Gli atti violenti o minatori che siano specificamente diretti ad alterare l’ordinario e il libero rapportarsi degli operatori in un’economia di mercato

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 6 novembre 2018, n. 50084

La massima estrapolata:

Gli atti violenti o minatori che siano specificamente diretti ad alterare l’ordinario e il libero rapportarsi degli operatori in un’economia di mercato rientrano nell’ipotesi prevista dal n. 3) dell’articolo 2598 del Cc alla stregua della quale “compie atti di concorrenza sleale chiunque” “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Sentenza 6 novembre 2018, n. 50084

Data udienza 12 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOGINI Stefano – Presidente

Dott. AGLIASTRO Mirella – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere

Dott. BASSI Alessand – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/09/2017 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Molino Pietro, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito il difensore delle parti civili (OMISSIS) e Comune di Giuliano in Campania che ha insistito per il rigetto del ricorso, depositando conclusioni scritte e nota spese a verbale.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli, in riforma dell’appellata sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 22 giugno 2016 resa all’esito del giudizio abbreviato, previo riconoscimento della continuazione fra i reati sub iudice (ex articolo 416-bis c.p., articolo 513-bis c.p. e Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-quinquies, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, aggravati ex L. 12 luglio 1991, n. 203, articolo 7) ed i fatti gia’ giudicati con sentenza irrevocabile della Corte d’appello di Napoli del 7 gennaio 2014, ha rideterminato la pena complessivamente inflitta a (OMISSIS) in dodici anni di reclusione, con conferma nel resto dell’impugnata decisione.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, (OMISSIS) chiede l’annullamento della sentenza per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge processuale in relazione all’articolo 453 c.p.p., comma 1-bis e articolo 455 c.p.p., per avere la Corte d’appello erroneamente rigettato l’eccezione di nullita’ della sentenza. La difesa evidenzia che il giudizio immediato c.d. cautelare si e’ instaurato sulla base della richiesta formulata dal P.M. in data 22 gennaio 2016, successivamente alla sentenza resa dalla Corte di cassazione ex articolo 311 c.p.p. di annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame, dunque in assenza dei presupposti di legge.
2.2. Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente eccepisce la violazione di legge penale e la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione ai reati di cui ai capi A), B) e C) della rubrica. Quanto al reato associativo sub capo A), l’impugnante si duole del fatto che i Giudici di merito abbiano ritenuto integrato il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso nonostante la mancanza di prova del vincolo associativo di tipo camorristico. Con riferimento al reato di cui all’articolo 513-bis c.p. sub capo B), la difesa rimarca che al (OMISSIS) era stata data la possibilita’ di lavorare ai sensi dell’articolo 284 c.p.p., comma 3, proprio presso l’azienda di (OMISSIS), il che non puo’ essere interpretato quale volonta’ del ricorrente di imporre ai soggetti operanti nel settore del trasporto di prodotti ortofrutticoli determinate condizioni lavorative e che manca comunque la prova di atti intimidatori. L’impugnante sottolinea inoltre come i Giudici della cognizione non abbiano accertato la commissione, con violenza o minaccia, di alcun specifico atto anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 2595 c.c., come prescritto da questa Corte di legittimita’. (OMISSIS) evidenzia altresi’ come non vi siano i presupposti per ritenere integrata l’intestazione fittizia contestata sub capo C), atteso che, gia’ nel lontano 2012, (OMISSIS) accoglieva l’imputato al lavoro come suo dipendente e che il contenuto delle intercettazioni esclude che l’attivita’ del ricorrente costituisca mera riproposizione della ” (OMISSIS)”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ inammissibile il primo motivo di natura processuale con cui il ricorrente ha eccepito la difettosa instaurazione del giudizio abbreviato a seguito di giudizio immediato cd. cautelare ai sensi dell’articolo 453, comma 1-bis, sul presupposto che, all’atto della richiesta del P.M., non fosse piu’ in atto la misura cautelare, giusta l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame disposto dalla Corte di cassazione.
1.1. Al riguardo, basti considerare – con valenza assorbente dell’eccezione che la richiesta di giudizio abbreviato incondizionata e la conseguente (e doverosa) ammissione del rito da parte del giudice hanno efficacia sanante rispetto a qualunque eccezione di natura processuale relativa a vizi concernenti l’instaurazione del rito, fra questi ovviamente inclusi anche quello concernente l’insussistenza dei presupposti per il giudizio immediato cd. cautelare. In tale senso e’ la costante giurisprudenza di legittimita’ (v. per tutte Sez. U, n. 16,
21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246) nonche’ l’attuale dettato dell’articolo 438 c.p.p., comma 6-bis, secondo cui “La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullita’, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilita’ delle inutilizzabilita’, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”.
