Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 27 agosto 2020, n. 17966.
La massima estrapolata:
Ai fini dell’annullamento, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., dalla l. n. 136 del 2018, dei debiti tributari la cui riscossione sia stata affidata agli agenti di riscossione nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010, il limite di valore del debito (mille euro) non deve essere riferito ai singoli carichi risultanti da ciascuna cartella esattoriale ma alla sommatoria di essi e, se i debiti sono di diversa natura, al valore complessivo dei carichi omogenei.
Ordinanza 27 agosto 2020, n. 17966
Data udienza 13 luglio 2020
Tag/parola chiave: Debiti erariali – Sanatoria fino a 1.000 euro – Totale esposto nella cartella di pagamento – Comunicazione preventiva di iscrizione di ipoteca relativamente al mancato pagamento di alcune cartelle esattoriali – Opposizione proposta dinanzi al Giudice di Pace
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9178-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma Piazza Cavour presso la Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dalli avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE FIRENZE, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS);
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2799/2017 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 04/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
che:
1. Con atto notificato per mezzo del servizio postale il 5/3/2018, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 2799/2017, depositata il 4/9/2017.
2. Con separati controricorsi – rispettivamente notificati l’11/4/2018 e il 19/4/2018 resistono il Comune di Firenze e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER).
3. La vicenda cui si riferisce il ricorso trae origine dall’atto con cui, in data 28/9/2012, (OMISSIS) S.p.A. notificava al ricorrente una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, per asserito mancato pagamento di n. 4 cartelle esattoriali, concernenti il pagamento complessivo della somma di Euro 39.969,81 dovuta per una serie di violazioni del Codice della Strada sanzionate dal Comune di Firenze.
4. In relazione a detta comunicazione, il (OMISSIS) proponeva opposizione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c. in data 21/12/2012 davanti al Giudice di Pace di Firenze, convenendo in giudizio sia (OMISSIS) che il Comune di Firenze, sostenendo – per quanto interessa – l’inesistenza o gradatamente la nullita’ della notificazione sia delle quattro cartelle esattoriali, sia dei verbali d’infrazione.
5. Il Giudice di Pace di Firenze, con sentenza n. 167/2015, nella costituzione del Comune di Firenze e di (OMISSIS) accoglieva l’opposizione nel presupposto della nullita’ delle notificazioni dei verbali, in quanto effettuate ex articolo 143 c.p.c. ai di fuori dei presupposti legittimanti.
6. Decidendo sui separati appelli proposti dal Comune di Firenze e da (OMISSIS) Cento, il Tribunale di Firenze, in riforma della sentenza del GdP, accoglieva in parte le censure sollevate dagli appellanti, reputando prescritto il credito di cui a due delle cartelle di pagamento, sul rilievo della nullita’ sia dei verbali di violazione relativi ai carichi da esse portate sia quella della notificazione delle cartelle, mentre la rigettava per le altre due cartelle, reputando valida sia la notificazione dei verbali relativi ai carichi da esse portati, sia quella delle cartelle stesse e considerando che, in ragione di quest’ultima, l’opposizione si sarebbe dovuta proporre nel rispetto del termine di cui all’articolo 204 C.d.S., cioe’ nelle forme e nei termini dell’opposizione a sanzione amministrativa e non con l’opposizione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c..
7. La trattazione, gia’ fissata per l’adunanza del 26 marzo 2020, veniva rinviata d’ufficio all’adunanza del 13 luglio 2020 per effetto dei provvedimenti relativi alla pandemia da coronavirus.
CONSIDERATO
che:
In via preliminare si deve dare atto che il ricorrente, in data 9 gennaio 2020, ha depositato memoria assumendo la cessazione parziale della materia del contendere in relazione ad una delle due cartelle di pagamento oggetto di contestazione.
Il Comune resistente ha depositato memoria senza assumere posizione in merito alla parziale cessazione della materia del contendere.
