L’amministratore condominiale commette appropriazione indebita anche se restituisce in parte il maltolto

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 27 maggio 2019, n. 23182.

La massima estrapolata:

L’amministratore condominiale commette appropriazione indebita anche se restituisce in parte il maltolto. Il reato di appropriazione indebita , anche aggravata , dell’amministratore condominiale è procedibile solo se viene presentata una querela da parte dell’amministratore subentrante, debitamente autorizzato dall’assemblea. In questi casi l’amministratore querelato può difendersi se restituisce totalmente le somme sottratte al condomini e quest’ultimo, pertanto, rimette la querela.

Sentenza 27 maggio 2019, n. 23182

Data udienza 2 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente

Dott. ALMA Marco Mar – Consigliere

Dott. PELLEGRINO Andr – rel. Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere

Dott. MONACO Marco Mar – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall’avv. (OMISSIS), di fiducia,
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova, prima sezione penale, n. 1416/2017, in data 01/12/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letta la memoria presentata in data 17/04/2019 dall’avv. (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS);
sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere, Dott. Andrea Pellegrino;
udita la requisitoria dei Sostituto Procuratore Generale, Dott. Seccia Domenico, che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 01/12/2017, la Corte di appello di Genova confermava la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Genova in data 19/10/2015 che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 800,00 di multa per il reato di appropriazione indebita aggravata continuata, oltre al risarcimento danni a favore della parte civile a cui favore era stata emessa provvisionale e spese processuali. L’imputato, in qualita’ di amministratore del condominio di (OMISSIS), e’ accusato di essersi appropriato, con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, per procurarsi un ingiusto profitto, di somme di proprieta’ del condominio amministrato ammontanti ad Euro 45.243,59 prelevate mediante assegni e di Euro 8.260,00 prelevate in contanti (nel periodo compreso tra il (OMISSIS)).
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di (OMISSIS), viene proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p., per lamentare:
– travisamento della prova, contraddittorieta’ della motivazione nonche’ violazione dei canoni di valutazione della prova ex articolo 192 c.p.p. ed inversione del corretto ragionamento logico probatorio rilevante (primo motivo);
– violazione e falsa applicazione dell’articolo 646 c.p., inesistenza del dolo da parte dell’imputato e mancata giustificazione dell’operato trattamento sanzionatorio (secondo motivo);
– errata e/o falsa applicazione dell’articolo 62 bis c.p. (terzo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si osserva come la pronuncia di condanna si basi sulle sole dichiarazioni di (OMISSIS), attuale amministratore pro tempore del condominio costituitosi parte civile, che non hanno ottenuto ne’ un riscontro oggettivo ne’ soggettivo.
2.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come le somme a suo tempo prelevate dal ricorrente dal conto corrente condominiale, oltre ad essere state giustificate nel corso del giudizio, sono state in larga parte restituite dallo stesso, dopo che quest’ultimo aveva, con propri mezzi, cercato di sopperire ai debiti condominiali contratti sotto la precedente gestione. Inoltre, la Corte territoriale aveva omesso di motivare adeguatamente le ragioni per le quali era stata irrogata una pena cosi’ grave.
2.3. In relazione al terzo motivo, si censura l’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate in assenza di gravita’ del reato e di capacita’ a delinquere dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Occorre premettere che la sentenza di appello deve essere considerata a tutti gli effetti una c.d. “doppia conforme” della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i seguenti parametri: a) la sentenza di appello ripetutamente si richiama alla decisione del Tribunale; b) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Nel ricorso viene innanzitutto dedotto, ex articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera e), il vizio di contraddittorieta’, manifesta illogicita’ e carenza della motivazione.
2.1. La rilevabilita’ del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto delle seguenti regole:
a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non puo’ rientrare fra i compiti del giudice della legittimita’ la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c);
b) per il disposto dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere “interno” all’atto – sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perche’ in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non e’ ammissibile nel giudizio di legittimita’: di qui discende, inoltre, che e’ onere della parte indicare il punto della decisione che e’ connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorieta’ della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, si’ che l’accoglimento dell’una esclude l’altra e viceversa (Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo e altro, Rv. 271635);
