Apposita sezione disciplinare all’interno del Consiglio nazionale forense

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 24 gennaio 2019, n. 2084.

La massima estrapolata:

La mancata costituzione di un’apposita sezione disciplinare all’interno del Consiglio nazionale forense non incide sulla natura giurisdizionale dei suoi poteri, né sull’imparzialità e sull’autonomia dell’organo giudicante, le quali sono comunque assicurate dalla sua composizione collegiale e dalla natura elettiva dei suoi componenti

Sentenza 24 gennaio 2019, n. 2084

Data udienza 4 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f.

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sez.

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez.

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di Sez.

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 19141-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI (OMISSIS), PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI (OMISSIS), PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 44/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 14/05/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2018 dal Consigliere ADRIANA DORONZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’Avvocato (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- A seguito di tre esposti, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di (OMISSIS) ha avviato tre procedimenti disciplinari nei confronti dell’avvocato (OMISSIS) con i capi di incolpazione che di seguito si riassumono:
1) violazione degli obblighi di cui agli articoli 6, 7, 8, 38, 40 e 42 del codice deontologico forense, per aver il professionista ricevuto nel 1999 da (OMISSIS) l’incarico di assisterlo con riferimento ad un infortunio senza: a) promuovere un giudizio; b) assumere le necessarie iniziative per tutelare l’assistito, lasciando cosi’ prescrivere il diritto; c) fornire al cliente adeguate informazioni, anzi fornendo informazioni non veritiere; d) restituire tutta la documentazione relativa all’incarico ricevuto anche a fronte della richiesta avanzata dal nuovo difensore dell’esponente;
2) violazione degli articoli 8, 38,40 e 42 del codice deontologico forense per avere nell’anno 2007 instaurato un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nell’interesse di (OMISSIS), omettendo di a) fornire al cliente un’adeguata assistenza nonche’ le necessarie informazioni circa gli esiti del giudizio, esponendo il cliente ad iniziative esecutive della controparte e del domiciliatario dell’avvocato (OMISSIS), nonche’ alla condanna ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 1, b) restituire al cliente tutta la documentazione anche a fronte della richiesta avanzata dal nuovo difensore dell’esponente;
3) violazione dei doveri previsti negli articoli 8, 38 e 40 del codice deontologico forense per avere nell’anno 2008 ricevuto l’incarico dalla signora (OMISSIS) di assisterla ai fini di ottenere il risarcimento dei danni per un infortunio, omettendo di a) assisterla; 2) fornirle le necessarie informazioni circa lo svolgimento dell’incarico, anzi fornendole aggiornamenti non veritieri.
2.- Il Consiglio dell’ordine, riuniti i tre procedimenti, ha irrogato la sanzione della censura. Per quel che ancora qui rileva, l’Organo disciplinare ha rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dall’incolpato in relazione al primo esposto, sul presupposto che il protrarsi della condotta omissiva non ne aveva consentito il decorso; ha ritenuto sussistente la responsabilita’ del professionista e, pur considerando gravi le violazioni commesse, ha irrogato la sola censura in ragione del fatto che, con riferimento al primo addebito, l’incolpato aveva corrisposto al cliente la somma di Euro 24.500,00 a titolo di risarcimento del danno subito, seppur sulla base della falsa rappresentazione di aver ottenuto una sentenza favorevole e di voler anticipare l’importo liquidato dal giudice a causa di alcune questioni ancora in sospeso.
3.- Contro la sentenza, l’avvocato (OMISSIS) ha proposto ricorso al Consiglio nazionale forense, il quale, in parziale riforma della decisione impugnata, con sentenza depositata in data 14 maggio 2018, ha riformato la decisione irrogando all’incolpato la sanzione dell’avvertimento.
A fondamento della sua decisione l’Organo superiore di disciplina, dopo aver rigettato i motivi concernenti la regolarita’ del procedimento, nel merito ha ritenuto sussistenti gli addebiti contestati e la responsabilita’ dell’incolpato, condividendo e facendo proprio il giudizio espresso dal Consiglio dell’ordine; in applicazione dell’articolo 21 del nuovo codice deontologico professionale, ha poi applicato la meno grave sanzione dell’avvertimento, avuto riguardo alle circostanze soggettive e oggettive nel cui contesto erano avvenute le violazioni (pregiudizio subito dalla parte assistita, compromissione dell’immagine della professione forense, vita professionale e precedenti disciplinare,del professionista).
