di corrispondere agli eredi della stessa una indennita’ in misura pari a tre annate del reddito medio imponibile dell’esercizio. Ora, poiche’ questa norma e’ applicabile anche nell’ipotesi di trasferimento mortis causa, ne deriva, ad avviso del ricorrente, l’erroneita’ della decisione impugnata per avere calcolato l’avviamento in base ai criteri comuni del beni in libero commercio, e non alla stregua della disposizione citata.
Da quest’ultima discende, inoltre, che le entita’ aziendali cui riferirsi per determinare i conguagli sono rappresentate dai soli arredi, provviste e dotazioni della farmacia, oltre che dall’avviamento, nella misura ivi indicata, con l’effetto che, si assume, i beni immobili acquistati dal ricorrente, gli incrementi, le addizioni e le innovazioni che questi aveva apportato non potevano essere inclusi nel compendio aziendale trasmissibile. L’esercizio andava pertanto valutato con riferimento alla cessazione della gestione precedente da parte del de cuius, avvenuta nel 1970.
2. – Il secondo motivo espone la violazione dell’articolo 2909 c.c. ovvero dell’articolo 279c.p.c., commi 2 e 4, censurando la sentenza impugnata per avere respinto il motivo di appello che aveva eccepito il giudicato interno in ordine al criterio da adottare ai fini della valutazione dell’azienda, avendo la sentenza non definitiva n. 499 del 2011 affermato il diritto dei coeredi ad un conguaglio monetario “che rappresenti il valore della quota ereditaria dell’azienda caduta in successione alla data del decesso dell’originario titolare”, espressione che doveva intendersi che il valore della farmacia doveva essere stimato con riferimento allo stato dell’azienda esistente al momento della apertura della successione, come del resto confermato dal successivo quesito formulato dal giudice al consulente tecnico d’ufficio, che fa espresso riferimento a tale momento.
3. – Il terzo motivo di ricorso allega violazione dell’articolo 2555 c.c. e Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, articolo 110 assumendo che la decisione impugnata laddove non ha riconosciuto tra gli incrementi da scorporare ai fini del valore dell’azienda l’avviamento commerciale riconducibile alla gestione del ricorrente si pone in contrasto con il Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, articolo 110 che identifica nell’avviamento un bene componente l’azienda farmaceutica dotato di autonoma valenza economica, indicandone le modalita’ di calcolo, ed escludendo in tal modo che esso possa farsi rientrare tra i miglioramenti di cui all’articolo 1150 c.c. che la Corte di appello ha ritenuto rilevanti ai fini del rimborso delle spese, per agire il coerede come mandatario degli altri.
4. – Il secondo motivo, il cui esame e’ prioritario perche’ vi si lamenta la violazione d’un giudicato interno, e’ infondato.
Esso extrapola dalla sentenza non definitiva n. 499/11 una sola frase, inerente alla quantificazione del conguaglio (“… che rappresenti il valore della quota ereditaria dell’azienda caduta in successione alla data del decesso”), cui non e’ lecito attribuire alcuna valenza decisoria.
In disparte la non univocita’ dell’espressione adoperata, come del resto ben evidenziato dalla Corte d’appello, detta pronuncia di primo grado si e’ limitata a dichiarare nulla la scrittura privata del 16.10.1970 e, di riflesso, a includere nell’asse ereditario l’azienda farmaceutica del cui valore si discute.
E’ solo con la sentenza definitiva n. 705 del 2013 che la stima dell’azienda e’ stata fissata ad un dato momento, quello della divisione, scaturendone l’appello, prima, e il ricorso per cassazione, ora.
5. – Nei termini che seguono e’ invece fondato il primo motivo. Esso pone un duplice interrogativo: epoca cui rapportare il valore dell’azienda comune e tecnica di quantificazione del relativo avviamento.
5.1. – La Corte di merito nell’apprezzare il valore dell’azienda al momento della divisione si e’ attenuta ad un fermo indirizzo di questa Corte Suprema, secondo cui la stima dei beni per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al loro valore venale al tempo della divisione, coincidente, nel caso di divisione giudiziale, con il momento di presentazione della relativa domanda (cfr. Cass. nn. 21632/10, 3029/09, 15634/06 e 3380/91; da ultimo, v. n. 29773/17). Tuttavia tale criterio, che si desume dall’articolo 726 c.c., comma 1, e’ stato affermato con riferimento a beni ereditari (anche aziendali ma) oggetto di godimento mero e non di esercizio economico-produttivo. Per i primi, il valore venale dipende da fattori terzi (decorso del tempo, variazioni del prezzo di mercato ecc.) o da attivita’ di amministrazione o di miglioramento rendicontabili ai sensi dell’articolo 723 c.c.; per i secondi detto valore e’, invece, la risultante dell’esercizio di un’impresa. In entrambi i casi vi puo’ essere un incremento di valore dell’azienda rispetto alla data di apertura della successione, ma l’origine di tale maggiorazione e’ sostanzialmente diversa, sicche’ solo nel primo caso questa permane acquisita alla comunione.
