Corte di Cassazione, civile, Sentenza|14 gennaio 2021| n. 524.
Allorchè il proprietario di un terreno decida di frazionarlo e venderlo a scopo edificatorio, le limitazioni a carico degli acquirenti circa la destinazione del bene contenute in una pattuizione dei contratti di compravendita, ove regolarmente trascritte, costituiscono una servitù prediale reciproca tra i fondi che vincolano all’osservanza anche i successivi aventi causa, pur se i rispettivi atti di acquisto non ne facciano menzione, avendo i proprietari originari dei terreni in tal modo costituito per accordo negoziale unanime un vincolo di natura reale sul bene. (La S.C. ha enunciato il menzionato principio in una fattispecie in cui, nell’atto di compravendita, da parte dell’unico originario proprietario, di alcuni terreni sui quali erano poi state edificate delle ville, era stato imposto, a carico degli iniziali acquirenti, il divieto di destinare l’immobile ad attività industriali o commerciali, intrattenimenti e banchetti in assenza delle autorizzazioni necessarie per l’esercizio di attività di somministrazione di alimenti e bevande).
Sentenza|14 gennaio 2021| n. 524
Data udienza 11 novembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Proprietà – Abitazione – Villa – Illegittimo uso – Attività Imprenditoriale – Banchetti e ricevimenti – Organizzazione di beni e servizi ex art. 2082 c.c. – Attività vietata dalle clausole contrattuali – Risarcimento danni – Servitù – Vendite a lotti aree fabbricabili – Pattuizione nei contratti di limitazioni a carico degli acquirenti circa la destinazione del bene – Trascrizione – Costituiscono servitù prediale reciproca a non tollerare modificazioni nelle aree in proprietà alle singole unità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4812/2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1029/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito gli avvocati (OMISSIS) per i ricorrenti e (OMISSIS), per le parti controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Tivoli, (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in quanto, in violazione di norme contrattuali e urbanistiche, avevano organizzato e svolto nella loro villa denominata Villa (OMISSIS), in (OMISSIS), contigua alle abitazioni degli attori, intrattenimenti e banchetti in assenza delle autorizzazioni amministrative necessarie per l’esercizio di attivita’ di somministrazione di alimenti e bevande, contravvenendo in particolare all’articolo 9 dell’atto pubblico di compravendita dei lotti di terreno sui quali erano edificate le ville, che imponeva il divieto per gli stessi acquirenti di destinare l’immobile ad attivita’ industriali o commerciali, nel rispetto della destinazione urbanistica della zona ad attivita’ agricola e residenziale, causando disturbo per emissione di rumori molesti, passaggio di mezzi e presenza di persone oltre i limiti di tollerabilita’ in relazione alla destinazione della zona. Gli attori chiedevano, pertanto, ordinarsi ai convenuti di astenersi o comunque
dl cessare l’illegittimo uso della villa con condanna al risarcimento dei danni per diminuzione del valore commerciale degli immobili da liquidarsi mediante c.t.u., con separato giudizio, oltre alla condanna al pagamento delle spese.
2. Si costituivano i convenuti con domanda riconvenzionale di risarcimento del danno in quanto la condotta ostruzionistica degli attori aveva cagionato forti perdite economiche con ripercussioni sullo stato di salute.
3. Il giudice del Tribunale di Tivoli rigettava tutte le domande. Sulla domanda principale, ritenuta la irregolarita’ amministrativa dell’attivita’ svolta all’interno della Villa (OMISSIS) per difetto dell’autorizzazione di cui alla L. n. 287 del 1991, articolo 3, dichiarava l’impossibilita’ di ordinare la cessazione o sospensione dell’attivita’ perche’ alla situazione di illegittimita’ conseguivano le sanzioni previste dalla L. n. 287 del 1991, articolo 10 e articolo 17 ter del Testo Unico di Pubblica Sicurezza.
Quanto alla violazione dell’articolo 9 del contratto di compravendita dei lotti di terreno in data 15/11/1965 per notaio (OMISSIS), il Tribunale riteneva che la disposizione contrattuale volta al divieto di svolgere sui terreni in oggetto attivita’ industriale o commerciale non avesse natura reale, non essendo idoneo a creare un vincolo sul bene, trattandosi invece di un obbligo di natura personale tra i soggetti che avevano stipulato l’accordo.
Rigettava anche la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.
4. (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
5. La Corte d’Appello affermava che l’attivita’ svolta all’interno della Villa (OMISSIS) doveva considerarsi avente natura imprenditoriale, essendo stata esercitata sistematicamente e con organizzazione di beni e servizi, secondo i criteri dl cui all’articolo 2082 c.c..
