Ai fini dell’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 aprile 2021| n. 13388.

Ai fini dell’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia impugnata dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34-bis del d.lgs. 16 settembre 2011, n. 159, il tribunale competente in tema di misure di prevenzione è tenuto a verificare sia il carattere occasionale della agevolazione che il libero svolgimento dell’attività economica può determinare nei soggetti di cui al comma 1 della medesima disposizione, sia la concreta possibilità dell’impresa stessa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose.

Sentenza|9 aprile 2021| n. 13388

Data udienza 17 dicembre 2020
Integrale

Tag – parola chiave: SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) S.R.L.;
avverso il decreto del 24/04/2020 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
udita la relazione svolta dal Consigliere GUARDIANO ALFREDO;
lette/sentite le conclusioni del PG.

FATTO E DIRITTO

1. Con il decreto di cui in epigrafe la corte di appello di Catanzaro, sezione misure di prevenzione, confermava il provvedimento con cui il tribunale di Catanzaro, sezione misure di prevenzione, in data 16.9.2019, aveva rigettato l’istanza con la quale la ” (OMISSIS) S.r.l.”, premesso di avere impugnato l’interdittiva antimafia emessa il 24.7.2019 dal prefetto di Catanzaro, deducendo che tale provvedimento era stato oggetto di impugnazione innanzi al T.A.R. Calabria, chiedeva di potersi avvalere dell’istituto del controllo giudiziario previsto dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34, per consentire alla societa’ di preservare le attivita’ occupazionali e mantenere gli appalti in corso.
2. Nel confermare il provvedimento impugnato la corte territoriale ha evidenziato come l’avvenuto distacco di (OMISSIS), soggetto coinvolto in indagini di criminalita’ organizzata, condannato in primo grado alla pena di cinque anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, dalla compagine sociale, anche in termini formali, in quanto l’attuale rappresentante legale e’ il giovanissimo figlio adottivo, nato nel 1993, non risulta idoneo a configurare “la concreta possibilita’ che l’impresa istante possa riscattarsi dalle compromissioni pacificamente emerse in passato per la condotta del suddetto (OMISSIS), a piu’ riprese invasiva, volta ad ottenere appalti e condizionare le gare, grazie all’appoggio dei potentati di mafia, non solo nel lamentino ma anche in provincia di Reggio Calabria”.
Cio’ in quanto, dovendo considerarsi il (OMISSIS) ancora il vero dominus dell’impresa, escluso solo formalmente dalla sua gestione (come si evince non solo dall’assetto proprietario saldamente in mano per meta’ alla moglie del (OMISSIS) e per l’altra meta’ alla sorella di quest’ultima, ma anche dalla significativa circostanza che il 7.11.2017 egli aveva presentato una denuncia nell’interesse della societa’, pur non figurando nel relativo assetto organico e proprietario), l’appoggio ottenuto in passato dalle organizzazioni di stampo mafioso operanti sul territorio ingenera il dubbio “che lo stesso possa ripetere le medesime condotte emerse in passato, attraverso una gestione indiretta e di favore della predetta societa’, che sfuggirebbe ad ogni controllo da parte dell’amministrazione giudiziaria, consentendo cosi’ di ricreare le occasioni per sfruttare gli illeciti appoggi ricercati a piu’ riprese dal (OMISSIS) per ottenere incarichi ed appalti, aggirando le norme sulla leale concorrenza di mercato”.
2. Avverso il decreto della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione la ” (OMISSIS) S.r.l.”, nella persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore (OMISSIS)), lamentando violazione di legge, con riferimento:
1) Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, in quanto la corte territoriale ha erroneamente ritenuto coincidenti i presupposti applicativi del controllo giudiziario di cui Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, commi primo e seguenti, concernenti le ipotesi di applicazione d’ufficio della misura di prevenzione patrimoniale del controllo giudiziario, in cui la valutazione del rischio di “contaminazione mafiosa” spetta al giudice penale, con i diversi presupposti di cui al comma 6 della medesima norma, che, invece, prevede l’applicazione della misura in questione nei casi in cui una valutazione della sussistenza del rischio anzidetto e’ gia’ stata effettuata dal prefetto con il provvedimento interdittivo e in cui l’attivazione della misura del controllo giudiziario e’ richiesta dal privato (cd. controllo giudiziario volontario).