1.2. A cio’ si aggiunga che, secondo il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte (richiamato anche dal Collegio del gravame nelle pagine 12 e 13 della sentenza), la decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non puo’ essere oggetto di ulteriore sindacato (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, Rv. 260018).
2. Sono inammissibili anche gli ulteriori motivi concernenti il merito della causa, con riferimento alla materialita’ delle condotte ed alla penale responsabilita’ del (OMISSIS) rispetto ad esse.
2.1. Sotto un primo profilo, deve essere rilevata l’intima genericita’ delle doglianze, la’ dove il ricorrente si e’ limitato a dolersi delle valutazioni espresse dai giudici della cognizione in ordine alle diverse contestazioni, ma non ha indicato le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, con cio’ omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204).
2.2. Sotto altro aspetto, va evidenziato come la difesa abbia riproposto i medesimi argomenti gia’ dedotti in appello senza confrontarsi con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale, il che costituisce ulteriore causa d’inammissibilita’ del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
2.3. Ad ogni buon conto, la Corte territoriale ha bene argomentato, con considerazioni aderenti alle emergenze dell’incartamento processuale, lineari e conformi a logica – pertanto incensurabili nella sede di legittimita’ -, le ragioni per le quali abbia confermato il giudizio di penale responsabilita’ espresso in primo grado nei confronti del ricorrente.
Ed invero, la Corte partenopea ha ripercorso gli elementi a carico (fonti di dichiarative e risultanze delle intercettazioni) e dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto integrata la partecipazione del (OMISSIS) all’associazione camorristica (clan dei casalesi) nonche’ provate le ulteriori condotte delittuose (v. pagine 13 e seguenti della sentenza in verifica).
In particolare, quanto al capo A), il Collegio del gravame ha indicato gli elementi probatori e le ragioni sulla scorta delle quali abbia ritenuto provato che il clan dei (OMISSIS) avesse esercitato una supremazia, un controllo forzatamente monopolistico, nel settore commerciale costituito dal trasporto su ruote di prodotti ortofrutticoli di provenienza campana nonche’ di quelli smistati dal mercato ortofrutticolo di Fondi e commerciali da e per la Sicilia, attraverso il braccio esecutivo rappresentato dalla ditta ” (OMISSIS) s.n.c.” di cui (OMISSIS) era figura di spicco.
Quanto al capo B), la Corte ha illustrato gli specifici elementi sulla scorta dei quali abbia ritenuto acclarato come la ditta individuale di (OMISSIS), la (OMISSIS) e, poi, la societa’ unipersonale costituita dal (OMISSIS) ne(settembre 2012 rappresentassero agli occhi di tutti gli operatori commerciali del settore null’altro che la prosecuzione dell’attivita’ svolta in prima battuta dalla ditta ” (OMISSIS) s.n.c.” e come i metodi imposti dall’imputato avessero impedito il libero svolgimento dell’attivita’ imprenditoriale.
Quanto al capo C), il Collegio distrettuale ha rimarcato come l’agire del (OMISSIS) costituisse emanazione di una potentissima e pericolosa consorteria criminale.
2.4. A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell’iter argomentativo sviluppato dal Giudice del gravame in sentenza, il ricorso si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimita’ limitarsi a verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilita’ di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
3. Merita invece una trattazione piu’ approfondita la questione concernente la sussumibilita’ della condotta di cui al capo B) nell’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 513-bis c.p..
A sostegno dell’assunto, la difesa evidenzia che, nella specie, si tratta semplicemente di comportamenti intimidatori finalizzati ad ostacolare la libera concorrenza e non di condotte riportabili a quelle tipicamente concorrenziali (quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare) che sostanziano il reato de quo.
3.1. Deve essere premesso come, in materia di illecita concorrenza con violenza o minaccia ai sensi dell’articolo 513-bis c.p., si sia registrato nella giurisprudenza di questa Corte un consapevole contrasto ermeneutico.
