Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|7 giugno 2022| n. 18320.

Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo

Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo di categoria unificante assumente specifico significato laddove, nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto, ad essa si riconducano, quali presupposti oggettivi, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumono (per entrambe le parti ovvero per una sola di esse, ma con relativo riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale. Circostanze che, pur senza essere come detto dedotte specificamente quale condizione del contratto, e pertanto rispetto ad esso “esterne”, ne costituiscano specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del negozio determinato alla stregua dei criteri legali d’interpretazione, assumenti valore determinante per il mantenimento del vincolo contrattuale. Conseguenza di tale impostazione è che il relativo difetto legittima le parti non già a domandare una declaratoria di invalidità o di inefficacia del contratto, né a chiederne la risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1256 cod. civ., artt. 1463 cod. civ. e ss.) della prestazione, bensì all’esercizio del potere di recesso (anche qualora il presupposto obiettivo del contratto sia già in origine inesistente o impossibile a verificarsi)

Ordinanza|7 giugno 2022| n. 18320. Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo

Data udienza 4 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione immobiliare – Uso non abitativo – Zona aeroportuale – Locazione locali ad uso bar e rivendita tabacchi – Obblighi e diritti delle parti – Risoluzione per inadempimento del conduttore – Artt. 1362 e ss cc – Volontà contrattuale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34410/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., (OMISSIS), quale societa’ incorporante la societa’ (OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, n. 434/2019 depositata il 5 aprile 2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 maggio 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ricorre, con sei mezzi, nei confronti della societa’ (OMISSIS) S.p.a., per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello di Salerno ne ha rigettato il gravame, confermando la decisione di primo grado che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione intercorso tra lo stesso (quale conduttore) e il predetto ente (quale locatore) – in relazione a locale, di ca. 13 mq, adibito a bar, all’interno dell’aeroporto – in conseguenza della morosita’ maturata a cominciare dal canone di ottobre del 2012, con la condanna del conduttore medesimo al pagamento dei relativi importi fino al rilascio del bene.
Resiste, depositando controricorso, la (OMISSIS) S.p.a., (OMISSIS), quale societa’ incorporante la societa’ (OMISSIS) S.p.a..
La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “mancata applicazione del principio di diritto dell’articolo 1321 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere (la Corte d’appello) applicato quello previsto nel contratto sottoscritto dalle parti; violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sull’interpretazione dell’intenzione delle parti e sull’interpretazione complessiva delle clausole; violazione e falsa applicazione degli articoli 1571 c.c. e articoli 657 – 658 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto il contratto stipulato tra le parti come contratto di locazione ed aver di conseguenza applicato il procedimento di sfratto per la convalida dello sfratto” (cosi’ testualmente nell’intestazione).
Sostiene che quello intercorso doveva pur sempre considerarsi un rapporto derivato dal primo atto concessorio dell’area al gestore aeroportuale, come tale collegato e condizionato alle vicende di quest’ultimo, essendo inoltre, la stipula di contratti con terzi, condizionata all’autorizzazione del Ministero, ove si tratti di aree e locali destinati alle attivita’ aeronautiche, giusta Circolari n. 13775 del 16 ottobre 1998 e n. 12479 del 20 ottobre 1999.
Rileva che di cio’ poteva trarsi nella specie riscontro: dal bando predisposto dalla societa’ gestrice nel quale si parlava espressamente di assegnazione in concessione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 163 del 2016, articolo 30 per l’area da destinare a Bar e Tabacchi; dal fatto che il locale gli era stato assegnato solo perche’ la sua offerta era risultata la migliore; dall’intestazione del contratto come “Contratto sub concessione locali destinato ad uso commerciale”; dalla previsione, ivi contenuta, che gli imponeva di adeguarsi anche alle prescrizioni date dalle autorita’ competenti e in particolare dall’ENAC; dal previsto necessario gradimento alla societa’ del personale dipendente; dalla previsione di una royalty al 3% sul fatturato prodotto.

