Ancorché un impianto di trattamento di rifiuti ricada in altro vicino comune

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 1 marzo 2019, n. 1423.

La massima estrapolata:

Ancorché un impianto di trattamento di rifiuti ricada in altro vicino comune, non può negarsi che esso arrechi (o sia astrattamente in grado di arrecare) disagi e danni non solo agli appartenenti del comune di ubicazione, ma anche ai cittadini dei comuni limitrofi: deve essere pertanto riconosciuta la legittimazione e l’interesse ad agire anche al comune limitrofo a quello in cui è ubicata o deve essere ubicata una discarica di rifiuti, quale ente esponenziale della collettività stanziata sul proprio territorio e portatore in via continuativa degli interessi diffusi radicati sul proprio territorio , non potendo la legittimazione ad agire essere subordinata alla prova di una concreta pericolosità dell’impianto

Sentenza 1 marzo 2019, n. 1423

Data udienza 10 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 359 del 2018, proposto dai Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Ma. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Pe. in Roma, via (…);
contro
la Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ti. Mu., Fr. Za., Ez. Za. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
nei confronti
la società In. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Bi. e prof. Ma. Cl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Cl. in Roma, viale (…);
ed altri;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 742 del 2017.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto, di In. S.r.l. e del Comune di (omissis);
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 10 gennaio 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uditi perle parti rispettivamente rappresentate gli avvocati Al. Pe. (su delega dichiarata dell’avvocato Ma. Ce.), Pa. Ca. (su delega dichiarata dell’avvocato An.Ma. e dell’avvocato Lu. Ma.) Lu. Bi. e Ma. Cl.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) impugnavano innanzi al TAR per il Veneto la D.G.R. n. 175/2016 (unitamente agli atti presupposti), con la quale la Regione Veneto, sulla base del parere n. 552/2015 reso dalla Commissione regionale V.I.A., aveva espresso il giudizio favorevole di compatibilità ambientale sul progetto, presentato dalla società In. s.r.l. in data 31 marzo 2014 (anche a seguito di un accordo intervenuto ai sensi dell’art. 11 L. n. 241/1990 tra la medesima In. s.r.l., la società Agricola Pi. ed i Comuni di (omissis) ed (omissis)), per l’ampliamento dell’impianto di smaltimento D1 per rifiuti non pericolosi in località (omissis) nel Comune di (omissis) e contestuale progetto di bonifica della cava (omissis) nel Comune di (omissis), con conseguente autorizzazione sia alla realizzazione del suddetto ampliamento della discarica (con innalzamento della quota massima finale della stessa da 50 a 58 metri), sia alla contestuale bonifica della ex cava (omissis), nonché autorizzazione alla modifica A.I.A. vigente per l’impianto di smaltimento dei rifiuti.
Le censure dedotte attenevano ad illegittimità afferenti la procedura autorizzatoria e di V.I.A. nonché alla violazione degli strumenti di pianificazione vigenti.
2. Nella resistenza della Regione Veneto, della In. s.r.l e del Comune di (omissis), il TAR respingeva tutti i motivi di ricorso, con condanna alle spese.
3. La sentenza è stata impugnata dai Comuni soccombenti, alla stregua dei motivi di appello che possono essere così sintetizzati
I Motivo di appello – Grave erroneità della sentenza del TAR Veneto per motivazione manifestamente illogica e carente in relazione alla denunciata plurima violazione di legge e palese sviamento dalla causa tipica conseguenti all’unificazione procedimentale e provvedimentale della VIA per due progetti (di ampliamento di una discarica e di una bonifica di un’altra area) del tutto distinti ed autonomi.
I progetti in questione riguardano aree geografiche ben distinte e dislocate su diversi territori comunali significativamente distanti tra loro (circa 14 km in linea d’aria), e l’ampliamento della discarica risulta “servente” alla bonifica del sito inquinato per la irrisoria percentuale del 10% (il citato ampliamento, infatti, consente il conferimento di ben 300.000 metri cubi di rifiuti di cui soltanto 25.500 metri cubi provengono dall’ex Cava (omissis)). L’unica effettiva connessione tra i due progetti è di ordine economico-finanziario, nel senso che l’ampliamento della discarica di rifiuti è espressamente funzionale a consentire alla società committente (che gestisce l’impianto di smaltimento) di reperire la disponibilità economica per procedere alla bonifica del sito contaminato.
I Comuni appellanti proseguono evidenziando che l’unificazione procedimentale e provvedimentale ha pesantemente condizionato gli esiti della VIA e l’autorizzazione conclusiva in quanto l’assenso ambientale all’ampliamento della discarica (omissis) trova fondamento nel giudizio di (presunta) “indispensabilità ” dell’intervento sotto l’aspetto economico finanziario ai fini della bonifica dell’ex cava (omissis): di qui, pertanto, anche un palese eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica della procedura di V.I.A. a fronte di effetti chiaramente distorsivi dello stesso ruolo della Commissione regionale V.I.A. costretta ad esprimersi sulla congruità dei profitti ricavati dal gestore della discarica in rapporto ai costi della bonifica (come veniva evidenziato nel terzo motivo di ricorso) e con una grave alterazione del fondamentale momento della procedura di V.I.A. rappresentato della valutazione delle “alternative”, essendo stata scartata la stessa ipotizzabilità dell'”alternativa 0″ perché il mancato ampliamento della discarica avrebbe bloccato la bonifica dell’ex cava (omissis) (così il 4° motivo di ricorso).
La teorica fatta propria dalla sentenza di primo grado, per cui la nozione di “progetto” sottoposto a V.I.A. ben potrebbe ricomprendere anche più distinti interventi collegati da un “nesso economico-finanziario” che li renderebbe “un tutto inscindibile” laddove, come avviene nella presente fattispecie, un primo intervento si rende necessario per il reperimento delle risorse economiche che consentono allo stesso soggetto privato di realizzare il secondo intervento, costituisce, secondo i Comuni appellanti, una tesi completamente avulsa dalla logica della valutazione di impatto ambientale oltre che assai pericolosa.
L’unificazione procedimentale tra più progetti da sottoporre a V.I.A. può avvenire soltanto ove tra gli stessi intercorra uno stringente ed obiettivo collegamento strutturale e funzionale; e non, quindi, un occasionale e soggettivo nesso finanziario, come nel caso de quo;
II Motivo di appello – Erroneità della sentenza per motivazione illogica in punto di violazione degli articoli 208 e 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’unificazione dell’autorizzazione dei due progetti di ampliamento della discarica e di bonifica.
Con il secondo motivo del ricorso originario i Comuni appellanti avevano sottolineato come l’anomala unificazione procedimentale di due progetti distinti avesse riguardato non solo la VIA, ma anche l’iter autorizzatorio seguito dalla Regione Veneto, evidenziando in particolare come né il d.lgs. n. 152/2006 né alcun’altra disposizione statale consentano una tale reductio ad unitatem con una sola conferenza di servizi ed un’unica autorizzazione conclusiva all’ampliamento di una discarica di rifiuti e, contestualmente, all’approvazione della bonifica di un diverso sito inquinato (punto 4 del dispositivo della DGR Veneto n. 175/2016). E che, comunque, ove mai una tale disposizione fosse esistita nell’ordinamento regionale, sarebbe stata in contrasto con la citata disciplina del d.lgs. n. 152/2006 in materia di esclusiva competenza del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost.
Per quanto in particolare riguarda la motivazione della sentenza impugnata, in parte qua, il giudicante non avrebbe considerato che:
– l’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 (di cui si era denunziata la violazione) si applica anche alla procedura di variante sostanziale degli impianti di smaltimento dei rifiuti – quale è il consistente ampliamento della discarica in esame – ai sensi del chiaro disposto del comma 19 dello stesso articolo;
– mentre gli artt. 242 e ss. dello stesso T.U. Ambientale, altrettanto pacificamente, disciplinano l’iter autorizzatorio necessario per provvedere alla bonifica di un sito contaminato non solo da parte del soggetto responsabile dell’inquinamento, ma anche ad opera di qualsivoglia “soggetto” od “operatore interessato” (art. 242-bis e art. 245, comma 1, d.lgs. 152/2006, secondo il quale “le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili”).
La seconda parte della motivazione sarebbe poi il frutto di un’errata e fuorviante applicazione dei principi di efficacia, economicità e non aggravamento dell’azione amministrativa la cui operatività non può evidentemente giungere a modificare (e sovrapporsi a) ben precise e distinte procedure autorizzative prescritte dalla legislazione ambientale;
III Motivo di appello – Erroneità della sentenza per violazione di legge, motivazione contraddittoria e comunque manifestamente illogica in relazione al denunziato sviamento dalla causa tipica della procedura di VIA cui è estranea la verifica del pareggio di costi e profitti del proponente.
Con la terza censura dell’impugnativa di primo grado i Comuni ricorrenti denunciavano un ulteriore profilo di sviamento dalla causa tipica della procedura di V.I.A. (ed autorizzatoria) poiché l’ampliamento dell’impianto di smaltimento dei rifiuti veniva espressamente autorizzato “al fine di reperire la disponibilità economica per realizzare gli interventi di bonifica del sito contaminato di ex Cava (omissis)”.
Si evidenziava in particolare come l’aumento volumetrico della discarica trovasse la propria ragione (e fosse giustificato) non tanto nella sua indispensabilità ai fini del conferimento dei (“nuovi”) rifiuti provenienti dalla bonifica dell’ex cava, bensì nella necessità di reperire risorse finanziarie per consentire alla ditta proponente di poter eseguire a proprie spese l’intervento di bonifica/ripristino di un’altra area, distante ben 14 km dal predetto impianto di smaltimento dei rifiuti.
L’iter motivazionale seguito dai giudici veneti sarebbe contraddittorio: da un lato, infatti, si ammette l’estraneità di una siffatta valutazione di tipo economico-finanziario rispetto ad una procedura di valutazione degli impatti ambientali di un determinato progetto e rispetto, quindi, alle competenze della Commissione regionale V.I.A. a ciò istituita; dall’altro, si riconosce che l’ampliamento della discarica è tuttavia esclusivamente finalizzato al reperimento delle risorse economiche necessarie alla bonifica di altro sito inquinato. In poche parole, la decisione del TAR ammette esplicitamente che il positivo giudizio di VIA del citato progetto di ampliamento della discarica, non riposa tanto su considerazioni sugli impatti ambientali dell’intervento, bensì su valutazioni meramente economico – finanziarie, in termini, cioè, di verifica del (presunto) “pareggio costi/profitti” del proponente i due progetti. Si tratta dunque di valutazioni che non afferiscono ad un astratto giudizio preliminare o incidentale di sostenibilità o serietà economica del progetto – giudizio che, comunque, non spetterebbe ad una Commissione V.I.A. formulare, anche perché non ne ha né le competenze né la finalità – ma che rappresentano invece proprio la ragione fondante dell’assenso ambientale al progetto di aumento volumetrico dell’impianto di smaltimento. E cioè si tratta esattamente di un giudizio per cui la procedura di valutazione di impatto ambientale non è stata concepita dal legislatore europeo, nazionale e regionale;
IV Motivo di appello – Erroneità della sentenza del TAR per travisamento dei fatti, carenza ed illogicità della motivazione inerente alla valutazione delle alternative al progetto di ampliamento della discarica.
Con il quarto motivo di ricorso, gli enti territoriali ricorrenti denunciavano la grave carenza ed illogicità dell’istruttoria regionale e dello studio di impatto ambientale in punto di valutazione delle possibili alternative giacché (parere della Commissione regionale VIA n. 552/2015, pag. 15):
a) le alternative di localizzazione venivano in rilievo unicamente con riferimento ad eventuali ampliamenti della discarica di (omissis), senza considerare altre possibili e diverse soluzioni;
b) non venivano in alcun modo valutate alternative tecnologiche;
c) la cd. “opzione zero” veniva illogicamente considerata non percorribile perché “bloccherebbe la bonifica dell’area di Ex Cava (omissis)” ossia l’alternativa di non ampliare la discarica veniva scartata sul presupposto della presunta indispensabilità dell’intervento di ampliamento della discarica (di 300.000 metri cubi) ai fini della bonifica della ex Cava (omissis) (con un volume di rifiuti di appena 25.500 metri cubi), ragionando ancora una volta in termini “compensativi” nella valutazione delle possibili alternative tra i due progetti.