Di conseguenza la corte territoriale avrebbe dovuto ammettere la societa’ ricorrente al controllo giudiziario, sussistendone i presupposti (impugnazione dell’interdittiva antimafia), senza svolgere valutazioni di merito in ordine alla sussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa, che, ai sensi del citato Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34, comma 6, e’ rimessa al sindacato esclusivo del T.A.R., investito dell’impugnazione contro l’interdittiva, mantenendo il giudice penale esclusivamente il potere di revocare la predetta misura in funzione delle risultanze delle relazioni del commissario straordinario;
2) agli articoli 101, 103, 111 e 113 Cost., poiche’ la corte territoriale, in violazione delle norme costituzionali sulla giurisdizione, si e’ pronunciata sulla domanda Decreto Legislativo n. 159 del 2011, ex articolo 34 bis, nel suo “momento genetico” ovvero nell’istanza di ammissione all’istituto previsto dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34, comma 6, esercitando un potere che spetta in via esclusiva al giudice amministrativo, presso il quale pende un procedimento, in tal modo indebitamente anticipando valutazioni che avrebbero dovuto esplicitarsi solo all’esito della richiesta di controllo.
La menzionata disposizione normativa, infatti, prevede l’accoglimento della richiesta di accedere al controllo giudiziario “ove ne sussistano i presupposti”, che, tuttavia, non essendo specificati, vanno individuati, in assenza di appigli normativi certi, nella sussistenza dell’interdittiva antimafia, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 84, comma 4 e nell’impugnazione del provvedimento del Prefetto, condizioni entrambe integrate nel caso in esame.
Solo in tal modo, ad avviso del ricorrente, risulterebbe rispettata la ratio dell’istituto, preordinato a garantire la continuita’ dell’impresa per soddisfare l’interesse pubblico alla realizzazione delle opere e a promuovere il disinquinamento mafioso di attivita’ economiche;
3) al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, di cui la corte territoriale ha fornito un’erronea interpretazione, posto che il comma 6 di tale norma non prevede come requisiti per accogliere la richiesta di ammissione al controllo giudiziario formulata da un’impresa l’occasionalita’ dell’agevolazione mafiosa o la sussistenza del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, a differenza di quanto accade per l’ipotesi di richiesta proveniente dal pubblico ministero oppure di misura disposta d’ufficio, regolata dal comma 1 della stessa norma.
Il ricorrente deduce, altresi’, vizio di motivazione, in quanto la corte di appello non ha fornito giustificazione idonea a superare gli elementi decisivi forniti dalla difesa nell’istanza rigettata, quali l’irrilevanza del rapporto parentale, l’insussistenza di qualsiasi partecipazione societaria del (OMISSIS), non essendo quest’ultimo mai stato amministratore della societa’ ricorrente, ed il fatto che la societa’ e’ stata raggiunta dal provvedimento di interdizione per fatti risalenti nel tempo, che non coinvolgono il suo legale rappresentante.
3. Con requisitoria depositata il 13.11.2020 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, con ampia e argomentata motivazione, in cui sono puntualmente indicati i motivi di impugnazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
4. Con note di udienza depositate il 4.12.2020 il difensore di fiducia della societa’ ricorrente insiste nelle proprie doglianze, ritenendole fondate anche alla luce dei nuovi orientamenti della giurisprudenza di legittimita’, sollecitando, inoltre, che la decisione del ricorso sia devoluta alle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione, per l’importanza delle questioni di diritto da risolvere.
5. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Non puo’ non condividersi il rilievo operato dal pubblico ministero nella sua requisitoria scritta, secondo cui “l’ammissione al controllo giudiziario, per un’impresa raggiunta da una interdittiva prefettizia, non puo’ basarsi su alcun automatismo; richiedendo sempre un controllo da parte dell’autorita’ giudiziaria competente in materia di misure di prevenzione.
Si tratta di un assunto, dedotto da una puntuale lettura del contenuto di un importante arresto delle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione, sulla quale occorre, sia pure brevemente soffermarsi.
