Ai fini della legittimità del diniego di prosecuzione alla coltivazione della cava

Consiglio di Stato, Sentenza|31 dicembre 2020| n. 8548.

Ai fini della legittimità del diniego di prosecuzione alla coltivazione della cava, è sufficiente una difformità tra le particelle originariamente denunciate e quelle riportate nella successiva richiesta di autorizzazione in prosecuzione, senza che ciò debba necessariamente integrare una fattispecie penalmente rilevante, stante l’autonomia tra il giudizio penale e il procedimento e il giudizio amministrativo.

Sentenza|31 dicembre 2020| n. 8548

Data udienza 7 luglio 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Cave di inerti – Gestione – Coltivazione – Istanza di prosecuzione – Difformità tra le particelle originariamente denunciate e quelle riportate nella successiva richiesta di autorizzazione – Diniego – Presupposti di legittimità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3384 del 2012, proposto dalla -OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati De. Fe. e Gi. Ri., con domicilio eletto presso lo studio di costoro in Roma, viale (…),
contro
– la -OMISSIS-, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Li. Bu., con domicilio eletto presso l’ufficio di rappresentanza regionale in Roma, via (…);
– il Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque nella -OMISSIS-, in persona del Commissario pro tempore, non costituito in giudizio;
nei confronti
-OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Sp., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ta. Ta. in Roma, via (…),
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale-OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della -OMISSIS- e -OMISSIS-difesa del suolo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il consigliere Francesco Frigida nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020, svoltasi con modalità telematica, e dati per presenti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, gli avvocati De. Fe. e Li. Bu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellante per alcuni decenni ha gestito una cava di inerti ubicata nel territorio del -OMISSIS-su un’area sottoposta a vincolo idrogeologico.
La predetta cava ha formato oggetto di domanda di prosecuzione dell’attività in base all’art. 36 della legge regionale -OMISSIS-n. 54/1985 e tuttavia essa è rimasta chiusa per alcuni anni.
Dopo l’adozione di vari provvedimenti di sospensione dell’attività, poi revocati, la -OMISSIS-, con il decreto n. 1389 del 17 luglio 2002, ha autorizzato l’odierna appellante a proseguire l’attività, che è proseguita fino al dicembre 2004, quando è stato emesso, da parte dell’Autorità giudiziaria, un provvedimento di sequestro dell’area della cava nell’ambito di una più ampia indagine riguardante le attività estrattive nell’intero territorio casertano.
Successivamente la -OMISSIS-, Settore provinciale del Genio civile di -OMISSIS- ha acquisito gli atti dell’indagine e, con nota prot. n. 2005.0021567 dell’11 gennaio 2005, ha comunicato all’interessata l’avvio del procedimento di annullamento del su menzionato decreto dirigenziale n. 1389 del 17 luglio 2002, per le seguenti ragioni di illegittimità : “1 – l’ammissibilità parziale delle particelle indicate nel provvedimento all’applicazione della norma transitoria ex art. 36 L.R. 54/85; 2 – il contrasto con quanto disposto dall’art. 5 della L.R. 54/85 e s.m. e i. circa la definizione dell’area di cava; 3 – la mancata correlazione del provvedimento di autorizzazione n. 1389/2002 rispetto sia a precedenti provvedimenti assunti dal Settore e sia a provvedimenti di organi giurisdizionali; 4 – il contrasto tra la progettazione allegata all’istanza ex art. 36 e quello successivamente autorizzato con decreto 1389/2002”.
La parte privata ha poi presentato all’Amministrazione procedente una memoria difensiva.
In seguito, mediante il decreto n. 25 del 17 maggio 2005, la -OMISSIS-, Settore provinciale del Genio civile di -OMISSIS- ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione n. 1389 del 17 luglio 2002, per le stesse illegittimità già denunciate nella comunicazione di avvio del procedimento, con contestuale rigetto dell’istanza a suo tempo avanzata ai sensi dell’art. 36 della legge regionale -OMISSIS-n. 54/1985.
2. Avverso siffatto provvedimento, la società odierna appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per-OMISSIS-.
2.1. La -OMISSIS-, il Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque nella -OMISSIS- e -OMISSIS-per la difesa del suolo si sono costituiti in tale giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
3. Con il successivo ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, proposto dinanzi al T.a.r. per-OMISSIS-, l’odierna appellante ha impugnato il decreto dirigenziale della -OMISSIS-, Settore provinciale del Genio civile di -OMISSIS- n. 15 del 23 gennaio 2007 – con cui è stata rigettata l’istanza di approvazione del progetto di dismissione dell’attività di cava presentata dall’interessata in data 17 ottobre 2006, ai sensi dell’art. 28 delle Norme tecniche di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive (P.R.A.E.) – e la relativa nota di comunicazione prot. n. 2007.0072442.