La motivazione offerta dal TAR sarebbe carente oltre che affetta da un irrimediabile travisamento dei fatti, manifesta illogicità ed errata considerazione di alcuni dati fattuali decisivi per il giudizio, poiché :
a) gli odierni appellanti non si dolevano del fatto che non fosse stata condotta una valutazione sulle alternative di localizzazione ma che questa risentisse pesantemente del ridetto vincolo finanziario tra i due interventi, al punto che le uniche alternative di localizzazione prese in considerazione erano le diverse ipotesi di ampliamento della discarica, in quanto – come veniva precisato anche dalla stessa In. nei propri scritti difensivi di causa (pag. 39 memoria illustrativa) – una differente destinazione dei rifiuti non sarebbe stata “nella disponibilità del proponenti”. E’ questo il punto specifico della valutazione stigmatizzato dai ricorrenti e sul quale la sentenza impugnata non ha adeguatamente motivato;
b) le censure dei Comuni ricorrenti investivano anche le cd. alternative tecnologiche e di progetto che non paiono essere state considerate né dal SIA né dalla Commissione regionale V.I.A.: sul punto, viene lamentate una omessa pronuncia del TAR;
c) gravemente travisata ed illogica sarebbe poi l’argomentazione dei giudici di prime cure sullo scarto dell’opzione zero, motivato dal fatto che questa “bloccherebbe la bonifica di cava (omissis)”, con ciò quindi confermando la “contaminazione” della procedura istruttoria (ed autorizzatoria) dell’ampliamento della discarica di (omissis) ad opera di un diverso progetto di ripristino di un sito inquinato. Il TAR ha poi mostrato di aderire apoditticamente alle considerazioni svolte dalla Commissione regionale V.I.A. in ordine allo scenario della mancata bonifica della cava, arguendo che ciò determinerebbe un “conseguente aumento degli impatti sull’ambiente in quell’area, legato ai mancati benefici che si avrebbero con il risanamento e la restituzione agli usi pubblici e/o privati di un’area che oggi costituisce un rischio per l’ambiente circostante e la collettività locale”.
Allo stesso tempo, però, lo stesso Tribunale dimentica che tale intervento comporterebbe un notevole ampliamento di un esistente impianto di smaltimento di rifiuti, con un aumento di 300.000 mc della sua capacità di conferimento ed un significativo innalzamento altimetrico dello stesso (fino a 58 mt s.l.m.);
d) parimenti illogica e travisata, poi, sarebbe l’affermazione secondo cui “l’impatto paesaggistico dovuto all’innalzamento verticale della discarica, pur significativo, si inserisce comunque in un contesto che non presenta particolare valenza paesaggistica”; asserzione che sarebbe palesemente sconfessata dall’esame delle tavole del PTCP (cfr. Analisi critica allegata al DO.. 2 del primo elenco) dal quale si evince che il sito di (omissis) risulta in prossimità sia di “ambiti di interesse paesistico-ambientale” sia di “nuclei rurali di antica origine” sui quali, pertanto, l’imponente cumulo di 300.000 m3 di rifiuti andrà inevitabilmente ad incidere;
e) infine gravemente travisata sarebbe la parte finale del ragionamento dei giudici di prime cure, ove si afferma che nel caso di specie non verrebbe in luce “alcuna compensazione”, quando ciò risulta per tabulas dalla stessa istruttoria della Commissione VIA: così a pag. 24 del parere n 552/2015 della Commissione regionale (v. DO.. 4 del primo elenco DO.umenti), infatti, si legge espressamente: “Calcolo del volume compensativo. Il Proponente ha indicato in 300.000 m³ il volume compensativo di ampliamento della discarica (omissis) per il ristoro del costo della bonifica di Cava (omissis). La verifica di tale volume viene nel seguito eseguita per entrambi gli scenari ipotizzati: senza o con inertizzatore Il criterio adottato dal gruppo istruttorio della Commissione regionale V.I.A. per tale verifica è stato il seguente: pareggio dei costi sostenuti determinato come numero di anni necessari per ripagare con il profitto, proveniente dalle attività di discarica, la bonifica ed i costi accessori necessari”. E poi a pag. 40 del medesimo DO.umento “Per quanto riguarda la verifica del pareggio dei costi da sostenere per la bonifica, da ripagare con il profitto proveniente dalle attività di discarica, il calcolo eseguito dalla Commissione, riportato nelle note istruttorie del quadro progettuale, ha dimostrato la congruità della richiesta del Proponente di 300.000 m³ di ulteriore volume disponibile”;
V Motivo di appello – Erroneità della sentenza per carenza di motivazione e comunque illogicità della stessa in relazione ai profili geologici e geotecnici e ai rischi di contaminazione delle acque.
Con il quinto motivo di ricorso si lamentava un eccesso di potere per illogicità manifesta e per carenza di istruttoria della Commissione regionale V.I.A. rispetto ai significativi problemi geologici e geotecnici connessi all’ampliamento della discarica DO.umentati nella relazione del Dott. Geol. C. Ga., commissionata dal Comune di (omissis) (il quale, peraltro, su tale relazione, con delibera consiliare n. 18 del 7.4.2015, fondava il proprio parere negativo). Nello specifico, gli odierni appellanti si dolevano di come la predetta Commissione regionale, pur riconoscendo la “potenziale contaminazione delle acque sotterranee”, si fosse espressa conclusivamente in termini assai generici, di mera “accettabilità del rischio relativo all’esposizione dell’uomo alla eventuale contaminazione proveniente della discarica” (pag. 31 del parere n. 552/2016) e di come, quindi, l’istruttoria sul punto si fosse dimostrata assolutamente carente ed illogica.
Le motivazioni rese, al riguardo, dal TAR, si sarebbero “adagiate” sulle difese svolte dalla Regione Veneto nel giudizio di primo grado. Il giudice amministrativo non avrebbe adeguatamente considerato i pareri redatti da tecnici estremamente qualificati, che evidenziavano come l’imponente carico di rifiuti conseguente all’ampliamento della discarica fosse in grado di determinare “deformazioni che possono mettere a rischio l’integrità del sistema di ritenuta a fondo discarica” in corrispondenza di “significative eterogeneità geologiche-geotecniche presenti nel sottosuolo” (così la relazione del Dott. Ga., DO.. 3, pag. 9 del primo elenco DO.umenti);
VI Motivo di appello – Erroneità della sentenza del TAR Veneto per manifesta illogicità in merito alla violazione dell’art. 11 l. n. 241/90 sul presupposto dell’accordo sostitutivo dell’assenza di pregiudizio dei terzi.
Atto prodromico e propulsivo alla procedura di valutazione di impatto ambientale, nonché alla successiva autorizzazione, è stato l’accordo sostitutivo del provvedimento, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 241/1990, tra la società In. S.r.l. ed i Comuni di (omissis) e di (omissis), volto all’ampliamento della discarica de qua “al fine di reperire la disponibilità economica per realizzare gli interventi di bonifica del suolo del sito contaminato di ex Cava (omissis), ubicato nel territorio comunale di (omissis)”.
Con il sesto motivo del ricorso introduttivo, quindi, si deduceva l’illegittimità di tale accordo perché concluso tra le medesime parti in violazione dei diritti dei terzi, da identificarsi nei Comuni odierni appellanti, minimamente coinvolti nella stipula dell’atto, pur essendo significativamente esposti agli effetti negativi conseguenti all’aumento volumetrico dell’impianto di smaltimento rifiuti di (omissis).
Le considerazioni svolte dal TAR sarebbero errate in fatto e in diritto.
In fatto, perché contrarie a) ai dati geografici ed ambientali illustrati in istruttoria, dai quali si evince la pesante esposizione dei Comuni ricorrenti/appellanti contermini e viciniori all’impianto, agli impatti derivanti dal più volte citato ampliamento della discarica (omissis); b) alla medesima D.G.R.V. impugnata, secondo la cui stessa intitolazione, i ricorrenti sono “Comuni interessati” al progetto in esame; c) alla procedura concretamente seguita per la VIA e l’autorizzazione dei progetti in esame che ha visto il concreto coinvolgimento degli stessi enti locali ricorrenti.
Il TAR non ha considerato che i Comuni ricorrenti sono enti esponenziali proprio di quelle comunità locali che la stessa delibera della Giunta Regionale ha ritenuto di dover coinvolgere nella procedura autorizzatoria;
VII Motivo di appello – Erroneità della sentenza impugnata per travisamento dei fatti, violazione di legge ed illogicità della motivazione in relazione al voto contrario del Comune di (omissis).
Il settimo motivo del ricorso di primo grado evidenziava come al termine della procedura autorizzatoria fosse intervenuto il voto contrario del Sindaco del Comune di (omissis) tanto all’autorizzazione al progetto di ampliamento che al rilascio dell’A.I.A. (autorizzazione integrata ambientale) e come tale circostanza sopravvenuta fosse stata inspiegabilmente pretermessa dalla delibera impugnata. Pertanto, le amministrazioni ricorrenti ragionevolmente sostenevano che, così facendo, il Comune di (omissis) era inevitabilmente receduto, per facta concludentia, dal predetto accordo sostitutivo e che l’intera procedura era così inficiata dall’assenza di tale presupposto.
Gli appellanti sottolineano che sarebbe del tutto illogico ed errato in diritto ritenere tamquam non esset un aperto dissenso espresso dal Comune alla realizzazione del progetto di ampliamento della discarica per il sol fatto che detta manifestazione di volontà pubblica non sarebbe stata cristallizzata nelle forme previste dalla legge. Tra l’altro, volendo esaminare anche il rilievo meramente formalistico del contrarius actus, gli appellanti evidenziano come in diverse occasioni i giudici amministrativi abbiano stabilito che l’esercizio del potere di recesso dall’accordo da parte dell’amministrazione non debba necessariamente tradursi in un provvedimento (tantomeno avente la stessa forma del precedente atto di approvazione), ben potendo essere desunto per fatti concludenti dall’adozione di altri atti incompatibili con la persistenza e l’adempimento del vincolo contrattuale (Cons. Stato, Sez. VI, 14.01.2002, n. 173; Cons. di Stato sez. IV, 30.9.2013 n. 4872),
VIII Motivo di appello – Erroneità della sentenza del TAR per travisamento dei fatti, violazione di legge ed illogicità manifesta in relazione alla dedotta violazione dell’art. 32 della legge della Regione Veneto n. 3/2000.
Con l’ottavo motivo di ricorso i Comuni odierni appellanti lamentavano la violazione dell’art. 32, commi 3 e 4, della Legge regionale del Veneto n. 3/2000 essendosi in presenza di un ampliamento di una discarica esistente ben superiore alla soglia del cinque per cento in volume di rifiuti smaltibili in mancanza del presupposto dell’assenso del Comune di ubicazione della discarica (ovvero il Comune di (omissis) che, come esposto nel precedente motivo, aveva univocamente espresso il proprio dissenso). Tale violazione risultava confermata dal parere contrario sul progetto espresso dalla Provincia di Verona.
In merito a questa censura il TAR ha riproposto la stessa argomentazione confutata nell’esposizione del precedente motivo secondo cui “il voto contrario espresso dal Sindaco di (omissis) in sede di Commissione regionale V.I.A. non equivale affatto a recesso dall’accordo sostitutivo ex art. 11 L. n. 241/1990” con la conseguenza che dovrebbe “reputarsi ancora sussistente il parere favorevole del Comune di (omissis) all’ampliamento della discarica di (omissis) rientrante nel proprio territorio comunale”;
IX Motivo di appello – Illogicità ed erroneità della sentenza per errata interpretazione degli articoli 5 e 7 delle NAT del “Piano di area Valli (omissis)”.
La nona censura del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado verteva sulla totale omessa considerazione del problema della compatibilità dell’ampliamento della discarica in parola con il “Piano d’Area delle Pianure e Valli (omissis)”, adottato con la DGR Veneto n. 1131 del 23.3.2010 ed approvato con la DGR n. 108 del 2.8.2012.
In base alla “Carta delle fragilità ” del Piano, infatti, l’area interessata dal citato ampliamento è classificata come “ambito di fragilità di origine naturale” per la presenza della “fascia delle risorgive” ed elemento di “fragilità di origine antropica” proprio in ragione della presenza della discarica di (omissis). A questo proposito, secondo l’art. 5 delle Norme Tecniche del Piano negli ambiti di fragilità di origine naturale “E’ vietata l’apertura di cave…discariche o altre forme di interventi di trasformazione del territorio” e secondo l’art. 7 negli ambiti di fragilità di origine antropica “Non è consentita la realizzazione di discariche, l’apertura di cave, l’ampliamento di quelle esistenti fatti salvi gli ampliamenti fisiologici di completamento”.
Aderendo pianamente alla non condivisibile esegesi del citato art. 7 delle N.T.A. proposta dalla difesa della Regione Veneto, il TAR rigettava la doglianza sostenendo che “il riferimento all'”ampliamento di quelle esistenti fatti salvi gli ampliamenti fisiologici di completamento” non può che riferirsi testualmente alle “cave”, dal momento che, nel caso delle discariche, non esistono “ampliamenti fisiologici di completamento”, essendo il volume di una discarica già stabilito con il progetto di realizzazione e non suscettibile di variazione per fattori fisiologici, a meno dei normali assestamenti per i cedimenti dei rifiuti […]”.
