Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 8 maggio 2020, n. 14146.
Massima estrapolata:
Ai fini dell’integrazione del reato di collusione, previsto dall’art. 3, legge 9 dicembre 1941 n. 1383, tra l’appartenente alla Guardia di finanza e l’estraneo occorre un accordo avente ad oggetto “la frode alla finanza”, la quale può consistere nell’indicazione o nell’apprestamento di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialità lesiva dell’interesse alla percezione dell’entrata tributaria. (Fattispecie relativa ad un accordo tra un militare della Guardia di Finanza ed un concessionario di autoveicoli per l’acquisto da parte del primo di due autovetture nuove, fatte apparire usate attraverso il ricorso al meccanismo della doppia immatricolazione, con parziale evasione dell’IVA).
Sentenza 8 maggio 2020, n. 14146
Data udienza 19 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Collusione con estranei – Articolo 3 legge 1383 del 1941 – Condanna – Reclusione militare – Presupposti – Elementi probatori – Dichiarazioni testimoniali – Valutazione del giudice di merito – Criteri
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente
Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere
Dott. BONI Monica – Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere
Dott. BARONE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
Avverso la sentenza n. 132/2018 della Corte Militare di Appello in data 03/04/2019;
Visti gli atti e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;
Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. Uffluggelli Francesco, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
Uditi i difensore Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20/06/2018 il GUP del Tribunale Militare di Roma condannava, in esito a rito abbreviato, (OMISSIS), Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, alla pena di anni uno di reclusione militare per il reato di collusione con estranei per frodare la finanza, di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3. Si legge in sentenza che, nel corso di altre indagini, erano emersi elementi a carico dell’imputato con riferimento ad un acquisto di una autovettura Mercedes GLK, comprata nel gennaio 2009 presso la ” (OMISSIS) srl”, il cui rappresentante legale era tale (OMISSIS), il quale immatricolava per primo la vettura: dalla documentazione contabile risultava che la vettura era stata acquistata dalla concessionaria per la somma di Euro 48.155,21 e che il (OMISSIS) aveva inizialmente versato per l’acquisto l’importo di Euro 37.700,00 ma gli erano state restituite in contanti le somme di Euro 12.000,00 e di Euro 6.500,00 per cui egli aveva versato, in realta’, la cifra di Euro 19.200,00 comprensive delle spese di passaggio di proprieta’: a detta cifra sarebbe stata aggiunta quella di Euro 9.500,00 in contanti ma non vi era alcuna contabilizzazione per essa ne’ era stata emessa fatturazione; quindi l’importo finale era stato di Euro 28.000,00 ma soltanto la somma di Euro 18.500,00 era stata fatturata. Qualche tempo dopo, nell’anno 2011, l’imputato aveva acquistato un’altra vettura Mercedes classe A dal (OMISSIS) medesimo, il quale la immatricolava per primo: poi risultava un assegno per l’importo di Euro 16.000,00 dalla moglie del (OMISSIS), ma incassato a solo titolo di deposito cauzionale, mentre la ” (OMISSIS) srl” emetteva tre anni dopo una fattura per la somma di soli Euro 8.600,00 benche’ avesse consegnato subito l’autovettura all’acquirente. Concludeva il giudice che dalla documentazione e dalle dichiarazioni del (OMISSIS) emergeva che l’imputato aveva concordato l’acquisto di due autovetture con il (OMISSIS), le quali erano nuove ma che, con lo stratagemma della doppia immatricolazione, gli sarebbero state rivendute come vetture di elevato chilometraggio, versando somme non corrispondenti alla fatturazione; cio’ consentiva alla ditta di versare l’IVA per un importo inferiore al dovuto e denotava una frode al fisco, certamente concordata dall’imputato che aveva accettato fatture per somme non rispondenti a quanto effettivamente versato; il solo accordo con il privato sostanziava il reato contestato.
