Ai fini della configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 1

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46234.

La massima estrapolata:

Ai fini della configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 1, il concetto di “utilizzazione” deve essere inteso come vera e propria degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, onde non assume valore esimente il consenso prestato dal medesimo in merito.
Ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter c.p., e’ necessario che la condotta del soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, si’ che esulano dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore

Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46234

Data udienza 10 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. DI STASI Antonell – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/10/2017 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Filippi Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per le parti civili l’avv. (OMISSIS), che ha concluso depositando conclusioni scritte e nota spese;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22.12.2016, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, all’esito del giudizio abbreviato dichiarava (OMISSIS) responsabile dei reati contestatigli – articolo 600 ter c.p., commi 1 e 3, articolo 602 ter c.p., comma 5 (capo a) articolo 612 bis c.p., commi 1, 2, 3 e 4 (capo b), articolo 61 c.p., n. 1 e articoli 582 e 581 c.p. (capo c), in essi assorbito il reato di cui all’articolo 600 quater c.p. contestato al capo a) commessi in danno della minore (OMISSIS), nonche’ L. n. 10 del 1975, articolo 2, comma 4 – e lo condannava alla pena di anni sei, mesi otto di reclusione ed Euro 24.000,00 di multa ed alle correlate pene accessorie oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
Con sentenza del 23/10/2017, la Corte di appello di Roma riduceva la pena inflitta ad anni sei, mesi due di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa e confermava nel resto.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con il primo motivo deduce violazione dell’articolo 546 c.p.p., comma 1 lettera e) n. 4 e correlato vizio motivazionale., lamentando che la scelta della Corte di appello di trattare indistintamente i due motivi appello, relativi alle distinte condotte di produzione e di diffusione di materiale pornografico, aveva impedito una corretta argomentazione in merito all’accertamento dei fatti.
Con il secondo motivo deduce violazione dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 4 e correlato vizio di motivazione, lamentando l’erronea valutazione della prova circa l’utilizzo della minore per produzione di materiale pornografico, che evidenziava, invece, la capacita’ della minore di autodeterminarsi nella relazione sentimentale e sessuale con l’imputato: la condotta aveva avuto ad oggetto riprese della coppia nel compimento di atti sessuali consenzienti) nella consapevolezza della minore della presenza del telefono che li registrava.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 4 e correlato vizio di motivazione, lamentando l’erronea valutazione della esistenza di prova circa il pericolo di diffusione del materiale pornografico in quanto i Giudici di merito avevano ritenuto provati due fatti mai verificati (fotografia inviata tramite chat avente contenuto pornografico e sit di (OMISSIS)) e che non trovavano riscontro nelle risultanze istruttorie.
Con il quarto motivo deduce violazione dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), n. 4, chiedendo la rideterminazione della pena per il reato di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 3, tenendo conto della lesivita’ della condotta.
In data 21.6.2018 la difesa del ricorrente ha depositato memoria ex articolo 585 c.p.p., comma 4, con la quale ha ulteriormente illustrato e precisato i primi tre motivi di ricorso proposti, deducendo anche quale ulteriore doglianza, relativamente al reato di cui al capo a), vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione allegando che per la condotta di pubblicazione la Corte territoriale non aveva espresso specifica motivazione ne’ aveva valutato il carattere pornografico della fotografia indicata nel capo di imputazione ai sensi del disposto dell’articolo 600 ter c.p., comma 7.
In data 5.7.2018 il difensore della parte civile ha depositato memoria difensiva ex articoli 90 e 121 c.p.p., con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile o infondato il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile per genericita’.
Il ricorrente si limita a censurare genericamente l’articolazione argomentativa della sentenza resa dal giudice di secondo grado, allegando un non corretto accertamento dei fatti, senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.
