Annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi tralatiziamente definiti formali

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 9 aprile 2019, n. 2304.

La massima estrapolata:

L’annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi tralatiziamente definiti formali, quali il difetto di istruttoria o di motivazione, in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di accogliere la domanda finalizzata al risarcimento del danno. Mentre la caducazione dell’atto per vizi sostanziali vincola l’Amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l’annullamento fondato su profili formali non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato e lascia ampio il potere in merito dell’Amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, sicchè non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale.

Sentenza 9 aprile 2019, n. 2304

Data udienza 10 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9795 del 2016, proposto dalla società
Eu. 20. s.r.l., società unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. St. Da. e Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Er. St. Da. in Roma, piazza (…);
contro
Provincia di Brindisi, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma. Gu., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

sul ricorso in appello numero di registro generale 1893 del 2017, proposto dalla
Provincia di Brindisi, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma. Gu., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Eu. 20. s.r.l., società unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. St. Da. e Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Er. St. Da. in Roma, piazza (…);

sul ricorso in appello numero di registro generale 3836 del 2018, proposto da
Eu. 20. s.r.l., società unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. St. Da. e Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Er. St. Da. in Roma, piazza (…);
contro
Provincia di Brindisi, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma. Gu., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

per la riforma
quanto al ricorso n. 9795 del 2016:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede staccata di Lecce, sezione prima, n. 1626 del 31 ottobre 2016, resa tra le parti, concernente l’esecuzione della sentenza dello stesso Tribunale n. 314 del 22 gennaio 2015 ed il risarcimento del danno derivante dalla sua mancata esecuzione;
quanto al ricorso n. 1893 del 2017:
della stessa sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede staccata di Lecce, sezione prima, n. 1626 del 31 ottobre 2016;
quanto al ricorso n. 3836 del 2018:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede staccata di Lecce, sezione prima, n. 610 del 10 aprile 2018, resa tra le parti, concernente l’istanza integrativa di nomina del commissario ad acta incaricato dell’esecuzione della sentenza dello stesso Tribunale n. 314 del 22 gennaio 2015.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Brindisi e di Eu. 20. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2019 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per la Eu. 20. s.r.l., l’avvocato Al. Ca., anche su delega dell’avvocato Er. St. Da. e, per la Provincia di Brindisi, l’avvocato Ma. Ma. Gu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 314/2015 il Tar per la Puglia, sede staccata di Lecce, ha accolto il ricorso della società Eu. 20. s.r.l. contro la determinazione del dirigente del Servizio ambiente ed ecologia della provincia di Brindisi n. 18 del 6 maggio 2013 con la quale era stato disposto il divieto di prosecuzione dell’attività autorizzata di recupero di rifiuti ed irrogata la cancellazione dal Registro provinciale delle imprese che effettuano la stessa attività .
1.1. Il Tar ha, in particolare, rilevato che il provvedimento impugnato non sarebbe stato adottato in conseguenza di concrete e motivate violazioni dell’art. 216, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, ma con riferimento a fatti oggetto di un’indagine penale risalenti al 2008, sulla base dei quali era stato disposto il sequestro preventivo dell’area dell’impianto di recupero: “accertato che nell’area ove insiste l’impianto di recupero oggetto della determinazione dirigenziale n. 1560 del 27 agosto 2012 sono stati abbancati illecitamente rifiuti anche pericolosi, con modalità palesemente in violazione di quanto determinato dal comma 1 e 2 dell’art. 216 del d.lgs. 152/2006; … allo stato attuale l’impianto della società Euro Scavi non possiede i necessari requisiti per assicurare il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 e 2 dell’art. 216 d.lgs. 152/2006, conseguentemente si rende necessario disporre il divieto della prosecuzione dell’attività oggetto di iscrizione nell’elenco delle ditte che effettuano attività di recupero di rifiuti… “.
1.2. In sostanza, la Provincia si sarebbe limitata a richiamare i commi 1 e 2 dell’art. 216 d.lgs. n. 152/2006 sul rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche per l’avvio dell’attività di recupero dei rifiuti, senza esternare la riconducibilità delle violazioni all’attività oggetto della determina dirigenziale n. 1560/2012 e della relativa comunicazione di inizio attività .