Nella memoria del 9 gennaio 2020 il ricorrente deduce la cessazione parziale della materia del contendere perche’ nelle more sarebbero stati automaticamente annullati ex lege ai sensi del Decreto Legge 23 ottobre 2018, n. 119, articolo 4, i crediti portati da una delle due cartelle ancora in contestazione, in quanto relativi a singole partite o carichi di importo inferiore a Euro 1.000,00 ed affidati all’Agente di Riscossione prima del 31/12/2010.
La richiesta di cessazione parziale della materia del contendere prospettata con la memoria del 9 gennaio 2020 e’ priva di fondamento, pur essendo la norma invocata astrattamente applicabile nella fattispecie, in cui – com’e’ pacifico – si verte in tema di riscossione di sanzioni amministrative del C.d.S. Infatti, i debiti per tale causale non sono esclusi dall’applicazione del c.d. annullamento disposto dalla norma, poiche’ non rientrano tra le eccezioni indicate dal comma 4 dell’invocato articolo 4. D’altro canto, il legislatore, nel comma 17 dell’articolo 3 del D.L., quando ha voluto introdurre limitazioni all’applicabilita’ dell’istituto ivi previsto per le sanzioni amministrative, lo ha fatto espressamente.
Queste le ragioni della infondatezza in concreto della richiesta.
Mette conto di ricordare che la norma invocata cosi’ dispone: “I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille Euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorche’ riferiti alle cartelle per le quali e’ gia’ intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati (…)”. Si ricorda che questa Corte ha condivisibilmente statuito che: “L’annullamento ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del Decreto Legge n. 119 del 2018, conv., con modif. in L. n. 136 del 2018, dei debiti tributari inferiori ai mille Euro, la cui riscossione sia stata affidata agli agenti di riscossione nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010, opera automaticamente “ipso iure” in presenza dei presupposti di legge e, con riferimento ai debiti litigiosi, determina l’estinzione del processo per cessata materia del contendere, senza che assuma rilievo la mancata adozione del provvedimento di sgravio, trattandosi di atto dovuto meramente dichiarativo, previsto solo per consentire i necessari adempimenti tecnici e contabili nell’ambito dei rapporti tra agenti di riscossione ed enti impositori”.
Cio’ premesso, si rileva che parte ricorrente ha fatto riferimento, come oggetto della pretesa parziale cessazione della materia del contendere per effetto dell’annullamento disposto dalla norma, ai crediti di cui alla cartella n. (OMISSIS), siccome evidenziantisi dall’estratto di ruolo che ha prodotto con il ricorso nel fascicolo di primo grado come doc. C.
Ebbene, da tale estratto ruolo – che effettivamente questa Corte rinviene nel detto fascicolo (e riguardo alla cui produzione in questa sede, si rileva che il ricorso aveva fornito l’indicazione specifica, richiesta dall’articolo 366 c.p.c., n. 6) – emerge che esso si riferisce alla cartella cui fa riferimento il ricorrente e che esso indica la notifica di quest’ultima nell’11 dicembre 2010. Si tratta dunque di carichi “affidati” all’esattore entro il limite temporale di cui alla norma invocata.
L’importo complessivo dell’estratto, al lordo di diritti di notifica, interessi di mora e aggio e’, tuttavia, di Euro 22.988,18. Esso risulta, peraltro, da una serie di carichi che, singolarmente considerati, sarebbero di importo inferiore a mille Euro, cioe’ al limite indicato dalla norma per il c.d. annullamento.
L’assunto, per la verita’ implicito del ricorrente (dato che egli non argomenta al riguardo), ma sostenuto da qualche esegeta della norma, e’ che l’applicazione della norma invocata sarebbe giustificata da tale circostanza. Il presupposto dell’assunto e’, dunque, che il limite di valore operi per ogni singolo carico fiscale risultante dalla cartella esattoriale.
Si tratta di un assunto errato.
La norma, sebbene debba concedersi che la sua fattura non sia un modello di chiarezza redazionale, non puo’ essere letta in questo modo.