Secondo un primo orientamento, ancorato al dato testuale della norma ed al principio di stretta legalita’ e tassativita’, integrano il reato di cui all’articolo 513-bis c.p. soltanto quelle condotte illecite tipicamente concorrenziali (quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc.) attuate, pero’, con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, mentre non vi rientrano gli atti intimidatori che siano finalizzati a contrastare o ostacolare l’altrui libera concorrenza (Sez. 2, n. 49365 del 08/11/2016, Prezioso, Rv. 268515; Sez. 3, n. 16195 del 06/03/2013, Fammilume, Rv. 255398; Sez. 1, sent. n. 6541 del 02/02/2012, Aquino, Rv. 252435).
Ne discende che, nell’ipotesi di condotte estrinsecantesi in azioni intimidatorie, poste in essere nell’esercizio di attivita’ imprenditoriale, finalizzate a coartare e limitare l’altrui libera concorrenza, ma non integranti “atti di concorrenza” nel senso tecnico-giuridico, non e’ configurabile il reato di cui all’articolo 513-bis cod. pen., ferma restando, tuttavia, l’eventuale riconducibilita’ della fattispecie concreta ad altre ipotesi di reato (quali quelle di estorsione o di concussione).
Secondo un orientamento teleologicamente orientato, integra invece il reato d’illecita concorrenza con violenza o minaccia qualsiasi comportamento violento o intimidatorio idoneo ad impedire al concorrente di autodeterminarsi nell’esercizio della sua attivita’ commerciale, industriale o comunque produttiva configura un atto di concorrenza illecita (Sez. 3, n. 44169 del 22/10/2008, Rv. 241683).
Il principio e’ stato riaffermato alla luce del complessivo quadro normativo in tema di concorrenza risultante anche dalle fonti di matrice comunitaria, evidenziando come siano da qualificare atti di concorrenza illecita tutti quei comportamenti sia “attivi” che “impeditivi” dell’altrui concorrenza, che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, siano idonei a falsare il mercato e a consentirgli di acquisire, in danno dell’imprenditore minacciato, illegittime posizioni di vantaggio sul libero mercato, senza alcun merito derivante dalla propria capacita’ operativa (Sez. 2, n. 18122 del 13/04/2016, P.M. in proc. Gencarelli, Rv. 266847; Sez. 2, n. 15781 del 26/03/2015, Arrichiello e altri, Rv. 263529).
3.2. Nel tentativo di comporre le opposte linee interpretative, di recente, la Sezione Terza di questa Corte ha affermato che la condotta materiale del delitto previsto dall’articolo 513-bis c.p. puo’ essere integrata da tutti gli atti di concorrenza sleale di cui all’articolo 2598 c.c., precisando altresi’ che detta norma – da interpretare alla luce della normativa comunitaria e della Legge n. 287 del 1990 – contempla, ai numeri 1) e 2), i casi tipici di concorrenza sleale parassitaria, ovvero attiva, mentre, al n. 3), prevede una norma di chiusura, secondo cui sono atti di concorrenza sleale tutti i comportamenti contrari ai principi della correttezza professionale idonei a danneggiare l’altrui azienda (Sez. 3, n. 3868 del 10/12/2015 – dep. 2016, Ingui’ ed altro, Rv. 266180). A sostegno dell’affermazione di principio si e’ evidenziato, in prima battuta, come la ratio della disposizione, introdotta dalla L. 13 settembre 1982, n. 464 (legge La Torre), come evincibile dalla relazione alla proposta di L. n. 1581 (primo firmatario Pio La Torre), si individui nella “tutela della concorrenza” e, quindi, dell’ordine economico e del libero svolgimento di attivita’ economiche senza interferenza con comportamenti di violenza o minaccia e come, d’altra parte, essendo stato espunto dal testo definitivo il riferimento alla criminalita’ organizzata, con l’inserimento dell’articolo 513-bis c.p. nel Titolo 8, l’ambito di applicazione sia diventato piu’ esteso e non limitato ai comportamenti tipicamente mafiosi. Cio’ posto, si e’ osservato come, in assenza di una nozione penalistica di “atto di concorrenza”, assuma rilievo fondante l’articolo 2598 c.c. che individua gli atti di concorrenza sleale che trovano tutela in ambito civilistico. Tale norma, anche alla luce degli arresti della giurisprudenza civile di legittimita’, prevede diverse tipologie di atti di concorrenza sleale, fra cui al n. 3) come teste’ notato – anche tutti quei comportamenti, distinti e diversi da quelli tipizzati nei numeri 1) e 2), contrari “ai principi della correttezza professionale” ed idonei a danneggiare l’altrui azienda (Cass., Sez. 1 civile, n. 25652 del 4/12/2014, Hfv Holding di Partecipazioni Spa contro Antoni Srl In Liq, Rv 633530; Sez. U. Civ. n. 2018 del 15/03/1985, FED IT EDITOR contro TIRELLI, Rv 439926; Cass. Civ. Sez. 1, n. 1263 del 13/03/1989, SOC FLLI SINDI contro SOC B.A.M Rv 462133).