Cio’ risultava provato da due accessi dei carabinieri che avevano constatato che sul citofono della villa vi era scritto “ricevimenti” e che erano in corso banchetti con la presenza in un’occasione di 30 e in altre di 100 persone servite ai tavoli con intrattenimento musicale. Anche altri elementi confermavano lo svolgimento di tale attivita’.
La suddetta attivita’ imprenditoriale, a parere della Corte d’Appello, doveva ritenersi vietata in base alle clausole contrattuali di cui all’atto del notaio (OMISSIS) del 3 dicembre 1965 che costituiva il primo atto di vendita, da parte dell’unico originario proprietario, dei terreni e con il quale erano stati disciplinati i rapporti tra gli acquirenti dei singoli lotti e nel quale era espressamente vietato a tali acquirenti di adibire i terreni e le costruzioni ad uso diverso da quello abitativo, con espresso divieto per l’acquirente di svolgere nella zona attivita’ industriale e commerciale (articolo 9).
L’atto regolarmente trascritto vincolava all’osservanza delle disposizioni in esso contenute anche i successivi acquirenti, avendo i proprietari originari dei fondi costituito per accordo negoziale unanime un vincolo di natura reale, tipo servitu’ prediale, circa la destinazione dei fondi al soddisfacimento di legittime esigenze da tutti condivise, con la previsione funzionale del divieto di mutare l’uso residenziale dei terreni/edifici della zona (Cass. 7614197).
Restava dunque irrilevante che nell’ultimo atto di compravendita dell’unita’ immobiliare, non era contenuto alcun riferimento al limite posto nel rogito (OMISSIS), dovendosi applicare le norme civilistiche in ordine alla trascrizione degli atti di cui agli articoli 2643 c.c. e segg., analogamente a quanto previsto per il regolamento di condominio di origine contrattuale.
Sulla base di tali considerazioni, in riforma della sentenza di primo grado, andava disposta la cessazione dell’attivita’ imprenditoriale all’interno di villa (OMISSIS) a prescindere dalla legittimita’ o meno del profilo amministrativo dell’attivita’ di ristorazione connessa allo svolgimento dei ricevimenti all’interno della villa.
6. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
7. (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.
8. I ricorrenti, con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza, hanno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione o falsa applicazione, errata e contraddittoria motivazione circa la natura imprenditoriale dell’attivita’ svolta ex articolo 2082 c.c., in relazione articolo 360 c.p.c., n. 3.
A parere dei ricorrenti sarebbe erronea la qualificazione di carattere imprenditoriale attribuita all’attivita’ svolta all’interno di Villa (OMISSIS). I ricorrenti, infatti, si sarebbero limitati a concedere in uso a terzi una parte della propria villa per feste e ricevimenti non svolgendo alcuna attivita’ di tipo imprenditoriale in proprio. Concedere in uso parte della villa non e’ attivita’ imprenditoriale o commerciale e non vi sono norme che impediscono la concessione di private abitazioni per manifestazioni ricreative a carattere privato. Il corrispettivo derivante dalla concessione in uso della villa per feste a carattere privato sarebbe assimilabile al canone nelle locazioni e non ad un ricavo d’impresa.
L’unica attivita’ imprenditoriale che potrebbe ritenersi sussistente e’ quella della ditta di catering che, tuttavia, e’ regolarmente autorizzata. Sarebbe erroneo, dunque, il riferimento all’articolo 2082 c.c., fatto dalla Corte d’Appello di Roma.
1.2 Il motivo e’ infondato.
Il presupposto da cui muovono i ricorrenti e’ erroneo in quanto, per quanto si dira’ in riferimento al secondo motivo, il divieto di esercitare attivita’ industriale o commerciale posto dall’articolo 9 del contratto di vendita del terreno oggetto di frazionamento grava sul bene indipendentemente dal soggetto che materialmente esercita tale attivita’. Ne consegue che e’ del tutto irrilevante stabilire se l’attivita’ relativa allo svolgimento di banchetti e feste sia gestita direttamente dai ricorrenti o da terzi, e se, in tale seconda ipotesi, la stessa debba qualificarsi come attivita’ commerciale svolta in forma imprenditoriale.