3.1. La -OMISSIS- si è costituita in questo giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
3.2. Con sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. per-OMISSIS-, sezione terza, ha respinto il ricorso n. -OMISSIS-.
3.3. Con decisione n. -OMISSIS-, il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha accolto l’appello proposto dalla società interessata e ha annullato, con rinvio al collegio di primo grado, la suddetta sentenza, per difetto procedurale inerente alla mancata prova della comunicazione alla ricorrente, da parte della segreteria del T.a.r., dell’avviso di fissazione dell’udienza pubblica.
3.4. La società odierna appellante ha provveduto a riassumere ritualmente il giudizio dinanzi al T.a.r. e la -OMISSIS- si è costituita nuovamente in giudizio.
4. Con ordinanza n. -OMISSIS-, il T.a.r. per-OMISSIS-, sezione quarta, ha riunito il ricorso n. -OMISSIS- a quello n. -OMISSIS- e contestualmente ha disposto l’acquisizione di documentazione, poi depositata in giudizio dalla -OMISSIS- in data 7 febbraio 2011.
4.1. Successivamente l’odierna appellante, essendo venuta a conoscenza in altro processo di atti riguardanti una vicina cava di un’altra impresa, ha ritualmente proposto motivi aggiunti nel ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, formulando l’ulteriore censura di eccesso di potere per disparità di trattamento in relazione ai diversi provvedimenti adottati dall’Amministrazione regionale nei confronti di quest’altra impresa.
5. Con l’impugnata sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. per-OMISSIS-, sezione quarta, ha respinto ambedue i ricorsi e ha condannato la ricorrente al pagamento, in favore della -OMISSIS-, di euro 2.000 e, in favore dell’-OMISSIS-, di euro 1.000.
6. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 20 aprile 2012 e in data 8 maggio 2012 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando quattro motivi inerenti al ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, un motivo inerente ai motivi aggiunti al predetto ricorso e un motivo inerente al ricorso n. -OMISSIS-.
7. La -OMISSIS- e -OMISSIS-per la difesa del suolo si sono costituite in giudizio, resistendo all’appello, mentre il Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque nella -OMISSIS-, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.
8. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 7 luglio 2020.
9. Preliminarmente va accolta l’istanza di estromissione dal giudizio -OMISSIS-per la difesa del suolo per difetto di legittimazione passiva, atteso che gli atti impugnati in primo grado sono tutti della -OMISSIS-, sicché la suddetta Agenzia non riveste la qualità di Amministrazione resistente, né tanto meno di controinteressata.
Al riguardo va peraltro sottolineato che, contrariamente a quanto si assume all’inizio della memoria di costituzione dell’-OMISSIS-, non si è formato alcun giudicato (asseritamente ad essa favorevole) sulla questione della sua legittimazione, poiché il T.a.r. ha dichiaratamente omesso di esaminare la relativa eccezione, ritenendo di esaminare direttamente il merito del ricorso, stante la sua ritenuta infondatezza nel merito.
10. Tanto premesso, l’appello è solo parzialmente fondato e deve essere accolto in parte alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
11. Vanno prioritariamente analizzate le doglianze attinenti al ricorso di grado n. -OMISSIS-.
Per esigenze logiche tali motivi d’appello vanno vagliati nel seguente ordine: primo, terzo, quarto e secondo.
11.1. Con il primo motivo, l’appellante ha lamentato la violazione degli articoli 21-octies e 21-novies della legge n. 241/1990 (introdotti con la legge 11 febbraio 2005, n. 15, pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana il 21 febbraio 2005 e in vigore dall’8 marzo 2015, e, pertanto, vigenti al momento dell’emanazione del decreto dirigenziale n. 25 del 17 maggio 2005), per asserita mancanza di un interesse pubblico all’esercizio dell’autotutela a fronte di un suo interesse alla prosecuzione all’ultimazione del progetto.
Siffatta doglianza è infondata. Ed invero, come correttamente statuito dal T.a.r., dalla motivazione del provvedimento amministrativo contestato – che non è generica, né stereotipata – emerge che l’Amministrazione ha effettuato una comparazione degli opposti interessi ed ha considerato prevalente quello pubblico alla rimozione del precedente provvedimento illegittimo, che comprimeva notevoli valori paesistici ed ambientali, essendo volto a determinare esternalità negative – tra cui rumori, polveri e alterazione del suolo, della stabilità dei versanti e della circolazione delle acque – nonché ad alterare la morfologia del territorio con inevitabili ripercussioni sugli equilibri naturali della zona.