 

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Il tutto a conferma, secondo il ricorrente, di una finalizzazione dell’attivita’ in questione al pubblico interesse.
Richiama a supporto il principio affermato da Cass. 11/02/2005, n. 2852 (e ribadito da Cass. 17/01/2007, n. 972), secondo il quale “locazione e subconcessione di diritto privato di un locale demaniale per uso commerciale si differenziano, sotto il profilo causale, per il fatto che solo in quest’ultima la cessione in uso al terzo tende a perseguire l’interesse pubblico nel bene considerato, interesse che va desunto da tutte le clausole contrattuali, che impongano obblighi comportamentali al terzo subconcessionario. Detti obblighi, tra i quali rientra quello di attuazione di una specifica destinazione mediante un’attivita’ indispensabile o comunque utile per l’impresa del cedente, non costituiscono meri motivi per la stipula del contratto, ma sono elementi essenziali della struttura contrattuale posta in essere dalle parti (nella specie la S. C. ha confermato la sentenza di merito che, facendo uso delle regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362 c.c. e ss., aveva qualificato come subconcessione, escludendo l’ipotesi della locazione, il contratto stipulato dalla societa’ gerente di uno scalo aereo di primaria importanza nazionale con un imprenditore privato per l’uso di locali interni all’aeroporto quale rivendita di giornali e tabacchi)”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “mancata applicazione del principio di diritto dell’articolo 1453 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere (la corte d’appello) dichiarato la risoluzione contrattuale; mancata applicazione del principio di diritto dell’articolo 1460 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver dichiarato legittima la sospensione dei pagamenti rateali” (cosi’ testualmente nell’intestazione).

 

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Sostiene che la qualificazione del contratto come subconcessione avrebbe di conseguenza comportato la necessita’ di verificare chi tra le parti, con la sua inadempienza, aveva determinato la risoluzione contrattuale.
Rileva che, in tale prospettiva, andavano valorizzate, come idonee ad ascrivere alla controparte inadempienze gravi, causa di risoluzione, e comunque a giustificare ex articolo 1460 c.c. il contrapposto suo inadempimento, le seguenti circostanze: a) la proposta della societa’ riguardava un locale, da adibire ad attivita’ commerciale, all’interno dell’aeroporto; b) l’esistenza di un aeroporto e di suoi frequentatori costituiva dunque elemento essenziale del rapporto contrattuale; c) dal mese di settembre del 2012 quasi tutti i voli sia in arrivo che in partenza erano stati soppressi (circostanza – afferma – mai smentita e comunque confermata anche dalla produzione di articolo di stampa).
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “mancata e falsa applicazione dei principi di diritto degli articoli 1575, 1460 e 1455 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver (la corte d’appello) applicato al contratto di locazione il principio dell’inadempimento e della sospensione del pagamento delle rate”.
Rileva che, anche a voler considerare corretta la qualificazione del contratto come di locazione, alla luce delle suindicate circostanze – e considerata anche l’installazione di distributori automatici – il comportamento della controparte avrebbe dovuto considerarsi inadempiente agli obblighi previsti dagli articoli 1575 c.c. e ss. e, di converso, giustificata, ex articolo 1460 c.c., la sospensione del pagamento dei canoni.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “mancata e falsa applicazione dei principi di diritto dell’articolo 1357 (recte: 1375) c.c.”.
Lamenta che il giudice d’appello ha malamente inteso la reiterata eccezione di violazione del principio di buona fede, dal momento che questa era stata dedotta non perche’ si intendesse sostenere che la societa’ locatrice avesse l’obbligo di garantire il traffico aeroportuale e di non compiere atti di non concorrenza, ma perche’ alla data in cui controparte si determino’ alla intimazione di sfratto, erano in corso trattative tra le parti volte a trovare rimedio alla situazione venutasi a creare e cio’ su sollecitazione della stessa societa’, che aveva cosi’ ingenerato il convincimento che le proprie richieste al riguardo (di sospensione o almeno riduzione del canone) potessero trovare accoglimento.
Richiama a supporto il principio affermato da Cass. 03/08/1995, n. 8501, secondo cui “allorquando le parti di un contratto gia’ concluso abbiano avviato delle trattative, poi non giunte a buon fine, per modificarne il contenuto e la portata, ed in vista di cio’ abbiano stabilito concordemente di sospendere l’esecuzione delle prestazioni da esso nascenti, in quanto incompatibili con il futuro auspicato assetto negoziale, il giudice chiamato a decidere sulle contrapposte domande di adempimento, risoluzione, risarcimento, per essere il contratto rimasto inadempiuto dopo il fallimento di dette trattative, non puo’ esimersi dal valutare unitariamente e comparativamente il comportamento degli obbligati in questa fase, allo scopo di accertare se l’eventuale contegno sleale, dilatorio e non di buona fede di qualcuno di esse – a parte la configurabilita’ a suo carico di una responsabilita’ precontrattuale ex articolo 1337 c.c. – abbia potuto dar luogo a responsabilita’ contrattuale, incidendo negativamente nella fase esecutiva del contratto alla cui modificazione le trattative tendevano, giustificando l’inadempimento dell’altra parte”.