1.3. Per questa ragione il Tar ha quindi ritenuto: “la sussistenza del rilevato deficit istruttorio e motivazionale di cui è affetto il divieto di prosecuzione dell’attività disposto dalla provincia di Brindisi con conseguente annullamento di quest’ultimo sotto i profili citati. Il provvedimento di cancellazione dal registro delle imprese, segue la medesima sorte in quanto atto meramente necessitato e consequenziale alla rilevata assenza dei requisiti necessari per l’iscrizione, come evidenziati dall’art. 216 c.3 del d.lgs. 152/2006, fra i quali il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1 “.
2. Con sentenza n. 1626/2016 il Tar di Lecce ha poi in parte respinto ed in parte accolto un ulteriore ricorso con il quale la società Eu. 20. ha chiesto, in difetto di esecuzione della predetta sentenza n. 314/15 (passata in giudicato), l’ottemperanza della stessa, nonché il risarcimento del danno derivante dalla sua mancata esecuzione.
2.1. Innanzitutto, il Tar ha respinto la domanda di risarcimento del danno, ritenendo che l’annullamento della determina della Provincia, disposto con la sentenza n. 314/2015, in quanto fondato sul difetto di motivazione, non potesse dar luogo ad alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato.
2.2. Ha poi accolto la richiesta di ottemperanza della medesima sentenza nei termini seguenti: “Le considerazioni sopra spese in ordine al non esaurimento del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione – avuto riguardo alla natura formale-procedimentale dell’annullamento del precedente diniego e cancellazione operato da questo TAR con la più volte citata pronuncia n. 314/15, e alla conseguente possibilità, da parte dell’Amministrazione, di emettere nuovo atto di diniego, emendato dei vizi propri dell’atto già annullato – comportano, quale logica conseguenza, che l’Amministrazione non possa limitarsi a “prendere atto” di tale statuizione giudiziale (cfr. note della Provincia 13.6.2016 e 14.7.2016), dovendo piuttosto operare una nuova valutazione discrezionale in ordine alla sussistenza dei presupposti per la reinscrizione della ricorrente all’interno del Registro provinciale delle imprese che esercitano attività di recupero di rifiuti ai sensi dell’art. 216 d.lgs. n. 152/06. In tal senso l’Amministrazione non ha operato, sicché deve ritenersi accertata, sotto il profilo da ultimo considerato, la sua inottemperanza al dictum scaturente dalla sentenza ottemperanda. In particolare, avuto riguardo alla più volte citata discrezionalità che ancora permane in capo all’Amministrazione (con conseguente possibilità di emissione di nuovo provvedimento negativo, emendato dei vizi originari), l’inottemperanza di quest’ultima deve ritenersi accertata in termini non già di mancata reinscrizione della ricorrente all’interno del registro provinciale suindicato, ma di mancata adozione di un formale ed espresso provvedimento che disponga in tal senso, indifferentemente in termini positivi o negativi. Pertanto, in accoglimento, per quanto di ragione, di tale capo di domanda (punto n. 3 delle conclusioni del ricorso introduttivo, p. 9), va dato ordine alla Provincia di Brindisi di provvedere all’adozione di nuova formale determinazione in ordine all’iscrizione della società ricorrente all’interno del Registro provinciale delle imprese che esercitano attività di recupero di rifiuti ai sensi dell’art. 216 d.lgs. n. 152/06, entro gg. 30 dalla pubblicazione/notificazione della presente sentenza. In difetto, si procederà alla nomina di commissario ad acta “.
3. Con sentenza n. 610/2018 il Tar di Lecce ha, infine, respinto un ulteriore ricorso della società Eu. 20. rubricato come “Istanza integrativa dell’istanza di nomina di commissario ad acta nell’ambito del giudizio introdotto con ricorso n. 2046/2015 R.G, da valersi anche come motivi aggiunti nel medesimo giudizio n. 2046/2015 R.G. o autonomo ricorso “. In sostanza, un mezzo di gravame proposto come un’ulteriore fase del giudizio di ottemperanza deciso con la predetta sentenza n. 1626/2016.
3.1. La società ricorrente ha in particolare contestato che la provincia di Brindisi, in esecuzione della sentenza n. 1626/2016, avesse confermato l’iscrizione della società nel Registro provinciale delle imprese esercenti attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi ex art. 216 d.lgs. n. 152/06 subordinandola al rispetto delle prescrizioni contenute nella stessa disposizione.
