Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 giugno 2021| n. 23031.

Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”, costitutivo dell’attenuante della provocazione, è necessario che esso rivesta carattere di ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale. (Fattispecie in tema di lesioni volontarie, in cui la Corte ha escluso che l’aver l’imputato visto la sua ex compagna ballare con la vittima possa potesse integrare gli estremi della provocazione).

Sentenza|10 giugno 2021| n. 23031. Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”

Data udienza 3 marzo 2021

Integrale

Tag – parola: Lesioni volontarie – Ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna – Inammissibile rivalutazione fatti e prove – Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui” – Esclusa attenuante della provocazione – Infedeltà del coniuge non configurabile come fatto ingiusto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/05/2019 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Grazia Miccoli;
letta la requisitoria del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore Luigi Birritteri, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
lette le conclusioni scritte dell’avv. (OMISSIS), difensore del ricorrente, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”

RITENUTO UN FATTO

1. Con sentenza del 27 maggio 2019, la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale (OMISSIS) era stato dichiarato colpevole del reato di lesioni volontarie.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dal suo difensore avv. (OMISSIS) e articolato in cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione alla prova dichiarativa.
Le dichiarazioni della persona offesa sarebbero inattendibili e non riscontrate, se non da testimonianze rese da soggetti chiaramente interessati.
2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione alla sussistenza della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 2.
Deduce il ricorrente che tutta la condotta risulta strettamente connessa al fatto di aver visto la sua ex compagna, con la quale aveva avuto un rapporto conflittuale durato decenni e dal quale era nata anche una figlia, ballare in maniera sprezzante per l’intera serata con la persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo denunzia violazione dell’articolo 495 c.p.p., per l’omesso esame di un teste inserito nella lista del Pubblico Ministero.
2.4. Con il quarto motivo denunzia violazione dell’articolo 507 c.p.p., per il rigetto della richiesta di esame di un teste indicato dalla difesa come decisivo.
2.5. Con il quinto ed ultimo motivo denunzia vizi motivazionali in relazione al diniego di applicazione della causa di non punibilita’ ex articolo 131 bis c.p..

 

Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.
1. Il primo motivo e’ finalizzato a una rivalutazione dei fatti e delle prove, non consentita nel giudizio di legittimita’.
1.1. La difesa ha assunto di contestare un non consentito cd. “ragionamento circolare”, ricorrente allorquando l’oggetto da provare venga trasformato in criterio di inferenza: non e’ possibile da un indizio sicuro in fatto (le lesioni), ma equivoco nell’interpretazione, concludere per la certezza dell’evento (la colpevolezza del (OMISSIS)) che, invece, rappresenta il tema probatorio. Sostiene, quindi, che, se e’ certo che la persona offesa presentasse le lesioni conseguenti ad un’aggressione fisica, cio’ non e’ sufficiente a confortare la tesi che fosse stato il (OMISSIS) a provocarle, trattandosi di lesioni passibili di lettura ambivalente atteso che avrebbero potuto essere del pari ascritti ad altro evento traumatico, quale la colluttazione intervenuta quella sera con l’imputato, della quale non e’ dato comprendere pero’ le esatte modalita’ e l’esatta dinamica (si veda in tal senso anche le note conclusive della difesa).
1.2. Sulle analoghe censure proposte con l’atto di appello, la Corte territoriale ha motivato in maniera sufficiente e logica, dando atto delle risultanze probatorie (dichiarazioni dei testi e certificato medico) e confutando le deduzioni difensive sull’attendibilita’ della persona offesa e delle altre due testi esaminate in dibattimento (pag. 3 della sentenza impugnata).
La Corte territoriale ha sottolineato la linearita’ e coerenza delle dichiarazioni della persona offesa, non costituita parte civile, riscontrate anche dal certificato medico attestanti le lesioni riportate.