 

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Sostiene in conclusione che l’inadempimento contrattuale era da porsi a carico della parte appellata a cui andava addebitata la responsabilita’ della risoluzione contrattuale per non essersi attenuta, “nella fase contrattuale”, ai principi di buona fede.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 1467, 1552, 1362, 1363, 1366, 1374 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la corte d’appello ha erroneamente ritenuto non applicabile l’istituto della presupposizione, nel caso concernente il presupposto implicito del contratto determinante la volonta’ negoziale” (cosi’ in rubrica).
Sostiene che era “chiaro e logico” che la causa condizionante del contratto era il traffico aeroportuale con la presenza di utenti all’interno dell’aeroporto, da cio’ discendendo che, una volta venuto a mancare il traffico aeroportuale, era venuta meno la oggettiva situazione di fatto condizionante la sottoscrizione del contratto, e quindi lo stesso doveva dichiararsi risolto.
Soggiunge che la corte d’appello, avendo condiviso l’affermazione del primo giudice secondo cui il venir meno della condizione inespressa, non imputabile ai contraenti, non determina inadempimento ma e’ solo causa di risoluzione del contratto con effetto ex tunc, avrebbe dovuto trarne la conseguenza che le prestazioni successive, e quindi i canoni da ottobre 2012, non erano dovuti.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, infine, “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, per omessa ammissione della prova e per non valutazione delle prove prodotte in corso di causa” (cosi’ in rubrica).
Censura l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui non vi era prova che la parte appellata avesse la gestione dell’aeroporto, trattandosi invece di circostanza non contestata. Lamenta che peraltro, in tal caso, il giudice di merito avrebbe dovuto conseguentemente dichiarare nullo il contratto e comunque pronunciarne la risoluzione o rigettare la domanda per carenza di legittimazione attiva.

 

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Allo stesso modo doveva considerarsi provato che la cancellazione degli scali e la cessazione del traffico aeroportuale erano dipese da cause imputabili alla parte appellata e, comunque, contraddittoria la mancata ammissione delle prove sul punto richieste, cosi’ come di quelle dirette a dimostrare che la societa’ aveva permesso che all’interno dell’aeroporto fossero posizionati distributori automatici di bibite ed alimenti.
7. Il primo motivo e’ infondato, anche se la motivazione addottata dalla corte di merito deve essere corretta, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4.
7.1. La correzione da operare riguarda la qualificazione del contratto, erroneamente indirizzata in sentenza sul versante della locazione invece che su quello della subconcessione di diritto privato.
Giova al riguardo premettere che la qualificazione del contratto e’ operazione diversa da quella della sua interpretazione ed ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in concreto ad esso applicabile, con le relative conseguenze effettuali. Mentre, infatti, l’attivita’ di interpretazione e’ diretta alla ricerca e alla individuazione della comune volonta’ dei contraenti e costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito (normalmente incensurabile in sede di legittimita’, salvo che per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ovvero, ancora, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’articolo 1362 c.c. e ss.), l’attivita’ di qualificazione, affidandosi al metodo della sussunzione, si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e puo’ formare oggetto di verifica in sede di legittimita’ sia per cio’ che attiene alla descrizione del modello tipico cui si riferisce, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto cosi come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo (v. Cass. 14/07/2016, n. 14355; 04/10/2017, n. 23171; 15/10/2021, n. 28424).
7.2. Cio’ premesso va ribadito che, come gia’ esaustivamente evidenziato da questa Corte in fattispecie per alcuni versi analoghe, “locazione e subconcessione di diritto privato di un locale demaniale per uso commerciale, pur presentando elementi comuni, si differenziano, sotto il profilo causale, per il fatto che solo in quest’ultima la cessione in uso al terzo tende – a differenza di quanto avviene invece nella locazione, diretta a realizzare uno scopo proprio del conduttore al godimento dell’immobile e del locatore al corrispettivo – a perseguire l’interesse pubblico insito nel bene considerato: interesse che va desunto da tutte le clausole contrattuali, che impongano obblighi comportamentali al terzo subconcessionario.

