Atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 7 gennaio 2020, n. 92

La massima estrapolata:

Non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione.

Sentenza 7 gennaio 2020, n. 92

Data udienza 26 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8729 del 2013, proposto dal signor Ne. Ne. Be., in qualità di erede della signora Si. Gi. e del signor Ne. Be., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. la. e Fa. Im., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Fa. Im., in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana, Sezione III, n. 503 del 27 marzo 2013, resa inter partes, concernente un ordine di dismissione di area destinata a parcheggio e ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per l’appellante, l’avvocato Fa. Im.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è rappresentato dall’ordinanza sindacale del 6 novembre 1996, con la quale il Sindaco del Comune di (omissis) ordinava al signor Ne. Be. di dismettere immediatamente l’uso a parcheggio di alcune aree di sua proprietà e di ripristinare, previa rimozione del manto bituminoso, l’anteriore consistenza di esse.
2. Tale atto veniva impugnato dal medesimo, con ricorso n. 380 del 1997, proposto innanzi al T.a.r. per la Toscana, invocandone l’annullamento per i seguenti motivi:
i) la destinazione a parcheggio sarebbe risalente ad epoca in cui essa era consentita dalla disciplina urbanistica del 1958 e pertanto su tale attività non potrebbe influire la sopravvenuta disciplina del 1996 né il d.m. impositivo del vincolo paesaggistico ex lege n. 1497 del 1939 siccome non richiamato nell’atto impugnato e comunque l’intervento non sarebbe in grado di offendere il paesaggio;
ii) la pavimentazione di conglomerato bituminoso non richiederebbe il rilascio di concessione edilizia e comunque il Comune avrebbe rilasciato formale autorizzazione alla sistemazione della pavimentazione bituminosa del piazzale, non potendo così disporre il ripristino tanto più senza motivare circa la ricorrenza dell’interesse pubblico stante il lungo tempo trascorso.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale in resistenza e riassunto il giudizio da parte del signor Ne. Ne. Be., erede dell’originario ricorrente e della signora Si. Gi., il Tribunale adì to, Sezione III, ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto d’interesse in relazione al solo primo motivo, stante la sovrapponibilità dell’ordine di cessazione dell’attività di parcheggio a quello già emesso con provvedimento n. 19472 del 1993, rimasto inoppugnato;
– ha respinto il secondo motivo, rilevando che l’autorizzazione del 1° settembre 1994 all’esecuzione di lavori di “sistemazione della pavimentazione bituminosa esterna” è stata superata dalla successiva variante del 1996, che ha vietato la destinazione a parcheggio di automezzi di aree urbane destinate a parchi e giardini, oltre che dalla nota della Soprintendenza prot. n. 19503 del 1996, che ha evidenziato come l’area sia vincolata ope legis dalla legge n. 431 del 1985;
– ha condannato parte ricorrente al rimborso delle spese di lite nell’importo di Euro 3.000,00 oltre accessori di legge.
4. Avverso tale pronuncia si è interposto appello, notificato il 7 novembre 2013 e depositato il 3 dicembre 2013, lamentandosi, attraverso tre motivi di gravame (pagine 7-15) ai quali ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di primo grado, quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, non essendo l’impugnata ordinanza del 1996 meramente confermativa della precedente (n. 19472 del 1993) per avere un contenuto, come rilevato dallo stesso Tribunale, non integralmente sovrapponibile – atteso che viene ordinata, in un caso, la rimozione del “calcinaccio abusivamente cosparso”, mentre, nell’altro, la rimozione del “materiale bituminoso” – e comunque sulla base di diverse risultanze istruttorie;
II) il Tribunale avrebbe errato nel disattendere il secondo motivo del ricorso di primo grado, in quanto un’autorizzazione edilizia non può perdere efficacia per una normativa sopravvenuta, tanto più che questa aveva fatto proprie le esigenze incrementative di nuovi parcheggi;
III) il Tribunale, valorizzando la nota della Soprintendenza, avrebbe erroneamente qualificato come verde urbano destinato a giardino un’area di pertinenza d’immobile già alienato;
IV) si sono quindi riproposte le censure di primo grado non esaminate dal Tribunale per l’effetto preclusivo prodotto dalla statuizione in rito.
5. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
6. Il Comune appellato, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso la parte appellante ha depositato memoria, evidenziando che le due ordinanze sanzionatorie riguarderebbero aree diverse ed insistendo per l’accoglimento del gravame.
8. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 26 novembre 2019, è stata ivi introitata in decisione.
8.1 Il primo motivo, col quale si avversa la statuizione in rito di parziale inammissibilità del gravame, è suscettibile di accoglimento, in quanto, come dedotto dall’appellante, l’ordinanza impugnata si fonda su nuove risultanze istruttorie (il verbale di sopralluogo del 24 settembre 1996 oltre che la delibera consiliare n. 23 del 2 febbraio 1996) acquisite successivamente alla precedente ordinanza del 1993, di tal che l’atto impugnato non può essere considerato meramente confermativo. Come confermato, di recente, da questa Sezione, infatti, “Non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione” (sentenza, 25 ottobre 2019, n. 7285; id., sez. V, 11 ottobre 2019, n. 6916).