2. Interponeva appello l’imputato, censurando la ricostruzione dei fatti e la configurabilita’ del reato.
3. Con sentenza in data 13/03/2019 la Corte Militare di Appello confermava la condanna. Rilevava la Corte territoriale che la ricostruzione dei fatti si era basata anche sulle dichiarazioni del venditore (OMISSIS), le quali non erano affatto contraddittorie (per come sostenuto dall’imputato), ma anzi erano state via via piu’ dettagliate grazie alla consultazione della documentazione contabile; inoltre, non vi era dubbio sul fatto che tutte le trattative erano state condotte dall’imputato sia perche’ questo era un ricordo specifico del venditore (OMISSIS) sia perche’ l’imputato era stato sempre presente agli accordi ed era gia’ cliente della ” (OMISSIS) srl” e non poteva non avvedersi – anche in virtu’ delle sue specifiche competenze professionali – del fatto che una fattura per la seconda vettura era stata emessa soltanto tre anni dopo il versamento di un assegno (circostanza che aveva consentito ai coniugi di ottenere un’autovettura ad un prezzo molto ridotto ed alla ” (OMISSIS) srl” di versare all’Erario una minore IVA); peraltro, cosi’ facendo anche i proventi stessi della societa’ erano risultati piu’ bassi, con ulteriore danno all’Erario; quanto al primo acquisto, la documentazione rendeva evidente le fatturazioni inferiori alla realta’ e soltanto un accordo con l’imputato spiegava ragionevolmente l’accaduto, poiche’ nessuna motivazione aveva il venditore (OMISSIS) di restituire una buona parte del prezzo di acquisto. Quanto al reato contestato, l’accordo tra il militare della Guardia di Finanza ed il terzo aveva leso l’interesse dello Stato alla sicurezza delle entrate ed aveva spezzato il rapporto di fiducia tra la Pubblica Amministrazione e il militare stesso: il momento dell’accordo era la soglia anticipata di punibilita’ poiche’ esso ledeva l’obbligo di fedelta’ e poneva in pericolo l’interesse tributario: si tratta dunque di un reato di pericolo, per il quale non era necessario che la condotta fosse attuata nell’ambito di un servizio, ma soltanto che l’agente rivestisse la qualifica militare della Guardia di Finanza e la Corte Costituzionale aveva gia’ respinto la questione di legittimita’ costituzionale sollevata con riferimento alla norma incriminatrice. Nessuna doglianza era stata avanzata circa la pena inflitta.
4. Avverso detta sentenza propone ricorso l’interessato, a mezzo dei difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS).
4.1. Con il primo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), erronea applicazione di legge: sostiene che la norma incriminatrice risale ad un’epoca molto differente ed integra un reato a consumazione anticipata in contrasto con la tendenza legislativa di avanzamento della soglia di consumazione; seppure era stato sostenuto che l’accordo potesse condurre ad una qualunque frode alla finanza pubblica, anche non costituente reato, tuttavia era piu’ ragionevole ritenere che il fine doveva essere un delitto e non una mera contravvenzione finanziaria, altrimenti si sarebbe punito una mancanza di fedelta’ allo Stato con valenza moralistica; in realta’, lo scopo dell’accordo dovrebbe essere la sottrazione di risorse al Fisco tramite mezzi fraudolenti e cioe’ i delitti tributari piu’ gravi nei quali non si elude la normativa ma si tende a frodarla; nella fattispecie, l’accordo era finalizzato ad un illecito amministrativo non contraddistinto da frode.
4.2. Con il secondo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), apparenza di motivazione: lamenta che, con riferimento al primo acquisto, la polizia giudiziaria non aveva mai riscontrato le dichiarazioni del (OMISSIS) sul pagamento in contanti di una parte del prezzo, ma la sentenza impugnata aveva risposto in modo apodittico, traendo la asserita prova dall’altro episodio e non rispondendo alle critiche dell’appello.