3.2. Il Tar di Lecce nella sentenza n. 610/2018 ha invece rilevato che la contestata elusione della pronuncia resa in sede di ottemperanza fosse in realtà argomentata in relazione alla sentenza n. 314/2015. Ha inoltre evidenziato che “né la sentenza n. 314/15, né la successiva pronuncia n. 1626/16, hanno affermato che la Provincia non potesse in alcun modo subordinare l’iscrizione alla previsione di prescrizioni. Invero, la pronuncia n. 314/15 ha annullato l’atto di cancellazione della ricorrente dal Registro delle imprese che effettuano attività di recupero di rifiuti, unicamente a cagione della “… sussistenza del rilevato deficit istruttorio e motivazionale di cui è affetto il divieto di prosecuzione dell’attività disposto dalla Provincia di Brindisi “.
4. Riassunte le precedenti vicende processuali, nel presente grado di giudizio sono all’esame due ricorsi in appello della Eu. 20. (n. 9795/2016 e n. 3836/2018) contro le sentenze del Tar di Lecce n. 1626/2016 e n. 610/2018 ed un ricorso in appello (n. 1893/2017), per un diverso profilo, della provincia di Brindisi contro la sentenza n. 1626/2010.
5. In particolare, la Eu. 20. sostiene, con riferimento a quest’ultima sentenza resa in sede di ottemperanza, che il Tar di Lecce ha erroneamente respinto la sua contestuale richiesta di risarcimento del danno. L’annullamento giurisdizionale della determina della Provincia n. 18/2013, intervenuta per vizi formali (difetto di motivazione), non poteva, secondo la società, escludere il riconoscimento della spettanza del bene della vita e di conseguenza il risarcimento.
5.1. La determina n. 18/2013 consisteva, infatti, in un provvedimento in autotutela che aveva annullato la precedente determina n. 1560/2012 di autorizzazione all’esercizio dell’attività di recupero rifiuti, adottata all’esito della sentenza dello stesso Tar di Lecce n. 2150/2011 che aveva già annullato un precedente provvedimento della Provincia n. 472/2009 di divieto di prosecuzione dell’attività .
5.2. Tali circostanze, a parere della Eu. 20., dimostrerebbero come l’interesse fatto valere in giudizio fosse stato di tipo oppositivo e non pretensivo, con la conseguente possibilità di risarcire i danni subiti dal protrarsi dell’illegittima attività amministrativa.
6. La provincia di Lecce, invece, impugna la stessa sentenza n. 1626/2016 nella parte in cui ha accolto il ricorso della società Eu. 20., disponendo l’esecuzione della sentenza n. 314/2015.
6.1. La Provincia contesta essenzialmente, nei tre motivi di appello proposti, che fosse obbligata ad adottare ulteriori atti. La sentenza n. 314/2015 avrebbe avuto una portata “autoapplicativa” che si sarebbe esaurita nell’effetto demolitorio del provvedimento dirigenziale n. 18/2013. Inoltre, la sentenza non avrebbe verificato la controversa circostanza che l’area interessata dal sequestro penale fosse coincidente con quella oggetto del provvedimento della Provincia “non risulta affatto esternato o prospettato nell’atto impugnato, che i fatti, riscontrati in sede penale e posti a base del provvedimento impugnato, abbiano comportato alcuna interferenza con l’impianto regolarmente autorizzato posto nelle immediate adiacenze delle cave oggetto del verbale di sequestro preventivo “.
7. Eu. 20. ha infine impugnato anche la sentenza n. 610/2018 del Tar di Lecce che ha respinto un suo ulteriore ricorso della società Eu. 20. rubricato come “Istanza integrativa dell’istanza di nomina di commissario ad acta nell’ambito del giudizio introdotto con ricorso n. 2046/2015 R.G, da valersi anche come motivi aggiunti nel medesimo giudizio n. 2046/2015 R.G. o autonomo ricorso “.
7.1. La società ricorrente ha prospettato l’erroneità della sentenza che non avrebbe considerato come la provincia di Brindisi, eludendo la sentenza n. 1626/2016, avesse disposto, con determina n. 133/2016, l’iscrizione della società Eu. 20. nel Registro provinciale delle imprese esercenti attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi con la condizione del rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 216 del d.lgs. n. 152/06 (in particolare, con riferimento alla parte della determina n. 133/2016 in cui, senza adeguata istruttoria, è stata subordinata la reiscrizione alla rimozione dei cumuli depositati nelle adiacenze della piattaforma per il trattamento degli inerti).
