L’attività di repressione degli abusi edilizi

Consiglio di Stato, Sentenza|18 gennaio 2022| n. 311.

L’attività di repressione degli abusi edilizi tramite l’emissione dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001 costituisce attività di natura vincolata e che, pertanto, la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria – per l’appunto – la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 e ss. della l. 241 del 1990 agli interessati.

Sentenza|18 gennaio 2022| n. 311. L’attività di repressione degli abusi edilizi

Data udienza 21 dicembre 2021

Integrale

Tag- parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Attività repressiva – Natura vincolata

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7481 del 2015, proposto da
Da. Di., ed altri, rappresentati e difesi dagli Avvocati Fe. La. e Fe. Sc., con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via (…);
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati An. Cu., Fa. Ma. Fe., An. An. e An. Ca. con domicilio eletto presso l’Avv. Ni. La., in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 00764/2015, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2021 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

L’attività di repressione degli abusi edilizi

FATTO e DIRITTO

Gli odierni appellanti, in epoca precedente al 31 dicembre 1993, realizzavano senza titolo su terreno di proprietà, un fabbricato strutturato su tre livelli, di cui due fuori terra (piano interrato, piano rialzato e primo piano) adibito a civile abitazione, relativamente al quale i comproprietari Di. Pa. e Di. Da., in data 13 gennaio 1995, presentavano istanze di condono, rispettivamente, n. 383 e n. 387, ai sensi della L. 724/94.
In epoca successiva venivano realizzati due ulteriori livelli di sopraelevazione, anche questi senza titolo.
L’Amministrazione, accertato l’abuso, ordinava la demolizione del fabbricato con ordinanza n. 642/2005, notificata alla sola appellante Fl. Pa., coniuge di Di. Da., che la impugnava innanzi al Tar Campania – Napoli con ricorso iscritto al n. 7403/05 R.R. (nelle more, in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto con sentenza n. 3014 del 4 maggio 2018).
Gli effetti della citata ordinanza n. 642, con provvedimento n. 414 del 17 ottobre 2011, venivano successivamente estesi a Di. Da. e Di. Pa. in qualità di comproprietari dell’immobile.
Con ricorso iscritto al n. 278/12 R.R., gli appellanti impugnavano innanzi al Tar Campania entrambi i citati provvedimenti sanzionatori (n. 642/2005 e n. 414/2011) e, con due successivi ricorsi per motivi aggiunti, il verbale di accertamento dell’inottemperanza alle ingiunte demolizioni del 4 aprile 2013 e l’atto del 16 luglio 2013 con il quale veniva dichiarata l’acquisizione al patrimonio comunale del manufatto composto, nella consistenza definitiva, da piano seminterrato, piano rialzato, primo, secondo e terzo piano, oltre alla relativa area di sedime.

 

L’attività di repressione degli abusi edilizi

Il Tar, con sentenza n. 764/2015, oggetto di impugnazione nel presente giudizio, rilevata l’assenza di censure riferite all’ordinanza n. 642/2005 (come anticipato oggetto di separato giudizio):
– dichiarava inammissibile il ricorso introduttivo, relativamente all’ordinanza n. 414/2011, per omessa impugnazione delle citate ordinanze n. 259 e 260 del 2001;
– dichiarava inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti in quanto diretto avverso un atto endoprocedimentale (verbale di accertamento di inottemperanza) privo di lesività ;
– respingeva il secondo ricorso per motivi aggiunti rilevando la natura meramente dichiarativa dell’atto di acquisizione.
Gli appellanti impugnavano la sentenza di primo grado con appello depositato il 4 settembre 2015 deducendone l’illegittimità sotto svariati profili.
L’Amministrazione si costituiva formalmente in giudizio con atto depositato il 31 dicembre 2020 sviluppando le proprie difese con memoria del 19 novembre 2021 con la quale confutava le avverse censure precisando, in merito alle citate istanze di sanatorie, che la n. 383/1985 presentata da Di. Pa. e la n. 387/1995, presentata da Di. Da., venivano respinte con determinazioni dirigenziali n. 259 e 260 del 2001 poiché la volumetria complessiva delle opere, per singola unità immobiliare, superava il limite di 750 mc. fissato dalla legge.
Gli appellanti depositavano memoria conclusionale in pari data, replicando alle posizioni dell’Amministrazione con memoria del 30 novembre successivo.
All’esito della pubblica udienza del 21 dicembre 2021, l’appello veniva deciso.
Con il primo motivo, gli appellanti censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui rilevava l’omessa impugnazione delle ordinanza n. 259 e 260/2001, evidenziando che tali provvedimenti non sarebbero mai state notificati ai proprietari.
Affermano ulteriormente che le misure demolitorie sarebbero intervenute ad oltre cinque anni di distanza dalla presentazione delle istanze di condono sulle quali doveva ritenersi già formato il silenzio assenso ai sensi dell’art. 39 della L. n. 724/1994 (termine biennale), con conseguente illegittimità dei provvedimenti successivamente adottati.
La censura è infondata.
Come già evidenziato dal Tar, i procedimenti relative alle istanza di condono presentate dagli appellanti Di. Pa. e Da., venivano definite con provvedimenti di rigetto n. 259/2001 e n. 260/2001, noti ai destinatari quanto meno dalla data del deposito degli stessi nel giudizio di primo grado, effettuato il 17 ottobre 2014.
Deve ulteriormente rilevarsi che la copia delle ordinanze n. 259 e 260 depositata dall’amministrazione, reca in calce la notifica ai destinatari in data 1 ottobre 2001.
Si rileva, altresì, che ai sensi dell’art. 39, comma 1, della L. n. 724/1994, la possibilità di sanatoria delle opere abusive era limitata “alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi”.
L’affermato superamento dei limiti legali di cubatura, oggetto di contestazione con le più volte richiamate ordinanze n. 259 e 260, non viene censurato dagli appellanti.
Con il medesimo capo di appello viene censurato il capo 2.2.1 della sentenza impugnata nella parte in cui il Tar riteneva irrilevante l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento per omessa dimostrazione, da parte dell’amministrazione, dell’impossibilità di adottare un provvedimento di contenuto diverso (art. 7, comma 2, della L. n. 241/1990).
A sostegno della censura allegano che, se coinvolti in fase procedimentale, avrebbero potuto argomentare circa l’intervenuta formazione del silenzio assenso sulle istanze di condono presentate.

