L’appostazione in bilancio da parte dell’amministratore di una somma a titolo di compenso ancorché non ancora deliberato nel suo ammontare non integra il reato di appropriazione indebita.

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 7 maggio 2019, n. 19147.

La massima estrapolata:

L’appostazione in bilancio da parte dell’amministratore di una somma a titolo di compenso ancorché non ancora deliberato nel suo ammontare non integra il reato di appropriazione indebita. Questo in quanto, se manca il dolo specifico, l’atto non può considerarsi volto al conseguimento di un ingiusto profitto o di un vantaggio in grado di determinare un danno patrimoniale alla società.

Sentenza 7 maggio 2019, n. 19147

Data udienza 1 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio – rel. Consigliere

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa in data 01/02/2018 dalla Corte d’Appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vittorio Pazienza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Ceniccola Elisabetta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 01/02/2018, la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza emessa in data 14/07/2017 dal Tribunale di Aosta, con la quale (OMISSIS) era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al delitto di appropriazione indebita di somme di pertinenza della (OMISSIS) s.r.l., nonche’ al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita (OMISSIS).
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), deducendo, con un primo ricorso a firma dell’avv. (OMISSIS):
2.1. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta configurabilita’ del delitto in relazione alle somme trattenute a titolo di compenso per l’attivita’ svolta quale amministratore della (OMISSIS) s.r.l.. Si osserva al riguardo che il compenso era stato deliberato sin dalla nomina del (OMISSIS) quale amministratore, ed era stato attribuito anche a chi era subentrato nella carica, da ritenere onerosa perche’ riconducibile al mandato ex articolo 1720 c.c..
2.2. Vizio di motivazione con riferimento alle altre spese.
Si deduce che il (OMISSIS) aveva dato piena prova documentale sia dei versamenti effettuati dai debitori della societa’ sul suo conto corrente, sia dei pagamenti effettuati, operando su quel conto, nell’interesse della societa’. Si evidenzia altresi’ che tali operazioni erano temporalmente coincidenti, e risalivano ad epoca in cui la societa’ era stata oggetto di diverse procedure esecutive: sicche’ il versamento sui conti sociali delle somme dovute dai debitori, in quel frangente di esposizione debitoria, avrebbe impedito di effettuare i necessari pagamenti, quanto alla riferibilita’ dei pagamenti a debiti societari, trattavasi di circostanza non contestata neanche dalla parte civile. Si censura inoltre la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto possibile che i versamenti INPS fossero riferibili ad altre societa’, in quanto quei versamenti risultavano dai libri contabili sociali. Si contesta infine la configurabilita’ delle aggravanti contestate.
3. Con ricorso a firma dell’altro difensore avv. (OMISSIS), il (OMISSIS) deduce:
3.1. Erronea applicazione dell’articolo 646 c.p., non avendo il ricorrente posto in essere alcuna condotta di ritenzione o distrazione, ed avendo anzi agito nell’esclusivo interesse della societa’: era dunque da escludere anche qualsiasi suo intento di spogliare la societa’. Quanto poi alle somme imputate a titolo di compenso, il ricorrente richiama la giurisprudenza che aveva escluso il reato anche in ipotesi di compenso non ancora determinato, censurando la diversa conclusione cui era giunta la Corte d’Appello.
3.2. Erronea applicazione con riferimento alle aggravanti contestate, sia perche’ la somma di Euro 17.000 (da ripartire in tre anni, relativa al compenso) non poteva evidentemente costituire un danno di rilevante gravita’, sia perche’ l’aver agito nell’esclusivo interesse societario escludeva in radice l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera.