8. Nei ricorsi in appello n. 9795/2016 e n. 3836/2018, la provincia di Brindisi si è costituita in giudizio rispettivamente l’8 maggio 2018 e il 12 giugno 2018, chiedendo il rigetto dei ricorsi. Ha poi depositato in entrambi i giudizi ulteriori documenti e scritti difensivi. In particolare, nella memoria di replica depositata il 20 dicembre 2018 relativamente al ricorso n. 3836/2018, la Provincia ha anche più ampiamente prospettato la carenza di interesse di Eu. 20.. Quest’ultima non avrebbe più chiesto l’iscrizione al Registro delle imprese esercenti attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi.
9. Eu. 20. si è costituita, nel giudizio relativo al ricorso n. 1893/2017, il 30 marzo 2017, chiedendo il rigetto del ricorso, ed ha depositato un’ulteriore memoria il 10 dicembre 2018.
10. I tre ricorsi in appello sopra menzionati sono stati trattenuti in decisione all’udienza pubblica del 10 gennaio 2019.
11. Preliminarmente, il Collegio dispone, ai sensi dell’art. 70 c.p.a., la riunione dei ricorsi in appello n. 9795/2016, n. 1893/2017 e n. 3836/2018, in ragione della loro evidente connessione soggettiva ed oggettiva.
12. Esamina poi l’eccezione di carenza di interesse all’appello prospettata dalla provincia di Brindisi in ordine al ricorso della Eu. 20. n. 3836/2018. Un’altra società avrebbe infatti chiesto il trasferimento della titolarità del provvedimento n. 133/2016 impugnato dalla società appellante. Tale circostanza (che potrebbe avere effetto anche sul giudizio di cui al ricorso n. 9795/2016) non risulta in effetti smentita da Eu. 20..
12.1. Quest’ultima, tuttavia, nella sua memoria del 10 dicembre 2018, evidenzia che non sussisterebbe un suo difetto di interesse ai giudizi in esame in quanto la mancata istanza di rinnovo della iscrizione quinquennale nel Registro degli smaltitori sarebbe la conseguenza della pendenza della condizione della rimozione dei cumuli posta dalla Provincia, ai fini della ripresa dell’attività impiantistica.
12.2. La sua legittimazione attiva persisterebbe quindi a prescindere dal rinnovo dell’autorizzazione, avendo un concreto ed attuale interesse ad una pronuncia di merito in relazione all’accertamento dell’illegittimità della condotta della Provincia ai fini delle richieste risarcitorie prospettate (quantomeno per il periodo di illegittima inibizione dell’attività a far data dal 2013, epoca di adozione del provvedimento di revoca in autotutela da parte della Provincia, e sino alla scadenza dell’autorizzazione, ossia fino all’agosto del 2017).
12.3. La tesi di Eu. 20. può essere condivisa. A prescindere dalla mancata richiesta di nuova iscrizione nel Registro provinciale e dalle cause che l’hanno determinata, la società appellante mantiene un interesse ad impugnare gli esiti del giudizio di ottemperanza, sia con riferimento al denegato risarcimento del danno per mancata esecuzione della sentenza del Tar di Lecce n. 314/2015, sia in relazione all’ulteriore fase dell’ottemperanza decisa con la sentenza n. 610/2018 che ha ritenuto legittima la condizione della previa rimozione dei cumuli per la reiscrizione nel Registro, impedendo così la ripresa dell’attività di recupero autorizzata fino all’agosto 2017 (cfr. determina provinciale n. 1560/2012).
13. Ciò premesso, i riuniti ricorsi sono infondati.
14. La società Eu. 20. con provvedimento della provincia di Brindisi del 7 luglio 2005 veniva iscritta nel Registro provinciale delle imprese che esercitano attività di recupero dei rifiuti non pericolosi (di seguito Registro), ai sensi dell’art. 33 d.lgs. n. 22/1997 per le tipologie 7.1, 7.11, 13.1 e 13.2 (inerti e ceneri).
14.1. Successivamente, a seguito di sopralluogo effettuato congiuntamente in data 22 dicembre 2008 dal personale del Servizio ecologia della Provincia e del Nucleo del comando carabinieri di Lecce, emergeva che:
– nell’insediamento destinato alle attività di recupero non erano rispettate le norme tecniche generali di cui all’allegato 5 del D.M. n. 186 del 5 aprile 2006 concernente l’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero;
– non era stata prodotta istanza di adeguamento, come previsto dall’art. 1, lett. g) dello stesso decreto;
– non vi era documentazione attestante l’avvenuta esecuzione dei test di cessione per le tipologie di rifiuti previste;
– i macchinari presenti nel sito non erano quelli dichiarati al momento dell’iscrizione all’Albo.