Osserva sul punto il giudice di legittimita’ nella sua espressione piu’ autorevole, come non vi sia alcun dubbio che, con riferimento all’istituto di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 e a quello del controllo giudiziario a richiesta della parte pubblica o disposto di ufficio, sia doveroso il preliminare accertamento da parte del giudice delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento e cioe’ il grado di assoggettamento dell’attivita’ economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie.
Con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalita’ della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l’accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione piu’ compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla piu’ gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa.
La peculiarita’ dell’accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta pero’ nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilita’ che la singola realta’ aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato puo’ rivolgere nel guidare la impresa infiltrata.
L’accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non puo’, cioe’, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosita’ oggettiva in cui versi la realta’ aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialita’ che quella realta’ ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta” (cfr. Cass., Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Rv. 277156).
Nel senso indicato dalla Sezioni Unite si e’ attestata la piu’ recente giurisprudenza della Suprema Corte, che in un condivisibile arresto ha affermato come, proprio in ossequio alle indicazioni del Supremo Collegio, la necessita’ che la valutazione relativa alla sussistenza o meno di un’infiltrazione connotata da occasionalita’ non sia finalizzata all’acquisizione di un dato statico – consistente nella cristallizzazione della realta’ preesistente: una mera fotografia del passato – bensi’ alla argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l’emendabilita’ della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l’intera gamma degli strumenti previsti dall’articolo 34-bis, ivi compresi gli obblighi informativi e gestionali previsti al comma 3, a cio’ non ostando l’evidente mancanza, in capo al giudice della prevenzione, di un potere di sindacato sulla legittimita’ della interdittiva antimafia adottata dal prefetto (cfr. Cass., Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, Rv. 280341).
Come si vede, dunque, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, la funzione attribuita al tribunale competente in tema di misure di prevenzione, in ordine all’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione antimafia nterdittiva, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 84, comma 4, che, come nel caso in esame, abbia proposto impugnazione del relativo provvedimento del prefetto innanzi alla giustizia amministrativa, implica da parte del tribunale cui la richiesta e’ rivolta un giudizio di merito complesso sulla sussistenza dei relativi presupposti, destinato a svolgersi lungo due direttrici.
Da un lato, il carattere meramente occasionale della agevolazione che il libero svolgimento di determinate attivita’ economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, puo’ determinare nei confronti dei soggetti indicati nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34, comma 1, richiamato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, comma 1; dall’altro, la comprensione del contesto in cui opera l’impresa infiltrata, necessaria per valutare in concreto la possibilita’ di quest’ultima di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dall’infiltrazione mafiosa, seguendo il percorso che la misura alternativa implica, delineato nel dettaglio dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, comma 2, lettera b), commi 3 e 4.
Ed invero sarebbe del tutto irrazionale prevedere che, il tribunale competente per le misure di prevenzione, in sede di accertamento delle condizioni per procedere all’applicazione dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attivita’ economiche e’ delle aziende, di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34, ovvero del controllo giudiziario delle aziende, di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, comma 1, sia dotato di poteri di vantazione in ordine ai rapporti tra attivita’ economico – imprenditoriali ed ambienti criminali di natura mafiosa, nonche’ al pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a “condizionare lo svolgimento di tali attivita’, e non sia dotato di analoghi poteri nel caso in cui la richiesta di applicazione del controllo giudiziario provenga da un’impresa gia’ destinataria di un provvedimento di informazione antimafia.
L’interpretazione che il Collegio ritiene di fare propria, trova un’ulteriore conferma nel periodo, con cui si conclude la disposizione normativa contenuta nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, comma 6, che attribuisce al tribunale in questione il potere di revocare successivamente il controllo giudiziario disposto in accoglimento della richiesta volontaria, anche sulla base della relazione dell’amministratore giudiziario, e, ove ne ricorrano i presupposti, di disporre altre misure di prevenzione patrimoniale.