3.3. Orbene, proprio prendendo spunto dal ragionamento svolto nella pronuncia da ultimo rammentata, ritiene il Collegio che, ai fini del reato di cui all’articolo 513-bis c.p., il concetto di “atti di concorrenza” debba essere interpretato tenendo conto della norma di riferimento in materia, id est all’articolo 2598 c.c..
Occorre, nondimeno, precisare come, nel momento in cui una disposizione prevista dall’ordinamento giuridico per disciplinare un fenomeno in campo civile sia utilizzata a fini ermeneutici per dare significato ad un concetto utilizzato in ambito penale, salvo una diversa indicazione normativa, detta disposizione non possa essere riduttivamente letta secondo l’ermeneusi seguita nell’applicazione giurisprudenziale in quello specifico settore del diritto (nella specie, civile), che per definizione – e’ destinato a regolare il rapporto o l’accadimento sotto un’ottica completamente diversa da quella penalistica. Ritiene pertanto la Corte che l’articolo 2598 c.c., n. 3, la’ dove fa riferimento – con una espressione all’evidenza “aperta” – ad “ogni altro mezzo” “non conforme ai principi della correttezza professionale” e “idoneo a danneggiare l’altrui azienda”, non possa non comprendere fra gli atti di “concorrenza sleale” anche quei comportamenti violenti o minacciosi in danno di un’azienda concorrente atti ad alterare la libera competizione fra imprese nel procacciamento degli affari, sia pure normalmente estranei al fenomeno della “concorrenza sleale” in ambito civilistico e commerciale cui appunto pertiene la disciplina dello stesso articolo 2598 c.c., in quanto condotte certamente integranti un “altro mezzo” “contrario” “alla correttezza professionale” ed “idoneo a danneggiare l’altrui azienda”
3.4. Mette d’altronde conto di notare come tale lettura estensiva della disposizione – nell’abbracciare nel concetto di “atto concorrenziale” oggetto della previsione “aperta” dell’articolo 2598 c.c., n. 3 qualunque comportamento che possa alterare la libera e leale concorrenza fra imprese – risulta armonica con il bene giuridico tutelato dalla fattispecie, che si individua non solo nel buon funzionamento dell’intero sistema economico, ma anche nella liberta’ delle persone di autodeterminarsi nello svolgimento delle attivita’ produttive. Diversamente opinando si dovrebbe pervenire all’irragionevole conclusione che i comportamenti costrittivi che – a prescindere dal fatto di integrare ulteriori condotte penalmente rilevanti – siano specificamente diretti a far recedere un competitor dal partecipare ad una gara volta all’aggiudicazione di un appalto, piuttosto che dal candidarsi ad eseguire talune opere, non siano idonei ad alterare l’ordinario ed il libero rapportarsi degli operatori in un’economia di mercato e non possano dunque inquadrarsi nel novero di “ogni altro mezzo” “non conforme ai principi della correttezza professionale” ne’ “idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.
3.5. L’ermeneusi privilegiata discende, inoltre, dalla ratio dell’incriminazione quale espressa nei Lavori Preparatori della L. 13 settembre 1982, n. 646 recante disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale, e cioe’ con le finalita’ e le ragioni di politica criminale che hanno accompagnato l’introduzione della fattispecie nel senso di offrire all’Autorita’ Giudiziaria un ulteriore strumento per il contrasto delle infiltrazioni della criminalita’ in ambito economico. Nella Relazione alla proposta di L. n. 1581 presentata alla Camera dei Deputati il 31 marzo 1980, 8 legislatura, si legge difatti che “La mafia, peraltro opera ormai anche nel campo delle attivita’ lecite e si consolida l’impresa mafiosa che interviene nelle attivita’ produttive, forte dell’autofinanziamento illecito (sequestro di persona, contrabbando, etc.) e mira all’accaparramento dell’intervento pubblico, scoraggiando la concorrenza….Con la previsione del reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, si punisce un comportamento tipico mafioso che e’ quello di scoraggiare con esplosione di ordigni, danneggiamenti o con violenza alle persone, la concorrenza”.