14.2. Sulla base di tali circostanze, il dirigente del Servizio ecologia presso la provincia di Lecce, con determinazione n. 472 del 24 marzo 2009, disponeva, ai sensi del comma 4 dell’art. 216 d.lgs. n. 152/2006 (testo unico dell’ambiente), il divieto di prosecuzione dell’attività e la cancellazione della società dal Registro provinciale delle imprese che effettuano attività di recupero.
14.3. Il predetto sopralluogo veniva effettuato anche nel quadro di un’indagine penale promossa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi alla quale seguiva il sequestro probatorio, disposto il 15 novembre 2008, di due cave e dell’impianto di trattamento dei rifiuti nelle stesse esistente (in particolare, per l’illecito smaltimento nelle cave delle ceneri oggetto del trattamento nell’apposito impianto annesso all’intera struttura).
14.4. Con provvedimento del GIP di Brindisi del 26 novembre 2010 veniva poi disposto il dissequestro e con sentenza n. 2150/2011 il Tar di Lecce accoglieva il ricorso proposto da Eu. 20., annullando la determinazione dirigenziale n. 472/2009 e disponendo la rinnovazione degli atti del procedimento (alla società non era stato assegnato un termine per eliminare le problematiche emerse).
14.5. La provincia di Brindisi, in esecuzione della sentenza n. 2150/2011, con determinazione dirigenziale n. 1560 del 27 agosto 2012, ha quindi iscritto la società nel Registro con riferimento alla seconda classe di attività di recupero di rifiuti e per le tipologie di rifiuti 7.1 (rifiuti di laterizi, intonaci, conglomerati in cemento), 7.31 (terre da coltivo), 7.31 bis (terre e rocce di scavo) e 7.11 (pietrisco tolto d’opera), nel rispetto dei quantitativi stabiliti, per ciascuna tipologia di rifiuto, dall’allegato 4, sub allegato 1, del D.M. n. 186 del 5 aprile 2006, e di specifiche prescrizioni (quali, ad esempio: la distinzione delle aree per il conferimento dei rifiuti da avviare all’attività di recupero da quelle destinate allo stoccaggio; l’abbattimento delle polveri disperse in atmosfera; l’eliminazione di rischi derivanti dall’attività di recupero per l’acqua, l’aria, il suolo, la fauna e la flora).
14.6. Con nota del 20 novembre 2012, prot. n. 84602, il dirigente del Servizio ambiente ed ecologia della Provincia ha poi comunicato l’avvio di un nuovo procedimento “di revoca della determinazione dirigenziale n. 1560 del 27.8.2012, nonché per il divieto di prosecuzione dell’attività avendo accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 e 2 dell’art. 216 d.lgs. 152/06” . In quest’ultima nota, si è dato atto di un decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Lecce in data 12 ottobre 2012 e si è evidenziato che “nell’area dove insiste l’impianto per il recupero di rifiuti, di titolarità di Eu. 20., iscritta nel Registro delle imprese che effettuano il recupero dei rifiuti speciali non pericolosi con Determinazione Dirigenziale del 27.8.2012, sono stati smaltiti in assenza di alcuna autorizzazione rifiuti di natura anche pericolosa, con modalità palesemente in violazione di quanto determinato dal comma 1 e 2 dell’art. 216 d.lgs. 152/06 “. Con l’impugnato provvedimento n. 18 del 6 maggio 2013, la provincia di Brindisi ha definitivamente revocato la determinazione n. 1560/2012.