Pertanto, alla luce dell’indubbio valore paesaggistico dell’area interessata (e non rilevando che i pareri della competente Soprintendenza fossero molto risalenti nel tempo), vi era un interesse pubblico all’annullamento del precedente provvedimento autorizzatorio.
È altresì evidente che dinanzi a una primaria esigenza della tutela del territorio e dell’ambiente e, in ultima analisi, della salute pubblica, l’interesse imprenditoriale del privato sia recessivo, non avendo rilievo neanche il fattore temporale, tenuto conto che, all’epoca dell’emanazione del decreto n. 25 del 17 maggio 2005 di annullamento dell’autorizzazione n. 1389 del 17 luglio 2002, il citato art. 21-novies (introdotto poco prima) poneva come limite cronologico all’esercizio dell’autotutela la ragionevolezza del termine e non il limite di diciotto mesi attualmente vigente (introdotto dall’art. 6 della legge n. 124/2015).
11.2. Tramite il terzo composito motivo, l’appellante ha sostenuto, in sostanza, la legittimità del decreto autorizzatorio n. 1389 del 17 luglio 2002, ritenuto, per contro, illegittimo dall’Amministrazione, che lo ha annullato in autotutela, e dal collegio di primo grado.
In particolare, l’interessata ha dedotto l’illegittimità del decreto di annullamento in autotutela n. 25 del 17 maggio 2005, ai sensi dell’art. 36 della legge regionale -OMISSIS-n. 54/1985, a causa della mancata distinta indicazione delle particelle interessate.
Questa censura è infondata, poiché la cava era già autorizzata nel regime previgente, quando tale specifica indicazione non era richiesta (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, decisioni 25 marzo 2009, n. 1780, 23 ottobre 2001, n. 5571, 22 giugno 1999, n. 839, 16 settembre 1998, n. 1250, e 19 maggio 1994, n. 810).
Si rileva inoltre che, ai fini della legittimità del diniego di prosecuzione alla coltivazione della cava, è sufficiente una difformità tra le particelle originariamente denunciate e quelle riportate nella successiva richiesta di autorizzazione in prosecuzione, senza che ciò debba necessariamente integrare una fattispecie penalmente rilevante, stante l’autonomia tra il giudizio penale e il procedimento e il giudizio amministrativo (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 5 aprile 2019, n. 2257, e 23 novembre 2017, n. 5473; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30 giugno 2017, n. 3223), sicché, indipendentemente dagli esiti del procedimento penale (conclusosi favorevolmente per i responsabili della società odierna appellante), l’oggettiva constatazione della difformità tra le particelle oggetto delle iniziali denunce di esercizio e quelle indicate nell’istanza ex art. 36 della legge regionale -OMISSIS-n. 84/1985 non consentiva la prosecuzione dell’attività estrattiva, se non sulle particelle originariamente denunciate.
Il decreto di autorizzazione annullato in autotutela era altresì illegittimo in quanto, mediante le indagini giudiziaria ed amministrativa, si era riscontrato che il progetto di scavo autorizzato era difforme dal progetto allegato all’istanza e che lo stato dei luoghi, a seguito della coltivazione della cava, era stato trasformato in modo differente rispetto al progetto allegato alla domanda di prosecuzione, come da relazione stilata, all’esito di sopralluogo, da una Commissione di indagine amministrativa, la quale aveva peraltro individuato una serie atti amministrativi e giurisdizionali di sospensione o limitazione dell’attività estrattiva, precedenti al decreto autorizzatorio n. 1389 del 17 luglio 2002.
11.3. Va respinto il quarto motivo d’impugnazione, con cui l’appellante ha lamentato la violazione del principio del contrarius actus. In proposito si osserva, da un lato, che siffatto principio non postula la necessaria ripetizione, in sede di procedimento di secondo grado, di tutti i passaggi endoprocedimentali seguiti in quello di primo grado e, dall’altro, che non determina una mutazione del procedimento in autotutela la circostanza che nel caso di specie questo sia originato dalle risultanze della Commissione di indagine amministrativa.
11.4. Le suesposte argomentazioni sono sufficienti a superare i vizi procedimentali e partecipativi, lamentati con secondo motivo d’impugnazione, tramite l’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, per cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 12 agosto 2019, n. 5669; Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 22 marzo 2017, n. 1310; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 14 dicembre 2016, n. 5262); tale disposizione costituisce applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, già enunciato dall’art. 156, comma 3, del codice di procedura civile (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 28 gennaio 2016, n. 283).