Come si e’ perspicuamente notato in dottrina, lo strumento di tutela ideato con l’articolo 513-bis c.p. e’ volto a fronteggiare l’evoluzione conosciuta dalla mafia negli anni âEuroËœ70 del secolo scorso, quando da un modello statico di mafia (che non prevedeva attivita’ imprenditoriale) si e’ passati ad uno di tipo dinamico, dove l’esercizio dell’attivita’ d’impresa rappresenta lo sbocco naturale e il centro di interessi del sodalizio criminale. L’imprenditoria mafiosa, ricorrendo a metodi violenti intimidatori, finisce con lo scoraggiare o eliminare del tutto l’altrui lecita concorrenza: la mafia sfrutta cosi’ il proprio “vantaggio competitivo” per attuare un disegno monopolistico (per settori o aree geografiche di appartenenza) che mette a repentaglio la libera dinamica economica.
Sebbene la fattispecie sia stata ormai svincolata da qualunque necessaria connessione con lo specifico contesto della criminalita’ organizzata di stampo mafioso, rimane nondimeno fermo che il legislatore, con l’introduzione del reato di illecita concorrenza, abbia espressamente preso di mira quelle condotte anticoncorrenziali comunque realizzate con comportamenti violenti o minatori, che devono pertanto essere ricondotte all’alveo dell’incriminazione.
3.6. La lettura proposta risulta inoltre sintonica con la particolare tutela assicurata all’economia di mercato aperta e in libera concorrenza sia dalla L. 10 ottobre 1990, n. 287 (in tema di tutela della concorrenza e del mercato), sia e soprattutto – dal quadro normativo comunitario (articoli 101 e 106 TUE, articolo 120 TFUE, articolo 16 CEDU), prevalente sulla norma interna in virtu’ degli articoli 11 e 117 Cost. (Cass. Sez. 1 civile, n. 14394 del 10/08/2012, Star Ecotronics Srl contro Foss Italia Spa, Rv. 624016).
3.7. D’altra parte, non e’ revocabile in dubbio che, ove la condotta anticoncorrenziale sia posta in essere con condotte integranti anche il delitto di estorsione, i due delitti potranno se del caso concorrere, trattandosi di norme con diversa collocazione sistematica e preordinate alla tutela di beni giuridici diversi, di tal che, ove ne ricorrano gli elementi costitutivi, si ha concorso formale tra gli stessi (Sez. F, n. 45132 del 04/09/2014, Cosentino e altri, Rv. 260789).
3.8. Tirando le fila delle considerazioni che precedono, ritiene il Collegio di dover affermare il principio di diritto secondo il quale il reato di cui all’articolo 513-bis c.p. e’ configurabile in tutti i casi in cui l’agire coercitivo connotato da violenza o minaccia, esplicato nell’ambito dell’esercizio di un’attivita’ commerciale, industriale o produttiva, integri un “atto tipicamente concorrenziale” e che, nondimeno, al fine di definire l’ambito di tale concetto, occorra avere riguardo alle ipotesi di “concorrenza sleale” previste dall’articolo 2598 c.c. nella sua integralita’. Se ne inferisce che, ai fini della enucleazione degli “atti di concorrenza” rilevanti ai fini dell’incriminazione de qua, non potra’ non considerarsi l’ipotesi prevista dal n. 3) del citato articolo 2598 c.c. – residuale ed all’evidenza “aperta” -, alla stregua della quale “compie atti di concorrenza sleale chiunque” “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”, fra questi non potendosi non annoverare tutti quei comportamenti violenti o minatori che siano specificamente diretti ad alterare l’ordinario ed il libero rapportarsi degli operatori in un’economia di mercato.
3.9. Tanto premesso in linea generale, la decisione oggetto del ricorso si pone perfettamente in linea con il principio di diritto sopra delineato e la contraria – prospettazione difensiva deve essere disattesa.
4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
4.1. (OMISSIS) deve essere altresi’ condannato a rifondere le spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato nella misura che sara’ separatamente liquidata dal giudice civile, disponendo sin d’ora il pagamento di tali spese in favore dello Stato.
4.2. Deve essere invece dichiarata inammissibile la richiesta avanzata dal Comune di Giugliano in Campania, essendosi detta parte costituita soltanto dinanzi a questa Corte, dunque ben oltre il termine previsto a pena di decadenza dall’articolo 79 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso limitatamente al reato di cui al capo B); dichiara inammissibile nel resto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna altresi’ il ricorrente a rifondere le spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato nella misura che sara’ separatamente liquidata, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato. Dichiara inammissibile la richiesta avanzata dal Comune di Giugliano in Campania.

Avv. Renato D’Isa

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