Mette conto anzitutto di rimarcare che non si puo’ dubitare che la norma in esame, quando allude ai “debiti residui”, si riferisce ad una posizione debitoria risultante da una cartella di pagamento, cioe’ allude ad una pretesa dell’esattore espressa in essa: lo fa manifesto il riferimento alle “cartelle per le quali e’ gia’ intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3”. Il riferimento alle cartelle al plurale implica che l’emergenza dei “debiti residui” certamente e’ una condizione che puo’ riguardare distinte cartelle. Si allude cioe’ a posizioni debitorie che eventualmente risultino da piu’ cartelle e, sotto tale profilo, certamente il riferimento al valore di Euro mille va inteso nel senso che il c.d. “annullamento” entro questo limite si correla al valore complessivo dei carichi di ciascuna cartella.
L’ancoraggio all’emergenza del debito da una cartella di pagamento sottende che il legislatore ha inteso riferire la fattispecie di c.d. annullamento all’ipotesi in cui il debito sia stato evidenziato in una cartella di pagamento, sicche’ questa ipotesi, nel caso di soggetto che sia stato destinatario di piu’ cartelle, si correla ad ognuna di esse.
Viceversa, con riferimento ai debiti risultanti dalla singola cartella il detto importo non puo’ essere atomisticamente correlato a ciascun carico, ma si deve intendere correlato invece al debito che dal cumulo fra i singoli carichi fiscali eventualmente risultanti dalla singola cartella emerge a carico del debitore.
E’ vero che la norma fa riferimento ai “singoli carichi”, cosi’ contemplando la rilevanza di ciascun carico espresso dalla pretesa dell’esattore. E questa Corte e’ consapevole che taluni esegeti della norma hanno attribuito a tale espressione proprio il significato di ancorare il limite di valore a ciascun carico risultante dalla cartella.
Questa lettura della norma appare errata.
Essa trascura la circostanza che la norma individua l’oggetto di disciplina dell’annullamento e, dunque, il termine di riferimento del valore di 1000 Euro ne “i debiti di importo residuo (….) risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010”. Ebbene, poiche’ la norma assume come oggetto di disciplina “i debiti di importo residuo (….) risultanti dai singoli carichi” e, dunque, parla al plurale di “debiti”, e’ palese che in tal modo, cioe’ appunto con l’uso del plurale, sottende che il “residuo” rilevante agli effetti del c.d. annullamento possa e debba (naturalmente se la cartella non sia elativa ad un singolo carico) risultare dai piu’ debiti, scilicet dai piu’ “carichi” che la cartella contiene.
In altri termini, a differenza di quanto sarebbe stato se la norma avesse parlato di “debito residuo” al singolare, il che avrebbe certamente consentito ed anzi imposto di riferire il limite di Euro 1000 al singolo carico, in quanto la rilevanza del debito al singolare naturalmente sarebbe stata correlabile al singolo carico, il fatto che la norma allude ai “debiti residui” al plurale evidenzia necessariamente che il valore de quo si debba intendere risultante dal cumulo dei singoli carichi di cui alla cartella e cio’ proprio perche’ “debiti residui” non possono che risultare dal cumulo dei singoli carichi esistenti nella cartella, cioe’ dal cumulo dei debiti che li costituiscono.
La tesi opposta che vorrebbe riferire il valore a ciascun carico fiscale si scontra con il rilievo esegetico appena indicato.
Solo se la norma fosse stata prevista con la formulazione “Il debito di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille Euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultante dai singoli carichi”, il valore di 1000 Euro si sarebbe potuto correlare a ciascun carico, giacche’ il risultato della considerazione dei distinti carichi non avrebbe potuto sommarsi, ma appunto sarebbe stato riferibile a ciascuno di essi singolarmente.
L’avere invece il legislatore riferito il valore a “I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille Euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi”, implica una chiara correlazione dell’importo ad una risultanza emergente dal cumulo dei piu’ carichi, perche’ il valore “fino a mille Euro” e’ espressamente correlato a “i debiti di importo residuo” e, dunque ai piu’ debiti (eventualmente esistenti nella cartella che rechi piu’ carichi). Poiche’ cio’ che risulta dai singoli carichi non e’ stato indicato come oggetto di annullamento con un riferimento al debito al singolare, ma lo e’ stato con un riferimento ai debiti al plurale, la lettera della legge e’ nel senso che si e’ inteso fare riferimento, nel caso di piu’ carichi e, dunque, di piu’ debiti, ad una sommatoria dei debiti, sicche’ il valore dev’essere rispettato con riferimento all’importo risultante dalla cartella per effetto del cumulo dei vari carichi.