 

L’attività di repressione degli abusi edilizi

La censura è infondata.
Circa la specifica questione non può che richiamarsi il pacifico orientamento giurisprudenziale per il quale “l’attività di repressione degli abusi edilizi tramite l’emissione dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001 costituisce attività di natura vincolata e che, pertanto, la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria – per l’appunto – la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 e ss. della l. 241 del 1990 agli interessati (così, ex plurimis,Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2018, n. 1717; 29 novembre 2017 n. 5595; 12 ottobre 2016, n. 4204; Sez. V, 17 giugno 2015, n. 3051)” (Cons. Stato, Sez. II, 13 giugno 2019, n. 3971).
Irrilevante, inoltre, è l’allegata possibilità, da parte degli appellanti, di apportare elementi decisivi a sostegno della tesi della sopravvenuta formazione del silenzio assenso atteso che l’evidenziato superamento del limite di cubatura escludeva in radice la possibilità di conseguire il titolo abilitativo tacito.
Con il secondo motivo, gli Appellanti censurano il capo 2.2.2 dell’impugnata sentenza laddove il giudice di prime cure affermava l’infondatezza della dedotta violazione dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 per omessa considerazione dell’impossibilità di procedere alle demolizioni ordinate senza pregiudizio per l’intero fabbricato, ritenendo che le sopraelevazioni abusive si posizionassero su piani altrettanto abusivi, omettendo di considerare l’intervenuta formazione del silenzio assenso.
L’amministrazione eccepisce l’inammissibilità della censura poiché formulata genericamente senza “articolare compiutamente il motivo di appello”.
Il motivo, a tacere della genericità della formulazione che lo rende di dubbia ammissibilità, è infondato.
Come già evidenziato in fatto, l’immobile in questione veniva realizzato in due tempi.
Dapprima, gli appellanti, come già illustrato e riconosciuto dagli stessi, “realizzavano un manufatto composto da piano seminterrato, piano rialzato e primo piano da adibire a civile abitazione” e, in un secondo tempo, “realizzavano ulteriori due livelli in sopraelevazione” (pag. 3 dell’appello).
L’abusiva sopraelevazione successiva, pertanto, si realizzava su di un corpo di fabbrica anch’esso abusivo in quanto edificato senza titolo ed in relazione al quale, come ripetutamente evidenziato, non interveniva alcuna sanatoria né espressa né tacita.
Non può, quindi, porsi alcuna questione di salvaguardia di una inesistente porzione legittima del manufatto.
Con il terzo motivo, gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza nella parte in cui riteneva irrilevante l’omessa considerazione dell’interesse pubblico alla demolizione senza adeguata motivazione, vieppiù necessaria in ragione del prolungato lasso di tempo intercorso dalla realizzazione degli abusi.
Il motivo è infondato.
In ragione della già affermata natura vincolata degli atti repressivi degli abusi edilizi, deve escludersi che sussista in capo all’amministrazione un dovere di valutazione dell’interesse pubblico alla demolizione, già compita a monte dal legislatore (ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 3 novembre 2021, n. 7353.
Con il quarto motivo, gli appellanti censurano la decisione di primo grado nella parte in cui riteneva l’inammissibilità dell’impugnazione del verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione impartito sul presupposto della natura endoprocedimentale dell’atto censurato.
Il motivo è infondato.
Il verbale in questione è atto endoprocedimentale con il quale l’amministrazione si limita a rilevare una situazione di fatto, peraltro non contestata dagli appellanti, ed è, quindi, pacificamente privo di autonoma lesività .
Con il quinto motivo gli Appellanti censurano la sentenza impugnata allegando che non sarebbero state esaminate le censure riferite al dedotto difetto istruttorio, affermando che la presentazione della domanda di condono, in merito alla quale, ribadiscono, si sarebbe formato il silenzio assenso ai sensi dell’art. 39 della L. n. 724/1994, avrebbe inibito l’adozione di misure di carattere repressivo ai sensi dell’art. 38 della L. n. 47/1985.
La censura è infondata per le ragioni già illustrate in sede di scrutino dei precedenti capi d’impugnazione.
Le istanze di condono presentate dagli appellanti, in esito alle quali non si formava il silenzio assenso, venivano, infatti, respinte sul rilievo dell’insussistenza dei presupposti di legge per il loro accoglimento.
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna degli appellanti in solido al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 2.000.00 oltre oneri di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Marco Poppi – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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