Tale interpretazione valorizza, secondo gli appellanti, un formalistico dato letterale, trascurando immotivatamente tutti gli altri canoni ermeneutici, in primis quello logico-sistematico. Invero, dal combinato disposto dei citati articoli 5 e 7 delle N.T.A. emergerebbe la chiara volontà del legislatore di evitare la realizzazione e/o l’ampliamento sia delle cave sia delle discariche esistenti nei sopra descritti “ambiti di fragilità ” (di origine naturale ed antropica) in cui è inclusa l’area della discarica (omissis). Pertanto, circoscrivere un simile divieto al solo ampliamento delle cave – e senza ricomprendere, quindi, anche le discariche – sarebbe del tutto illogico, fuorviante oltre che contrario alla ratio della norma. Né deporrebbe in questo senso la presenza di espressioni atecniche nelle diposizioni pianificatorie in esame quali l'”ampliamento fisiologico” (che non può riferirsi certo alle cave) ed il “completamento” (che, invece, ben può riguardare le discariche). Inoltre, la motivazione del giudice di primo grado non spiega perché mai, se il divieto di ampliamento fosse veramente limitato alle sole cave, lo stesso venga disciplinato in un comma che riguarda anche le discariche, e non invece in un comma ad hoc inerente le sole cave (come, ad esempio, il comma successivo a quello in discussione);
X Motivo di appello – patente erroneità ed illogicità della sentenza di primo grado sull’interpretazione dell’art. 15 delle Norme Tecniche del “Piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali” del Veneto.
Le amministrazioni odierne appellanti, col decimo motivo di ricorso al TAR, denunciavano altresì l’evidente difformità tra il contestato progetto di ampliamento della discarica e la previsione dell’art. 15, comma 1, delle Norme Tecniche del “Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Speciali” (DO.. 3 del secondo elenco DO.umenti), a mente del quale “Sulla scorta dei dati consolidati nel presente Piano, non è consentita l’approvazione di nuove volumetrie di discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi, compresi gli ampliamenti delle discariche esistenti. Tale divieto va applicato almeno fino al 31/12/2020”. Prevedendo al comma 2, lett. b) della medesima disposizione talune puntuali deroghe al divieto per i soli “ampliamenti di discariche esistenti finalizzati allo smaltimento di rifiuti provenienti da specifici progetti di bonifica e ripristino ambientale autorizzati sul territorio regionale […]”.
Considerato che nel caso di specie l’ampliamento della discarica (omissis) era stato autorizzato per volumetrie di gran lunga superiori a quelle “finalizzate” alla bonifica dell’ex Cava (omissis) (300.000 metri cubi di aumento a fronte di 25.500 metri cubi di nuovi conferimenti derivanti dalla bonifica), ed essendo evidentemente irrilevante che detto ampliamento della discarica fosse dichiaratamente funzionale “al reperimento delle risorse economiche per l’intervento di bonifica”, si concludeva per la violazione e la falsa applicazione del suddetto art. 15 del Piano Regionale del Veneto sulla Gestione dei Rifiuti e per la conseguente illegittimità della delibera regionale impugnata. Il TAR si è però discostato dall’unica possibile interpretazione della medesima norma e, muovendo da un’ipotetica ratio della deroga ivi contenuta (“evidentemente rivolta a creare sinergie tra operatori pubblici e privati per garantire il massimo livello di protezione dell’ambiente e della salute”), ha applicato una nozione amplissima di “finalizzazione”, “non in senso meramente fisico quantitativo come voluto dai ricorrenti”, ma “in senso sostanziale nell’ottica del raggiungimento dello scopo reputato primario dal legislatore regionale: ovvero la bonifica dei siti contaminati”. Conseguentemente, il giudice di prime cure concludeva per la supposta legittimità dell’ampliamento in discussione nel corso del quale si era considerato “non solo il quantitativo di rifiuti provenienti dalla suddetta bonifica, ma anche tutti gli ulteriori fattori (come la sostenibilità economica della bonifica stessa) che rendano concretamente attuabile l’intervento di ripristino ambientale, anche in un’ottica di sostenibilità economica e finanziaria dell’intervento stesso”.
Gli appellanti ritengono manifestamente errata e pericolosa questa lettura 15 delle NTA del Piano regionale per la gestione dei rifiuti in quanto consente un’applicazione amplissima della disposizione derogatoria del generale divieto di ampliamento delle discariche esistenti alla stregua della quale potrebbe essere autorizzata una deroga di qualunque entità al divieto di ampliamento sol perché una parte dei rifiuti conferiti potrà provenire dalla bonifica di un’area qualsiasi del territorio regionale. Tale esegesi si pone si pone in antitesi con l’effettiva intentio legis laddove la fondamentale volontà del legislatore regionale veneto era ed è chiaramente quella di limitare il più possibile il conferimento di rifiuti in discarica, dando così attuazione a principi stabiliti dalla disciplina europea del settore; essa, inoltre, contraddice i criteri esegetici generali per cui alle disposizioni derogatorie ed eccezionali deve darsi invece una stretta e rigorosa applicazione; contrasta con il chiaro tenore letterale della disposizione che limita l’ipotesi derogatoria ai soli ampliamenti che debbono essere “finalizzati” allo smaltimento di rifiuti che siano “provenienti da specifici progetti di bonifica e ripristino ambientale autorizzati sul territorio regionale”.
Aderire alla tesi fatta propria dal TAR significherebbe all’evidenza porre nel nulla il generale divieto europeo, esplicitato dall’art. 15 del Piano Regionale del Veneto in quanto facilmente aggirabile (per qualsiasi nuova volumetria di rifiuti) a fronte del dichiarato obiettivo di recuperare le risorse economiche per realizzare un qualche progetto di recupero ambientale;
XI Motivo di appello – Ulteriore erroneità della sentenza di primo grado sulla violazione dell’art. 15 del Piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali.
Richiamando l’attenzione sul disposto del comma 4 del citato art. 15 del Piano Regionale del Veneto sulla Gestione dei Rifiuti Speciali, a mente del quale “E’ sempre vietata la realizzazione di discariche per rifiuti non pericolosi e pericolosi nelle zone di “alta pianura-zona di ricarica degli acquiferi… e comunque a monte della linea delle risorgive”, e ciò anche “nel caso delle deroghe previste al comma 2”, con l’undicesimo motivo di ricorso i Comuni ricorrenti si dolevano dell’illegittimità del parere della Commissione VIA che aveva escluso l’applicazione della suddetta disposizione alla fattispecie in esame in quanto la stessa dovrebbe intendersi riferita alla realizzazione di nuove discariche e non all’ampliamento di quelle esistenti senza considerare, tra l’altro, che l’art. 32, comma 4, lett. a), della legge della Regione Veneto n. 3/2000 assimila alla “nuova discarica” l’ampliamento di una discarica esistente “qualora detto ampliamento comporti un incremento superiore al cinque per cento della quantità in volume di rifiuti smaltibili nella stessa”.
Al riguardo, il giudice di primo grado ha escluso recisamente l’applicabilità al caso di specie del divieto in parola, omettendo tuttavia di considerare una lettura teleologica e sistematica del divieto di cui al comma 4 del citato art. 15 del Piano Regionale dei Rifiuti che – al di là delle previsioni degli artt. 32, comma 4, lett. a), e 32-bis della LR n. 3/2000 – in particolare valorizzi:
a) un’esegesi ispirata al principio di precauzione per cui il divieto è chiaramente finalizzato ad escludere nuove volumetrie di rifiuti nelle aree idrogeologicamente più fragili del territorio regionale, tra cui quelle “a monte della linea delle risorgive”, quale sarebbe quella in esame;
b) la circostanza dell’espressa operatività del divieto anche nelle ipotesi derogatorie previste al comma 2 dello stesso art. 15, di talché risulta conseguenziale che il divieto trova applicazione anche per gli “ampliamenti di discariche esistenti” ancorché “finalizzati allo smaltimento di rifiuti provenienti da specifici progetti di bonifica” (ai sensi appunto del comma 2, lett. b, dello stesso art. 15);
XII Motivo di appello – Erroneità in fatto e in diritto della sentenza per travisamento dei fatti sull’ulteriore violazione dell’art. 15 del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Speciali.
Con questa censura gli enti territoriali ricorrenti lamentavano in primo grado la mancata applicazione al caso di specie quantomeno del divieto previsto dal comma 5 dell’art. 15 del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Speciali, in base al quale “per le discariche di rifiuti non pericolosi in esercizio all’entrata in vigore del presente Piano che risultano essere ubicata nelle aree designate vulnerabili […] è vietata la concessione di deroghe ai criteri di ammissibilità dei rifiuti ai sensi dell’art. 10 del medesimo decreto”.
Poiché infatti il progetto di ampliamento dell’impianto di (omissis) aveva ottenuto la concessione di numerose deroghe ai criteri di ammissibilità (ai sensi dell’art. 10 D.M. 27.9.2010) dei nuovi rifiuti conferiti in discarica (con particolare riferimento a diversi parametri di inquinanti tra i quali si ricordano il Cr. to., Mo., Ni., Se. etc.), se ne deduceva l’illegittimità della procedura autorizzatoria per violazione del predetto art. 15, comma 5, del Piano.
Di diverso avviso i giudici veneti, secondo i quali (pag. 20 della sentenza) per l’ampliamento della discarica di (omissis) non veniva “in rilievo nessuna deroga aggiuntiva, nessun nuovo rifiuto, nessun diverso parametro, ma solo la prosecuzione dell’attività nei limiti di quanto già autorizzato in precedenza, senza alcuna modifica della tipologia e delle caratteristiche chimiche dei rifiuti”.
Tale affermazione risulterebbe smentita per tabulas dai i diversi parametri inquinanti rispetto ai quali è stato assentito il superamento dei limiti di concentrazione dell’eluato (cfr. pag. 13 del parere della Commissione VIA, DO.. 4 del primo elenco);
XIII Motivo di appello – Erroneità della decisione impugnata per travisamento dei fatti e comunque per carenza della motivazione.
Secondo l’allegato D, capitolo 1 del predetto Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Speciali (DO.. 4 del secondo elenco), recante “Criteri per la definizione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti”, “è esclusa la realizzazione di discariche per rifiuti pericolosi e non pericolosi o l’ampliamento di quelle esistenti collocate nelle aree da salvaguardare individuate dal Piano di Tutela delle Acque: […] le zone di “alta pianura-zona di ricarica degli acquiferi individuate con D.C.R. n. 62 del 17.5.2006”.
Pertanto, insistendo l’ampliamento de quo in una “zona di alta pianura di ricarica degli acquiferi”, si censurava la relativa procedura autorizzatoria in quanto avvenuta in violazione dei suddetti criteri di localizzazione.
Il TAR avrebbe immotivatamente aderito alle conclusioni sul punto svolte dalla Commissione V.I.A., affermando che “l’area in esame ricade a sud della fascia di ricarica degli acquiferi” (pag. 20 della sentenza).
Sennonché, la stessa ditta Mo., incaricata dalla resistente In. S.r.l., nel DO.umento di Studio di Impatto Ambientale – SIA, a pag. 45, seppur riferendosi al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale- PTCP, riportava che: “dall’analisi della Tavola 2), “Carta delle Fragilità “, si rileva che l’area di progetto è inserita in parte nella Fascia di ricarica degli acquiferi e in parte nella Fascia delle risorgive”.
Gli appellanti evidenziano che tanto il P.T.C.P.- Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Verona che il P.P.G.R.U.- Piano Provinciale per la Gestione dei Rifiuti Solidi Urbani di Verona individuano l’area della discarica in fascia di ricarica degli acquiferi (e parzialmente in fascia delle risorgive);
XIV Motivo di appello – Manifesta illogicità ed erroneità della sentenza del TAR per violazione dell’art. 49 delle NTA del “Piano d’area quadrante Europa”.
L’area interessata dal progetto in esame ricade anche all’interno del P.A.Q..E. – “Piano d’Area Quadrante Europa” il cui art. 49 delle N.T.A., nel disciplinare “i siti con impianti di lavorazione e/o trattamento di rifiuti”, stabilisce importanti prescrizioni e vincoli tra cui che “Eventuali ampliamenti delle discariche esistenti devono essere motivati e realizzati in modo tale che la sistemazione finale comporti un miglioramento significativo dell’ambiente circostante”.
Pertanto, avendo la Regione Veneto illogicamente considerato il progetto rispettoso di una siffatta prescrizione, i Comuni ricorrenti ne lamentavano la violazione.
Anche su questo specifico punto della motivazione, però, i giudici di prime cure sarebbero pervenuti a conclusioni palesemente errate ed illogiche.
Secondo il TAR, “la bonifica della ex cava (omissis), situata ad una non eccessiva distanza di 14 km dalla discarica (omissis), ben può rientrare nella nozione di “miglioramento significativo dell’ambiente circostante”, conseguente all’ampliamento della discarica in questione, non essendo affatto necessario che il suddetto miglioramento ambientale derivi direttamente dall’ampliamento della discarica” (pag. 21 della sentenza).
A questo riguardo, gli appellanti richiamano le considerazioni svolte in merito alla fragilità dell’area su cui ricade il contestato ampliamento nonché in merito al rapporto di proporzione volumetrico tra l’aumento autorizzato (300.000 m³ ) e quello che sarebbe stato funzionale alla bonifica dell’ex cava (25.500 m³ ) e al vincolo di natura strettamente economico-finanziaria che tiene uniti i due progetti. Conseguentemente, sostenere che l’ampliamento dell’impianto di smaltimento di (omissis) abbia determinato un significativo miglioramento dell’ambiente circostante sarebbe affermazione errata e illogica, che contrasta con l’evidenza dei fatti e dei dati scientifici emersi in corso di istruttoria, con la ratio del divieto e con ogni ragionevole valutazione che tenga in debita considerazione il pesante impatto ambientale derivante dal citato ampliamento.