Orbene, nella fattispecie de qua, attraverso la comunicazione di avvio del procedimento diretto all’annullamento del decreto dirigenziale n. 1389 del 17 luglio 2002, l’Amministrazione ha informato la società interessata delle proprie intenzioni e delle circostanze di fatto e delle ragioni giuridiche a queste sottese, compreso anche il richiamo – non generico – agli atti della Commissione di indagine amministrativa e alle perizie eseguite nell’ambito del procedimento penale.
Inoltre la circostanza che questi atti, stante la loro natura riservata, non siano stati messi immediatamente a disposizione della società odierna appellante (che ne aveva fatto richiesta) non impinge sulla legittimità del provvedimento finale, in quanto l’interessata ha avuto, in ogni caso, contezza del loro contenuto sostanziale, tantoché la stessa ha poi inoltrato all’Amministrazione procedente una specifica memoria con controdeduzioni su tutti punti contestati.
Il fatto che l’Amministrazione nel decreto dirigenziale n. 25 del 17 maggio 2005 non abbia svolto deduzioni sulla memoria depositata dall’interessata il 2 marzo 2005 non inficia la legittimità del provvedimento amministrativo. Non sussiste, infatti, alcun obbligo della pubblica Amministrazione di procedere ad un formale ed analitico riscontro di una memoria procedimentale, soprattutto in presenza di dirimenti e concludenti ragioni – debitamente preannunciate – che sottendono all’emanazione di un provvedimento vincolato, che non avrebbe potuto avere un contenuto dispositivo diverso da quello in concreto adottato, con la conseguenza che nel caso de quo, la censurata omissione è superata, per quanto precisato nei punti precedenti, dall’incontrovertibile legittimità sostanziale del provvedimento finale.
Per la medesima ragione sono comunque irrilevanti le circostanze dell’asserita eccessiva brevità del termine di partecipazione procedimentale di trenta giorni concesso dall’Amministrazione (che è stato considerato congruo dal T.a.r. e lo è anche per il Collegio) e della mancata concessione della proroga di tale termine per la redazione di memorie scritte (che peraltro, come affermato dal T.a.r., appare pienamente giustificata, non avendo depositato il tecnico richiedente alcuna delega da parte dell’interessata in suo favore).
L’appellante inoltre ha contestato l’affermazione del collegio di primo grado per cui “il procedimento non può ritenersi viziato per la mancata comunicazione di cui all’art. 10/bis della legge n. 241/1990 […], in quanto – in realtà – non si è affatto verificata una tale omissione, dal momento che la comunicazione eseguita dall’amministrazione con la nota prot. n. 2005.0021567 dell’11 gennaio 2005 – come risulta per tabulas – ha la duplice valenza di comunicazione di avvio ex art. 7 L. n. 241/1990 (in relazione al procedimento diretto all’annullamento del decreto dirigenziale n. 1389 del 17/7/02) e di comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10/bis (in relazione all’istanza a suo tempo avanzata ai sensi della norma di cui all’art. 36 L.R. n. 54/85)” e, pertanto, ha reiterato la censura di violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
Sul punto si rileva che, come sostenuto dall’appellante, la comunicazione di avvio del procedimento e preavviso di rigetto non posso essere contenute nello stesso provvedimento, stante la diversità delle rispettive funzioni.
Ciononostante, l’omissione del preavviso di rigetto nel procedimento che ha condotto all’emanazione del decreto dirigenziale n. 25 del 17 maggio 2005 non impinge sulla legittimità del predetto decreto, non assumendo in concreto efficacia invalidante. In proposito va sottolineato che, ai sensi del già citato art. 21-octies, comma 2, della legge n. 214/1990 (nel testo vigente ratione temporis), il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, infatti, la disposizione appena richiamata mira a garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sezione giurisdizionale, sentenza 27 ottobre 2020, n. 996), cosicché nel caso di specie, l’omissione de qua è superata, per quanto specificato nei punti precedenti, dall’incontrovertibile legittimità sostanziale del provvedimento finale.
12. È infondato l’unico motivo di gravame attinente ai motivi aggiunti al ricorso di primo grado n. -OMISSIS- e con cui l’appellante ha sostenuto un travisamento dei fatti e una disparità di trattamento rispetto ad altra impresa gestente una cava contigua, con conseguente asserita violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
In particolare, l’interessata ha censurato il fatto che l’Amministrazione non abbia attivato l’autotutela nei confronti dell’altra impresa, pur essendosi, a suo dire, verificate plurime violazioni del regime transitorio.