5. In udienza le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
Con memoria versata in atti il ricorrente propone incidente di legittimita’ costituzionale della L. n. 1383 del 1941, articolo 3 per contrasto con gli articoli 3 e 25 Cost., ribadendo le censure gia’ esposte con il ricorso e insistendo per una lettura differente della norma incriminatrice, per la quale dovrebbe essere necessario che l’accordo collusivo si concreti in un fatto materialmente illecito, altrimenti sarebbero sfumati i contorni della condotta tipica rilevante: il fine di “frodare la finanza” dovrebbe rinviare ad obiettivi di artefatta dissimulazione e manipolazione del vero o a propositi di occultamento di specifiche realta’ illecite e di fraudolenta descrizione di realta’ formali diverse da quelle oggettive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato poiche’ esso e’ infondato.
2. Appare preliminare affrontare la questione di legittimita’ costituzionale sollevata dal ricorrente, i cui termini sono supra stati riportati e non vanno ora replicati per evidenti ragioni di sintesi.
Reputa il Collegio, aderendo ad orientamento gia’ espresso da questa Corte, che la questione di illegittimita’ costituzionale sia manifestamente infondata: la L. n. 1383 del 1941, articolo 3 punisce “il militare della Guardia di Finanza che… collude con estranei per frodare la finanza”. Il reato, pertanto, si perfeziona con il solo fatto dell’accordo, senza che sia necessario il conseguimento del risultato sperato; infatti, il verbo colludere (dal generico significato etimologico di “intendersela con altri”) e’, secondo l’uso attuale e costante del termine, indicativo del comportamento di chi si accorda segretamente per compiere un’azione illecita, e non implica il conseguimento dello scopo (Sez. 6, 3/06-29/10/1992, Gabriele ed altro). Cio’ e’ del resto pienamente conforme alla ratio della norma, che anticipa la soglia di punibilita’ della condotta al momento dell’accordo, poiche’ gia’ con questo si verifica – oltre alla messa in pericolo dell’interesse tributario dello Stato – la concreta ed attuale lesione di uno specifico e funzionale obbligo di fedelta’ inerente allo status di chi appartiene al corpo preposto alla salvaguardia della finanza pubblica (ricostruzione coerente con la natura di reato militare dell’illecito). Ne segue che nessun ulteriore elemento di danno e’ richiesto, e non occorre neppure alcuna forma di “esternazione” mediante atti rivelatori dell’accordo, che verranno in rilievo soltanto sotto il profilo della prova di una condotta illecita per definizione occulta. Quanto all’oggetto dell’accordo, esso e’ costituito dalla “frode alla finanza”, e puo’ quindi consistere nella indicazione o apprestamento di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialita’ lesiva dell’interesse alla percezione dell’entrata tributaria; interesse indubbiamente messo in pericolo da condotte collusive finalizzate sia all’evasione d’imposta, sia all’elusione di un accertamento attivato ex post (Sez. 6, 24/05-29/09/1988, Di Censo). Cio’ premesso, e’ da escludere che l’incriminazione si ponga in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza, perche’ essa discende dal particolare status del militare della Guardia di Finanza, non comparabile con quello di altri militari o pubblici ufficiali, come gia’ rilevato dalla Corte Costituzionale (sent. 25/03-8/04/1976 n. 70). Ne’ il contrasto e’ ravvisabile sotto il diverso profilo dell’applicazione della stessa sanzione indipendentemente dall’esito e dalla effettiva rilevanza della condotta incriminata, poiche’ – indipendentemente dalla varieta’ dei casi concreti – la previsione normativa implica in ogni caso la lesione del dovere funzionale del soggetto incorporato nella Guardia di Finanza e la pericolosita’ della condotta per l’interesse tributario dello Stato; rilievo che vale altresi’ ad escludere il denunciato contrasto con il principio di tassativita’ della norma penale e di offensivita’ della condotta (articolo 25 Cost.). L’eccezione di incostituzionalita’ e’ percio’ manifestamente infondata (Sez. 1, n. 15019 del 15/12/2005, Rv. 234010).