3.3.. Si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto dirimente la mancata produzione di quietanze liberatorie, idonee a comprovare l’effettivo soddisfacimento, con i pagamenti, di ragioni creditorie vantate nei confronti della societa’. Al riguardo, si osserva che i pagamenti erano stati effettuati con bonifici bancari tracciabili, che recavano tra l’altro la causale del pagamento: cio’ che rendeva privo di senso il rilascio di quietanze liberatorie, anche perche’ i bonifici non erano mai stati revocati ne’ alcuna azione era stata intentata per il recupero di quei crediti. Si evidenzia altresi’ che il ricorrente non era stato in grado di produrre documenti della contabilita’ della (OMISSIS), di cui non aveva alcuna disponibilita’ essendo cessato dalla carica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.
2. L’odierno ricorrente e’ stato tratto a giudizio per il delitto di appropriazione indebita delle somme, meglio specificate in rubrica, costituenti canoni di locazione spettanti alla (OMISSIS) s.r.l. che egli – nella qualita’ di amministratore unico della predetta societa’ dal 2009 al 2014 – aveva fatto versare dai debitori sul proprio conto corrente personale, anziche’ su quello della societa’ amministrata.
2.1. La linea difensiva del (OMISSIS), nel giudizio di merito, non e’ stata quella di contestare di aver tenuto tale condotta, ma di respingere qualsiasi rilievo penale della stessa sostenendo – con un riscontro documentale, basato sulle risultanze delle operazioni effettuate dal proprio conto corrente – di aver in questo modo inteso evitare che la liquidita’ sul conto fosse esposta alle plurime procedure esecutive che in quel periodo erano state intraprese in danno della societa’, e di aver soprattutto utilizzato le somme versate dai debitori sociali per estinguere una pluralita’ di esposizioni debitorie, come dettagliatamente esposto nelle memorie depositate nel giudizio di merito e, da ultimo, nelle tabelle riportate nel ricorso dell’avv. (OMISSIS) (cfr. pag. 4 ss. dell’atto di impugnazione ed in particolare pag. 6, dedicata alla analitica ricostruzione delle varie tipologie di esposizioni della societa’ onorate con bonifici o assegni tratti sul conto del ricorrente: debiti verso fornitori che avevano intrapreso procedure esecutive ed erano stati soddisfatti con pagamenti ai difensori; debiti per oneri fiscali, per servizi, ecc.). Nella prospettiva del ricorrente, il confronto tra le somme riportate nel capo di imputazione (tabella “Versamenti”) e quelle elencate nella tabella “Pagamenti” (comprendente anche le somme trattenute a titolo di compenso per l’attivita’ di amministratore, su cui cfr. infra, § 2.4) aveva anzi evidenziato un credito nei confronti della (OMISSIS) s.r.l.
2.2. La Corte territoriale ha disatteso la prospettazione difensiva, pur dando atto dell’esistenza in atti di fatture e parcelle di creditori della societa’, per la ritenuta insufficienza della produzione documentale, ed in particolare per la mancanza delle “relative quietanze di avvenuto pagamento”. Con riferimento ai bonifici in favore dell’INPS, la Corte territoriale ha ipotizzato che le trattenute previdenziali potessero aver riguardato soggetti diversi dai dipendenti della (OMISSIS) s.r.l., “ben potendo l’imputato, almeno in ipotesi, aver contemporaneamente rivestito la qualifica di amministratore anche di altre societa’”; cosi’ come la causale riportata nei bonifici “non e’ verificabile nella sua rispondenza alla effettiva ragione del pagamento cui si riferisce”.
In definitiva, ad avviso della Corte, il (OMISSIS) avrebbe dovuto documentare “con inequivocabile certezza” l’effettivo soddisfacimento di ragioni creditorie sociali “mediante quietanze liberatorie”: e cio’ “in ossequio al principio di prossimita’ e disponibilita’ della prova” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
2.3. E’ al riguardo opportuno ricordare, anzitutto, che, secondo un consolidato indirizzo interpretativo espresso da questa Suprema Corte, “non integra il reato di appropriazione indebita, ma una mera condotta di distrazione non rilevante ai sensi dell’articolo 646 c.p., il compimento, da parte dell’amministratore di una societa’ di capitali, di atti di disposizione patrimoniale comunque idonei a soddisfare anche indirettamente l’interesse sociale, e non un interesse esclusivamente personale del disponente” (Sez. 2, n. 30942 del 03/07/2015, Costantin, Rv. 264555).
In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, la motivazione della sentenza impugnata non si sottrae alle censure proposte nei motivi di ricorso.