In particolare, la distanza di 14 km (tra la Cava (omissis) e la discarica (omissis)) esclude all’evidenza il concetto di “ambiente circostante”; inoltre, il consistente miglioramento ambientale deve essere connesso e conseguente alla “sistemazione finale” della discarica oggetto di ampliamento, quando invece il presunto miglioramento riguarda altra tipologia di intervento in un’altra area;
XV Motivo di appello – Erroneità – Manifesta illogicità ed omissione di pronuncia in merito alla carenza di istruttoria sulla conformità del progetto al Piano di Gestione dei Rifiuti della Provincia di Verona.
Con la successiva censura si denunciava il contrasto dell’autorizzazione al progetto con le indicazioni desumibili dal “Piano Provinciale per la Gestione dei Rifiuti Solidi Urbani” adottato dalla Provincia di Verona con D.C.P. n. 2 del 19.1.2010. Come evidenziato dal ricorrente Comune di (omissis) nella “Analisi critica” al progetto definitivo, la zona oggetto dell’ampliamento ricadeva in parte su di un’area soggetta “ad esclusione assoluta” (essendo il perimetro della discarica sull’orlo di una scarpata) e in parte su aree ad “esclusione parziale” (aree instabili per la presenza di permeabilità molto elevata e per la fascia delle risorgive; aree soggette ad elevata vulnerabilità ambientale per la tutela delle risorse idriche per la presenza della fascia di ricarica degli acquiferi; aree soggette a vulnerabilità idrogeologica molto elevata). A questo proposito, la stessa Provincia di Verona, nel parere allegato alla delibera di Giunta n. 108 del 30.6.2014 aveva puntualmente evidenziato tale incongruenza tra il progetto e il Piano in questione.
Ciononostante, il TAR ha rigettato la doglianza per il solo fatto che “il Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti Solidi Urbani della Provincia di Verona, pur adottato nel 2010, non è stato mai definitivamente approvato e, pertanto, non è mai entrato in vigore” (pag. 21).
Tuttavia il Piano avrebbe dovuto considerarsi efficace, quantomeno, a fini di “salvaguardia”, sicché le previsioni in esso contenute avrebbero dovuto essere adeguatamente considerate e riscontrate in istruttoria;
XVI Motivo di appello – Manifesta illogicità della decisione impugnata rispetto al Piano territoriale di coordinamento provinciale della Provincia di Verona e del Piano degli Interventi di (omissis).
Con l’ultima censura gli appellanti si dolevano della violazione del P.T.C.P.- Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Verona in relazione al mancato allacciamento degli scarichi al sistema fognario previsto dall’art. 40 delle N.T.A..
Sulla base del rilievo che “l’ampliamento della discarica di (omissis) consiste unicamente nella elevazione sommitale della discarica esistente, senza l’utilizzo di nuove aree o terreni, con la conseguenza che non è concepibile un autonomo allacciamento al sistema fognario di un ampliamento che consiste unicamente nella sopraelevazione di lotti esistenti” (pag. 22 della sentenza), il giudice di prime cure ha rigettato pure l’ultimo motivo del ricorso.
Tale conclusione sarebbe manifestamente illogica poiché un ampliamento così consistente (pari a 300.000 metri cubi) non potrà che avere ripercussioni sull’impianto già in essere, anche rispetto alla gestione delle acque civili e meteoriche (le prime smaltite in una fossa Imhoff ed un pozzo perdente, mentre le seconde confluiscono nella “Fo. Fo.”).
4. Si sono costituiti, per resistere, la Regione Veneto, il Comune di (omissis) e la società In. s.r.l..
5. In sede di costituzione la società appellata ha riproposto le eccezioni assorbite dal TAR, ovvero:
– inammissibilità per difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere in quanto i Comuni ricorrenti non avrebbero provato la sussistenza di alcun concreto pregiudizio derivante alle rispettive comunità dai provvedimenti impugnati che si limitano ad autorizzare l’ampliamento in sopraelevazione di un impianti già esistente ed autorizzato da diversi anni nel territorio del Comune di (omissis). In tal senso non sarebbe decisiva la circostanza di essere stati indicati come “comuni interessati” nella procedura di VIA laddove l’ampliamento in concreto non possa avere alcun negativo impatto sul loro territorio.
L’interesse al ricorso deve essere concreto, diretto ed attuale e non coincide con l’interesse di natura partecipativa, derivante dall’individuazione effettuata nel SIA dallo stesso proponente, solo perché “eventualmente interessati dagli impatti ambientali del progetto”. cfr. art. 3, comma 2, lett. b) L.R.V. n. 6/17 in materia di VIA).
I potenziali impatti negativi sarebbero stati tutti valutati in sede di Commissione VIA ove si è concluso all’esito di una articolata e compiuta istruttoria per l’insussistenza di profili di criticità quali quelli di cui si lamentano i ricorrenti.
Anche sulla scarsa incidenza della sopraelevazione, in una zona peraltro non soggetta ad alcun vincolo paesaggistico-ambientale, si è espressamente pronunciata la Commissione considerati pure gli interventi di mitigazione proposti (DO.. 25, pag. 30) ed i rendering fotografici contenuti nel progetto (DO.. 24, pagg. 167 e ss.);
– Inammissibilità e tardività – omessa impugnazione nei termini dell’accordo sostitutivo 02.09.2014: l’accordo in esame, intervenuto tra i Comuni di (omissis) e (omissis), è l’atto di impulso procedimentale dell’operazione oggetto del presente contenzioso. Esso, però, non è stato impugnato nel termine di decadenza dalla pubblicazione delle rispettive delibere consiliari, né in quello decorrente dalla conclusione del procedimento di VIA
6. Le parti hanno depositato memorie in vista della pubblica udienza del 10 gennaio 2019.
6.1. La società In. ha messo in evidenza quanto segue.
Il progetto sottoposto alla Regione Veneto riguarda “l’ampliamento dell’impianto di smaltimento D1 per rifiuti non pericolosi in loc. (omissis) in Comune di (omissis) e contestuale progetto di bonifica cava (omissis) in Comune di (omissis)”.
Esso prevede l’ampliamento in sopraelevazione esclusivamente della porzione dell’impianto (lotti 1, 5, 6, 7) autorizzato alla costruzione con DGR n. 995/2009 ed autorizzato all’esercizio con DSR n. 67/2012.
Relativamente ai primi due motivi di appello, la società ritiene che la tesi dei Comuni appellanti sia smentita da specifiche disposizioni normative regionali che legittimerebbero espressamente l’unificazione procedimentale dei due interventi che, proprio per una precisa scelta del legislatore regionale, avrebbero un “collegamento strutturale e funzionale” (non solo quindi di natura finanziaria).
Si tratta anzitutto dell’art. 34 della legge della Regione Veneto n. 3/2000, secondo cui le operazioni di bonifica possono essere autorizzate contestualmente “con apporto di materiale o rifiuti non putrescibili”.
Il legislatore regionale avrebbe quindi previsto che un progetto di bonifica possa essere autorizzato con la contestuale approvazione della realizzazione e/o ampliamento (al fine del finanziamento dell’intervento di bonifica) di un impianto per rifiuti inorganici-non putrescibili quale l’impianto gestito da In., Inoltre, secondo l’art. 15, comma 2, lett. b) del Piano Regionale di Gestione Rifiuti (approvato con DGR n. 30/2015), rispetto al divieto di autorizzare nuove discariche fino al 2020 (comma 1), sono ammessi “ampliamenti di discariche esistenti finalizzati allo smaltimento di rifiuti provenienti da specifici progetti di bonifica” (comma 2, lett. b).
Se il progetto di bonifica fosse stato valutato e approvato senza l’ampliamento di (omissis), il ripristino di Cava (omissis) non sarebbe stato neppure concepibile, non potendosi evidentemente ipotizzare la presentazione di una proposta progettuale senza l’individuazione delle risorse finanziarie per la sua realizzazione.
Ha poi sottolineato, tra le considerazioni del TAR Veneto, quella secondo cui “nessuna disposizione normativa vieta la contestuale autorizzazione, con unico procedimento e provvedimento, di un progetto di bonifica la cui realizzazione dipenda da un contestuale progetto di ampliamento di discarica: interventi che, come visto, possono essere considerati sostanzialmente come parti di un unico progetto, da istruire in un unico procedimento culminante in un unico provvedimento, alla luce dei principi di efficacia, economicità e non aggravamento dell’azione amministrativa”.
In ogni caso la Commissione VIA ha esaminato autonomamente e motivato analiticamente in merito a tutti gli aspetti rilevanti sotto il profilo procedimentale (ex art. 4, comma 2, lett. b, d.lgs 152/06) di ciascuno (bonifica e ampliamento) dei due interventi (quadro di riferimento programmatico, quadro di riferimento progettuale, quadro di riferimento ambientale con i relativi impatti su suolo, acque, habitat, paesaggi, alternative progettuali, quadri economici di spesa – vedi parere VIA da pag. 4 a pag. 33).
Ciò renderebbe inammissibili i motivi, non avendo indicato controparte alcun concreto elemento (se non mere supposizioni) che dimostri che la contestata unificazione procedimentale abbia viziato la completezza dell’attività istruttoria espletata in termini di valutazione degli impatti del progetto sulle componenti ambientali.
Ha evidenziato, ancora, che la sostenibilità economica di un intervento è elemento che necessariamente deve essere valutato dall’organo competente (nel caso la commissione VIA) anche per espressa previsione legislativa, sia con riferimento alla realizzazione/ampliamento
di una discarica dato che l’art. 7.1 allegato 2 al d.lgs. 36/2003 (in materia appunto di discariche) stabilisce che “l’autorità competente provvede ad approvare i piani di gestione operativa…, nonché il piano finanziario di cui all’art. 8, predisposti secondo quanto previsto dall’allegato 2”, sia con riferimento alle operazioni di bonifica di un sito contaminato dato che ai sensi dell’art. 242, comma 7, d.lgs. 152/06 “con il provvedimento di approvazione è fissata l’entità della garanzie finanziarie in misura non superiore al 50% del costo stimato dell’intervento…”, costo stimato che evidentemente richiede per la sua quantificazione un piano economico finanziario da valutarsi da parte della p.a., così come avvenuto nella fattispecie.
La Commissione VIA, valutati nel dettaglio tutti i parametri tecnico-economici dell’intervento (cfr. pagg. 21-27, parere VIA 552), nell’ambito della propria discrezionalità tecnica, ha quindi accertato che il volume pari a 300.000 mc è necessario per sostenere i costi (pari a circa euro 11.000.000) della bonifica di Cava (omissis);
La valutazione del profilo economico finanziario era inoltre indispensabile per “evitare che la richiesta di ampliamento di 300.000 mc della discarica di (omissis) potesse atteggiarsi come eccessiva rispetto all’intervento di bonifica, in tal modo evitando in radice che vi potesse essere qualsiasi intervento speculativo sotteso all’operazione nel suo complesso, consentendo ad In. la percezione solo di un equo ristoro economico con un utile limitato al 10%” (sentenza pag. 14);
Parte appellante non indica alcuna soluzione alternativa concretamente realizzabile rispetto a quella approvata.
La società ha soggiunto che la discarica di (omissis) è la più vicina al sito da bonificare” (pag. 15 sentenza), con la conseguenza, come motivato anche in sede di parere VIA, che il progetto di In. consente di ridurre al minimo, “in base al principio di prossimità, anche la movimentazione dei rifiuti su strada”, così come imposto dall’art. 182 bis d.lgs. 152/06.
Il giudice di primo grado ha poi dato conto del fatto che lo studio di impatto ambientale “contiene una meticolosa ed esaustiva analisi delle principali alternative, prendendo in considerazione sia le conseguenze ambientali derivanti dall’opzione zero, sia quelle scaturenti da un ampliamento planimetrico verso nord o verso ovest, sia raffrontando gli esiti ambientali in una tabella di valutazione conclusiva articolata in plurimi parametri… La commissione ha ragionevolmente e logicamente argomentato in merito alle alternative progettuali, rispetto al progetto di ampliamento della discarica di (omissis)… fornendo ampia motivazione sia in merito ai riflessi negativi dell’opzione zero… sia in merito alle peggiori conseguenze derivanti dall’alternativa di un ampliamento planimetrico della discarica mediante l’acquisizione di nuovi terreni rispetto al progetto di ampliamento in altezza…” (pag. 15 sentenza cit.)
