Assoluzione dell’imputato per essere stato il reato commesso da persona non imputabile

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 4 marzo 2020, n. 8778

Massima estrapolata:

L’assoluzione dell’imputato per essere stato il reato commesso da persona non imputabile per vizio totale di mente al momento del fatto prevale sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, presupponendo quest’ultima pronuncia un giudizio positivo circa la configurabilità del reato contestato e l’ascrivibilità al suo autore.

Sentenza 4 marzo 2020, n. 8778

Data udienza 17 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28-11-2018 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pedicini Ettore, che concludeva per l’annullamento senza rinvio della sentenza per prescrizione;
udito per il ricorrente l’avvocato (OMISSIS), che si riportava ai motivi di ricorso e ne chiedeva l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 aprile 2016, il Tribunale di Lecce, per quanto in questa sede rileva, assolveva (OMISSIS) dai reati di cui all’articolo 609 bis c.p., articolo 609 quater c.p., commi 1 e 5 e articolo 609 quinquies c.p., in quanto non imputabile per incapacita’ di intendere e di volere al momento del fatto, applicando nei confronti del medesimo la misura di sicurezza dell’assegnazione a un’idonea residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, per la durata di anni 5.
In particolare, l’accusa elevata a carico di (OMISSIS) era quella di avere, in concorso con la moglie (OMISSIS) (condannata a 13 anni di reclusione), costretto i figli, (OMISSIS) e (OMISSIS), all’epoca dei fatti minori di anni dieci, a denudarsi, a stendersi sul letto e a avere rapporti sessuali tra di loro, con coetanei e con gli stessi genitori, nonche’ per aver compiuto atti sessuali con i figli, consistenti in baci sul corpo, carezze reciproche nelle parti intime e pratiche masturbatorie, compiendo altresi’ i genitori atti sessuali tra di loro in presenza dei minori, al fine di farli assistere, intimando poi di imitare e ripetere tali atti; fatti commessi in (OMISSIS).
Con sentenza del 28 novembre 2018, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, assolveva (OMISSIS) dai reati di cui agli articolo 609 bis e 609 quater c.p. perche’ il fatto non sussiste, confermando la sentenza impugnata in ordine alla configurabilita’ del reato ex articolo 609 quinquies c.p., riducendo ad anni 2 la misura di sicurezza applicatagli, mentre nei confronti della (OMISSIS), a sua volta assolta dai reati di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni, veniva dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di corruzione di minorenni, perche’ estinto per prescrizione.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello salentina, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa lamenta la mancata applicazione della prescrizione che, rispetto al reato di cui all’articolo 609 quinquies c.p., era maturata il 6 settembre 2017, come era stato dichiarato nei confronti della (OMISSIS), per cui la causa estintiva doveva essere riconosciuta anche in favore di (OMISSIS).
Con il secondo motivo, viene dedotta l’erronea applicazione dell’articolo 530 c.p.p., in luogo dell’articolo 531 c.p.p., rilevandosi che, pure in presenza dell’incapacita’ di intendere e volere dell’imputato, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare il reato estinto per prescrizione, posto che, nelle ipotesi elencate all’articolo 129 c.p.p., comma 2 manca il riferimento all’articolo 85 c.p., contenuto nell’articolo 530 c.p.p., per cui nel caso di specie il rilievo della causa estintiva avrebbe dovuto prevalere sulla formula assolutoria, in quanto quest’ultima e’ equiparabile a una pronuncia di condanna, stante l’applicazione della misura di sicurezza che ne scaturisce.
Con il terzo motivo, il ricorrente censura la violazione dell’articolo 178 c.p.p., lettera C), osservando che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la mancata autorizzazione della presenza dei consulenti tecnici di parte aveva violato il diritto di difesa, rendendo nullo l’incidente probatorio, come tempestivamente eccepito sia in primo che in secondo grado.
Con il quarto motivo, infine, la difesa si duole della mancata valutazione della pericolosita’ sociale, non avendo la Corte di appello motivato la propria decisione di rideterminare la misura di sicurezza, non avendo in particolare tenuto conto che la perizia svolta su (OMISSIS) risaliva a oltre sette anni prima e che, quindi, non poteva giustificare l’applicazione della misura di sicurezza, tanto piu’ ove si consideri che l’imputato, in un primo momento, era stato dichiarato incapace anche di partecipare al processo, incapacita’ poi venuta meno in seguito alle successive visite, cio’ a riprova del fatto che il quadro clinico del ricorrente era suscettibile di mutamenti, il che imponeva la necessita’ di verificare se, al momento della sentenza, fosse ancora attuale la sua pericolosita’ sociale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