Si puo’ semmai considerare che, nell’ipotesi in cui la cartella esponga pretese di distinta natura, come tributi, sanzioni amministrative di varia specie, la nozione di debito ai fini dell’individuazione del limite del valore di 1000 Euro, stante la ontologica diversita’ di ciascuna categoria di carico e, dunque, di debito, giustifichi che detto limite debba operare per ciascuna categoria. E cio’ perche’ si tratta di debiti di categoria diversi e, dunque, non cumulabili fra loro. Ma non e’ questa la sede per approfondire il problema.
La richiesta del ricorrente dev’essere, dunque, rigettata, perche’ l’articolo 4 invocato non e’ applicabile, dovendosi interpretare tale norma nel seguente senso: “Il Decreto Legge n. 119 del 2018, articolo 4, convertito, con modificazione, nella L. n. 136 del 2018, si deve interpretare nel senso che, qualora la cartella esattoriale evidenzi piu’ carichi, il limite di valore cui e’ correlato l’annullamento previsto dalla norma non si correla a ciascun carico, ma alla somma di essi e, se la natura dei carichi e’ diversa (tributaria, sanzioni amministrative), alla somma dei carichi omogenei”.
Questa conclusione si pone in contrasto con quanto risulta avere affermato, nell’unica pronuncia che consti allo stato essersi posta il problema, la Sezione Tributaria di questa Corte. Si tratta di Cass. (ord.) n. 11817 del 2020, la quale si e’ cosi’ espressa a proposito del modus operandi del limite di valore: “Tale limite e’ riferito al “singolo carico affidato”, sicche’ nell’ambito operativo della norma rientrano tutte quelle cartelle, anche di importo complessivo ben superiore a Euro 1000,00, il cui singolo carico affidato all’agente della riscossione non superi l’importo di mille Euro. Per “carico” si intende, infatti, la singola partita di ruolo, cioe’ (l’insieme dell’imposta, delle sanzioni e degli interessi accessori. Ne discende che oggetto del condono e’ il singolo debito e non l’importo complessivo della cartella. Ovviamente l’importo del debito residuo di Euro 1000,00 per singolo carico va calcolato alla data di entrata in vigore del decreto (24 ottobre 2018).”.
Il Collegio rileva che la riportata motivazione, che non risulta da altro sostenuta, si pone in contrasto con l’esegesi che si e’ sopra prospettata ed appare pertanto supervalutare il riferimento al singolo carico senza collocarlo nel tenore complessivo della norma come sopra individuato.
E’ opportuno rilevare, d’altro canto, che l’esegesi qui disattesa svaluta anche il rilievo della cartella di pagamento come punto di riferimento del debito.
Inoltre, essendo la misura di cui all’articolo 4 del Decreto Legge una misura deflattiva del contenzioso ed ancorandosi alla cartella, e’ palese che la sua ratio, in quanto collegata al valore modesto del debito residuo, ha senso ed appare giustificata solo se si considera tale importo con riguardo al dovuto in base alla cartella, se espressione di distinti debiti, cioe’ di diversi carichi. L’ancoraggio della misura di c.d. annullamento alla cartella, cioe’ a pretese creditorie in essa espressa, si presta ad un’applicazione rispettosa dell’intentio legis e del principio di eguaglianza soltanto se il fatto oggettivo assunto come presupposto risulta cio’ che la cartella come manifestazione della pretesa di riscossione esprime nel suo complesso. Il fatto che il cittadino abbia visto manifestarsi la pretesa relativa ad un carico collocantesi singolarmente nel limite di mille Euro unitamente ad altre nella stessa cartella, sicche’ il suo debito complessivo ecceda quel valore, non puo’ essere considerato, d’altro canto, irrilevante, in quanto assume rilievo in ragione di un’attivita’ di riscossione che concerne una posizione debitoria complessiva eccedente quel valore. Il riferimento del legislatore al valore di mille Euro non puo’ essere stato fatto senza considerare e distinguere la posizione di chi sia debitore solo di un residuo complessivo di mille Euro e di chi sia debitore di singoli carichi ciascuno collocantesi nel detto limite, ma in cumulo al di la’ di esso.