Il motivo, quindi, caratterizzandosi per assoluta genericita’, integra la violazione dell’articolo 581 c.p.p., lettera c), che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, “I motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), determina, per l’appunto, l’inammissibilita’ della doglianza (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Rv. 242129; Sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, Rv. 219087).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il reato di produzione di materiale pornografico mediante utilizzo di minore, rimarcando, con argomentazioni congrue e logiche, che le risultanze probatorie escludevano che la minore avesse prestato consenso alle due riprese video; ha, inoltre, osservato che, peraltro, un eventuale consenso sarebbe stato, comunque, irrilevante, in linea con il consolidato principio di diritto secondo cui, ai fini della configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 1, il concetto di “utilizzazione” deve essere inteso come vera e propria degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, onde non assume valore esimente il consenso prestato dal medesimo in merito (Sez.3, n.1783 del 17/11/2016,dep.16/01/2017, Rv.269412; Sez.3, n.27252 del 05/06/2007, Rv.237204).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
La Corte territoriale, nel ritenere sussistente il reato di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter c.p., ha evidenziato con argomentazioni congrue e logiche, come la condotta del soggetto agente avesse avuto una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, in quanto l’imputato aveva dato prova di aver gia’ diffuso materiale pornografico; la Corte di merito ha richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale, ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter c.p., e’ necessario che la condotta del soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, si’ che esulano dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore (Sez.3, n.16340 del 12/03/2015, dep.20/04/2015, Rv.263355; Sez.3,n.16340 del 12/03/2015 Rv.263355; Sez.3,n.35295 del 12/04/2016, Rv.267546; Sez.3, n.33298 del 16/11/2016, dep.10/07/2017,Rv.270418; Sez.U, n.13 del 31/05/2000,Rv.216337).
Va, peraltro, osservato come la questione sollevata dal ricorrente, peraltro con inammissibili rilievi in fatto, sia stata superata da un nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite (n. 29453 del 31.5.2018), le quali, a seguito di ordinanza di rimessione di questa Sezione, hanno deciso che ai fini dell’integrazione del reato di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 1, n. 1 con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico non sia necessario, vista la nuova formulazione della norma introdotta dalla L. 6 febbraio 2006 n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale.
4. Il quarto motivo di ricorso e’ inammissibile.
Deve ricordarsi che la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, il quale la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p., sicche’ e’ inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena (Sez.3, n.1182 del 17/10/2007, dep.11/01/2008, Rv.238851;Sez.5, n.5582 del 30/09/2013, dep.04/02/2014, Rv.259142).
Giova anche ricordare che costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) e’ necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”- come avvenuto nella specie-, “congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’articolo 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al “quantum” della pena (Sez.2,n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez.4, n.21294 deI20/03/2013, Rv.256197).
5. Con riferimento ai motivi nuovi proposti con memoria del 21.6.2018, deve osservarsi che l’inammissibilita’ del gravame per manifesta infondatezza o genericita’ dei motivi proposti, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, si estende anche ai motivi nuovi, e cio’ in applicazione della disposizione, di carattere generale in tema di impugnazioni, dell’articolo 585, comma 4, u.p., in base alla quale l’inammissibilita’ dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi (cfr per casi analoghi, Sez.2, n.34216 del 29/04/2014, Rv.260851; Sez.1, n.33272 del 27/06/2013, Rv.256998; Sez.6 n.47414 del 30/10/2008,Rv.242129;Sez.1, n.38293del 16/09/2004,Rv.229737; Sez.6, n.8596 del21/12/2000,dep.01/03/2001,Rv.219087). Peraltro, il motivo nuovo afferente alla condotta di pubblicazione, con il quale si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe espresso specifica motivazione e non avrebbe valutato il carattere pornografico della fotografia indicata nel capo di imputazione, presenta un ulteriore profilo di inammissibilita’, in quanto la questione prospettata non era stata dedotta con i motivi di appello.
Va richiamato, quindi, l’orientamento costante di questa Corte (Sez. U. 30.6.99, Piepoli, Rv. 213.981) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilita’ originaria dell’impugnazione; non possono, quindi, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perche’ non devolute alla sua cognizione (Sez.3, n.16610 del 24/01/2017,Rv.269632), tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (Sez.2, n.6131 del 29/01/2016, Rv.266202), ipotesi che non ricorre nella specie.
6.Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
8. Il ricorrente va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili che avuto riguardo all’impegno profuso, all’oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover liquidare nella misura complessiva di Euro 3.000,00 per compenso professionale, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonche’ alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in Euro 3000,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 15% e oltre accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.