Diversamente da quanto erroneamente evidenziato nell’atto d’appello, la Commissione VIA ha preso atto che l’intervento non solo non risulta localizzato in un contesto di particolare valenza paesaggistica ma che “l’unico elemento del paesaggio che riveste un certo interesse nell’intorno dell’area di progetto risulta essere la frazione (omissis) (posta a circa 300 metri a ovest dell’ampliamento, oltre la transpolesana) indicata nell’atlante regionale dei centri storici: da qui l’ampliamento della discarica in progetto non risulterà visibile in quanto si interpone la “Transpolesana” come elemento fisico che ne interclude la vista” (parere VIA pag. 30).
In conclusione, in conformità a quanto stabilito dall’art. 22, comma 3, lett. d) del d.lgs. 152/06, le principali alternative, compresa l’opzione zero, sarebbero state dettagliatamente valutate dalla Commissione VIA che le avrebbe comparate nei loro singoli specifici impatti ambientali con il progetto presentato ed ha analiticamente motivato le ragioni della scelta.
La società ritiene poi che l’accordo “sostitutivo” raggiunto tra i Comuni di (omissis) e (omissis) non pregiudichi i diritti dei Comuni appellanti poiché prevede, da una parte, l’impegno a presentare alla Regione Veneto un progetto di bonifica di un sito contaminato sul territorio di altro Comune; dall’altra, l’impegno a corrispondere un contributo al Comune di (omissis) nel caso di ampliamento dell’impianto di (omissis); contributo che non può certo essere esteso, ma neppure diviso, con i Comuni confinanti con (omissis) perché il contributo di disagio ambientale è, dalla vigente normativa, previsto per i “Comuni sede dell’impianto” (art. 37 legge della Regione Veneto n. 3/2000).
In ogni caso, dalla stessa impostazione argomentativa degli appellanti risulta che l’asserito (ma indimostrato) “pregiudizio” sarebbe riconducibile al “più volte citato ampliamento della discarica di (omissis)” laddove tale ampliamento non è stato certo autorizzato con l’accordo sostitutivo in esame, ma con la DGR n. 175/2018 approvata dalla Regione Veneto all’esito di un procedimento ove i Comuni appellanti sono stati invitati per poter esercitare i loro diritti partecipativi.
Per quanto riguarda la tesi del “recesso” dall’accordo, per effetto del voto contrario del Sindaco di (omissis) espresso nella seduta della commissione VIA del 6 ottobre 2015, la società ha evidenziato che a seguito dell’inizio dei conferimenti di rifiuti nella porzione in ampliamento autorizzata, il Comune sta attualmente incassando il contributo di disagio ambientale pari ad euro 5,03/ton, oltre ad aver già incassato euro 200.000 per due delle cinque rate del contributo integrativo di euro 500.000, e ciò proprio in esecuzione di quanto previsto da quell’accordo sostitutivo (DO.. 18 fasc. I grado) dal quale evidentemente anche per “fatti concludenti” l’ente locale non ha certo esercitato alcun “recesso”.
Per quanto concerne la censura sull’asserita violazione dell’art. 32 della legge della Regione Veneto n. 3/2000 per mancanza del parere favorevole del Consiglio Comunale di (omissis) all’ampliamento della discarica superiore al 5%, oltre a quanto in precedenza evidenziato, la società ha sottolineato che, a ben vedere, tale parere non era nemmeno richiesto.
Come chiarito dall’art. 32 bis della di tale legge regionale, l’ampliamento richiesto da In. non può essere equiparato ad una “nuova discarica” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 32, comma 3 e comma 4 (necessità del parere del Consiglio Comunale), dato che nel territorio comunale di (omissis) non sono presenti altri impianti di smaltimento rifiuti.
Non sussisterebbe poi alcuna violazione delle disposizioni di cui al Piano d’Area Valli (omissis)
. E ciò perché l’art. 5 delle NTA viete “l’apertura di… discariche”, laddove nel caso di specie non viene autorizzata “l’apertura” di una discarica, ma esclusivamente l’ampliamento (sommitale, senza consumo di nuovo suolo) di un impianto già in esercizio da oltre 20 anni.
Anche con riferimento all’art. 7 delle NTA, secondo cui “non è consentita la realizzazione di discariche, l’apertura di cave, l’ampliamento di quelle esistenti fatti salvi gli ampliamenti fisiologici di completamento, e non è consentita la riapertura di quelle abbandonate e dismesse”, non sussisterebbe alcuna violazione. In disparte l’interpretazione letterale, la società valorizza l’art. 7 ultimo comma del Piano d’Area il quale contiene una significativa disposizione di chiusura che fa salvi tutti gli interventi previsti dalla normativa di settore (rifiuti) per la “messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati”.
L’interpretazione “sistematica” (in correlazione con le altre disposizioni applicabili alla materia) conferma che l’art. 7 non vieta l’ampliamento di cui trattasi perché la stessa “scelta” di valore – che è stata fatta nel Piano d’Area (art. 7, ultimo comma) – si rinviene nella normativa regionale di settore e nello specifico:
– nella legge 3/2000 (art. 34) ove è stata prevista la bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati, anche con apporto di ulteriori rifiuti;
– nell’art. 15, comma 2, lett. b), del Piano Regionale Rifiuti, ove l’ampliamento delle discariche esistenti è stato consentito al fine di realizzare specifici progetti di bonifica;
– nell’art. 49 del PAQE (Piano d’Area che – al pari del Piano Valli Grandi – costituisce strumenti di specificazione del PTRC) secondo cui sono ammessi interventi di “ampliamento delle discariche esistenti” finalizzati al miglioramento dell’ambiente circostante (come nel caso di specie – vd. sub motivo 14).
Il già citato ultimo comma dell’art. 7 delle NTA del Piano Valli (omissis) contiene anche l’espresso rinvio “a quanto previsto nel Piano Regionale per la bonifica delle aree inquinate” che costituisce un allegato (ex art. 199, VI comma, d.lgs. 152/06) al Piano Regionale Rifiuti (approvato con DCR 30/2015); il pianto regionale per la bonifica, il cui contenuto non a caso è fatto salvo dalla disposizione di chiusura dell’art. 7 in esame, individua il sito di Cava (omissis) come sito prioritario da bonificare per la Provincia di Verona con codice identificativo 03, con la conseguente, anche per tale profilo, asserita palese infondatezza del motivo d’appello che si fonderebbe su una interpretazione che comporterebbe una paradossale “eterogenesi dei fini”.
Il Piano regionale in esame, verrebbe infatti invocato per mantenere una situazione di compromissione in atto e che invece la stessa Regione individua come prioritaria da risolvere per la tutela dall’ambiente e della salute.
Per quanto poi riguarda l’art. 15, comma 2, lett. b del Piano Regionale Rifiuti (P.R.R.), la disposizione in esame consente espressamente deroghe al divieto di autorizzare nuove volumetrie (art. 15, comma 1) allorquando gli ampliamenti delle discariche esistenti “siano finalizzati allo smaltimento di rifiuti provenienti da specifici progetti di bonifica e ripristino ambientale autorizzati sul territorio regionale, nonché interventi di bonifica e ripristino ambientale che comportino la messa in sicurezza permanente eventualmente attraverso l’apporto di materiali o rifiuti… anche mediante il ricorso agli strumenti previsti dall’art. 11 e 15 della Legge 241/90” (art. 15, comma 2, lett. B).
Al riguardo, sarebbe manifestamente erronea la tesi degli appellanti secondo cui l’ampliamento della discarica esistente dovrebbe essere nei limiti del quantitativo del materiale proveniente dalla bonifica in quanto essa renderebbe non solo l’intervento in esame (bonifica di un sito contaminato da parte di un operatore del settore non responsabile), ma anche tutti gli altri analoghi, insostenibili da un punto di vista economico e finanziario. In ogni caso, non vi sarebbe pericolo “speculativo” perché, nella fattispecie, il volume è stato determinato sulla base della completa ed approfondita istruttoria espletata dalla Commissione VIA (cfr. pagg. 25-27, parere 552) la quale, nell’ambito della propria discrezionalità tecnica, ha “limitato” il volume in ampliamento esclusivamente a quanto necessario per sostenere i costi (pari a circa euro 11.000.000) della bonifica.
La società ha quindi richiamato le argomentazioni del TAR secondo cui “Di conseguenza l’ampliamento in deroga di una discarica ai sensi del citato art. 15, comma 2, lett. b) ben può essere autorizzato qualora sia rivolto a consentire la realizzazione di uno specifico progetto di bonifica, tenendo pertanto in considerazione non solo il quantitativo di rifiuti provenienti dalla suddetta bonifica, ma anche tutti gli ulteriori fattori (come la sostenibilità economica della bonifica stessa, soprattutto qualora venga condotta da un operatore privato) che rendano concretamente attuabile l’intervento di ripristino ambientale, anche in un’ottica di sostenibilità economica e finanziaria dell’intervento stesso” (sentenza TAR pagg. 20, 21)
Relativamente ai motivi nn. 11, 12 e 13 con cui viene contestata la violazione dell’art. 15, comma 4 e comma 5 e delle “linee guida” del Piano Regionale Rifiuti (P.R.R.), ha sottolineato (i) che i ridetti commi 4 e 5 cit. e le linee guida si riferiscono espressamente alle “discariche” mentre l’impianto di In. non costituisce sic et simpliciter una discarica ma una bonifica con apporto di rifiuti (ex art. 34 LRV 3/2000) (ii) il sito ove ricade l’impianto di (omissis) non è situato in zona di alta pianura di ricarica degli acquiferi, con conseguente non applicabilità delle disposizioni in esame, così come risulta per tabulas DO.umentato:
– dal parere della Commissione VIA impugnato in primo grado (n. 552/15) ove, come evidenziato dal TAR Veneto, “si afferma che l’area in esame ricade a sud della fascia di ricarica degli acquiferi (pag. 5 del parere n. 552/15)” (sentenza TAR, pag. 23);
– dal parere della Commissione VIA rilasciato in sede di autorizzazione all’impianto di inertizzazione ove conformemente si dà atto che: “il sito in esame non ricade all’interno di zone a rischio sismico, idrogeologico, in fascia di ricarica degli acquiferi o zone esondabili” (cfr. all. alla DGRV 1079/2013);
– dal P.T.R.C vigente (piano territoriale regionale di coordinamento ex art. 24 LR. 11/2004) ove la Tavola 1 “difesa del suolo” dimostra che l’area in esame ricade a sud (ovvero non all’interno) dalle fascia di ricarica degli acquiferi;
– dal Piano D’area Quadrante Europa (strumento regionale di specificazione del PTRC) ove la Tavola 2B “Ecosistemi” indica la zona di progetto vicina ma al di fuori della zona di ricarica acquiferi;
– dalla stessa D.C.C. n. 62 del 17.05.2006 (espressamente citata dai commi 4 e 5 dell’art. 15 e dalle “linee guida” del PRR) ove il territorio del Comune di (omissis) rientra solo per una percentuale pari al 30% in “zona vulnerabile” ed in tale zona, in conformità alle tavole del PTRC e del PAQE, non rientra l’impianto di (omissis).
In ogni caso sarebbe nuova e quindi inammissibile la censura secondo cui l’impianto si troverebbe “a monte della linea delle risorgive” (pag. 34 appello). La doglianza, oltre che inammissibile, sarebbe palesemente infondata, in quanto, come riconosciuto negli stessi atti di parte appellante, l’impianto si trova all’interno della fascia delle risorgive (non al suo esterno e cioè “a monte della linea delle risorgive”), ossia in un’area che dal punto di vista geologico non solo è incompatibile con la fascia di ricarica degli acquiferi, ma che sarebbe anche preferenziale per la localizzazione di impianti di gestione rifiuti.
Né si può fare riferimento all’art. 32, comma 4, della legge della Regione Veneto n. 3/2000 ai fini della equiparazione tra nuova discarica ed ampliamento di discarica esistente superiore al 5%, dal momento che tale equiparazione viene prevista dal citato comma 4 limitatamente ai fini di cui al precedente comma 3 del medesimo art. 32, ovvero limitatamente alle nuove discariche per rifiuti speciali da approvare in Comuni nel cui territorio siano già attive “altre discariche per rifiuti speciali o rifiuti urbani”, laddove invece nel territorio del Comune di (omissis), da quanto emerge dagli atti di causa, non risultano attive ulteriori discariche oltre a quella di (omissis)” (sentenza TAR pagg. 21 e 22).