Si tratta di un potere, infatti, che presuppone necessariamente la conoscenza del contesto concreto in cui l’impresa ammessa al controllo giudiziario opera ed implica una verifica dell’effettivo riallineamento dell’impresa stessa al tessuto economico sano, sulla base anche delle osservazioni svolte dall’amministratore giudiziario che ne ha seguito la vita, potere dunque, la’ cui attribuzione si pone in perfetta continuita’ con il giudizio di merito che si richiede al tribunale competente per le misure di prevenzione, ai fini dell’accoglimento della richiesta volontaria di controllo giudiziario da parte dell’impresa infiltrata.
Il ricorrente non sembra aver tenuto nel debito conto la finalita’ dell’istituto di cui si discute, che si caratterizza come una misura di prevenzione del tutto particolare, il cui scopo, in presenza, da un lato, del dato formale rappresentato dalla pendenza dell’impugnazione dell’interdittiva prefettizia, dall’altro delle circostanze di fatto oggetto di accertamento della semplice occasionalita’ del “contagio mafioso” e della possibilita’ concreta dell’impresa infiltrata di riallinearsi con il contesto economico sano, al di fuori del condizionamento delle infiltrazioni mafiose, e’ quello di garantire la continuita’ aziendale e di sospendere gli effetti del provvedimento amministrativo in attesa dell’esito dell’impugnazione, senza che i due profili, amministrativo e special – preventivo, si sovrappongano, confondendosi.
Tale distinzione si coglie sia nella fase, per cosi’ dire “genetica”, di applicazione della misura, che, in sede di impugnazione, spettando alla competenza del giudice penale (prima in sede di appello, poi, eventualmente, in sede di legittimita’: cfr. Cass., Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Rv, 277156) verificare l’eventuale errata valutazione dei presupposti di legge per ammettere l’impresa richiedente al controllo giudiziario, ma’ non anche l’illegittimita’ delle misure interdittive antimafia adottate dal prefetto, la cui valutazione resta riservata alla competenza della giustizia amministrativa in sede di ricorso giurisdizionale (cfr., limitatamente a questo specifico punto, Cass., Sez. 2 n. 18564 del 13/02/2019, Rv. 275419; Cass., Sez. 2, n. 18564 del 13/02/2019, Rv. 275419).
Orbene, come si e’ visto la corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, avendo espresso un ponderato giudizio sulle ragioni che non consentono di formulare un giudizio positivo sulle concrete possibilita’ di risanamento dell’impresa ricorrente, in quanto ancora operante nelle condizioni che ne hanno consentito l’ingerenza del dandone, il quale, solo formalmente, risulta escluso dalla sua gestione, continuando ad agire come il vero dominus della compagine sociale.
6. I rilievi difensivi, pertanto, appaiono, da un lato manifestamente infondati, dall’altro, in quanto volti ad evidenziare vizi di motivazione, con particolare riferimento al ruolo del (OMISSIS), non sono deducibili in questa sede.
Come e’ stato, infatti, chiarito da un recente e condivisibile arresto, in tema di misure di prevenzione, il ricorso per cassazione avverso il provvedimento della corte d’appello che, in sede di impugnazione, decide sulla ammissione al controllo giudiziario Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ex articolo 34-bis, comma 6, e’ ammissibile solo per violazione di legge, essendo, in tal caso, applicabili limiti di deducibilita’ di cui all’articolo 10, comma 3, e 27 del medesimo decreto (cfr. Cass., Sez. 5, n. 34856 del 06/11/2020, Rv. 279982).
Stante la chiarezza dei principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite “Ricchiuto” citate in precedenza e della successiva giurisprudenza ad esse conforme, non sussistono gli estremi per investire della decisione del presente ricorso le Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 618 c.p.p., al netto della evidente sgrammaticatura processuale in cui e’ incorso il difensore della ricorrente nel chiedere con le note di udienza, successive alla proposizione del ricorso, che fosse il Primo Presidente di questa Corte di Cassazione a fissare la decisione innanzi alla Sezioni Unite ai sensi dell’articolo 610 c.p.p..
7. Alla dichiarazione di inammissibilita’ segue la condanna della societa’ ricorrente ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ in favore della Cassa delle Ammende di una somma a titolo di sanzione pecuniaria, che appare equo fissare in Euro 3000,00, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilita’ dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere la ricorrente medesima immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita’ (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila Euro in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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