 

Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”

2. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso.
2.1. Il ricorrente ha invocato l’applicazione dell’attenuante della provocazione.
Sul punto nella sentenza impugnata si legge quanto segue: “Appare francamente impraticabile la prospettazione difensiva secondo la quale l’imputato, che quella sera si trovava in compagnia di un’altra donna, possa aver agito in stato d’ira per il fatto stesso di avere visto la propria ex compagna ballare con un altro uomo, ignaro, che, peraltro, si trovava insieme alla propria moglie, facendolo oggetto di una proditoria aggressione e cagionandogli lesioni cosi’ gravi (la frattura delle ossa proprie del naso). La sproporzione e’ tale da escludere la ricorrenza dell’attenuante invocata”.
2.1. Si tratta di motivazione non manifestamente illogica, anche se incentrata sulla mancanza di proporzione tra offesa e reazione, che – come e’ noto- non e’ di per se’ significativa per la configurabilita’ della attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 2, sebbene sia necessario che la risposta sia adeguata alla gravita’ del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, da escludersi in presenza di un’evidente sproporzione (Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, Rv. 271799; in senso conforme n. 7486 del 1984 rv. 165718, n. 701 del 1998 rv. 209402, n. 24693 del 2004 rv. 228861, n. 1214 del 2009 rv. 242622).
Il ricorrente, pero’, con le sue deduzioni ha invocato la sussistenza di “un fatto ingiusto altrui” e, addirittura, della c.d. provocazione per accumulo, sostenendo che lo stato d’ira sarebbe stato determinato dal decennale rapporto conflittuale con la sua ex compagna e dalla circostanza che l’aveva vista ballare “in maniera provocatoria e sprezzante” con la persona offesa.
Il ricorrente, dunque, sostiene che l’attenuante della provocazione sia configurabile in presenza di conflittualita’ in un rapporto sentimentale, peraltro esaurito, e di una reazione dell’agente determinata sostanzialmente da gelosia.
L’assunto e’ manifestamente infondato.
In materia di condotte illecite determinate da sentimenti di odio o gelosia, questa Corte ha avuto modo di affermare che, per esempio, l’infedelta’ del coniuge non puo’ qualificarsi come “fatto ingiusto”, neppure ai fini della configurabilita’ dell’attenuante della provocazione ovvero della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 599 c.p., giacche’ si tratta di “dinamiche squisitamente affettivo-interpersonali caratterizzate da un possibile margine di opinabilita’, che non rispondono a regole (neanche di ordine morale) generalmente riconosciute e sufficientemente stabilizzate e che, pertanto, non possono trovare sbocco in termini di attenuazione della risposta punitiva dello Stato” (cosi’ in motivazione Sez. 5 n. 2725 del 13/12/2019 Rv. 278556, che si e’ pronunziata in un caso di atti persecutori, escludendo la configurabilita’ della circostanza attenuante della provocazione).
Questo Collegio non ignora la diversa prospettiva nella quale in passato si e’ mossa la giurisprudenza. Si e’ infatti affermato che integra il fatto ingiusto, idoneo a configurare l’esimente di cui all’articolo 599 c.p., la condotta di colui che instauri una relazione sentimentale con il coniuge dell’offensore, contrastante con l’obbligo di fedelta’ reciproca dei coniugi stabilito dall’articolo 143 c.c., comma 2, (Sez. 5, n. 31177 del 22/05/2009., Rv. 244493). Cosi’ come si e’ ritenuto, sempre in tema di provocazione, che l’infedelta’ coniugale costituisca “fatto ingiusto” per la morale della famiglia e per la civile convivenza (in tal senso Sez. 1, n. 708 del 04/12/1992, Rv. 192786; Sez. 1, n. 6848 del 12/03/1991, Rv. 187650, in una fattispecie di uxoricidio, nella quale e’ stato valorizzato lo stato d’ira collegabile ad una pluralita’ di fatti, ritenuti “oggettivamente ingiusti perche’ contrari a norme etiche o giuridiche o di costume ovvero alle regole della convivenza sociale generalmente accettate”, in un contesto di ripetute infedelta’ della moglie con altri uomini e di convegni con l’amante anche nella casa coniugale in assenza del marito, culminati nella improvvisa decisione della donna di chiedere la separazione e abbandonare il tetto domestico, portando con se’ il figlio di due anni).
E’ del tutto evidente, pero’, che si tratta di concezione legata a regole della convivenza sociale oramai superate e che, comunque, non possono giustificare in alcuno modo condotte violente e denigratorie che ledano i beni giuridici tutelati da norme come quella di cui all’articolo 582 c.p., rilevante nel caso in esame.
2.2. Conclusivamente, quindi, va ribadito che il “fatto ingiusto altrui” deve essere connotato dal carattere dell’ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarieta’ a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettivita’ in un dato momento storico e non – come avvenuto nella specie – con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilita’ personale (ex plurimis, Sez. 5 n. 55741 del 25/09/2017, Rv. 272044; Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Rv. 258454).
Non puo’, quindi, trovare alcuna giustificazione (neppure quale attenuante della provocazione) una grave condotta come quella dell’aggressione oggetto della vicenda in esame, finalizzata solo a dare sfogo a sentimenti di vendetta, odio e gelosia dell’imputato, determinati dall’aver visto la sua ex compagna ballare con un altro uomo.
3. Manifestamente infondato e’ anche il terzo motivo.
3.1. Il ricorrente si duole del fatto che non sia stato esaminato un teste indicato nella lista del Pubblico Ministero, sebbene non vi sia stata una ordinanza di revoca di quella con la quale era stato ammesso e deducendo la decisivita’ della prova al fine di ricostruire i fatti. Sostiene, altresi’, che erroneamente la Corte d’Appello di Messina ha valorizzato la non opposizione della difesa dell’imputato a seguito della chiusura del dibattimento, in quanto l’eccezione e’ stata tempestivamente proposta con specifico motivo d’appello, risultando inapplicabile l’articolo 182 c.p.p., proprio per l’assenza di un provvedimento formale di revoca, come tale non eccepibile “immediatamente dopo” e, comunque, prima della decisione del giudizio.
3.2. Le suindicate deduzioni difensive sono manifestamente infondate.
Il giudice che, senza aver assunto le testimonianze ammesse, invita le parti alla discussione, esercita implicitamente il potere di revoca dell’ammissione della prova e non ha un obbligo di motivazione esplicita in sentenza dei motivi della revoca se, dal contesto delle argomentazioni, e’ possibile evincere che le ragioni del convincimento prescindono dalle prove ammesse e non assunte. D’altronde, la revoca implicita non integra la violazione del dovere di sentire le parti, ex articolo 495 c.p.p., comma 4, in quanto l’invito a formulare le conclusioni costituisce una modalita’ scelta del giudice per provocare il contraddittorio in ordine allo sviluppo dell’istruttoria dibattimentale (si veda in tal senso Sez. 5, n. 9687 del 02/12/2014, Rv. 263184) ed eventuali nullita’ concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove devono essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 3, n. 29649 del 27/03/2018, Rv. 273590).