 

Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo

“Ne’ tanto rientra nei soli motivi che possono indurre il concessionario alla subconcessione, poiche’ tali obblighi di facere (in cui rientra anzitutto l’obbligo di attuazione del godimento nei termini pattuiti) o di pati a carico del terzo subconcessionario costituiscono essi stessi contenuto del contratto e, quindi, della prestazione dovuta dal terzo, ed elementi essenziali della struttura contrattuale posta in essere” (Cass. n. 2852 del 2005, richiamata dal ricorrente).
Nel caso di specie proprio gli elementi evidenziati in sentenza come indicativi della comune volonta’ delle parti evidenziano caratteristiche del regolamento contrattuale che non ne consentono la sussunzione nella fattispecie della locazione e ne impongono, invece, la riconduzione a quella della subconcessione di diritto privato.
Sono tali:
– da un lato, il nomen juris dato al contratto dalle stesse parti nella relativa intestazione: indicazione che, se certamente non e’ vincolante, deve tuttavia essere tenuta in conto dal giudice, il quale, avuto riguardo all’effettivo contenuto del rapporto e in applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli articoli 1362 c.c. e ss., potra’ discostarsi dal nomen impiegato, allorquando esso risulti incompatibile con l’effettiva volonta’ contrattuale (Cass. n. 2852 del 2005, cit.; 20/11/2002, n. 16342; Cass. nn. 6439 del 1988; 6610 del 1991; 10898 del 1992; 9944 del 2000; 3200 del 2001);
– dall’altro, il riferimento, pur non dettagliato ma certamente sufficiente ad assumere rilevanza nei sensi predetti, alla previsione di “obblighi posti a carico del conduttore relativi all’osservanza delle prescrizioni provenienti alla societa’ concessionaria stipulante dalle Autorita’ competenti e quelli concernenti l’assunzione del personale”.
Non puo’ infatti al riguardo condividersi, alla luce di quanto s’e’ prima detto, la generica e apodittica considerazione svolta in sentenza – censurabile in questa sede proprio per la sua essenza valutativa in iure e non meramente ricognitiva in facto – secondo cui si tratterebbe di obblighi di “carattere accessorio”, inidonei a dare “alcuna diversa connotazione al contratto”, rispetto a quella emergente da altre clausole del contratto che usano termini e fanno riferimento a norme proprie del contratto di locazione (queste ultime invece non decisive e neutre, attesa la compatibilita’, come si dira’, di tali norme anche con la subconcessione).
7.3. Cio’ premesso deve tuttavia anche rilevarsi che la pur diversa qualificazione del contratto – in termini di subconcessione di diritto privato – non puo’ pero’ avere la conseguenza pretesa nel motivo in esame (inammissibilita’ dello sfratto).

 

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L’esposta differenza, sul piano causale, delle due figure contrattuali non toglie, infatti, che anche quella di matrice concessoria, resti comunque di diritto privato e soggetta alle norme di diritto privato tutte le volte in cui, come nella specie, non venga in rilievo il rapporto latamente concessorio in quanto tale, ma piuttosto il rapporto privatistico da esso derivato (cfr. Cass. Sez. U. 25/02/2016, n. 3730, che ha per tal motivo dichiarato, in sede di regolamento di giurisdizione, la giurisdizione del giudice ordinario adito con intimazione di sfratto per morosita’ ex articolo 657 c.p.c. da parte di un’Asl nei confronti di societa’ concessionaria, all’interno dei locali di una struttura ospedaliera, adibiti a servizio bar e ristorazione, in ragione della grave morosita’ accumulata dalla concessionaria, in ipotesi dunque evidentemente assimilabile a quella in esame; v. anche Cass. Sez. U. 01/07/2008, n. 17937).
8. Il secondo motivo e’ inammissibile, per aspecificita’.
Esso non si confronta, infatti, con il rilievo contenuto in sentenza, a conferma del convincimento gia’ al riguardo espresso dal primo giudice, secondo cui il mantenimento minimo di traffico aeroportuale non era stato assunto quale obbligo nella regolamentazione pattizia intervenuta tra le parti e che, trattandosi di evento non dipendente dalla societa’ locatrice, ossia “esterno”, poteva essere solo oggetto di una espressa previsione contrattuale.
Non si vede, ne’ e’ spiegato in ricorso, come la corretta qualificazione del contratto, in termini di subconcessione e non di locazione, potrebbe condurre a diversa conclusione sul punto, il quale attiene alla ricostruzione del contenuto del contratto e della comune volonta’ delle parti e, in quanto tale, come detto, si colloca sul piano non della qualificazione ma della interpretazione del contratto, riservata al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione e’ oggi consentita dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
9. E’ inammissibile anche il terzo motivo, con il quale si prospetta analoga doglianza, distinta dalla prima, da un lato, per il riferimento alla diversa premessa qualificatoria del contratto come di locazione (ininfluente, pero’, allo stesso modo dell’altra, per le ragioni dette) e, dall’altro, per l’aggiuntivo riferimento, quale asserita ulteriore condotta inadempiente, alla installazione di distributori automatici.