Infatti, i ricorrenti, nella loro qualita’ di proprietari della villa oggetto del giudizio, ove peraltro assumono di abitarvi, ai sensi del citato articolo 9 dell’atto del notaio (OMISSIS), trascritto il 3 dicembre 1965, cosi’ come non possono svolgervi direttamente attivita’ commerciale o imprenditoriale, allo stesso modo non possono consentire a terzi di svolgerla mediante l’affitto giornaliero della villa ad organizzatori professionali di feste e banchetti. In entrambe le ipotesi, infatti, si realizza la violazione di quanto stabilito dal citato contratto di vendita, con il quale l’originario proprietario, al momento del frazionamento del terreno, ha costituito un vincolo di non facere di natura reale sul bene.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione o falsa applicazione, errata e contraddittoria motivazione, errata valutazione delle prove circa la natura reale delle pattuizioni contenute nell’atto del 3 dicembre 1965 ex articolo 2643 c.c. e articolo 1073 c.c..
Secondo la Corte d’Appello, le pattuizioni sottoscritte nel contratto con il quale gli originari proprietari avevano ceduto i terreni nel dicembre del 1965 hanno natura reale e, dunque, vincolante per tutti i successivi aventi causa, anche se i rispettivi atti di acquisto non ne fanno menzione, in quanto il contratto del 1965 e’ stato regolarmente trascritto e dunque, ha creato un vincolo di natura reale sul bene.
I ricorrenti riportano l’articolo 9 del suddetto atto evidenziando che erano previsti una serie numerosa di obblighi cui non e’ mai stato dato seguito, trattandosi di un mero programma di lottizzazione. Nessuna delle pattuizioni ivi previste ha avuto attuazione. Ne consegue, secondo i ricorrenti, che quanto stabilito nel suddetto contratto, non ha natura reale ma solo personale. Peraltro, l’acquisto dei signori (OMISSIS) risaliva al (OMISSIS), ovvero 33 anni dopo il suddetto contratto e le eventuali pattuizioni ivi previste anche se a carattere reale, dovevano essere ritenersi estinte per non uso, tanto da non essere inserite negli atti successivamente trascritti, senza che potesse attribuirsi rilievo alla trascrizione dell’atto nel 1965.
2.1 Il secondo motivo e’ infondato.
I ricorrenti sostengono che il contratto di vendita dell’originario proprietario che aveva deciso di procedere ad un frazionamento del terreno abbia natura di piano di lottizzazione, ma non forniscono alcun elemento che possa confermare tale assunto. Peraltro a pagina 10 del ricorso si legge che l’atto del 1965 e’ stato trascritto in quanto atto di compravendita immobiliare che necessitava per legge della trascrizione per la pubblicita’ nei confronti dei terzi ex articolo 2643 c.c.. Dunque, sono gli stessi ricorrenti a precisare che e’ l’articolo 9 del contratto di compravendita trascritto nel 1965 che prevede, che le parti acquirenti dei lotti di terreno, tra le quali il primo acquirente del suo lotto (nel ricorso non chiarisce se e’ il suo diretto dante causa), espressamente si obbligano, tra le altre cose, a non adibire le costruzioni ad uso diverso da quello di abitazione e a non svolgere sul terreno acquistato attivita’ industriale o commerciale.
La Corte d’Appello ha specificamente e coerentemente argomentato le ragioni della decisione adottata sulla servitu’ in oggetto senza incorrere nella denunciata violazione o falsa applicazione degli articoli 2643 c.c. e 1073 c.c..
In particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto che l’atto regolarmente trascritto vincoli all’osservanza delle disposizioni in esso contenute anche i successivi acquirenti, avendo i proprietari originari dei fondi costituito per accordo negoziale unanime un vincolo di natura reale, tipo servitu’, circa la destinazione dei fondi stessi al soddisfacimento di legittime esigenze da tutti condivise, con la previsione funzionale del divieto di mutare l’uso residenziale dei terreni e di non svolgervi attivita’ industriale o commerciale. Le originarie limitazioni del diritto contrattualmente previste si trasferiscono agli aventi causa con presunzione iuris et de iure di conoscenza, in virtu’ della rituale trascrizione.
La decisione della Corte d’Appello e’ conforme alla giurisprudenza di legittimita’ che con orientamento del tutto consolidato ha ritenuto che, allorche’ il proprietario di un terreno decida di frazionarlo e venderlo a scopo edificatorio, la pattuizione nei contratti di compravendita di limitazioni a carico degli acquirenti circa la destinazione del bene, ove regolarmente trascritte, costituiscono una servitu’ prediale reciproca a non tollerare modificazioni delle aree individuate in proprieta’ alle singole unita’ immobiliari.