Si aggiunga che l’esegesi qui prospettata non puo’ essere considerata determinativa di un effetto incoerente, la’ dove, se un soggetto sia stato destinatario di distinte cartelle per singoli carichi ognuno collocantesi nel limite del valore residuo di mille Euro, gli consente di beneficiare dell’annullamento (perche’ il valore di ogni cartella, per quanto rileva siccome specificato dalla norma, si colloca al di sotto di quell’importo), mentre, se i carichi risultino dalla stessa cartella non glielo consente in ragione del cumulo. E’ sufficiente osservare che il dato oggettivo dell’essersi manifestata la pretesa di riscossione con la stessa cartella o con distinte cartelle non puo’ essere considerato irrilevante e la sua implicita considerazione non e’ lesiva del principio di eguaglianza, in quanto la stessa norma dell’articolo 4 (vedi i commi 2 e 3) disciplina le conseguenze a carico dell’ente titolare della pretesa dell’annullamento dal punto di vista dell’attivita’ prestata dall’esattore.
Si deve, dunque, procedere all’esame dei motivi anche con riferimento alla cartella di cui trattasi.
Con il primo motivo si lamenta – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, concernente la notifica delle cartelle la cui relata sarebbe stata apposta sul frontespizio e non in calce alle stesse, come invece richiesto dalla normativa fino al 2011.
Il ricorrente adduce che (OMISSIS) avrebbe prodotto in giudizio solo le copie degli estratti di ruolo relativi alle cartelle impugnate e gli originali delle relate di notifica ad esse inerenti, ma non la copia integrale delle cartelle asseritamente notificate, con cio’ impedendogli di controllare se le relate fossero apposte sul frontespizio o in calce o se vi fossero altri elementi idonei ad inficiare l’integrita’ delle cartelle. Deduce che il Giudice di Pace aveva ordinato ad (OMISSIS) l’esibizione degli originali, ma essa non vi aveva ottemperato e sostiene – riproducendo una parte della sua comparsa di costituzione in appello – che esso ricorrente aveva riproposto la questione in appello e – riproducendo copia della sua conclusionale – che il Comune di Firenze aveva replicato sulla questione, sicche’ il Tribunale avrebbe dovuto esaminarla, mentre nulla ha detto in proposito.
1. Il motivo e’ inammissibile anzitutto poiche’ deduce il paradigma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 al di fuori dei suoi presupposti. Trattandosi di denuncia di omesso esame di questione riproposta (cioe’ di una controeccezione) e non di omesso esame di un fatto, il paradigma dell’articolo 360 c.p.c. che avrebbe dovuto dedursi sarebbe stato quello del n. 4 dell’articolo 360, con deduzione di omissione di pronuncia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c..
1.1. Se anche ci si volesse interrogare sul se il motivo possa essere inteso in tal senso, alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, la risposta dovrebbe essere negativa, in quanto difetterebbero i necessari requisiti di chiarezza espositiva, atteso che in modo incomprensibile a petto del principio di soccombenza l’illustrazione del motivo ragiona della notifica di tutte e quattro le cartelle e non delle sole due riguardo alle quali l’azione del ricorrente e’ stata ritenuta infondata dal Tribunale.
1.2. Comunque, il motivo – se pure si superasse il rilievo appena svolto e se ne disponesse la riconversione – sarebbe inammissibile ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2 e cio’ sempre per difetto del requisito della decisivita’, inteso come criterio di esegesi della norma: cio’ alla stregua di Cass. n. 22341 del 2017 e successive conformi.