14.7. Il Tar di Lecce, con la sentenza n. 314/2015, ha annullato la revoca ritenendo che: “il provvedimento provinciale impugnato si limita a richiamare l’atto di sequestro preventivo del quale costituirebbe una mera conseguenza” ovvero “si limita a richiamare asetticamente i commi 1 e 2 dell’art. 216 d.lgs. 152/2006 senza esternare la riconducibilità delle violazioni medesime all’attività oggetto della domanda dirigenziale n. 1560/2012 e della relativa comunicazione di inizio attività (quella attualmente svolta) “. Ed ancora, con riferimento all’asserita interferenza dell’abbancamento illecito dei rifiuti, il Tar ha rilevato che “la circostanza che…la misura restrittiva non riguardi l’impianto di trattamento, non risulta affatto valutata dalla P.A., la quale è giunta alla criptica conclusione che le risultanze delle indagini penali abbiano investito anche l’esercizio dell’impianto e che lo stesso non offra le garanzie del rispetto delle norme tecniche cui lo stesso soggiace, in assenza di alcuna valutazione circa la circostanza che i fatti penali contestati alla ricorrente e gli effetti del sequestro preventivo citato possano concretamente minare o comunque inficiare l’attività autorizzata con citata determina dirigenziale n. 1560/2012 “. Più in particolare, la sentenza rileva che “non risulta affatto esternato o prospettato nell’atto impugnato che i fatti, riscontrati in sede penale e posti a base del provvedimento impugnato, abbiano comportato alcuna interferenza con l’impianto regolarmente autorizzato posto nelle immediate adiacenze delle cave oggetto del verbale di sequestro preventivo “.
14.8. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza n. 314/2015, la società Eu. 20. ha proposto ricorso per l’ottemperanza e per il risarcimento del danno derivante dalla sua mancata esecuzione.
14.9. Il Tar di Lecce, con sentenza n. 1626/2016, ha disposto l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere alla reiscrizione della società, respingendo tuttavia la richiesta di risarcimento del danno. Con la successiva sentenza n. 610/2018, lo stesso Tribunale ha poi respinto il ricorso della società contro la determina n. 133/2016 della Provincia che ha disposto l’iscrizione della società nel Registro provinciale delle imprese esercenti attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi con la condizione del rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 216 del d.lgs. n. 152/06 (in particolare, con riferimento all’obbligo di rimozione dei cumuli depositati nelle adiacenze della piattaforma per il trattamento degli inerti).
15. Alla luce della ricostruzione dei fatti sopra delineati, va innanzitutto rilevata l’infondatezza delle ragioni di appello proposte dalla Eu. 20. contro la sentenza n. 1626/2016. La società lamenta il diniego del risarcimento del danno derivante dalla mancata esecuzione della sentenza n. 314/2015. L’interesse fatto valere, secondo la stessa, sarebbe stato di natura oppositiva collegato non solo alla mancata esecuzione della pronuncia del Tar, ma anche all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa che non le ha consentito, in carenza dell’iscrizione al Registro, l’esercizio dell’attività di recupero dei rifiuti.
15.1. La tesi dell’appellante non può essere condivisa. Non solo la prima sentenza n. 2150/2011 di annullamento della revoca dell’iscrizione è intervenuta, come ammesso dalla stessa Eu. 20., per motivi formali (mancata indicazione di un termine per provvedere alla risoluzione dei problemi emersi in sede di sopralluogo), ma anche la sentenza n. 314/2015 ha disposto l’annullamento del provvedimento della Provincia n. 18/2013 per ragioni relative alla sua istruttoria e motivazione.
15.2. In particolare, il predetto provvedimento della provincia di Lecce ha innanzitutto dato atto che il sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Lecce il 12 ottobre 2012 aveva rilevato che “presso la ditta Eu. venivano trasportati e scaricati quantitativi ingenti di rifiuti speciali, pericolosi e non, costituiti da ceneri pesanti e leggere, derivanti dalla combustione di carbone e biomasse, provenienti da impianti di produzione quali centrali termoelettriche ed inceneritori, nonché rifiuti derivanti da operazioni di demolizione. Le ceneri di carbone e di combustione delle biomasse venivano miscelate indiscriminatamente; gli automezzi con cui le società operavano conferivano il rifiuto direttamente nelle cave per le operazioni di occultamento, senza scaricare quanto trasportato nel centro di stoccaggio. Venivano quindi realizzati giganteschi cumuli di rifiuti eterogenei tra loro, che avrebbero dovuto essere recuperati secondo modalità e procedure diverse; invece, una volta mischiati, i rifiuti così conferiti sulle piattaforme non erano più distinguibili e dunque non potevano più essere smaltiti e/o recuperati con le modalità e le procedure a cui le società erano per legge autorizzate a condurre. Infine si raggiungeva un ulteriore grado di miscelazione mediante il movimento sulla piattaforma provocato da pale e da escavatori, con cui poi si provvedeva a caricare il materiale sugli automezzi affinchè fosse scaricato definitivamente nelle cave, dove venivano livellati e ricoperti in molti casi da materiale calcareo detto stabilizzato, oppure con macerie provenienti da demolizioni che, quindi, invece di essere recuperati dalla ditta, venivano utilizzati come copertura, al fine di non rendere visibile l’illecito smaltimento onde coprire parzialmente l’odore che emanava il cumulo “.