3. Il primo motivo di doglianza del ricorrente attiene alla tematica della qualificazione giuridica del reato e sostiene che la norma incriminatrice risale ad un’epoca molto differente, integrando un reato a consumazione anticipata in contrasto con la tendenza legislativa di avanzamento della soglia di consumazione; seppure era stato sostenuto che l’accordo potesse condurre ad una qualunque frode alla finanza pubblica, anche non costituente reato, tuttavia era piu’ ragionevole ritenere che il fine doveva essere un delitto e non una mera contravvenzione finanziaria, altrimenti si sarebbe punito una mancanza di fedelta’ allo Stato con valenza moralistica; in realta’, lo scopo dell’accordo criminoso dovrebbe essere la sottrazione di risorse al Fisco tramite mezzi fraudolenti e cioe’ i delitti tributari piu’ gravi nei quali non si elude la normativa ma si tende a frodarla; nella fattispecie, l’accordo era finalizzato ad un illecito amministrativo non contraddistinto da frode.
L’argomentazione non puo’ essere accolta.
Sul tema della qualificazione giuridica, la sentenza impugnata sottolinea che l’accordo tra il militare della Guardia di Finanza ed il terzo aveva leso l’interesse dello Stato alla sicurezza delle entrate ed aveva spezzato il rapporto di fiducia tra la Pubblica Amministrazione e il militare stesso; il momento dell’accordo era quindi la soglia anticipata di punibilita’ poiche’ esso ledeva l’obbligo di fedelta’ e poneva in pericolo l’interesse tributario: si trattava dunque di un reato di pericolo, per il quale non era necessario che la condotta fosse attuata nell’ambito di un servizio, ma soltanto che l’agente rivestisse la qualifica militare della Guardia di Finanza.
Si tratta di conclusioni corrette: “colludere” deriva etimologicamente da cum ludere, ma il termine, nel tempo, ha assunto il significato di accordo segreto finalizzato al perseguimento di scopi illeciti. La costante giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Cass. 1, 6 giugno 2007, Vitale, Rv 236894; Cass. 1, 15 dicembre 2005, Moscuzza, Rv 234010; Cass. 6, 22 aprile 1989, Morelli, Rv 182575) afferma, invero, che il reato di collusione del militare della Guardia di Finanza con estranei e’ integrato dal raggiunto accordo (incontro delle volonta’) tra intraneus ed extraneus, inteso come mezzo per il conseguimento di un certo risultato offensivo (la frode alla finanza), il cui verificarsi non e’ necessario per la consumazione del reato medesimo (che appartiene, invero, al novero di quelli c.d. a dolo specifico). Poiche’ anche i reati a dolo specifico realizzano una forma di anticipazione della tutela dei beni giuridici, si e’ correttamente inquadrato, da parte della dottrina e della giurisprudenza, il reato in questione tra quelli a consumazione anticipata. Ma, soprattutto, il reato in esame costituisce (Sez. 6, 7 febbraio 1992, Liotino, Rv 190774) un’eccezione alla regola della non punibilita’ dell’accordo criminoso quando non sia commesso il delitto concertato prevista dall’articolo 115 c.p., comma 1 (secondo il quale “salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o piu’ persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse e’ punibile per il solo fatto dell’accordo”). La norma incriminatrice contempla, in particolare, una fattispecie necessariamente plurisoggettiva “impropria”: a differenza di quella “propria”, in cui tutte le persone “necessarie” alla configurabilita’ del fatto tipico (nella specie, l’accordo) sono indicate tra i soggetti attivi del reato, nella fattispecie impropria vi sono soggetti necessari (nella fattispecie l’extraneus) non punibili per la condotta tipica ma non sanzionata (il consenso manifestato all’accordo avente come specifico contenuto l’obiettivo di frodare la finanza).
In altri termini, perche’ sussista pertanto il reato de quo occorre un accordo tra il militare appartenente alla Guardia di finanza e l’estraneo, accordo il cui oggetto sia costituito dalla “frode alla finanza”, la quale, secondo accreditata lezione ermeneutica di questa Corte, puo’ consistere nell’indicazione o apprestamento di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialita’ lesiva dell’interesse alla percezione dell’entrata tributaria (Sez. 1, n. 44514 del 28/09/2012, Rv. 253826).