Il motivo n. 12 sarebbe manifestamente infondato perché il comma 5 dell’art. 15 del PRR si limita a vietare, “per le discariche… che risultano essere ubicate nelle aree designate vulnerabili ai sensi della DCR n. 62 del 17.05.2006”, “la riclassificazione in sottocategorie di discarica per rifiuti non pericolosi ai sensi dell’art. 7 del D.M. 27.09.2010 o la concessione di deroghe ai criteri di ammissibilità dei rifiuti ai sensi dell’art. 10 del medesimo decreto”, mentre, nel caso in esame:
A) l’impianto di (omissis) non è ubicato nella aree vulnerabili di cui alla DCR n. 62 del 17.05.2006 (vd. sopra pagg. 33, 34);
B) la porzione di impianto sul quale è stata autorizzata la sopraelevazione (lotti 1, 5, 6, 7) è stata già riclassificata ai sensi dell’art. 7 del DM 27.09.2010 in discarica per rifiuti non pericolosi a basso contenuto organico e biodegradabile ancora nel 2009 e nel 2012 (cfr. DO.c. 10 a e 10 b e pagg. 12 e 13 parere VIA n. 552). Sarebbe quindi non veritiere l’affermazione di parte appellante secondo cui In. avrebbe richiesto e ottenuto nuove deroghe per “diversi parametri inquinanti”;
C) in ragione di quanto sopra il TAR Veneto ha correttamente preso atto che “come emerge dal parere della Commissione regionale V.I.A. (pagg. 12 e 13 del parere n. 552/2015), la discarica di (omissis) è stata già riclassificata in “discarica per rifiuti inorganici a basso contenuto organico o biodegradabile” sia con riguardo alla parte più vecchia dell’impianto, sia con riguardo ai nuovi lotti 1, 5, 6 e 7 (oggetto della sopraelevazione contenuta nel progetto), come da A.I.A. rilasciata da ultimo con D.S.R. n. 67 dell’11 settembre 2012, ed il proponente ” ha chiarito […] che non intende richiedere deroghe aggiuntive ai limiti di accettabilità del DM 27/09/2010 rispetto a quelle già assentite” (pag. 13 del parere n. 552/2015 della Commissione regionale V.I.A.), con la conseguenza che risulta infondata l’affermazione dei ricorrenti secondo cui, con l’ampliamento della discarica: “è stata chiesta ed ottenuta la concessione di plurime deroghe ai criteri di ammissibilità (ai sensi dell’art. 10 D.M. 27/09/2010) in relazione ai nuovi rifiuti conferiti in discarica” (pagg.26 e 27 del ricorso), non venendo al contrario in rilievo nessuna deroga aggiuntiva, nessun nuovo rifiuto, nessun diverso parametro, ma solo la prosecuzione dell’attività neilimiti di quanto già autorizzato in precedenza, senza alcuna modifica della tipologia e delle caratteristiche chimiche dei rifiuti da conferire” (sentenza TAR, pagg. 22, 23).
Anche il motivo n. 13 sarebbe infondato perché :
A) l’impianto di (omissis) non è ubicato nella zona di ricarica degli acquiferi, (come confermato dalla Commissione Via a pag. 6 del parere 552/2015 ed a pag. 20 della sentenza impugnata). Né può sostenersi che diverse indicazioni al riguardo contenute negli strumenti di livello inferiore (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) possano avere rilevanza, e ciò perché il PTRC (Piano Territoriale di Coordinamento Regionale) ed il PAQE (strumento regionale di specificazione del PTRC), nell’indicare l’area in esame all’esterno della fascia di ricarica degli acquiferi in quanto strumenti di pianificazione di fonte regionale, sono sovraordinati e prevalenti rispetto agli altri piani di livello inferiore (provinciale), sia perché in ogni caso, anche a prescindere da tali citati strumenti urbanistici, la DCR n. 62 del 17.05.2016 – espressamente richiamata dalle “linee guida” per individuare l’area di ricarica degli acquiferi – non ricomprende il sito ove è localizzato l’impianto di In.;
B) gli stessi Comuni appellanti, pur sostenendo in appello che l’impianto si trova in zona di ricarica degli acquiferi, in realtà non sono neppure certi di tale circostanza dato che il DO.. 2 del loro fasc. di primo grado, espressamente richiamato a sostegno del motivo in esame, DO.umenta invece in modo contraddittorio sia che l’area è inserita in zona di ricarica, sia che l’area è esterna alla stessa zona di ricarica (DO.. 2 cit, pag. 23, 41 e 42 dell'”Analisi Critica” allegata);
C) il motivo è stato comunque adeguatamene contestato in primo grado, qui ricordandosi solo che le “linee guida” dell’allegato D al P.R.R. costituiscono comunque, per precisa disposizione normativa, esclusivamente dei “criteri generali” formulati ex art. 199, comma, 3 lett. l) del d.lgs. 152/2006 “per l’individuazione da parte delle Province delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti” e, come tali (“criteri generali”), privi di carattere cogente fino all’individuazione (non intervenuta) di competenza esclusiva delle stesse Province ex art. 197, comma 1, lett. d) d.lgs. 152/2006.
Rispetto alla compatibilità dell’intervento con l’art. 49 del PAQE la Commissione VIA si è pronunciata argomentando in modo diffuso e puntuale (pag. 9 del parere VIA 552), con motivazione ritenuta “logica e ragionevole” da parte del TAR Veneto “dal momento che la bonificadell’ex Cava (omissis), situata ad una distanza non eccessiva di 14 km dalla discarica di
(omissis) ben può rientrare nella nozione di miglioramento significativo dell’ambiente circostante, conseguente all’ampliamento della discarica in questione…essendo l’aumento altimetrico della discarica di (omissis) propedeutico alla bonifica dell’ex Cava (omissis), da cui deriva a sua volta un sicuro e significativo miglioramento dell’ambiente circostante” (sentenza TAR, pag. 23).
Come DO.umentato dallo specifico Piano di ripristino ambientale allegato al progetto di In. e come precisato dalla Commissione Regionale VIA, gli interventi di riqualificazione ambientale del sito di (omissis), una volta completati i conferimenti di rifiuti, permetteranno “il mantenimento in ambiente ad agricoltura intensiva di un vasto spazio erboso con essenze erbacee delle pecie nutrici per farfalle, il rafforzamento delle piantumazioni ad alto fuso e barriere verdi (vedi DO. 1944 2533 1 R03.6 e prescrizioni della Commissione)…” (cfr. pag. 9 parere VIA e prescrizione n. 6 pag. 41 parere VIA).
7. Il Comune di (omissis), dal canto suo, ha svolto considerazioni analoghe a quelle della società In..
8. In data 10 dicembre 2018, i Comuni appellanti hanno presentato una memoria difensiva, replicando, in particolare, alle eccezioni pregiudiziali riproposte da In..
Hanno evidenziato che, relativamente ad un procedimento di VIA, trova applicazione la direttiva 2011/92/UE la qual, riconosce agli Stati membri spazi di discrezionalità nello “standing” (ossia nel determinare ciò che costituisce “interesse sufficiente” che legittima all’azione contro provvedimenti in materia di impatto ambientale), ma sempre “compatibilmente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia” (art. 11, § 3). E’ dunque il medesimo fondamentale obiettivo di garantire questo “ampio accesso” alla giustizia in materia ambientale che deve necessariamente guidare i giudici nazionali nel decidere sulle questioni della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere in materia di VIA.
Ad ogni buon conto, il sito interessato dall’ampliamento della discarica risulta caratterizzato da un’elevatissima vulnerabilità idrogeologica ambientale ricadendo a ridosso della “fascia di ricarica degli acquiferi” e all’interno della “fascia delle risorgive”, come risulta certificato da tutti gli strumenti di pianificazione territoriale ed ambientale vigenti, tra cui il P.T.A. Piano di Tutela delle Acque”, il P.A.Q.E. â € ? Piano d’Area del Quadrante Europa, il P.T.C.P. â € ? Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Verona, che pongono significativi limiti all’attività di smaltimento dei rifiuti in tali zone.
Il concreto interesse ad agire è determinato dall’oggettivo pericolo di impatto paesistico ambientale risulta dall’imponente carico di rifiuti che andrà stoccato nel sito ove si realizzasse l’ampliamento per il quale si chiede l’autorizzazione, in quanto un innalzamento della discarica di ben 8 metri renderà senza dubbio visibile tale collina artificiale di rifiuti anche dal territorio comunale di (omissis). Quanto ai Comuni di (omissis) e (omissis), essi sarebbero in una condizione di pericolo poiché, trovandosi in posizione di “valle idrogeologica” sono comunque esposti agli effetti anche di un possibile episodio incidentale.
In tal senso richiamano gli accertamenti effettuati dall’ARPA nel 2016 e nel 2018 dai consulenti tecnici della Procura della Repubblica di Verona nel procedimento penale n. 12300/2016 RGNR e n. 445/2017 RG GIP.
Hanno poi ribadito che la normativa e la giurisprudenza, anche europea, che prevedono in determinati casi una V.I.A. unica per più progetti (che siano però tra loro connessi sul piano tecnico, strutturale e funzionale) riposa esclusivamente sull’esigenza di evitare artificiosi frazionamenti di un’opera (il cd. “salame slicing”) volti a sottrarre quest’ultima ad un preventivo e completo esame dei relativi impatti ambientali, ma non consente certo una VIA fondata su bilanciamenti economico-finanziari tra una pluralità di interventi tra loro autonomi (distinti sul piano tecnico e distanti sul piano ubicazionale).
Hanno evidenziato, altresì, che tale valutazione economica non può essere confusa con la consueta valutazione pubblica dei piani economico-finanziari dei progetti di discarica o di bonifica.
Né la Commissione VIA né il TAR hanno considerato che se, da una parte, si restituisce un’area bonificata agli usi pubblici/privati, dall’altra si modificano definitivamente gli assetti altimetrici, naturalistici, agronomici e paesaggistici di un’altra area sottraendola a qualsiasi uso pubblico/privato.
Hanno rimarcato che l’impugnato provvedimento regionale di ampliamento della discarica (omissis) ha illegittimamente autorizzato la concessione di plurime deroghe ai criteri di ammissibilità dei nuovi rifiuti conferiti in discarica, con superamento dei limiti di concentrazione per diversi inquinanti, anche altamente pericolosi.
La motivazione del rigetto della censura utilizzata dai giudici veneti (secondo cui nel caso di specie non sarebbero state concesse “deroghe aggiuntive” rispetto a quanto già autorizzato in precedenza) ometterebbe di considerare che in realtà con il progetto di ampliamento è stata chiesta e ottenuta la concessione di plurime deroghe ai criteri di ammissibilità in relazione ai nuovi rifiuti conferiti in discarica; e ciò con riferimento a diversi parametri di inquinanti per i quali viene dunque consentito di superare i limiti di concentrazione dell’eluato (riportati a pag. 13 del parere della Commissione VIA: Cr. to., Mo., Ni., An., Se., Zi., Fl., DO., TD.: vds. DO.. 4, primo elenco, primo grado).
In tale situazione, non potrebbe quindi sostenersi che il divieto citato non troverebbe applicazione sol perché trattasi delle medesime deroghe assentite per i rifiuti conferiti nella vecchia porzione di discarica giacché così facendo ogni applicazione estensiva delle deroghe rilasciate in precedenza sarebbe tranquillamente assentibile a tutt’oggi per ogni e qualsiasi ampliamento venendo così meno la ratio cautelativa della previsione di Piano.
9. La Regione Veneto, con memoria del 10 dicembre 2018, ha precisato che l’intero impianto di (omissis) è stato sottoposto a una serie di approfondite analisi, occasionate dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Verona relativa ad un ipotetico episodio di contaminazione della falda sottostante alla discarica. Tali controlli hanno permesso di apprezzare come il complesso sia tutt’oggi sicuro, con riferimento sia alla tenuta del sistema di isolamento della discarica, sia alle tecnologie di raccolta e smaltimento del percolato. Si è infatti accertato che il fondo dell’impianto, in disparte la sua perfetta integrità, non è, allo stato, fonte di inquinamento perché la qualità delle acque della falda in parola rientra sia all’interno dei livelli di performance per le acque destinate al consumo umano individuati dal l’Istituto Superiore della Sanità (parere n. 1584 del 16 gennaio 2014), sia dei valori provvisori di performance fissati dalla DGRV n. 1590 del 3 ottobre 2017, validi “fino a diverse e nuove indicazioni da parte delle autorità nazionali e sovranazionali competenti”.
10. In replica, gli appellanti, hanno dedotto che la circostanza, fatta rilevare dalla difesa regionale, secondo cui la quantità di PFAS ad oggi accertata nella falda sottostante la discarica non supera i limiti provvisoriamente stabiliti dall’Istituto Superiore di Sanità per le acque destinate al consumo umano, prova soltanto che non vi è una situazione di emergenza igienico-sanitaria,
La Regione Veneto ha ribadito che, ad oggi, non esistono sequestri penali o sospensioni amministrative dell’autorizzazione alla gestione della discarica proprio perché non ci sono inquinamenti significativi.
Anche la società In. ha precisato che il procedimento relativo all’incidente probatorio, citato a pag. 9 della memoria conclusionale degli appellanti, è pervenuto, in data 4 giugno 2018 alla richiesta di archiviazione da parte del P.M. titolare dell’indagine; inoltre, nel procedimento amministrativo attivato dalla Regione Veneto, è stato accertato da tutti gli enti competenti che “non si è verificato alcun superamento delle CSC” e che “le concentrazioni misurate risultano inferiori sia ai livelli di performance per le acque destinate al consumo umano individuati dall’Istituto superiore di sanità … sia ai valori provvisori di performance fissati dalla DGRV n. 1590 del 03.10.17…” (verbale del 16 luglio 2018)
Il Comune di (omissis) ha infine precisato di non essere in grado, allo stato, di provvedere exofficio, e quindi autonomamente, alla bonifica di Cava (omissis).
11. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 10 gennaio 2019.
12. In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni pregiudiziali assorbite dal TAR e riproposte dalla società In..
12.1 L’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione ed interesse a ricorrere è infondata.
Al riguardo, si richiama l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “ancorché un impianto di trattamento di rifiuti ricada in altro vicino comune, non può negarsi che esso arrechi (o sia astrattamente in grado di arrecare) disagi e danni non solo agli appartenenti del comune di ubicazione, ma anche ai cittadini dei comuni limitrofi: deve essere pertanto riconosciuta la legittimazione e l’interesse ad agire anche al comune limitrofo (a quello in cui è ubicata o deve essere ubicata una discarica di rifiuti), quale ente esponenziale della collettività stanziata sul proprio territorio e portatore in via continuativa degli interessi diffusi radicati sul proprio territorio (C.d.S., sez. V, 3 maggio 2006, n. 2471; 20 febbraio 2006, n. 695), non potendo la legittimazione ad agire essere subordinata alla prova di una concreta pericolosità dell’impianto (C.d.S., sez. VI, 20 maggio 2004, n. 3262)” (Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254).
Appare al riguardo condivisibile quanto fatto rilevare dai Comuni appellanti circa il fatto che la materia della tutela dell’ambiente si connota per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e dei coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, come è dimostrato dalle scelte legislative in tema di partecipazione alle procedure di V.A.S. e V.I.A., di legittimazione all’accesso alla DO.umentazione in materia ambientale, di valorizzazione degli interessi “diffusi” anche quanto al profilo della legittimazione processuale (Consiglio di Stato sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403)
In tale ottica, pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione a ricorrere, costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive (sentenza n. 3254 del 2012, cit..).
12.2 L’eccezione di inammissibilità per omessa, tempestiva impugnazione dell’accordo intercorso tra la società controinteressata e i Comuni di (omissis) e (omissis) è infondata.
Si tratta, infatti, di un atto endoprocedimentale con il quale i Comuni di (omissis) e (omissis) si sono vincolati a prestare il rispettivo assenso all’interno del procedimento di autorizzazione del progetto In.. Esso ha quindi assunto concreta efficacia lesiva solo nel momento in cui è stato assunto a presupposto della delibera regionale n. 175 del 23 febbraio 2016, quale espressione, appunto, di tale volontà .
13. Il primo gruppo di censure articolato in primo grado e riproposto in appello riguarda la procedura autorizzatoria e di VIA.
Il primo giudice ha sostenuto:
– che la nozione di “progetto” sottoposto a VIA può ricomprendere più interventi avvinti non solo da un nesso tecnico ed organizzativo ma anche finanziario “che li renda un tutto inscindibile”
– che nella fattispecie non trova applicazione l’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 in quanto relativo all'”autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti” mentre la discarica di (omissis) non è un nuovo impianto; né verrebbe in rilievo la procedura di cui all’art. 242 del medesimo d.lgs. n. 152/2006, poiché esso riguarda la procedura amministrativa attivata dal “responsabile dell’inquinamento” e non il caso in esame in cui il progetto di bonifica è stato presentato da un soggetto, pacificamente, non responsabile dell’inquinamento; inoltre, nessuna disposizione normativa vieta la contestuale autorizzazione, con un unico procedimento e provvedimento, di un progetto di bonifica la cui realizzazione dipenda da un contestuale ampliamento di discarica; interventi che possono essere considerati come parti di un unico progetto, “da istruire in un unico procedimento culminante in un unico provvedimento, alla luce dei principi di efficacia, economicità e non aggravamento dell’azione amministrativa”;
– che ai sensi degli articoli 4 e 5, comma 1, lett. b) e c) del d.lgs. n. 152/2005 “risulta comunque intrinseca e prioritaria a qualunque giudizio (ed anche alla V.I.A.) l’analisi della serietà e della fattibilità del progetto presentato e per il quale la Commissione regionale è tenuta a formulare il parere di impatto ambientale, essendo evidente che sarebbe contrario ai più elementari canoni di buona amministrazione la formulazione di un giudizio di impatto ambientale su un progetto palesemente non serio, irrealizzabile, non fattibile o economicamente sproporzionato e non sostenibile finanziariamente dal soggetto proponente”;
– che l’ampliamento della discarica di (omissis)”è finalizzato proprio al reperimento delle risorse economiche necessarie alla bonifica della cava (omissis) la quale, successivamente all’intervento di bonifica e messa in sicurezza, dovrà essere ceduta a titolo gratuito al Comune di (omissis) per la realizzazione del “Parco del Polandro” ai sensi dell’art. 8 dell’accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 L.n. 241/1990 intervenuto tra il suddetto Comune di (omissis), il Comune di (omissis), la In. s.r.l. e la società Agricola Pi. s.r.l. (All. 4 del fascicolo della Regione Veneto)”;
– che la valutazione del profilo economico dell’intervento programmatorisulta finalizzata”ad evitare che la richiesta di ampliamento di 300.000 metri cubi della discarica di (omissis) potesse atteggiarsi come eccessiva rispetto all’intervento di bonifica, in tal modo evitando in radice che vi potesse essere qualsiasi intento speculativo sotteso all’operazione nel suo complesso, consentendo alla In. la percezione solo di un equo ristoro economico, con utile limitato al 10% (pag. 35 della memoria di In.), percentuale non contestata dai Comuni ricorrenti.”;
– che “la valutazione compiuta dalla Commissione regionale V.I.A. sfugge alle censure mosse nel ricorso, sol che si consideri che nel parere n. 552/2015 la suddetta Commissione ha ragionevolmente e logicamente argomentato in merito alle alternative progettuali, rispetto al progetto di ampliamento della discarica di (omissis) presentato dalla In., fornendo ampia motivazione sia in merito ai riflessi negativi della opzione zero (che “bloccherebbe la bonifica dell’area di Ex Cava (omissis) con un conseguente aumento degli impatti sull’ambiente in quell’area, legato ai mancati benefici che si avrebbero con il risanamento e la restituzione agli usi pubblici e/o privati di un’area che oggi costituisce un rischio per l’ambiente circostante e la collettività locale”, pag. 15 del parere n. 552/2015-All.4 del fascicolo di parte ricorrente), sia in merito alle peggiori conseguenze derivanti dalla alternativa di un ampliamento planimetrico delladiscarica mediante l’acquisizione di nuovi terreni, rispetto al progetto di ampliamento in altezza (“Questa alternativa progettuale renderebbe necessario l’allestimento di nuovi bacini, con realizzazione della relativa barriera di impermeabilizzazione del fondo mentre il progetto proposto sfrutta interamente gli allestimenti già previsti”, pag. 15 del parere n. 552/2015-All.4 del fascicolo di parte ricorrente), considerando altresì che la stessa Commissione regionale V.I.A. ha premura di evidenziare come l’impatto paesaggistico dovuto all’innalzamento verticale della discarica, pur significativo, si inserisce comunque “in un contesto che non presenta particolare valenza paesaggistica, situazione avvalorata dalla presenza della strada “Transpolesana” e della discarica di(omissis) oltre ad un’area caratterizzata da cave, ex cave ed industrie posta a sud ed ovest dell’intervento” (pag. 40 del parere n. 552/2015)”;
13.1 Il secondo gruppo di censure concerne le illegittimità afferenti alla violazione degli strumenti di pianificazione.
Il primo giudice ha in particolare sostenuto:
– che non è condivisibile “l’interpretazione che i ricorrenti forniscono della locuzione “ampliamenti di discariche esistenti finalizzati allo smaltimento di rifiuti provenienti da specifici progetti di bonifica e ripristino ambientale autorizzati sul territorio regionale” di cui all’art. 15, comma 2, lett. b) delle N.T.A. del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani e speciali, laddove il concetto della finalizzazione viene erroneamente ristretto dai ricorrenti nel senso che le discariche esistenti possono essere ampliate solo nella misura strettamente necessaria e sufficiente a ricevere i rifiuti provenienti dai progetti di bonifica e ripristino ambientale (con la conseguenza che, nel presente caso, l’ampliamento della discarica di (omissis) avrebbe potuto essere autorizzato solo nei limiti del quantitativo di rifiuti provenienti dalla bonifica di Cava (omissis), pari a 25.500 metri cubi, come affermato dai ricorrenti a pag. 24 del ricorso).
Al contrario, muovendo dalla ratio della deroga contenuta nell’art. 15, comma 2, lett. b) delle N.T.A. del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani e speciali, evidentemente rivolta a creare sinergie tra operatori pubblici e privati per garantire il massimo livello di protezione dell’ambiente e della salute mediante il ricorso a progetti di bonifica e ripristino ambientale, occorre interpretare la nozione di “finalizzazione” non in senso meramente fisico-quantitativo come voluto dai ricorrenti, ma in senso sostanziale nell’ottica del raggiungimento dello scopo reputato primario dal legislatore regionale: ovvero la bonifica dei siti contaminati, come appunto cava (omissis). Di conseguenza l’ampliamento in deroga di una discarica ai sensi del citato art. 15, comma 2, lett. b) ben può essere autorizzato qualora sia rivolto a consentire la realizzazione di uno specifico progetto di bonifica, tenendo pertanto in considerazione non solo il quantitativo di rifiuti provenienti dalla suddetta bonifica, ma anche tutti gli ulteriori fattori (come la sostenibilità economica della bonifica stessa, soprattutto qualora venga condotta da un operatore privato) che rendano concretamente attuabile l’intervento di ripristino ambientale, anche in un’ottica di sostenibilità economica e finanziaria dell’intervento stesso;
– che “la valutazione compiuta dalla Commissione regionale V.I.A. (pag. 39 del parere n. 552/2015) […] risultalogica, ragionevole e rispettosa del disposto di cui all’art. 49 delle N.T.A. del Piano d’Area Quadrante Europa, dal momento che la bonifica della ex cava (omissis), situata ad una non eccessiva distanza di 14 km dalla discarica di (omissis), ben può rientrare nella nozione di “miglioramento significativo dell’ambiente circostante”, conseguente all’ampliamento della discarica in questione, non essendo affatto necessario che il suddetto miglioramento ambientale derivi direttamente dall’ampliamento della discarica, essendo solo sufficiente che l’ampliamento de quo si situi all’interno di un più ampio progetto di miglioramento dell’ambiente circostante, ove possono intervenire anche altri fattori, come appunto avvenuto nel caso di specie, essendo l’aumento altimetrico della discarica di (omissis) propedeutico alla bonifica della ex cava (omissis), da cui deriva a sua volta un sicuro e significativo miglioramento ambientale”.
13.2. Le critiche svolte dagli appellanti in merito a tali, complessive, argomentazioni sono, a parere del Collegio, fondate.
Al riguardo valga quanto segue.
13.3. La fattispecie in esame riguarda un’unica procedura di VIA relativa a due interventi tipologicamente distinti (un ampliamento di impianto di smaltimento per rifiuti da un lato, la bonifica di un sito inquinato dall’altro), solo parzialmente collegati dal punto di vista tecnico funzionale (poiché il progetto di discarica prevede il conferimento di 300.000 metri cubi di rifiuti di cui soltanto 25.500 provenienti dalla bonifica della Cava (omissis)), nonché distanti tra loro 14 Km in linea d’aria.
13.4 Secondo l’art. 5, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 152/2006, si intende per “progetto” “la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo”.
Elemento, determinante e qualificante, ai fini dell’individuazione dell’oggetto del giudizio di compatibilità sono peraltro le informazioni fornite dal proponente in ordine all'”ubicazione e concezione” dell’intervento nonché “alle sue dimensioni e ad altre sue caratteristiche pertinenti” (art. 22, comma 3, lett.a, del cit. d.lgs. n. 152/2006).
Ciò significa che il tratto unificante degli interventi previsti è l’identità del contesto in relazione al quale deve essere condotto l’esame degli impatti ambientali e quindi l’identità, quantomeno, del quadro di riferimento programmatico ed ambientale.
In nessuna parte della relativa disciplina viene poi dato rilievo, ai fini del giudizio di compatibilità, alla “sostenibilità economico – finanziaria” del progetto presentato.
A tale riguardo, nella fattispecie in esame, non è peraltro esatto il rilievo delle parti resistenti secondo cui, poiché la Commissione VIA ha comunque esaminato separatamente gli aspetti rilevanti dei due interventi, la loro autorizzazione contestuale non avrebbe comportato alcuna violazione dei principi di legalità e tipicità dell’azione amministrativa.
Se infatti tale separato esame è avvenuto per il quadro di riferimento programmatico, ambientale e progettuale (con ciò implicitamente confermando che l’ampliamento della discarica e il progetto di bonifica non hanno nessuna connessione strutturale e/o tecnica, salvo che per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti provenienti dalla bonifica), tuttavia, ai fini della valutazione delle c.d. “alternative ragionevoli”, ha assunto rilievo determinante proprio la funzionalità dell’ampliamento della discarica, e della relativa remunerazione, al finanziamento dell’intervento di bonifica.