4.- Contro la sentenza l’avvocato (OMISSIS) ricorre per cassazione, articolando tre motivi; non hanno presentato difese gli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente deduce la carenza di giurisdizione del Consiglio nazionale forense sostenendo che la decisione era stata emessa non da un’apposita sezione disciplinare: la mancata costituzione di tale organismo, prevista dalla L. n. 247 del 2012, articolo 61, comma 1, e la conseguente confusione delle funzioni giurisdizionali e amministrative dei suoi componenti, rendeva di per se’ il Consiglio nazionale forense privo di giurisdizione, con il conseguente vizio insanabile della sentenza.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge sotto il profilo della mancanza di motivazione della sentenza, la quale non rispetterebbe il cosiddetto “minimo costituzionale”. In particolare, sotto un primo aspetto, si duole della omessa motivazione sul rigetto della censura con cui aveva eccepito l’illegittimita’ della riunione dei procedimenti; sotto altro aspetto, lamenta che l’Organo superiore di disciplina, pur avendo richiamato il principio secondo il quale il Consiglio nazionale forense puo’ apportare le integrazioni ritenute necessarie per sostenere la motivazione resa in prima istanza, aveva omesso di illustrarle e svolgerle, risultando cosi’ carente la motivazione a fronte di censure specifiche.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 51 e assume che, secondo i principi affermati da questa Corte, ai procedimenti disciplinari in corso al momento dell’entrata in vigore della L. n. 247 del 2012 non si applica la nuova normativa relativa ai termini di prescrizione: il termine di prescrizione da applicarsi era dunque quello quinquennale, con la conseguente erroneita’ della decisione del CNF nella parte in cui aveva escluso che, circa la vicenda del 1999, il fatto si sarebbe consumato nel dicembre 2006 (con la dazione della somma a titolo di risarcimento del danno) e l’esposto del 29/4/2012 e il decreto di citazione a giudizio del 13/11/2013 sarebbero intervenuti a termine gia’ spirato.
4.- Il primo motivo e’ infondato.
4.1.- Non e’ in discussione la natura giurisdizionale delle decisioni assunte dal Consiglio nazionale forense, le quali sono rese da un organo giurisdizionale (giudice speciale istituito dal D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, articolo 21 e tuttora operante, in forza della previsione della 6 disposizione transitoria della Costituzione), in base a norme che, quanto alla nomina dei componenti del medesimo CNF ed al procedimento di disciplina dei professionisti iscritti al relativo ordine, “assicurano, per il metodo elettivo della prima e per le sufficienti garanzie difensive proprie del secondo, il corretto esercizio della funzione giurisdizionale, affidata al suddetto organo in tale materia, con riguardo all’indipendenza del giudice ed alla imparzialita’ dei giudizi” (Cass. Sez. Un. 10/7/2017, n. 16993, ed ivi ampi richiami, tra cui Cass. Sez. Un. 23/03/2005, n. 6213).
4.2.- Con specifico riguardo all’indipendenza del giudice, all’imparzialita’ dei giudizi e alla garanzia del diritto di difesa (v. Corte cost. sent. n. 284 del 1986), si e’ ritenuta manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 24, 97 e 111 Cost., la questione di legittimita’ costituzionale delle disposizioni sul procedimento disciplinare innanzi al predetto Consiglio nazionale forense, non potendo incidere sulla legittimita’ costituzionale di detta normativa neppure la circostanza che al consiglio spettino anche funzioni amministrative, in quanto, come evidenziato dalla Corte costituzionale, non e’ la mera coesistenza delle due funzioni a menomare l’indipendenza del giudice, bensi’ il fatto che le funzioni amministrative siano affidate all’organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, essendo in tale ipotesi immanente il rischio che il potere dell’organo superiore indirettamente si estenda anche alle funzioni giurisdizionali (v., tra le altre, Corte cost., sent. n. 73 del 1970, n. 128 del 1974, n. 284 del 1986,cit.; v. pure Cass. Sez.Un. 8/8/2011, n. 17064).
4.3.- Tale posizione ed il correlativo rischio non sono riscontrabili nella fattispecie in esame, in cui le funzioni giurisdizionali sono esercitate dal Consiglio senza che sussista un rapporto di subordinazione verso alcun altro soggetto e quindi in piena autonomia: con l’evidente conseguenza che la loro coesistenza con quelle amministrative non importa il rischio sopra menzionato e pertanto non incide sull’indipendenza del Consiglio stesso ne’ priva lo stesso delle funzioni giurisdizionali (cfr. Cass. Sez.Un. n. 17064/2011, cit.).
4.4.- Come e’ stato sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale, anche gli organi della giurisdizione ordinaria, al pari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, accanto alle funzioni tipiche, ne hanno altre di natura amministrativa (organizzazione degli uffici, vigilanza e controllo sul personale di cancelleria e subalterno, vigilanza sugli ufficiali dello stato civile, ecc.), senza che queste diminuiscano la loro indipendenza (Corte Cost. n. 284/1986).