1.3. Infatti, la questione della ritualita’ della notificazione delle due cartelle per cui il ricorrente e’ soccombente e di cui si sarebbe omesso l’esame risultava irrilevante. Detto che, di fronte alla notifica della comunicazione di preavviso di iscrizione di ipoteca, il ricorrente avrebbe dovuto reagire comunque – pur nella prospettiva della inesistenza della notifica di verbali e di cartelle – non gia’ proponendo l’opposizione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., bensi’ proponendo in via recuperatoria (sebbene solo per far valere l’ipotizzato vizio di notifica dei verbali e, dunque, di formazione dei titoli esecutivi sottesi a ciascuno dei carichi previsti dalle cartelle: Cass. Sez. Un., n. 22080 del 2017 e, di recente, nel suo solco, Cass. (ord.) n. 11789 del 2019) l’opposizione a sanzione amministrativa ed avrebbe dovuto farlo nel termine previsto per l’opposizione contro il verbale, come, del resto, ha detto il Tribunale a pagina 8 evocando la L. n. 689 del 1981, articoli 22 e 23, (stante l’inapplicabilita’ della disciplina del Decreto Legislativo n. 150 del 2010, articolo 7 ratione temporis), termine che decorreva dal momento della notificazione della detta comunicazione, in quanto da quel momento era stato posto in grado di tutelarsi come si sarebbe potuto tutelare, essendo stato posto in condizione di conoscere i verbali di contestazione e, dunque, di dedurre i vizi relativi alla loro formazione, si deve rilevare che, con riferimento alla contestazione della ritualita’ della notificazione delle cartelle, rappresentando tale notificazione un atto del procedimento esecutivo esattoriale, l’azione esperibile sarebbe stata quella di opposizione ai sensi dell’articolo 617 c.p.c. (Cass., Sez. Un., n. 22080 del 2017 (par. 8.2.) e, da ultimo Cass. (ord.) n. 22094 del 2019), che si sarebbe dovuta introdurre nel termine di venti giorni sempre dalla comunicazione del preavviso di iscrizione ipotecaria, da considerarsi somministrante la conoscenza di fatto dell’atto pregiudizievole, cioe’ della pretesa inesistenza o nullita’ della notificazione delle cartelle. Conoscenza di fatto rilevante secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte: a far tempo da Cass. n. 6487 del 2010; (ord.) n. 13043 del 2018; n. 7898 del 2017; n. 5172 del 2018, ex multis). Il Tribunale non ha rilevato che il rimedio esperito – con riferimento alla contestazione inerente alla ritualita’ della notificazione della cartella – non era quello dell’articolo 615, ma cio’ non toglie che, in via di correzione della motivazione, il rilievo si deve fare in questa sede, atteso che esso sorregge il dispositivo della decisione. Ne segue che la problematica proposta dal motivo su cui sarebbe stata omessa la pronuncia resta irrilevante, sicche’ il motivo – pur riqualificato – resterebbe inammissibile ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2.
2. Con il secondo motivo si denuncia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in via subordinata rispetto al primo motivo e questa volta con riferimento alle due cartelle per cui l’opposizione e’ stata rigettata – la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60 e dell’articolo 12 preleggi poiche’ la sentenza di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto di doversi riferire ad una ipotesi di “irreperibilita’ assoluta” della parte cui e’ stata indirizzata la notifica delle cartelle esattoriali, assumendo come adempiute dall’ufficiale giudiziario le modalita’ di notificazione dell’atto di accertamento previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, comma 1, lettera e), anziche’ ad una ipotesi di irreperibilita’ temporanea che prevedrebbe la notifica secondo le modalita’ di cui all’articolo 140 c.p.c., non effettuate secondo le modalita’ ivi previste. In tesi, il Tribunale avrebbe dato erroneamente rilievo alle risultanze anagrafiche, intendendo l’espressione “domicilio fiscale” come equivalente a “residenza anagrafica” che, nel caso in esame, avrebbe dovuto ritenersi mutata in quanto, nella versione applicabile ratione temporis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60, per la variazione anagrafica era sufficiente il semplice decorso di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, e non anche l’espressa comunicazione della variazione all’Ufficio tributario.