Tale differenza e’ la stessa che si apprezza tra societa’ di persone e comunione di godimento, come alcune risalenti pronunce di questa Corte hanno chiarito proprio con riferimento alla comunione ereditaria d’azienda.
E’ stato infatti osservato che la distinzione tra societa’ di persone e comunione di godimento, quale risulta dal raffronto tra gli articoli 2247 e 2248 c.c., trova applicazione anche riguardo ad un’azienda compresa in un’eredita’. Conseguentemente, l’azienda ereditaria forma oggetto di comunione fin tanto che rimangano presenti gli elementi caratteristici della comunione, e cioe’ fino a quando i coeredi si limitino a godere in comune l’azienda relitta dal de cuius, negli elementi e con la consistenza in cui essa e’ caduta nel patrimonio comune, come puo’ avvenire nel caso di affitto dell’azienda stessa. Allorche’, invece, quest’ultima viene ad essere esercitata con fine speculativo, con nuovi incrementi e con nuovi utili derivanti dal nuovo esercizio, possono verificarsi due ipotesi: o l’impresa e’ esercitata, d’accordo, da tutti i coeredi, i quali convengono di continuarne l’esercizio, apportando nuovi incrementi o sviluppando i precedenti, a fine speculativo, e, in tal caso, sussistono tutti gli elementi della societa’, sia pure irregolare o di fatto, e la comunione incidentale si trasforma in societa’ tra i coeredi, ovvero la continuazione dell’esercizio dell’impresa e’ effettuata da uno o da alcuni dei coeredi soltanto, ed allora la comunione incidentale e’ limitata all’azienda come relitta dal de cuius, con gli elementi – materiali e immateriali – esistenti al momento dell’apertura della successione mentre il successivo esercizio, con gli incrementi personalmente apportati dal coerede o dai coeredi che lo effettuano e con gli utili e le perdite conseguenti, non puo’ essere imputato che al coerede o ai coeredi predetti (cosi’, Cass. n. 1810/68, la quale precisa, poi, che l’accertamento compiuto in proposito dal giudice di merito, involgendo l’apprezzamento di elementi di fatto, e’ incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici o errori di diritto; in termini del tutto analoghi, v. anche Cass. nn. 2430/73 e 1366/75).
5.1.1. – Nel caso di specie, appartiene alla cornice di riferimento comune alle parti la circostanza che l’azienda farmaceutica in questione sia stata oggetto d’esercizio imprenditoriale ininterrotto da parte del solo (OMISSIS) sin dal 16.10.1970, allorche’ gli fu ceduta dal padre; e per effetto della sentenza non definitiva n. 499/11, dichiarativa la nullita’ di tale atto di cessione, l’azienda e’ entrata a far parte della comunione ereditaria al momento dell’apertura della successione paterna.
Ne deriva che, applicato il principio di diritto sopra richiamato, (i) le consistenze, l’avviamento (che e’ altro da queste: cfr. Cass. n. 3775/94) e dunque il complessivo valore aziendale devono essere fissati, ai fini divisionali, alla data di apertura della successione (salvo ovviamente la rivalutazione per il periodo successivo, trattandosi appunto di debito di valore: cfr. tra le ultime, Cass. n. 6931/16); e (ii) le spese, gli incrementi o i decrementi aziendali successivi a tale data, essendo ascrivibili all’attivita’ imprenditoriale del solo (OMISSIS), non possono essere considerati comuni.
5.2. – In ordine alla quantificazione dell’avviamento, occorre premettere (vista l’eccezione di parte controricorrente) che la questione dell’applicabilita’ del Regio Decreto n. 1265 del 1934, articolo 110 benche’ nuova e’ ammissibile, essendo precluse in sede di legittimita’ soltanto le nuove questioni per dirimere le quali siano necessari apprezzamenti di fatto, che in quanto tali non sono consentiti a questa Corte Suprema (cfr. ex multis e da ultimo, Cass. n. 25863/18).
Cio’ posto, si rileva che va data continuita’ al principio per cui l’indennita’ di avviamento della farmacia non deve essere determinata con i criteri di libero mercato, ma con quelli piu’ restrittivi Regio Decreto n. 1265 del 1934, ex articolo 110 e cio’ anche nell’ipotesi di trasferimento mortis causa che si assuma lesivo di legittima, trattandosi pur sempre di un’azienda soggetta a vincoli di diritto pubblico incidenti sul margine di profitto (Cass. n. 21523/15).
Pertanto, essendovi causa derivativa (non tra condividenti, ma) tra il de cuius e l’assegnatario del bene in sede di divisione (v. articolo 757 c.c.), all’applicazione di tale principio di diritto non si sottrae l’azienda farmaceutica che, oggetto di comunione ereditaria, sia assegnata a uno solo dei comproprietari.
6. – L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del terzo mezzo d’impugnazione, che del pari suppone applicabile il Regio Decreto n. 1265 del 1934, articolo 110.
7. – Per le considerazioni fin qui svolte, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello dell’Aquila, che nel decidere il merito si atterra’ ai principi di diritto sopra enunciati, provvedendo, altresi’, sulle spese di cassazione.

P.Q.M.

a Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo ed assorbito il terzo, e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello dell’Aquila, che provvedera’ anche sulle spese di cassazione.

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