c) il vizio di motivazione della sentenza, per il disposto dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), puo’ altresi’ emergere dalla lettura di un atto del processo. In tal caso, per il rispetto del principio di autosufficienza dell’impugnazione, e’ onere della parte procedere alla allegazione dell’atto specificato che viene messo in comparazione con la motivazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071);
d) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialita’, nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965);
e) il vizio di manifesta illogicita’ della motivazione consegue alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorieta’ o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 c.p.p. ovvero all’invalidita’ o alla scorrettezza dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni.
2.2. Va, inoltre, osservato che in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell’articolo 192 c.p.p. riguardanti l’attendibilita’ dei testimoni dell’accusa, non essendo l’inosservanza di detta norma prevista a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), ma soltanto nei limiti indicati dalla lettera e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294).
2.3. Parimenti, non e’ denunciabile con ricorso in cassazione, la violazione di norme penali processuali sotto il profilo dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), essendo tale disposizione attinente ai soli casi di erronea applicazione di norme penali sostanziali, e sotto tale ultimo profilo non e’ legittima la denuncia di vizi della motivazione surrettiziamente introdotti al di fuori dei circoscritti limiti dettati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
2.4. Va ancora osservato che non puo’ formare oggetto di ricorso per cassazione la valutazione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazione dei fatti e l’indagine sull’attendibilita’ dei testimoni, salvo il controllo di congruita’ e logicita’ della motivazione. Infatti, il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita’ delle fonti di prova e’ devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita’ degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche od illogiche, si sottrae al controllo di legittimita’ della Corte Suprema.
2.5. Nell’approcciarsi alla disamina che seguira’, deve altresi’ richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non e’ consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, ne’ procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma e’ necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad una esame globale degli elementi certi, per accertare se la – astratta – relativa ambiguita’ di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” e cioe’, con una alto grado di credibilita’ razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalita’ umana (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321; Sez. 1, n. 51457 del 21/06/2017, Taglio e altro, Rv. 271593).
3. Manifestamente infondato oltre che generico e’ il primo motivo di ricorso che denuncia l’illegittima valutazione delle dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile.
3.1. In materia, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimita’ secondo cui le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilita’, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; inoltre, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, dep. 24/10/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104).
Peraltro, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimita’ l’affermazione secondo la quale la valutazione della attendibilita’ della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo’ essere rivalutata in sede di legittimita’, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis e altri, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
3.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio come, nella fattispecie, la Corte d’appello, con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici, abbia riconosciuto l’attendibilita’ della persona offesa ed individuato ben precisi ed univoci elementi di riscontro al narrato, affermando espressamente che: “Premessa l’attendibilita’ del teste (OMISSIS), nuovo amministratore, che ha reso dichiarazioni riscontrate dalla documentazione prodotta…, si osserva che, come correttamente motivato dal primo giudice, la tesi difensiva dell’utilizzo del denaro condominiale esclusivamente per il pagamento di spese (servizi e fornitori) inerenti l’amministrazione e’ del tutto priva di riscontro sia documentale che testimoniale: il teste (OMISSIS) ha infatti ricordato di aver effettuato solo un intervento di minima entita’ dell’ordine di Euro 1.000 a favore del condominio: ha invece significativamente dichiarato di aver svolto lavori su incarico dell’imputato in qualita’ di amministratore di altri e diversi condomini…”.
4. Evocativo di non consentite censure di merito e comunque manifestamente infondato e’ il secondo motivo.
4.1. Il motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimita’ aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito su cui vi e’ stata una valutazione sorretta da assoluta congruita’.