4.5.- La giurisdizione professionale e’, del resto, conosciuta anche dagli ordinamenti di altri Stati e la Corte Europea dei diritti dell’uomo, chiamata ad esaminare il medesimo problema (rispetto all’articolo 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955 n. 848), ha riconosciuto, con riguardo ad alcune decisioni del Consiglio nazionale dei medici belgi, la sussistenza del requisito dell’indipendenza degli organi della giurisdizione professionale (sent. 23 giugno 1981, nel caso Le Compte, Van Leuven, De Meyere e sent. 10 febbraio 1983, nel caso Albert e Le Compte), sottolineando che i membri dei collegi professionali partecipano al giudizio non gia’ come rappresentanti dell’ordine professionale, e quindi in una posizione incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale, bensi’ a titolo personale e percio’ in una posizione di “terzieta’”, analogamente a tutte le magistrature (ancora Corte Cost. n. 284/1986).
4.6.- Alla luce di questi principi, la mancata costituzione di un’apposita sezione disciplinare all’interno del Consiglio nazionale forense non incide sulla natura giurisdizionale dei suoi poteri, ne’ sull’imparzialita’ e sull’autonomia dell’organo giudicante, le quali sono comunque assicurate dalla sua composizione collegiale e dalla natura elettiva dei suoi componenti (Cass. Sez.Un. n. 17064/2011, cit.).
5. Anche il secondo motivo e’ infondato.
5.1. Si legge nella sentenza impugnata: “La riunione (o separazione) dei procedimenti disciplinari rientra nella discrezionalita’ del giudice disciplinare e non comporta violazione del diritto di difesa poiche’ la riunione dei procedimenti risponde all’esigenza di comminare una sanzione unica per il comportamento complessivo dell’incolpato (Cass. 10/12/2013, n. 27492, e Cons. Naz. Forense 28/12/2015 n. 206)”. Non sussiste dunque il denunciato vizio di violazione di legge sotto il profilo della mancanza assoluta di motivazione o della motivazione apparente, dal momento che l’organo giudicante ha espressamente manifestato le ragioni poste a base del rigetto della censura.
5.2.- Tali ragioni sono conformi a quanto statuito da questa Corte nei procedimenti disciplinari a carico di magistrati, in cui si e’ precisato che la riunione di piu’ procedimenti pendenti a carico dell’incolpato costituisce esercizio di poteri discrezionali del giudice disciplinare ed e’ giustificata, pur quando fra i fatti oggetto delle rispettive incolpazioni non vi sia connessione, dalla necessita’ di tenere conto della complessiva condotta dell’incolpato ai fini del giudizio richiesto dal R.Decreto Legge n. 511 del 1946, articolo 18 (Cass. Sez. Un. 05/08/1993, n. 8550). Si tratta di enunciati espressione di un principio di carattere piu’ generale, valido anche per il giudizio penale (cfr. Cass. pen. 20/01/2014, n. 27958).
5.3.- A tanto deve aggiungersi che il ricorrente non prospetta neppure in questa sede le ragioni per le quali l’asserita violazione della regola processuale avrebbe in concreto comportato una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito, rilevandosi in proposito che la scelta della sanzione (peraltro la piu’ mite) da parte del CNF non risulta in alcun modo determinata, in senso sfavorevole per il ricorrente, da un supposto collegamento tra le varie infrazioni, ciascuna delle quali avrebbe operato come precedente disciplinare rispetto alle altre. Il motivo si presenta, dunque, oltre che infondato, inammissibile per difetto di interesse (cfr. Cass. 18/12/2014, n. 26831),
6. Il vizio di violazione di legge non sussiste neppure sotto il secondo profilo denunciato. Secondo la giurisprudenza consolidata, “le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, ai sensi del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 56, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonche’, ai sensi dell’articolo 111 Cost., per vizio di motivazione” (Cass. Sez.Un. 31/7/2018, n. 20344, che richiama Cass. Sez. Un. 20/9/2016, n. 18395; Cass. Sez. Un. 22/7/2016, n. 15203; v. pure Cass. Sez.Un. 02/12/2016, n. 24647; Cass. Sez.Un. 19/10/2011, n. 21584; Cass. Sez.Un. 4/2/2009, n. 2637; Cass. Sez.Un. 13/07/2005, n. 14700).
6.1.- Quanto al vizio di motivazione, deve rilevarsi che il presente ricorso e’, ratione temporis, soggetto all’applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. In relazione a tale modificazione, queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare che la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. Un. 7/4/2014, n. 8053, richiamata da Cass. Sez.Un. n. 18395/2016 cit.).
6.2. – Ne consegue che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimita’, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale e’ stato conferito (Cass. Sez.Un. 31/07/2018, n.20344).
6.3.- Ora, dalle argomentazioni svolte dal ricorrente, emerge con chiarezza che non e’ questa anomalia motivazionale ad essere denunciata, ma al piu’ un’insufficiente motivazione sull’accertamento in fatto delle condotte oggetto delle incolpazioni.