E’ da tale connessione che è derivata la necessaria e aprioristica esclusione della c.d. “opzione zero” poiché non solo la bonifica è, intrinsecamente, una forma di miglioramento ambientale ma, soprattutto, a differenza dell’autorizzazione di una discarica, è un intervento obbligatorio la cui realizzazione, in assenza dell’individuazione del responsabile dell’inquinamento o della spontanea iniziativa del proprietario del sito, compete d’ufficio al Comune territorialmente competente ovvero alla Regione “secondo l’ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica” (art. 250, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006).
In tal senso è poi significativo che nel parere n. 552 del 6 ottobre 2015, la Commissione VIA non abbia formulato autonome valutazioni ma si sia limitata a riportare le conclusioni dello studio del proponente che, relativamente alla c.d. opzione zero, evidenziava come “l’alternativa di non procedere con l’ampliamento in progetto bloccherebbe la bonifica dell’area dell’ex cava (omissis), con un conseguente aumento degli impatti in quell’area […]” (pag. 15, parere citato).
Deve pertanto convenirsi con gli appellanti che vi è stato uno sviamento dalla causa tipica della VIA la cui funzione è di esprimere un giudizio sulla “compatibilità ” di un progetto valutando il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita, (cfr., ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361), ma non già quella di operare valutazioni di merito comparativo tra interventi localizzati in aree diverse (nonché soggetti a discipline e procedimenti distinti) e collegati esclusivamente da un vincolo di natura economico – finanziaria.
La centralità di tale aspetto, nel caso in esame, risalta poi nell’atipica valutazione operata dalla Commissione VIA in ordine al bilancio economico dell’ampliamento della discarica In. che è stato operato non già in funzione dell’effettivo fabbisogno di smaltimento, quale riveniente dal Piano regionale di Gestione dei Rifiuti, bensì al fine di assicurare un reddito tale da consentire al proponente, oltre alla copertura dei costi della bonifica dell’ex Cava (omissis), anche un congruo utile di impresa (cfr., al riguardo, il paragrafo dedicato al calcolo del “volume compensativo” di ampliamento della discarica per il ristoro del costo della bonifica di Cava (omissis).).
Non è poi vero, a parere del Collegio che, il Legislatore comunitario sia chiaro ed inequivoco nel fornire una ampia nozione di “progetto” sottoposto a valutazione di impatto ambientale.
In tal senso, il TAR ha valorizzato il fatto che l’art. 1, comma 2, della Direttiva 2011/92/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 preveda espressamente che: “Ai fini della presente direttiva si intende per: a) < progetto> : la realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere […]” previsione che, come si è testé riportato, è stata pedissequamente riprodotta nella normativa interna di recepimento.
Tale disposizione significa infatti semplicemente che un progetto può essere caratterizzato da una pluralità di lavori, impianti od opere, ma non già che ai fini dell’individuazione dell’oggetto della valutazione ambientale rilevi anche un mero collegamento economico- finanziario tra gli interventi proposti, indipendentemente dalla loro ubicazione e connessione, strutturale, tecnica e funzionale.
Siffatta “reductio ad unitatem” è in grado di eludere l’applicazione della normativa sulla valutazione di impatto ambientale in senso esattamente speculare al caso, richiamato dai Comuni appellanti, del frazionamento artificioso di opere unitarie poiché snatura la valutazione del carico ambientale sopportabile dal sito nel cui ambito gli interventi sono localizzati.
Va poi soggiunto che nemmeno nella legislazione regionale si rinvengono pertinenti indicazioni circa la possibilità di unificare l’esame di progetti attinenti a distinti contesti ambientali.
Non risolutivo appare, in primo luogo, l’art. 34, comma 1, della legge regionale n. 3/2000, secondo cui “Ferme restando le limitazioni di cui all’articolo 33, comma 3 relativamente ai rifiuti prodotti al di fuori del territorio regionale, ai progetti di bonifica che comportino la messa in sicurezza in via definitiva anche mediante apporto di materiale o rifiuti non putrescibili non si applicano le distanze previste dall’articolo 32, comma 1.”
Il riferimento alle stesse “distanze” cui debbono sottostare le discariche (oggetto della disposizione recata dall’art. 32, comma 1, oggetto di richiamo), sembra infatti alludere ad una identità ovvero contiguità tra il sito da bonificare e la discarica da autorizzare.
Anche l’art. 15 del Piano regionale di gestione dei rifiuti (approvato con D.G.R. n. 30/2015), non è di supporto alla tesi sostenuta dalle parti resistenti ed accolta dal primo giudice.
Esso prevede, per quanto qui interessa, che “1. Sulla scorta dei dati consolidati nel presente Piano, non è consentita l’approvazione di nuove volumetrie di discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi, compresi gli ampliamenti delle discariche esistenti. Tale divieto va applicato almeno fino al 31/12/2020.
2. Le condizioni per la deroga al divieto di cui al comma 1 ricorrono esclusivamente nei seguenti casi:
a) […]
b) ampliamenti di discariche esistenti finalizzati allo smaltimento di rifiuti provenienti da specifici progetti di bonifica e ripristino ambientale autorizzati sul territorio regionale, nonché interventi di bonifica e ripristino ambientale che comportino la messa in sicurezza permanente eventualmenteattraverso l’apporto di materiali o rifiuti non putrescibili, anche mediante il ricorso agli strumenti previsti dall’articolo 11 e 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dall’articolo 34 del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; “.
Mentre la seconda parte della disposizione di deroga stabilità dal comma 2, lett. b) si ricollega al già citato art. 34 della legge regionale n. 3/2000, la prima parte deve essere interpretata in conformità alla sua natura e quindi nel senso indicato dai Comuni appellanti di ammissibilità dell’ampliamento nei soli limiti del quantitativo di rifiuti da smaltire.
E’ infatti evidente che la diversa applicazione fattane dalla Regione Veneto (ovvero di funzionalizzazione della deroga alla copertura dei costi da sopportare per realizzare interventi di bonifica localizzabili in qualunque parte del territorio regionale), è potenzialmente in grado di consentire aumenti illimitati o, comunque, non preventivamente determinabili delle volumetrie di discarica, in aperta violazione dell’obiettivo del carattere residuale del ricorso a tale forma di smaltimento dei rifiuti quale fissato all’art. 4, punto d) del medesimo Piano regionale ed in maniera del tutto avulsa dal fabbisogno e dalle finalità ivi indicate.
Vero è che, parte integrante di tale Piano, secondo la disciplina quadro statale, è anche l’elaborato denominato “Piano per la bonifica delle aree inquinate” (allegato E alla delibera n. 30 del 29 aprile 2015). In esso tuttavia si rinvengono disposizioni di natura meramente programmatica e non già concrete disposizioni idonee a regolare la fattispecie in esame.
Anche la lettura dell’art. 49 del PAQE (Piano d’Area Quadrante Europa, che nella Regione Veneto costituisce strumento di specificazione del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento) fornita dalla Commissione VIA, ed avallata dal primo giudice, non appare convincente.
Tale Piano consente “eventuali ampliamenti delle discariche esistenti” a condizione che “la sistemazione finale comporti un miglioramento significativo dell’ambiente circostante”.
In disparte il fatto che la nozione di “ambiente circostante”, in assenza di uno specifico studio atto a dimostrare l’identità del quadro di riferimento ambientale dei due interventi, non appare pianamente applicabile ad sito di Cava (omissis), distante 14 Km da quello di discarica, l’espressione “sistemazione finale” è, testualmente e concettualmente, riferita alla stessa discarica da autorizzare e non già ad un diverso intervento, sia pure di rilevante interesse pubblico.
La disposizione appare peraltro coerente con l’interpretazione testé fornita dell’art. 34 della l.r. n. 3/2000, secondo cui i “progetti di bonifica che comportino la messa in sicurezza in via definitiva anche mediante apporto di materiale o rifiuti non putrescibili” sono quelli che riguardano lo stesso sito di discarica o ambiti ad esso immediatamente limitrofi.
In ogni caso, nessuna delle disposizioni testé riportate reca una disciplina chiaramente ed univocamente delineata, idonea a consentire l’ampliamento di discariche esistenti al solo fine di finanziare interventi di bonifica di siti inquinati localizzati in distinti contesti territoriali, e, comunque, a legittimare l’unificazione di tali interventi ai fini del giudizio di compatibilità ambientale.
14. La violazione dei principio di legalità e tipicità degli atti amministrativi, emerge poi anche in relazione all’unificazione del procedimento di autorizzazione all’ampliamento della discarica (disciplinato dall’art. 208, comma 19, del d.lgs. n. 152/2006), con quello previsto dagli articoli 242 e seguenti del d. l.gs. n. 152/2006 per la realizzazione degli interventi di bonifica.
Tale unificazione non ha infatti semplicemente comportato lo svolgimento di istruttorie “simultanee” ma ha determinato la sovrapposizione di moduli procedimentali che il legislatore ha separatamente disciplinato, anche per quanto riguarda le forme di semplificazione dell’azione amministrativa.
A tale riguardo, appare utile richiamare, in sintesi, il quadro normativo degli obblighi gravanti sul responsabile dell’inquinamento e sul proprietario dell’area.
L’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 (rubricato “procedure operative ed amministrative”) disciplina gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile dell’inquinamento, che si tratti di contaminazione recente o storica, per quanto riguarda in particolare l’adozione delle necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d’urgenza, la comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti e l’esecuzione delle attività di bonifica.
L’art. 244 (rubricato “ordinanze”) disciplina i casi in cui sia stato accertato che la contaminazione abbia superato i valori di concentrazione soglia di contaminazione.
In questo caso, la Provincia diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione “a provvedere ai sensi del presente titolo” e quindi anche all’adozione delle misure indicate nell’art. 242.
Il comma 3 stabilisce che “l’ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253”.
Il successivo comma 4 stabilisce che “se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250”.
L’articolo 245 (rubricato “Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione”) al comma 1 stabilisce che: “Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili”.
Secondo il comma 2 della medesima disposizione, “Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità “.
L’articolo 250 (rubricato “bonifica da parte dell’amministrazione”) stabilisce che “Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio”.
Dal quadro normativo illustrato, secondo l’approdo interpretativo di questo Consiglio compendiato nell’ordinanza dell’Adunanza plenaria n. 21 del 2013, emerge che è il responsabile dell’inquinamento è il soggetto sul quale gravano, ai sensi dell’art. 242 decreto legislativo n. 152 del 2006, gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione.
Il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l’adozione delle misure di prevenzione di cui all’art. 242, (che, all’ultimo periodo del comma 1, ne specifica l’applicabilità anche alle contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione).
A carico del proprietario dell’area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell’inquinamento, non incombe alcun ulteriore obbligo di facere; in particolare, egli non è tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area libera da pesi (art. 245).
Nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso – e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dall’amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253).
14.1 Nel caso in esame, essendo incontestato che la società In. non è il soggetto responsabile dell’inquinamento, il suo intervento è assimilabile a quello del proprietario non responsabile che si faccia volontariamente carico delle iniziative necessarie (cfr. l’art. 245 del cit. d.lgs. n. 152 del 2006).
Il progetto di bonifica avrebbe quindi dovuto essere esaminato ed autorizzato secondo le modalità e le procedure specificamente previste dall’art. 242 del Codice dell’ambiente, eventualmente anche attraverso la stipula di un accordo di programma circa la “modalità e tempi di esecuzione” (cfr. l’art. 246 del d.lgs. n. 152/2006).
E’ poi obbligo delle “amministrazioni competenti” di verificare che il soggetto proponente presti idonee garanzie finanziarie (cfr., in particolare, l’art. 242, comma 7, ultima parte, secondo cui “il provvedimento di approvazione del progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l’esecuzione dei lavori ed è fissata l’entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell’intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.) ma non già di assicurare la copertura dei costi e/o la remunerazione del soggetto che si assume l’onere della bonifica (salva l’erogazione di finanziamenti pubblici nei casi previsti – cfr. l’art. 253, ultimo comma).
Nel senso preteso dalle parti resistenti, non può essere valorizzata nemmeno la specifica disciplina relativa ai “Piani di gestione operativa, di ripristino ambientale, di gestione post-operativa, di sorveglianza e controllo, finanziario” di cui all’allegato 2 al d.lgs. n. 36/2003poiché essa attiene alla verifica dell’equilibrio economico finanziario della gestione dell’impianto (con particolare riguardo alla determinazione del prezzo di conferimento in discarica e agli obblighi di post-gestione) ma non già all’assicurazione della provvista economica per realizzarlo e/o modificarlo.
15. La fondatezza delle censure testé esaminate, appare ex se idonea all’annullamento degli atti gravati con il ricorso di primo grado, con il conseguente assorbimento dei profili sottesi agli ulteriori mezzi di gravame, i quali potranno essere oggetto di compiuto esame in sede di rinnovazione del procedimento di autorizzazione relativo all’ampliamento della discarica.
16. Appare infine equo, in relazione alla novità della questione, compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado ed annulla gli atti impugnati.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

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