Nella fattispecie, infatti, il giudice di merito ha ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilita’ dell’imputato puo’ trarsi da diversi elementi. In tal senso, si precisa in sentenza che “… dall’esame delle delibere assembleari, e’ risultato l’incarico di lavori di diverso genere… il cui importo totale non supera gli Euro 5.000 e non giustifica quindi in ogni caso i prelievi non deliberati, non autorizzati e non giustificati, di somme ben superiori fino ad Euro 45.000. Cio’ a maggior ragione se si considera che, dagli estratti conto, i prelievi e gli assegni a favore dell’imputato risultano effettuati a cadenza ristretta. La mancata presentazione del rendiconto… e la omessa consegna della documentazione… non appare addebitabile a mera imperizia e disorganizzazione. Ed infatti, la dichiarazione dell’imputato, di avere svolto attivita’ di amministratore solo in quella occasione, senza averne le adeguate capacita’, trova smentita nella dichiarazione dell’idraulico (OMISSIS) circa lo svolgimento dei lavori in altri condomini amministrati dall’imputato. Del pari, non e’ attendibile ne’ riscontrata la dichiarazione circa la destinazione dei versamenti alla copertura di ammanchi per morosita’ dei condomini: circostanze che, peraltro, nulla toglierebbe in merito alla valutazione di appropriazione delle ulteriori e maggiori somme”.
Ne’, infine, si’ e’ ritenuta rilevante, in ottica difensiva, la restituzione del denaro in epoca successiva ovvero la manifestata intenzione del reo di restituirlo: invero, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, il reato di appropriazione indebita sussiste “quando venga data alla res una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso e… la volonta’ di restituire cio’ di cui ci si e’ appropriati puo’ rilevare solo se l’intenzione si manifesti al momento dell’abuso del possesso e sia accompagnata dalla certezza della restituzione, circostanze, entrambe, non provate in alcun modo, e smentite dal permanere degli ammanchi e dalla presenza di posizioni debitorie del condominio al momento della cessazione dell’incarico”.
4.2. Le conclusioni circa la responsabilita’ del ricorrente risultano, pertanto, adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni: tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimita’ diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Esula, infatti, dai poteri della Suprema Corte quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4.3. Anche la determinazione della pena – che ha tenuto conto dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., e segnatamente della gravita’ del danno cagionato e del comportamento successivo al fatto, sostanziatosi nell’omessa consegna della documentazione atta a riscostruire la situazione contabile del condominio – appare assistita da congruita’ logico-giuridica.
Al riguardo, va ricordato come la graduazione della pena rientri nella discrezionalita’ del giudice di merito, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della stessa, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), cio’ che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
5. Generico e manifestamente infondato e’ il terzo motivo.
5.1. Nella prima parte della censura il ricorrente lamenta genericamente, e quindi inammissibilmente, l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato contestatogli, per la cui configurabilita’, peraltro, e’ sufficiente – secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte – la coscienza e volonta’ di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per se’ o per altri una qualsiasi illegittima utilita’ (cfr., Sez. 2, n. 27023 del 27/03/2012, Schembri, Rv. 253411), come le due sentenze di merito, nella fattispecie, evidenziano chiaramente nei confronti del (OMISSIS).
5.2. Parimenti, anche la censura sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche appare manifestamente infondata.
Il diniego si fonda, nella motivazione dei giudici di secondo grado, sull’assenza di qualsivoglia offerta di risarcimento; i giudici di primo grado, invece, aggiungono a questo elemento, per pervenire al medesimo risultato, l’irrilevanza dello stato di incensuratezza dell’imputato, la gravita’ della condotta e la “strumentale” contestazione delle responsabilita’ che non si e’ accompagnata ad alcuna prospettazione di elementi e circostanze a sostegno della prospettazione difensiva.
Le due motivazioni, che ben possono integrarsi per le ragioni indicate in premessa, sono assistite da argomentazioni assolutamente congrue e non illogiche.
Come e’ noto, per costante giurisprudenza di legittimita’, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche’ la stessa motivazione, purche’ congrua e non contraddittoria, non puo’ essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr., Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419). Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve, quindi, motivare – come avvenuto nella fattispecie – nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo. E’, pertanto, sufficiente il diniego anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perche’ in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalita’ (cfr., Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737).
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

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