Al riguardo si evidenzia che le due fattispecie non sono perfettamente sovrapponibili e che comunque la Regione ha poi disposto la delocalizzazione della cava e del cementificio dell’impresa concorrente in base alle disposizioni di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive. In ogni caso – e con valore assorbente – si evidenzia che le illegittimità eventualmente verificatesi in altri procedimenti amministrativi non possono essere considerate quali parametri di valutazione dell’eccesso di potere, che non può essere utilmente dedotto quando, come nella presente fattispecie, viene rivendicata l’applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell’operato dell’Amministrazione non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 30 dicembre 2019, n. 8893; Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 23 dicembre 2019, n. 8718; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 21 ottobre 2019, n. 7147; Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 4 dicembre 2018, n. 6873).
13. È fondato e va accolto l’unico motivo d’impugnazione riguardante il ricorso di primo grado n. -OMISSIS- e con cui l’appellante ha lamentato la violazione degli articoli 3 e 28 delle Norme tecniche di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive (P.R.A.E.), nonché dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
Sul punto si osserva che la -OMISSIS- ha approvato il P.R.A.E. nel giugno 2006 e, quindi, dopo il decreto n. 25 del 17 maggio 2005, con cui la medesima Regione ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione n. 1389 del 17 luglio 2002; tuttavia l’Amministrazione nel P.R.A.E. ha inserito la cava dell’odierna appellante, in modo specifico con precisi riferimenti catastali e cartografici, tra quelle attive in zona altamente critica (Z.A.C.), assoggettandola alla relativa disciplina e ha precisato, all’art. 3, comma 2, delle Norme tecniche di attuazione del predetto P.R.A.E., che le disposizioni di tale Piano si applicano anche alle cave il cui titolo autorizzatorio sia stato ritirato in sede di autotutela.
Ciononostante, la -OMISSIS-, tramite il decreto dirigenziale del Settore provinciale del Genio civile di Caserta n. 15 del 23 gennaio 2007, ha affermato che l’intervenuto ritiro del titolo estrattivo avrebbe impedito alla società interessata di avvalersi della disciplina del P.R.A.E..
Il T.a.r. ha rigettato il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, reputando, in sostanza, che l’art. 28 delle succitate Norme tecniche di attuazione, prevedendo la presentazione di un progetto di dismissione delle attività in essere in zona altamente critica, si applicherebbe alle sole cave munite di titolo autorizzatorio e in attività, e pertanto, dismettibili.
Ciò posto, si rileva che la -OMISSIS- e il T.a.r. hanno effettuato una vera e propria disapplicazione del combinato disposto di cui agli articoli 3, comma 2, e 28 delle Norme tecniche di attuazione del Piano regionale delle attività estrattive, laddove hanno ritenuto che l’intervenuto annullamento dell’autorizzazione alla cava fosse preclusivo all’accoglimento dell’istanza del 17 ottobre 2006 relativa al progetto di dismissione della stessa.
Ne discende che, a differenza di quanto affermato dal collegio di primo grado, sono illegittimi il decreto dirigenziale della -OMISSIS-, Settore provinciale del Genio civile di -OMISSIS- n. 15 del 23 gennaio 2007 e la relativa nota di comunicazione prot. n. 2007.0072442; restano tuttavia salve le ulteriori valutazioni e determinazioni dell’Amministrazione in ordine alla domanda di approvazione del progetto di dismissione della cava, presentata dall’odierna appellante.
14. In conclusione l’appello va parzialmente accolto, limitatamente alla parte inerente al ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, con conseguente parziale riforma della sentenza impugnata e annullamento del decreto dirigenziale della -OMISSIS-, Settore provinciale del Genio civile di -OMISSIS- n. 15 del 23 gennaio 2007, nonché della relativa nota di comunicazione prot. n. 2007.0072442, con salvezza delle ulteriori future determinazioni dell’Amministrazione; l’appello va respinto per il resto.
15. La soccombenza reciproca e la particolarità della vicenda giustificano la compensazione tra le parti delle spese di lite di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3384 del 2012, come in epigrafe proposto:
a) estromette dal giudizio -OMISSIS-per la difesa del suolo;
b) lo accoglie parzialmente limitatamente alla parte inerente al ricorso di primo grado n. -OMISSIS- e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il predetto ricorso di primo grado e conseguentemente annulla il decreto dirigenziale della -OMISSIS-, Settore provinciale del Genio civile di -OMISSIS- n. 15 del 23 gennaio 2007 e la relativa nota di comunicazione prot. n. 2007.0072442, facendo salve le ulteriori future determinazioni dell’Amministrazione in ordine all’istanza di approvazione del progetto di dismissione della cava, presentata dall’odierna appellante;
c) lo respinge per il resto;
d) compensa tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento U.E. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso dalla seconda sezione del Consiglio di Stato, con sede in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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