 

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La doglianza, come quelle precedente, impinge inammissibilmente nella ricostruzione del sinallagma contrattuale, non sindacabile nel giudizio di legittimita’, come detto, se non per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (ove si indichino non solo i canoni asseritamente violati ma anche in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato) ovvero per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella specie non dedotto e peraltro nemmeno deducibile per la preclusione dettata dall’articolo 348-ter c.p.c., u.c. (come novellato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera a), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) per il caso, nella specie ricorrente, di c.d. “doppia conforme”.
Come espressamente evidenziato in sentenza, invero, gia’ il giudice di primo grado aveva ritenuto, con valutazione evidentemente condivisa anche dalla corte d’appello, quella condotta non rilevante “neppure sul piano dei doveri strumentali”.
10. Il quarto motivo e’ altresi’ inammissibile.
10.1. Il tema della violazione del principio di buona fede e’ trattato in sentenza in quanto posto dal terzo motivo, il quale e’ pero’ giudicato inammissibile perche’ “non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata”.
Tale valutazione e’ poi motivata nei seguenti testuali termini: ” (OMISSIS) dando atto che nella sentenza impugnata (alla pag. 3 dal rigo 17 al rigo 27) il Tribunale specifica che la “clausola di buona fede, la cui violazione costituisce di per se’ un inadempimento e puo’ comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne e’ derivato (Cass. 21/01/2014, n. 1178), opera solo rispetto a quelle condotte della locatrice che presentano profili di imputabilita’ per esigibilita’ del dovere strumentale”, assume che il giudice avrebbe errato nel non valutare la condotta della societa’ (OMISSIS) S.p.A. in termini di buona fede e correttezza avendo la suddetta societa’ agito in sede giudiziale in pendenza di trattative relative alla continuazione del contratto per cui e’ causa, con aggravio di spese a suo carico.
“Appare evidente che il motivo di appello non e’ inerente alle argomentazioni esposte nella decisione di prime cure, nella quale il richiamo al principio di buona fede viene compiuto nell’ambito della valutazione della fondatezza dell’eccezione di inadempimento proposta dal (OMISSIS) relativa alla sussistenza in capo alla societa’ locatrice dell’obbligo contrattuale di garantire il traffico aeroportuale e di non compiere atti di concorrenza” (v. sentenza, pagg. 5-6).
In buona sostanza la Corte d’appello ha in tal modo osservato che il motivo d’appello prospettava una questione (quella della correttezza della condotta della societa’ subconcedente per avere intimato sfratto in pendenza di trattative per una rinegoziazione del rapporto) eccentrica rispetto a quella trattata in primo grado (che riguardava piuttosto l’eccezione di inadempimento) e come tale insuscettibile di trovare ingresso in appello.
10.2. il motivo di ricorso non si confronta con tale motivazione e di essa non si fa assolutamente carico.
Muove infatti da premesse fattuali totalmente opposte, e cioe’ dal postulato che la prospettazione svolta con il motivo di gravame fosse gia’ stata svolta in primo grado, e deduce error in iudicando come se quella questione fosse stata decisa nel merito con applicazione di regola di giudizio errata in diritto.

 