2.1. Il motivo – la’ dove fa valere sempre una nullita’ delle notificazioni delle due cartelle – e’ privo di fondamento, sebbene per una ragione che implica correzione della motivazione della sentenza impugnata con rilievo di un profilo preliminare rispetto a quello – del quale dunque non occorre esaminare l’esattezza – ritenuto dal Tribunale. Anche in tal caso il Tribunale avrebbe dovuto dire inammissibile la deduzione della nullita’ della notificazione delle due cartelle sotto il profilo proposto dal motivo, perche’ essa in ogni caso risultava fatta valere non solo con il rimedio sbagliato dell’opposizione ai sensi dell’articolo 615, ma, comunque, tardivamente, in quanto il rimedio giusto, cioe’ l’opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c., si sarebbe dovuto esperire nel termine di venti giorni dalla conoscenza di fatto rilevante indicata poco sopra a proposito del primo motivo.
3. Con il terzo motivo, che si dice proposto nel presupposto della nullita’ della notificazione delle cartelle siccome articolata nei primi due motivi – si denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 204-bis C.d.S. (nel testo ratione temporis vigente), nonche’ dell’articolo 156 c.p.c. poiche’ il procedimento, anche se dallo stesso qualificato opposizione all’esecuzione ex articolo 615 c.p.c., avrebbe potuto valere anche quale giudizio di opposizione ai verbali di accertamento di infrazione alle norme dello stesso C.d.S., ai sensi dell’articolo 204-bis C.d.S.. Difatti, il termine di impugnazione dei verbali previsto dall’articolo 204-bis C.d.S. – nel testo ratione temporis vigente (ossia, quello anteriore alla modifica intervenuta con il Decreto Legislativo n. 150 del 2011) – era di 60 giorni che, in tesi, non sarebbero ancora decorsi al momento della notificazione dell’atto di citazione, avvenuta in data 21/12/2012. Atteso il rispetto del termine di cui sopra, dunque, l’atto di citazione si sarebbe convertito in ricorso ex articolo 204-bis C.d.S., in applicazione del cd. “principio della conservazione degli atti nulli che abbiano raggiunto lo scopo” ai sensi dell’articolo 156 c.p.c.. Tanto premesso, dunque, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere tardiva l’impugnazione dei verbali sottesi alle cartelle opposte (anche) per essere stati impugnati con citazione ex articolo 615 c.p.c., comma 1, anziche’ con ricorso ex articolo 204-bis C.d.S..
3.1. Il terzo motivo – dato che si prospetta nel presupposto della nullita’ della notificazione delle cartelle di cui ai precedenti motivi -, vista e considerata l’inammissibilita’ (e la gradata, sebbene superfluamente rilevata) infondatezza dei primi due motivi resterebbe per cio’ solo assorbito. Comunque, anche a voler ritenere, in ipotesi denegata, che il Tribunale, nel presupposto della nullita’ delle notifiche delle cartelle (come si e’ detto non scrutinabile), avrebbe dovuto riqualificare l’opposizione ai sensi dell’articolo 204-bis del C.d.S., resterebbe misterioso l’assunto che il termine di sessanta giorni sarebbe stato rispettato. Non solo non si spiega il perche’, ma ogni spiegazione risulta impossibile, atteso che il termine per l’opposizione a ciascuna delle sanzioni amministrative decorreva dal momento della comunicazione dell’iscrizione di ipoteca, avvenuto il 28 settembre 2012, nel mentre la citazione introduttiva del giudizio venne notificata il 21 dicembre successivo.
4. Con il quarto motivo si denuncia – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 201 C.d.S., comma 3, in relazione agli articoli 140 e 143 c.p.c. per avere la sentenza ritenuto valide le notifiche dei verbali di accertamento di violazioni al C.d.S. poste alla base delle cartelle di pagamento opposte, effettuate secondo le modalita’ di cui all’articolo 143 c.p.c., anziche’ ai sensi dell’articolo 140 c.p.c.. Di contro, si adduce che – per giurisprudenza costante di questa Corte – per i predetti verbali non sarebbe consentita la notifica ai sensi dell’articolo 143 c.p.c., essendo tale possibilita’ esclusa dall’articolo 201 C.d.S., comma 3.
