Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 3 dicembre 2019, n. 49017
Massima estrapolata:
Nel caso di comproprietà immobiliare, al fine di escludere la responsabilità del proprietario che non abbia commissionato materialmente lavori “abusivi”, occorre che egli dimostri, anche soltanto a livello di dati indiziari, che non abbia interesse all’abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione. Viceversa è irrilevante dimostrare di voler procedere alla semplice divisione dell’immobile.
Sentenza 3 dicembre 2019, n. 49017
Data udienza 21 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere
Dott. MICCIOLI Grazia – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 16.11.2018 della Corte di Appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pratola Gianluigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 16.11.2018 la Corte i Appello di Messina ha confermato la penale responsabilita’ di (OMISSIS), in concorso con il coimputato (OMISSIS) per i reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 44, lettera b) e articoli 93, 94 e 95 per aver realizzato, in assenza del permesso di costruire e del nulla osta da parte dell’uffizio del Genio Civile l’ampliamento del piano seminterrato dell’immobile di sua proprieta’ tre ulteriori vani con annesso servizio ed una scala in cemento armato a collegamento con il piano soprastante, ma ha sostituito la pena detentiva di 10 giorni di arresto inflittale dal giudice di primo grado con la corrispondente pena pecuniaria rideterminandola nella pena complessiva di Euro 6.500.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando due motivi con i quali lamenta in relazione al vizio motivazionale:
2.1. la mancanza di prova della responsabilita’ dell’imputata a fronte sia della dichiarazione del coimputato che si era addossato l’integrale responsabilita’ dell’abuso sia della circostanza che costei era in procinto di procedere alla suddivisione dell’immobile, privandosi della sua quota di proprieta’;
2.2. il diniego delle circostanze generiche senza che la motivazione resa lasci comprendere se le ragioni siano da ravvisarsi nella pena comminata al minimo edittale o nella mancanza di elementi che consentissero di concederle, contestando la difesa tale affermazione sul rilievo che la funzione di adeguamento della pena al disvalore del fatto sottesa al beneficio in esame ne impone il riconoscimento anche in presenza del minimo della pena e sussistendo comunque nella specie gli specifici presupposti ravvisabili nel verbale di sopralluogo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, compendiandosi nella prospettazione di enunciati in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza elaborata da questa Corte sulla posizione del comproprietario di un’opera edilizia abusiva, e’ inammissibile.
L’affermazione di responsabilita’ dell’imputata si fonda non soltanto sul titolo di proprieta’ sul bene che, nell’ipotesi in cui l’oggetto del diritto reale sia un immobile preesistente sul quale vengono eseguiti lavori di ampliamento o di trasformazione in assenza delle prescritte autorizzazioni, e non gia’ l’area di sedime del manufatto integralmente abusivo ivi realizzato puo’ essere di per se’ gia’ bastevole a fondare la presunzione di esserne anche il committente, ma altresi’ sulla disponibilita’ giuridica del fabbricato cui corrisponde, in assenza di eccezioni sul punto, anche il godimento materiale. A fronte di tale dominio pieno che coniuga la signoria legale con quella di fatto sia pure in comunione con l’altro comproprietario, non scalfita dal proposito della (OMISSIS) di voler procedere alla divisione dell’immobile non rilevando sul piano negoziale la mera intenzione non seguita dall’attuazione di quanto deliberato o progettato, del tutto coerente risulta il ragionamento della Corte territoriale nell’aver attribuito anche a costei la posizione di committente delle opere. Priva di rilevanza e’ stata ritenuta infatti la dichiarazione resa dal comproprietario di essere l’unico responsabile dei contestati illeciti, nessuna dimostrazione essendo stata fornita dalla difesa sull’impossibilita’ da parte dell’imputata di impedire l’esecuzione delle opere, di cui attesa la consistenza non poteva non avere contezza. A fronte della disponibilita’ giuridica e di fatto dell’immobile oggetto di interventi abusivi, grava sull’interessato l’onere di negare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volonta’ (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537 Vitale ed altro; Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013 – dep. 24/09/2013, Spataro, Rv. 257676).
Tale conclusione deve, del resto ritenersi puntualmente conforme al consolidato indirizzo di questa Corte in relazione agli effetti della qualita’ di proprietario rispetto alla committenza delle opere abusive: pur escludendosi che la sua responsabilita’ possa essere configurata come responsabilita’ omissiva per difetto di vigilanza, attesa l’inapplicabilita’ dell’articolo 40 c.p., comma 2, si ritiene tuttavia che in presenza di ulteriori elementi, anche indiziari, rispetto all’interesse insito nel diritto di proprieta’, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato possa desumersi la colpevolezza del proprietario dell’opera preesistente o del suolo su cui e’ stata edificata (Cass. Sez. 3, 30 maggio 2012 n. 25669 che evidenzia, tra i comportamenti da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa, anche singolarmente individuabili “la piena disponibilita’ della superficie edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinita’ con l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell’immobile secondo le norme civilistiche sull’accessione”; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013 – dep. 29/10/2013, Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 38492 del 19/05/2016 – dep. 16/09/2016, Avanzato, Rv. 268014). In sintesi, deve pertanto evidenziarsi come secondo la corrente interpretazione giurisprudenziale, al fine di escludere la responsabilita’ del proprietario che non abbia commissionato materialmente i lavori, occorra che dagli atti emerga, anche soltanto a livello di dati indiziari, che lo stesso non abbia interesse all’abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione, evidenze entrambe sussistenti in termini positivi, nella fattispecie in esame.
2. La stessa sorte segue anche il secondo motivo. Occorre ribadire che la concessione delle attenuanti generiche non e’ un diritto automatico dell’imputato (che si puo’ escludere in caso di elementi negativi di valutazione), ma al contrario presuppone il riconoscimento, in positivo, di elementi tali da giustificare la diminuzione della pena rispetto all’arco edittale.
Essendo la finalita’ della previsione normativa di cui all’articolo 62-bis c.p. quella di consentire un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato in presenza di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto della persona che di esso si e’ reso responsabile, ne deriva che mentre la meritevolezza del beneficio necessita di apposita motivazione dalla quale emergano in positivo gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, la esplicita motivazione del rigetto si rende, invece, necessaria solo in presenza di una specifica e motivata richiesta dell’imputato.
Pertanto, quando la relativa richiesta non specifica, come nel caso di specie, le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimita’ dell’istanza, non risultando dedotto che la richiesta contenuta nell’atto di appello fosse supportata da specifici elementi di segno positivo, tale non potendosi ritenere il generico riferimento ad un verbale di sopralluogo, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante e’ soddisfatto, come gia’ affermato da questa Corte, con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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