15.3. Il Tar ha tuttavia ritenuto l’abbancamento illecito dei rifiuti non “interferente” sull’autorizzazione concessa alla società ricorrente, tenuto conto che nel verbale di sequestro del 30 ottobre 2012 non erano citati espressamente l’impianto oggetto dell’attività autorizzata dalla determina dirigenziale n. 1560/2012.
15.4. In sostanza, ha concluso per l’illegittimità della determina n. 18/2013, rilevando la sussistenza del deficit istruttorio e motivazionale della stessa, con conseguente annullamento del provvedimento di cancellazione dal Registro.
16. In questo quadro, la richiesta risarcitoria non può essere ritenuta fondata tenuto conto della circostanza che la decisione del Tar Lecce n. 314/2015 ha evidenziato esclusivamente il vizio istruttorio e di motivazione del provvedimento di annullamento della precedente determina di iscrizione al Registro delle imprese.
16.1. L’annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi tralatiziamente definiti formali, quali il difetto di istruttoria o di motivazione, in quanto non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente, infatti, di accogliere la domanda finalizzata al risarcimento del danno. Mentre la caducazione dell’atto per vizi sostanziali vincola l’Amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l’annullamento fondato su profili formali non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato e lascia ampio il potere in merito dell’Amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, sicchè non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (cfr. Cons. Stato sez. V, 14 dicembre 2018, n. 7054).
16.2. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, l’annullamento giurisdizionale della determina n. 18/2013 non ha ricostruito la regolarità della fisionomia dell’impianto come autorizzato dalla determina dirigenziale n. 1560/2012 e di conseguenza la spettanza del bene della vita in precedenza riconosciuto, ma si è limitata ad evidenziare il difetto dell’istruttoria e la conseguente carenza della motivazione in ordine all’interferenza del sequestro penale con l’impianto di recupero dei rifiuti.
16.3. D’altra parte, per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. si deve intendere non una qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto. Ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3392).
16.4. Tale prova non può essere costituita dal richiamo agli atti precedenti poi annullati dal Tar per motivi sempre formali, né, come afferma l’appellante, dalla determinazione della Provincia n. 133/2016, adottata in esecuzione della sentenza sull’ottemperanza n. 1626/2016. Quest’ultima determina, al di là del riferimento letterale alla conferma dell’iscrizione nel Registro, contiene una serie di prescrizioni che condizionano la ripresa dell’attività diverse da quelle indicate in precedenza (quali, ad esempio, la rimozione dei cumuli di rifiuti giacenti nell’impianto diversi e non compatibili con quelli autorizzati o l’indagine preliminare sulle soglie di contaminazione nelle arre interessate dallo stoccaggio dei rifiuti non ricomprese nella precedente autorizzazione di cui alla determina n. 1560/2012).
16.5. Neppure, sotto diverso profilo, può ritenersi sussistente un danno conseguente al ritardo con il quale l’Amministrazione ha ottemperato alla sentenza n. 314/2015.
16.6. Sul punto, a prescindere dall’inammissibile riferimento dell’appellante ad un errore revocatorio in cui sarebbe incorsa la sentenza n. 1626/2016 non ancora passata in giudicato, va in primo luogo evidenziato che il risarcimento dei danni richiesti per la mancata esecuzione del giudicato, non con riferimento alle statuizioni di una precedente sentenza, ma solo per il ritardo, deve ritenersi una nuova azione (cfr. Cons. Stato Ad. plen.,15 gennaio 2013, n. 2).
16.7. In tale contesto, la domanda, esperibile per evidenti ragioni di economia processuale e quindi di effettività della tutela giurisdizionale (a prescindere dal rispetto del doppio grado di giudizio) anche nel giudizio di ottemperanza, deve comunque essere accompagnata, oltre che dalla evidenziazione del ritardo in sé, dalla dimostrazione della sussistenza di tutti gli elementi necessari per la responsabilità extracontrattuale dell’Amministrazione Pubblica di cui all’art. 2043 c.c., compreso l’elemento psicologico dell’illecito.