4. La seconda doglianza del ricorrente lamenta che, con riferimento al primo acquisto, la polizia giudiziaria non aveva mai riscontrato le dichiarazioni del (OMISSIS) sul pagamento in contanti di una parte del prezzo, ma la sentenza impugnata aveva risposto in modo apodittico, traendo la asserita prova dall’altro episodio e non rispondendo alle critiche dell’appello.
Nemmeno questa argomentazione puo’ trovare accoglimento.
Il giudice di prima cura, traendo elementi ricostruttivi dalla documentazione acquisita e dalle dichiarazioni integrative del venditore (OMISSIS), concludeva che l’imputato aveva concordato l’acquisto di due autovetture con il (OMISSIS) medesimo: si trattava di autovetture nuove ma che, con lo stratagemma della doppia immatricolazione, gli erano poi state rivendute come vetture di elevato chilometraggio; il versamento di somme non era stato corrispondente alla fatturazione e cio’ aveva consentito alla ditta di versare l’IVA per un importo inferiore al dovuto: la frode al fisco certamente era stata concordata dall’imputato, il quale aveva accettato fatture per somme non rispondenti a quanto effettivamente versato. Questa ricostruzione e’ stata espressamente condivisa e richiamata dalla Corte territoriale, la quale aveva puntualizzato, con riferimento all’acquisto della seconda autovettura, che le trattative risultavano essere state condotte dall’imputato, il quale era stato sempre presente agli accordi ed era gia’ cliente della venditrice ” (OMISSIS) srl”; da questo fatto oggettivo era stato tratto che il ricorrente non poteva non avvedersi anche in virtu’ delle sue specifiche competenze professionali – del fatto che una fattura per quella seconda autovettura era stata emessa soltanto tre anni dopo il versamento di un assegno.
Con motivazione logicamente dipanata ed esente da vizi giuridici, era stato dedotto che questa azione complessiva aveva consentito al ricorrente di ottenere un’autovettura ad un prezzo molto ridotto ed alla ” (OMISSIS) srl” di versare all’Erario una minore IVA: di conseguenza, anche i proventi stessi di quella societa’ erano risultati piu’ bassi, con ulteriore danno all’Erario.
E, con riferimento all’acquisto della prima autovettura, la Corte territoriale ha tratto conclusioni non congetturali, ma ancorate ad un dato oggettivo, e cioe’ il fatto che la documentazione in atti rendeva evidenti le fatturazioni inferiori alla realta’: di conseguenza, soltanto un accordo tra imputato e venditore spiegava ragionevolmente l’accaduto, poiche’ nessuna motivazione aveva il venditore di restituire una buona parte del prezzo di acquisto.
Quanto alle doglianze concernenti la valutazione della prova, esse sono fortemente condizionate da una frammentaria rappresentazione e disamina degli elementi posti a fondamento della decisione impugnata. In particolare, non vengono discussi i rilevanti dati indiziari utilizzati dalla sentenza sopra riportati i quali formano un quadro indiziario grave e concordante, che ha una propria autosufficiente valenza dimostrativa, costituita da dichiarazioni e da documentazione contabile.
In relazione ai suindicati profili, dunque, il ricorso non e’ volto a rilevare mancanze argomentative, erronee applicazioni di norme o illogicita’ ictu oculi percepibili, bensi’ ad ottenere un non consentito sindacato sulla congruita’ di scelte valutative compiutamente giustificate dal giudice, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa. Ma l’esito del giudizio di responsabilita’ non puo’ certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ illustrati come maggiormente plausibili, o perche’ assertivamente dotati di una migliore capacita’ esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e’ in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369/2006, Rv. 235507).
5. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si da’ atto che il presente provvedimento, redatto dal relatore Consigliere Dott. Antonio Minchella, e’ sottoscritto dall’estensore e dal Consigliere anziano del Collegio, Dott. Marco Vannucci, per impedimento alla firma del suo Presidente, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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