4.1. Il quarto motivo non solo critica una motivazione che non e’ quella decisiva, giacche’ essa e’ svolta dalla decisione impugnata nella lettera D del punto 3 in fine, ma comunque, nuovamente, proprio in ragione di quanto osservato dal Tribunale, omette di considerare che la questione proposta, se fosse stata esaminabile, sarebbe risultata priva di rilevanza, atteso che comunque l’ipotetica nullita’ avrebbe dovuto dedursi con una opposizione tempestiva, il che – pur nell’ipotetica riqualificazione dell’opposizione come opposizione recuperatoria a sanzione amministrativa – non e’ stato, giusta quanto poco sopra osservato.
5. Con il quinto ed ultimo motivo si lamenta – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, articolo 3, comma 4, nonche’ degli articoli 157 e 320 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto inammissibile – in quanto costituente motivo di impugnazione nuovo l’eccezione di nullita’ del preavviso di iscrizione ipotecaria per mancata indicazione del termine entro cui proporre opposizione, nonche’ dell’Autorita’ competente, sollevata per la prima volta ai sensi dell’articolo 320 c.p.c., comma 4. Rileverebbe che, per converso, secondo la giurisprudenza di legittimita’ dinanzi al giudice di pace e’ possibile integrare i fatti gia’ dedotti ed allegare fatti nuovi entro i limiti temporali previsti dall’articolo 320 c.p.c., con la conseguenza che l’atto di citazione deve ritenersi nullo solo nel caso in cui per la mancata o incompleta esposizione dei fatti non e’ possibile l’instaurazione del contraddittorio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9025 del 30/4/2005).
5.1. Il motivo – al di la’ del fatto che il rimedio esperito, avente natura oppositiva, esigeva che le ragioni di opposizione all’esecuzione fossero introdotte come fatti individuatori della domanda fino dalla citazione ed al di la’ dell’ulteriore rilievo che il profilo denunciato nemmeno ineriva ad una contestazione del diritto di procedere all’esecuzione e neppure ad un profilo ai sensi dell’articolo 617 c.p.c. (per il quale sarebbe valsa la rilevata tardivita’), bensi’ ad una vera e propria diversa domanda di accertamento negativo, inerente l’inesistenza del diritto di iscrivere ipoteca (non dedotta con la citazione introduttiva, nella quale, come emerge dall’atto presente nel fascicolo del ricorrente, si era dedotta solo la richiesta di cancellazione dell’ipoteca in via consequenziale alle ragioni di (pretesa) opposizione all’esecuzione – e’ inammissibile in quanto non si correla alla motivazione della sentenza impugnata. Essa ha, infatti, osservato che il G.d.P. aveva concesso termine per memoria per prendere posizione sulle eccezioni preliminari sollevate dai resistenti e che essa era stata depositata il 13 febbraio 2014 con cui il Giudice di Pace aveva autorizzato il ricorrente ed opponente solo a prendere posizione sulle eccezioni preliminari sollevate dai convenuti ed ha, quindi, rilevato che la deduzione integrava invece un motivo di impugnazione nuovo. Rispetto a tale motivazione il motivo evoca un precedente inconferente, che afferisce all’ipotesi in cui una domanda introdotta davanti al giudice di pace in modo non sufficientemente determinato venga integrata in prima udienza. Nel caso di specie la supposta (ed invero negata) integrazione sarebbe avvenuta addirittura con una memoria, autorizzata peraltro con precisi limiti dal G.d.P.
6. Conclusivamente il ricorso e’ rigettato.
7. Le spese del giudizio, stante la novita’ della questione esaminata in relazione al Decreto Legge n. 119 del 2018, articolo 4, si possono compensare.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello in ipotesi dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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