Peraltro, anche con riferimento ai piani di lottizzazione, questa Corte ha piu’ volte avuto modo di affermare che, nelle vendite a lotti di aree fabbricabili, le pattuizioni contrattuali, con cui allo scopo di conferire determinate caratteristiche alle zone in esecuzione di un piano di sviluppo si impongano limitazioni alla liberta’ di utilizzare vari lotti, danno luogo alla costituzione di servitu’ prediali a carico e a favore di ciascun lotto.
Deve anche ribadirsi che: “Ai fini della costituzione convenzionale di una servitu’ prediale non si richiede l’uso di formule sacramentali, di espressioni formali particolari, ma basta che dall’atto scritto si desuma la volonta’ delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l’imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario, sempre che l’atto abbia natura contrattuale, che rivesta la forma stabilita dalla legge ad substantiam e che da esso la volonta’ delle parti di costituire la servitu’ risulti in modo inequivoco, anche se il contratto sia diretto ad altro fine” (Sez. 2, Ord. n. 10169 del 2018, Sez. 2, Sent. n. 9475 del 2011). Il concetto di utilitas della servitu’ e’ talmente ampio da ricomprendere ogni elemento che, secondo la valutazione sociale, sia legato da un nesso di strumentalita’ con la destinazione del fondo dominante e si immedesimi obiettivamente nel godimento di questo. In tal modo, puo’ essere soddisfatto ogni bisogno del fondo dominante, assicurandogli una maggiore amenita’, abitabilita’, o anche evitando rumori o impedendo costruzioni che abbiano una destinazione spiacevole o fastidiosa (Sez. 2, Ord. n. 18465 del 2020, Sez. 2, Sent. n. 4333 del 1979).
La sussistenza di una servitu’ prediale reciproca tra i fondi, costituita con i rispettivi atti di acquisto della proprieta’ regolarmente trascritti, rende infondata la censura. La diversa interpretazione del contratto proposta dai ricorrenti secondo cui il vincolo era di natura personale e non reale, investe, inammissibilmente, il merito delle valutazioni che la Corte d’Appello ha espresso, nell’ambito dell’accertamento di fatto a lei demandato ed espletato sulla base dei criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., tenuto conto dello stato dei luoghi e della volonta’ delle parti come emergente dalla complessiva operazione negoziale.
Quanto al non uso non puo’ che ribadirsi che il termine di prescrizione delle servitu’ negative e di quelle continue, accomunate dalla peculiarita’ per cui il loro esercizio non implica lo svolgimento di alcuna specifica attivita’ da parte del relativo titolare, decorre dal giorno in cui e’ stato compiuto un fatto impeditivo dell’esercizio del diritto medesimo (Sez. 2, Sentenza n. 3857 del 2016).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: Violazione o falsa applicazione, errata e contraddittoria motivazione in ordine alla valenza di legittimita’ del programma di lottizzazione. Nullita’ ai sensi della L. n. 765 del 1967, articolo 8, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
A parere dei ricorrenti la L. n. 765 del 1967, articolo 8, vieterebbe di procedere alla lottizzazione di terreni a scopo edilizio prima dell’approvazione del piano regolatore generale del programma di fabbricazione. Nessuna autorizzazione ad una lottizzazione della (OMISSIS) era mai stata rilasciata dal Comune di Sant’Angelo Romano e, dunque, il divieto per legge alla lottizzazione e l’assenza dell’autorizzazione comunale comporterebbero la nullita’ di diritto delle pattuizioni convenute dagli originari proprietari nel richiamato atto del 1965.
3.1 Il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile.
La questione non risulta trattata nella motivazione della sentenza impugnata e i ricorrenti non indicano in quale atto la medesima questione e’ stata sollevata.
Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti: “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, i ricorrenti devono, a pena di inammissibilita’ della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtu’ del principio di specialita’, anche indicare in quale atto del giudizio precedente cio’ sia avvenuto, giacche’ i motivi di ricorso devono investire questioni gia’ comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimita’, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito ne’ rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).
4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: errata motivazione conseguente al rigetto della domanda di risarcimento danni e spese.
Sostanzialmente si ripropone la domanda di risarcimento del danno rigettata nei due gradi di merito.
4.1 Il quarto motivo di ricorso e’ inammissibile.
La censura presuppone l’accoglimento dei motivi proposti e, in ogni caso, spetterebbe comunque al giudice del merito,richiedendo un accertamento di fatto precluso in sede di legittimita’.
5. Il ricorso e’ rigettato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 5300 piu’ Euro 200 per esborsi, per ognuno dei due gruppi di controricorrenti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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