Va poi condiviso anche quanto denunciato dall’appellante a proposito della erronea operazione ortopedica compiuta dal Tribunale che ha disgiunto le due parti che compongono l’ordinanza stessa invece di considerarle congiuntamente, in quanto la variazione di una sua parte, rispetto alla versione precedente, è inevitabilmente destinata ad incidere anche sull’altra nel quadro dell’unitarietà organica della fattispecie attizia.
8.2 Superato il carattere ostativo della statuizione in rito, si rileva però l’infondatezza dei rilievi di merito sollevati dall’odierno appellante, ivi compresi quelli il cui esame in prime cure è stato precluso dalla declaratoria di inammissibilità, in quanto non emerge alcuna contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione o applicazione retroattiva della disciplina che vieta la destinazione a parcheggio.
Va, infatti, evidenziato quanto segue:
– i profili ostativi allo svolgimento dell’attività di parcheggio di automezzi nell’area in questione, così come rilevati dall’Amministrazione comunale, assumono sia carattere urbanistico, correlati al divieto di imprimere tale destinazione introdotto dalla variante urbanistica del 1996, sia valenza paesaggistica in considerazione di quanto evidenziato dalla locale Soprintendenza, con la nota prot. n. 19503/96, in ordine alla qualificazione dell’area in oggetto “come verde urbana vincolata ope legis dalla legge n. 431 del 1985”;
– gli atti precedentemente emessi dall’Amministrazione, a più riprese valorizzati dall’appellante assumendone il carattere contraddittorio con l’atto impugnato in prime cure, in realtà si riferivano alla sola manutenzione per il ripristino del manto bituminoso ovvero alla realizzazione di un impianto antincendio e pertanto non riguardavano la destinazione a parcheggio a pagamento e l’intervento a tal uopo necessario;
– trattasi, in particolare, dei provvedimenti autorizzativi del 17 maggio 1993, per la realizzazione di un impianto antincendio, e del 1° settembre 1994, con la quale si assentiva l’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione per la “sistemazione della pavimentazione bituminosa esterna”, mentre le ordinanze di demolizione delle tettoie insistenti in loco del 6 marzo 1973, del 16 ottobre 1975 e del 4 marzo 1982, avendo carattere sanzionatorio, non solo non possono avere alcun implicito effetto autorizzativo, ma nemmeno contengono preciso riferimento all’attività di parcheggio a pagamento, giammai espressamente autorizzata;
– non emergono elementi tali da escludere la rilevanza paesaggistica dei luoghi, traendo essa fondamento direttamente dalla legge n. 431 del 1985, fermo restando che il provvedimento impugnato trova autonoma causa giustificativa nel rilevato contrasto con la disciplina urbanistica vigente;
– dal mero comportamento assunto dall’Amministrazione non si può ricavare alcuna autorizzazione per silentium dell’attività di parcheggio a pagamento già solo per il fatto che esso non consegue ad un’apposita istanza dell’interessato, tale da innescare il relativo procedimento, istanza che l’appellante presentava soltanto il 19 ottobre 1996, quindi successivamente agli su menzionati che, secondo le deduzioni sollevate, avrebbero consolidato un comportamento tacitamente autorizzativo;
– l’appellante valorizza anche il comportamento assunto dall’Amministrazione in epoca successiva all’adozione dell’ordinanza impugnata, consistente nel rilascio, in favore degli interessati, dei permessi di circolazione nel centro storico sulla base della disponibilità proprio dell’autorimessa dell’appellante;
– da ciò non è dato però inferire alcuna contraddittorietà con l’ordinanza impugnata in prime cure, già solo per la diversità dei beni giuridici sottesi, da una parte, all’atto sanzionatorio inteso al rispetto della disciplina urbanistica e paesaggistica, e, dall’altra, agli atti afferenti alla circolazione autoveicolare;
– peraltro, secondo consolidato orientamento di questo Consiglio, “Ai fini della corretta applicazione del principio tempus regit actum, è necessario che la legittimità di un provvedimento amministrativo sia valutata al momento della sua adozione” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 luglio 2019, n. 5395);
– per quanto poi attiene alla rilevanza urbanistica dell’intervento, lo stesso appellante auspica una considerazione unitaria delle parti di cui si compone l’ordinanza, di guisa che non è il manto bituminoso a rilevare in sé quanto la sua messa in opera per imprimere all’area una destinazione non consentita dalla disciplina urbanistica;
– per le ragioni anzidette, in ordine al difetto di autorizzazione ai fini dell’espletamento dell’attività di parcheggio, nessun affidamento può configurarsi in capo all’appellante, fermo restando che “In ragione della sua natura di atto vincolato, ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive che ne rendono doverosa l’adozione da parte dell’amministrazione, l’ordine di demolizione non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore, né la preventiva comunicazione di avvio del procedimento, e ciò in base ad un principio che non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ordine di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103).
9. In conclusione, rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma con parziale diversa motivazione la sentenza impugnata.
10. Nessuna determinazione va assunta sulle spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione dell’intimata Amministrazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 8729/2013), lo rigetta e, per l’effetto, conferma con parziale diversa motivazione la sentenza impugnata.
Nulla per le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore

 

 

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