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Non considera invece che quella questione non e’ stata proprio trattata nel merito dalla corte d’appello, avendo questa ritenuto la doglianza, come detto, inammissibile.
La doglianza avrebbe dunque dovuto investire questa valutazione, prettamente processuale, nel rispetto degli oneri di specificita’ al riguardo da osservarsi: ossia riportando il tenore delle domande iniziali, quello della sentenza di primo grado, e conseguentemente argomentando in ordine all’error in procedendo in ipotesi commesso dalla corte territoriale nel ritenere inammissibile il motivo di gravame.
Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione e’ rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo e’ regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione e’ erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale puo’ considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali e’ esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa e’ errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneita’ al raggiungimento dello scopo.
In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullita’, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, e’ espressamente sanzionata con l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741).
11. Il quinto motivo e’ in parte inammissibile, in altra parte infondato.
11.1. Il tema della presupposizione e’ trattato in sentenza, con riferimento al quarto motivo di gravame, nei seguenti termini: “quanto alla “presupposizione”, ossia alla condizione inespressa, (il primo giudice, n.d.r.) ha… specificato che essa, in quanto condizione non imputabile ai contraenti, non determina inadempimento, bensi’ solo una risoluzione del contratto ex tunc che, per i contratti di durata, non spiega effetto rispetto alle prestazioni gia’ eseguite.
“Tale ultima argomentazione rende privo di rilievo l’assunto dell’appellante secondo cui il “conduttore non avrebbe mai potuto essere condannato al pagamento delle rate mensili a partire dalla cessazione del traffico aeroportuale”, asseritamente risalente al 2012″.
A fronte di tale motivazione si appalesa eccentrica la prima subcensura con la quale il ricorrente si duole di una supposta ritenuta non applicabilita’ dell’istituto della presupposizione, dal momento che non e’ questa la ratio decidendi sul punto spesa in sentenza: la Corte d’appello invero non ha escluso che il mantenimento del traffico aeroportuale potesse considerarsi condizione inespressa del contratto, ma ha valutato irrilevante l’argomento poiche’ – potendo solo conseguirne la risoluzione del contratto con salvezza, pero’, delle prestazioni gia’ eseguite – non avrebbe comunque potuto giustificare l’affermata non dovutezza dei canoni a far data dal 2012.
11.2. La seconda subcensura e’ invece pertinente, poiche’ si correla a tale motivazione, ma deve ritenersi infondata, seppure anche in tal caso occorrendo correggere la motivazione, ex articolo 384 c.p.c., comma 4.

 

Alla presupposizione può riconoscersi autonomo rilievo

Come gia’ condivisibilmente rilevato da questa Corte “alla presupposizione puo’… riconoscersi autonomo rilievo di categoria unificante assumente specifico significato laddove, nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto, ad essa si riconducano, quali presupposti oggettivi, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumono (per entrambe le parti ovvero per una sola di esse, ma con relativo riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale.
“Circostanze che, pur senza essere – come detto – dedotte specificamente quale condizione del contratto, e pertanto rispetto ad esso “esterne”, ne costituiscano specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del negozio determinato alla stregua dei criteri legali d’interpretazione, assumenti valore determinante per il mantenimento del vincolo contrattuale” (cosi’, in motivazione, Cass. 25/05/2007, n. 12235, alla cui ampia ricostruzione dell’istituto si rimanda; v. anche, negli stessi termini, Cass. Sez. U. 20/04/2018, n. 9909, e, piu’ di recente, Cass. 24/08/2020, n. 17615).
Conseguenza di tale impostazione e’ che “il relativo difetto legittima… le parti non gia’ a domandare una declaratoria di invalidita’ o di inefficacia del contratto, ne’ a chiederne la risoluzione per impossibilita’ sopravvenuta (articolo 1256 c.c., articoli 1463 c.c. e ss.) della prestazione (contra, v. peraltro Cass. 22/09/1981, n. 5168), bensi’ all’esercizio del potere di recesso (anche qualora il presupposto obiettivo del contratto sia gia’ in origine inesistente o impossibile a verificarsi)”.
Nella specie, non risultando esercitato alcun recesso per tal motivo (ma avendo l’odierno ricorrente, da un lato, anteriormente al giudizio, solo richiesto la sospensione o la riduzione del canone e, in giudizio, instato per la risoluzione per inadempimento di controparte), si appalesa corretta la decisione impugnata, sia pure sulla base dell’enunciata diversa impostazione giuridica, la’ dove ha escluso che le ragioni fattuali dedotte potessero giustificare il mancato pagamento dei canoni.
12. Il sesto motivo e’ inammissibile.
Esso e’ chiaramente ed esclusivamente diretto a contestare le motivazioni della sentenza di primo grado, non di quella d’appello.
Ne’ si dice se e quali di queste motivazioni fossero state criticate in appello e in che termini, ne’ in tal caso quali le motivazioni della sentenza d’appello e per quali ragioni, riconducibili a taluno dei vizi tassativamente indicati dall’articolo 360 c.p.c., questa dovrebbe al riguardo ritenersi errata.
13. In ragione delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere in definitiva rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese relative alla difesa della controricorrente, liquidate come da dispositivo e da distrarsi in favore del suo procuratore che ne ha fatto richiesta nel controricorso.
14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, delle spese e dei compensi relativi alla difesa, nel giudizio di legittimita’, della controricorrente, che liquida in Euro 4.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, disponendone la distrazione in favore del procuratore antistatario, Avv. (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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