Il ricorrente, infatti, lamenta che tanto il Consiglio dell’ordine degli avvocati quanto il Consiglio nazionale forense hanno fondato la loro decisione unicamente sugli esposti presentati, senza che fosse valutata l’attendibilita’ degli esponenti e senza che l’Organo superiore di disciplina, pur avendo precisato di averne il potere, avesse proceduto ad integrare il giudizio in fatto e in diritto della decisione del COA.
6.4.- Si tratta, all’evidenza, di censure che involgono l’apprezzamento tipicamente fattuale del giudice del merito circa l’attendibilita’ dei testimoni, che e’ insindacabile in sede di legittimita’, ove sia logicamente e congruamente motivato: logicita’ e congruenza che non sono scalfite dai motivi di ricorso e che sono comunque riscontrabili ove si consideri che, con riguardo al primo capo di incolpazione, il giudizio di responsabilita’ e’ stato formulato anche sulla base delle ammissioni di responsabilita’ dell’avvocato (OMISSIS), che ha solo escluso il rilievo disciplinare della sua condotta in ragione dell’avvenuto risarcimento del danno (pag. 6 della sentenza, nonche’ pagg. 20 e 21 del ricorso).
6.5. – Con riguardo agli altri due capi, e’ la natura stessa delle censure ad escludere che vi sia il denunciato vizio di motivazione, nella sua nuova declinazione, giacche’, esse sono volte – piuttosto che ad evidenziare l’omesso esame di circostanze decisive favorevoli all’incolpato o l’intrinseca contraddittorieta’ della motivazione – a criticare il ragionamento del giudice di merito e a formulare una diversa ricostruzione dei fatti sulla base di congetture e giudizi di verosimiglianza, che non rendono di per se stessi implausibili o intrinsecamente incongrue le diverse conclusioni cui sono pervenuti gli organi di disciplina.
6.6.- Per completezza, deve osservarsi che e’ privo del carattere della decisivita’, oltre che del legame di necessita’ causale tra il fatto noto e quello ignoto, il rilievo della contemporanea pendenza del giudizio arbitrale e di quello di opposizione a decreto ingiuntivo (che vedevano interessato (OMISSIS)), per desumere dall’assolvimento del dovere di informazione con riguardo al primo giudizio l’assolvimento dello stesso dovere con riguardo al secondo; cosi’ come, per il terzo capo di incolpazione, nessuna incidenza rivestono sul giudizio circa l’attendibilita’ della (OMISSIS) le dichiarazioni dell’avvocato (OMISSIS), nuovo legale della esponente, di non essere a conoscenza diretta di fatti o circostanze riguardanti l’avvocato (OMISSIS), non potendosi dalle stesse escludere l’esistenza dei contatti tra i due professionisti riferiti nell’esposto.
6.7.- In altri termini e conclusivamente, in nessuna parte la decisione presenta contraddizioni o vizi logici, essendo possibile, in relazione a tutti i punti per cui si e’ ritenuto di dover confermare il giudizio emesso dal Consiglio territoriale, la ricostruzione della ratio decidendi che ha sostenuto la decisione.
7.-Anche il terzo motivo e’ infondato. Il Consiglio nazionale forense, dopo aver richiamato i principi espressi da questa Corte, secondo cui la nuova disciplina della prescrizione introdotta dalla L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 56 non si applica ai procedimenti in corso, ha escluso il decorso stesso della prescrizione in ragione della condotta omissiva ascritta all’avvocato (OMISSIS), dell’irrilevanza ai fini della cessazione della permanenza del versamento della somma di Euro 24.500 al signor (OMISSIS) e del principio di diritto secondo cui il dies a quo della prescrizione, in caso di illecito deontologico permanente, decorre dal momento della cessazione della condotta (richiamando Cass. 14/6/2016, n.12196).
7.1.- Il ricorrente assume che per effetto del pagamento, avvenuto nel 2006, o al piu’ per effetto della lettera inviatagli dal nuovo difensore del (OMISSIS), datata 23/4/2008, e dunque contestualmente alla cessazione del suo rapporto con il cliente per effetto dell’instaurazione di un nuovo rapporto professionale, l’illecito deontologico sarebbe cessato, ma si tratta di affermazione che non tiene conto che tra i capi di incolpazione vi e’ anche l’omessa restituzione al cliente di tutta la documentazione, rispetto alla quale la permanenza non puo’ dirsi cessata, in difetto di ogni riscontro desumibile dalla sentenza impugnata nonche’ di allegazioni del ricorrente supportate dalla necessaria autosufficienza.
8.- Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi in mancanza di attivita’ difensiva svolta dalle controparti. Poiche’ il ricorso e’ stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1. In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del detto versamento non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. ord. 13 maggio 2014 n. 10306).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1, quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.

Avv. Renato D’Isa

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