E’ fondato il quarto motivo, mentre nel resto il ricorso non e’ meritevole di accoglimento.
1. Iniziando per ragioni di coerenza sistematica dal terzo motivo, occorre in primo luogo evidenziare che, rispetto alla celebrazione dell’incidente probatorio, alcun profilo di nullita’ appare ravvisabile, posto che, come rilevato nella sentenza impugnata, in coerenza con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Sez. 3, n. 29848 del 10/11/2017, dep. 2018, Rv. 273492 e Sez. 3, n. 42984 del 04/10/2007, Rv. 238067), nel caso in cui sia stata disposta dal giudice una perizia psicologica al fine di valutare l’idoneita’ fisica e mentale del teste a deporre, non vi e’ alcun obbligo per il perito di far presenziare alle operazioni peritali i consulenti di parte, ne’ e’ prevista alcuna sanzione dalla legge processuale per la loro mancata presenza, per cui correttamente l’assenza dei consulenti della difesa agli incontri del perito con i minori, preliminari alla celebrazione dell’incidente probatorio, non e’ stata ritenuta dirimente dai giudici di merito, stante la natura interlocutoria di tali incontri, volti solo a “facilitare” il contatto tra i minori e il perito, in vista della loro successiva escussione, per la quale e’ stato comunque assicurato il pieno rispetto del contraddittorio.
Da cio’ consegue l’infondatezza della doglianza difensiva.
2. Passando ai restanti motivi, suscettibili di essere trattati unitariamente, perche’ tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve premettersi che, in primo grado, (OMISSIS) e’ stato assolto da tutti i reati a lui contestati, perche’ non imputabile per difetto di capacita’ di intendere e di volere al momento del fatto.
All’imputato, con la sentenza di primo grado, veniva altresi’ applicata la misura di sicurezza dell’assegnazione a una R.E.M.S., per la durata di anni cinque.
All’esito del giudizio di secondo grado, la Corte di appello, quanto alla posizione di (OMISSIS), ha confermato la statuizione assolutoria di primo grado solo limitatamente al residuo reato di cui all’articolo 609 quinquies c.p., ritenuto comprovato dall’istruttoria dibattimentale, mentre, rispetto alle residue imputazioni, e’ intervenuta pronuncia assolutoria perche’ il fatto non sussiste. Conseguentemente, la durata della misura di sicurezza e’ stata ridotta a 2 anni. Orbene, prima di soffermarsi sull’applicazione della misura di sicurezza, occorre osservare che la conferma della pronuncia assolutoria per vizio totale di mente nei confronti di (OMISSIS), in luogo della declaratoria di estinzione per prescrizione (operata invece nei confronti della coimputata (OMISSIS)), appare immune da censure, dovendosi evidenziare che il differente esito processuale e’ coerente con la diversa condizione dei due imputati, posto che nei confronti del soggetto dichiarato incapace di intendere e di volere al momento del fatto, pur in presenza di una pronuncia di proscioglimento, e’ possibile l’applicazione di una misura di sicurezza, ove sia accertata la pericolosita’ sociale dell’imputato.
Dunque, l’assoluzione per essere stato il reato commesso da persona non imputabile al momento del fatto prevale sulla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, presupponendo tale pronuncia, come avvenuto nel caso di specie, un giudizio positivo circa la configurabilita’ della fattispecie contestata. Viceversa, sulla pronuncia assolutoria fondata sul vizio totale di mente dell’imputato prevale ogni altra pronuncia assolutoria che presupponga o l’inesistenza del fatto, o la sua non ascrivibilita’ all’imputato, o la mancata integrazione della fattispecie dal punto di visto soggettivo e per la ravvisabilita’ di un’esimente, o ancora la mancanza di rilevanza penale della condotta.
E’ significativa in tal senso la circostanza che, nel testo dell’articolo 530 c.p.p., la formula assolutoria relativa al difetto di imputabilita’ dell’autore del reato segue le piu’ favorevoli formule “se il fatto non sussiste”, “se l’imputato non lo ha commesso”, “se il fatto non costituisce reato” e “se il fatto non e’ previsto dalla legge come reato”, dovendo quindi queste diverse formule prevalere su quella fondata sulla incapacita’ dell’imputato di intendere e di volere all’epoca del fatto. Dunque, nella vicenda in esame, deve ritenersi corretta la decisione della Corte territoriale di assolvere l’imputato “perche’ il fatto non sussiste” rispetto alle fattispecie ritenute non comprovate dall’istruttoria dibattimentale, confermando invece l’assoluzione per vizio totale di mente rispetto al residuo reato di corruzione di minorenni per cui si e’ ritenuto esaustivo il quadro probatorio delineatosi, pur se medio tempore e’ maturata la prescrizione del reato.
Il rilievo della predetta causa estintiva, presupponendo l’esistenza del reato e l’ascrivibilita’ all’imputato, all’esito peraltro di una cognizione piena della vicenda, deve ritenersi quindi soccombente rispetto alla formula assolutoria “perche’ il fatto e’ stato commesso da persona non imputabile al momento del fatto”: l’ulteriore conseguenza ricollegabile alla possibile applicazione di una misura di sicurezza postula infatti il pieno accertamento della commissione del fatto illecito (o, in taluni casi, anche di un cd. “quasi reato”, come si desume dall’articolo 202 c.p., comma 2), a prescindere dal maturare della relativa prescrizione.