16.8. La dichiarazione di illegittimità dell’atto amministrativo non è sufficiente a fondare il diritto al risarcimento, dovendosi ricercare anche il nesso causale tra l’atto e il danno ingiusto e l’esistenza dell’elemento soggettivo della colpa o del dolo in capo all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2019, n. 748).
16.9. Tali condizioni, nel caso in esame, non sono state provate, limitandosi la società ricorrente a menzionare come causa del danno l’annullamento della determina n. 18/2013 operato dalla sentenza n. 314/2015.
17. Anche l’appello successivo contro la sentenza n. 610/2018 deve ritenersi infondato. Il Tar di Lecce ha correttamente ritenuto che la prospettazione della società appellante in ordine all’elusione della sua sentenza n. 1626/2016 da parte della Provincia fosse in realtà un’ulteriore ottemperanza della sentenza n. 314/2015.
17.1. In ogni caso, il nuovo provvedimento di iscrizione al Registro (n. 133/2016), adottato dopo la sentenza n. 1626/2016 e subordinato all’adempimento di alcune prescrizioni, non poteva ritenersi contrastante con la sentenza n. 314/15, tenuto conto che quest’ultima, come sopra evidenziato, aveva rilevato un deficit istruttorio e di motivazione con riferimento al richiamato sequestro penale. In definitiva, il Tar si è limitato ad annullare il diniego di iscrizione, senza tuttavia imporre all’Amministrazione un vincolo quanto al successivo esercizio della discrezionalità amministrativa.
17.2. Non è poi fondato anche il profilo relativo al difetto di istruttoria e di motivazione della determina n. 133/2016 nella parte in cui impone, ai fini della reiscrizione, la rimozione dei cumuli di rifiuti in un sito adiacente non interessato dall’attività di recupero.
17.3. Le procedure semplificate di autorizzazione alle operazioni di recupero dei rifiuti, previste dal d.lgs. n. 152/2006 e dal D.M, n. 186 del 5 aprile 2006, devono comunque garantire un elevato livello di protezione ambientale e dunque non appaiono incongrue le ulteriori prescrizioni dettate ai fini della reiscrizione (cfr. art. 214, comma 1, d.lgs. n. 152/2006: “Le procedure semplificate di cui al presente capo devono garantire in ogni caso un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci… “).
18. Quanto, infine, al ricorso in appello della provincia di Brindisi è anch’esso infondato. Sostiene la Provincia che l’ottemperanza alla sentenza n. 314/2015, decisa con la pronuncia del Tar di Lecce n. 1626/2016, non avrebbe tenuto conto della sua natura autoapplicativa e del conseguente effetto demolitorio del provvedimento dirigenziale n. 18/2013. In sostanza, l’Amministrazione non era tenuta ad adottare un nuovo provvedimento di reiscrizione.
18.1. La tesi è palesemente infondata. Come sopra ricordato, la sentenza n. 314/2015 ha annullato il precedente provvedimento della Provincia n. 18/2013 sulla base del rilevato difetto di istruttoria e di motivazione con la conseguenza ovvia che l’Amministrazione avrebbe dovuto rideterminarsi.
18.2. Quanto alla lamentata circostanza che il Tar nella sentenza n. 1626/2016 non ha accertato se fosse o meno coincidente l’area sottoposta a sequestro penale con quella oggetto dell’attività di recupero, la stessa deve ritenersi anch’essa infondata, tenuto conto che proprio la mancata istruttoria della Provincia sul punto è stata oggetto delle conclusioni del Tar sul difetto di istruttoria e sulla conseguente carenza della motivazione.
19. Per le ragioni sopra esposte, i riuniti appelli vanno respinti e, per l’effetto, vanno confermate le sentenze impugnate.
20. Le spese di giudizio possono essere compensate per la reciproca soccombenza delle parti nei giudizi relativi alla sentenza del Tar di Lecce n. 1626/2016. Seguono invece la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo nel giudizio relativo alla sentenza dello stesso Tar n. 610/2018.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, come in epigrafe proposti, li respinge.
Compensa le spese di giudizio nei ricorsi della Eu. 20. e della Provincia di Brindisi contro la sentenza del Tar di Lecce n. 1626/2016.
Condanna la società Eu. 20. al pagamento delle spese di giudizio relative al ricorso contro la sentenza del Tar di Lecce n. 610/2018 in favore della provincia di Brindisi nella misura complessiva di euro 3000,00 (tremila/00), oltre agli altri oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere

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