In linea di principio – e salvo quanto si vedra’ in ordine alle somme trattenute a titolo di compenso – la Corte d’Appello non ha ritenuto priva di plausibilita’ la prospettazione difensiva: ha tuttavia escluso che quest’ultima fosse stata adeguatamente dimostrata, ed in tale prospettiva ha per un verso formulato rilievi congetturali (quale quello secondo cui i pagamenti INPS potrebbero in astratto riferirsi a vicende di altre societa’, qualora il (OMISSIS) fosse stato amministratore anche di queste ultime).
Per altro verso, la Corte d’Appello ha invocato un principio di “prossimita’ e disponibilita’ della prova” che sembra prestare il fianco all’obiezione difensiva (cfr. pag. 15 del ricorso avv. (OMISSIS)) secondo cui il (OMISSIS), una volta cessato dalla carica, non aveva piu’ avuto alcuna disponibilita’ della documentazione concernente la contabilita’ della (OMISSIS) s.r.l. (dalla quale si sarebbe potuto evincere la riferibilita’ alla societa’ dei versamenti INPS: cfr. pag. 7 ricorso avv. (OMISSIS)), ed era stato quindi nell’impossibilita’ di produrla (fermo restando che, nell’ottica difensiva, la causale riportata nel bonifico rendeva ultroneo il riferimento a quietanze liberatorie). D’altra parte, le deduzioni difensive (svolte in appello e riproposte nell’odierna sede) circa l’estinzione di diverse procedure esecutive, in conseguenza dei pagamenti effettuati dal (OMISSIS) dal proprio conto, non hanno trovato alcun tipo di confutazione nel percorso argomentativo della sentenza impugnata.
2.4. In relazione alle somme trattenute dal (OMISSIS) a titolo di compenso per l’attivita’ di amministratore, la Corte d’Appello ha invece senz’altro affermato la configurabilita’ del reato, sottolineando che – in assenza di una delibera assembleare e di una conseguente autorizzazione all’incasso – l’amministratore dovra’ ritenersi titolare di una mera aspettativa creditoria (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
E’ tuttavia opportuno porre in evidenza che questa Suprema Corte ha ricostruito in termini ben diversi la situazione soggettiva dell’amministratore, affermando che “non integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore di una societa’ che dispone in bilancio accantonamenti a titolo di compenso, ancora non determinato, nel suo ammontare, per l’attivita’ svolta in tale qualita’, in quanto l’atto compiuto non e’ volto al conseguimento di un ingiusto profitto o di un vantaggio che si ponga come “danno patrimoniale” cagionato alla societa’, bensi’ ad assicurare il soddisfacimento di un diritto soggettivo perfetto” (Sez. 2, n. 36030 del 22/05/2014, Fusiello, Rv. 260846).
In tale condivisibile ottica interpretativa, va evidenziato che, se e’ vero che l’appostazione in bilancio di una somma a titolo di compenso e’ evidentemente cosa diversa dal trattenimento, per la stessa ragione, di somme ricevute da debitori della societa’, non meno vero e’ che anche la seconda condotta ipotizzata deve necessariamente essere supportata, per potersi configurare il delitto di cui all’articolo 646 c.p., dal dolo specifico di conseguire “un ingiusto profitto o di un vantaggio che si ponga come “danno patrimoniale” cagionato alla societa’”.
Tale specifico aspetto non e’ stato adeguatamente lumeggiato dalla sentenza impugnata: e cio’ anche in considerazione delle deduzioni difensive svolte in appello e poi nella sede odierna, in ordine all’erogazione di compensi agli amministratori che avevano preceduto e seguito il ricorrente nella carica, pur in assenza di delibere assembleari (pag. 11 ricorso avv. (OMISSIS)), e alle dichiarazioni rese in dibattimento dalla parte civile (OMISSIS) in ordine ai crediti vantati a titolo di compenso per l’attivita’ di amministratore della (OMISSIS) svolta dall’agosto 2014 al febbraio 2016 (cfr. pag. 3 ricorso avv. (OMISSIS) e, in precedenza, pag. 9 dell’atto di appello).
3. Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino, per una nuova valutazione delle risultanze processuali in ordine all’effettivo impiego delle somme confluite nel conto personale del (OMISSIS), e alla configurabilita’ dell’elemento soggettivo del reato a lui ascritto anche quanto alla parte trattenuta a titolo di compenso per l’attivita’ svolta quale amministratore della (OMISSIS) s.r.l..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino.

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