In tal senso, deve invero rilevarsi che l’articolo 205 c.p., al comma 1, prevede espressamente che le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna “o di proscioglimento”, compresa quindi la sentenza che accerti l’estinzione del reato per il decorso della prescrizione, ma che verifichi la sussistenza della fattispecie in ogni suo aspetto, come avvenuto nel caso di specie, all’esito di un duplice giudizio di merito le cui valutazioni conclusive, almeno rispetto alla fattispecie residua di corruzione di minorenni, non sono state peraltro oggetto di specifiche censure nell’odierna impugnazione.
3. Ribadito dunque che la conferma della pronuncia assolutoria di (OMISSIS) per difetto di imputabilita’, pur in presenza della sopravvenuta causa estintiva del reato, non presenta criticita’, deve ritenersi invece censurabile la decisione della Corte territoriale di confermare l’applicazione della misura di sicurezza (di cui e’ stata ridotta la durata), in assenza di alcuna ulteriore verifica in ordine all’eventuale persistenza della pericolosita’ sociale dell’imputato.
L’articolo 202 c.p., infatti, individua i presupposti necessari ai fini della applicazione delle misure di sicurezza non solo nella commissione di un fatto previsto dalla legge come reato (o anche di un “quasi reato”, ma solo nei casi determinati dalla legge), ma anche nell’esistenza della pericolosita’ sociale del soggetto giudicato, essendo peraltro proprio questo il requisito che rende non dirimente il rilievo della causa estintiva del reato, essendo prevalente l’esigenza di assicurare il contenimento dell’eventuale pericolosita’ sociale del soggetto resosi autore di un comportamento penalmente rilevante (o, in determinate ed eccezionali ipotesi, anche di un fatto non previsto dalla legge come reato).
Proprio per la sua oggettiva rilevanza, anche alla luce delle implicazioni pratiche, il presupposto della pericolosita’ sociale del possibile destinatario delle misure di sicurezza deve essere tuttavia oggetto di un serio approfondimento in sede di merito, avendo in tal senso la giurisprudenza di legittimita’ precisato che, ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza, la prognosi di pericolosita’ sociale non puo’ limitarsi all’esame delle sole emergenze di natura medico-psichiatrica, ma implica la verifica globale delle circostanze indicate dall’articolo 133 c.p., espressamente richiamato dall’articolo 203 stesso codice, fra cui la gravita’ del reato commesso e la personalita’ del soggetto, cosi’ da approdare a un giudizio di pericolosita’ quanto piu’ possibile esaustivo e completo (cfr. Sez. 5, n. 43631 dell’11/05/2017, Rv. 271008 e Sez. 1, n. 50164 del 16/05/2017, Rv. 271404).
a 4. Orbene, tale compiuta verifica e’ mancata nel caso di specie.
E invero, dalla sentenza di primo grado emerge che il giudizio sulla pericolosita’ sociale di (OMISSIS) e’ stato fondato, prevalentemente, sulla perizia del Dott. (OMISSIS), cui il relativo incarico venne conferito dal Tribunale il 22 giugno 2012.
Cio’ posto, deve prendersi atto che la sentenza della Corte di appello e’ stata emessa il 28 novembre 2018, non emergendo che, nel frattempo, la pericolosita’ sociale dell’imputato sia stata oggetto di un ulteriore accertamento, che invero sarebbe stato doveroso, sia in considerazione del tempo trascorso dalla perizia del Dott. (OMISSIS) (circa 6 anni), sia in ragione del ridimensionamento non proprio trascurabile dell’iniziale quadro probatorio a carico di (OMISSIS), nei cui confronti e’ intervenuta pronuncia assolutoria rispetto alle due delle tre imputazioni originariamente ascrittegli (assoluzione che invero ha riguardato i fatti piu’ gravi). Di qui la necessita’ di rinnovare l’accertamento sul persistere della pericolosita’ sociale dell’imputato, alla luce della pluralita’ dei parametri prima richiamati, non potendosi certo ritenere sufficiente la mera riduzione della durata della misura di sicurezza operata dalla Corte territoriale, in assenza di una adeguata verifica circa il permanere della situazione valutata sei anni prima dal Tribunale, peraltro in presenza di un diverso giudizio sulla conferma dell’impianto accusatorio.
5. Alla stregua di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere quindi annullata limitatamente alla valutazione della pericolosita’ sociale, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce per nuovo giudizio sul punto, mentre nel resto il ricorso deve essere invece disatteso, stante la rimarcata infondatezza dei primi tre motivi di ricorso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione della pericolosita’ sociale e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce per nuovo giudizio sul punto. Rigetta il ricorso nel resto.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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