 

Ai fini della integrazione del “fatto ingiusto altrui”

Conclusivamente va dunque ribadito che, qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell’istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata, con l’acquiescenza delle parti medesime (Sez. 5, n. 7108 del 14/12/2015, Rv. 266076; in senso conforme n. 35986 del 2008 rv. 241584, n. 35986 del 2008 rv. 241584, n. 19262 del 2012 rv. 252523).
4. Inammissibile e’ anche il quinto motivo, perche’ manifestamente infondato e pedissequamente reiterativo di censure proposte con l’atto di appello.
La Corte territoriale sul punto ha reso sufficiente e non manifestamente illogica motivazione, affermando che l’esame del teste indicato dalla difesa non era assolutamente necessario ai fini del decidere e che, d’altra parte, “essendo evidentemente noto a (OMISSIS) il nominativo della compagna dell’epoca, ove avesse inteso chiedere il suo esame lo avrebbe dovuto fare nelle formule di rito e non aspettare che il nome di costei venisse fatto dagli altri testi indicati nella lista, nel corso dell’istruttoria dibattimentale” (pag. 4 della sentenza impugnata).
Ne’ va trascurato che il mancato esercizio del potere ex articolo 507 c.p.p., da parte del giudice del dibattimento non richiede un’espressa motivazione, quando dall’effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluita’ di un’eventuale integrazione istruttoria (Sez. 1, n. 2156 del 30/09/2020, Rv. 280301; in senso conforme: n. 24430 del 2010 rv. 247366, n. 7948 del 2014 rv. 259272).
5. Pedissequamente reiterativo di censura proposta con l’atto di appello e’ pure il quinto motivo, relativo al diniego della causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131 bis c.p..
La Corte territoriale ha affermato che la gravita’ della condotta e delle lesioni riportate dalla persona offesa sono tali da escludere che il fatto possa inquadrarsi nella suddetta causa di non punibilita’.
Si tratta di valutazioni di merito, congruamente e logicamente motivate, sicche’ non v’e’ spazio per il sindacato di legittimita’.
Ne’ puo’ ritenersi insufficiente il riferimento alla gravita’ della condotta e delle lesioni, giacche’ il giudizio sulla tenuita’ dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 c.p., comma 1, ma non e’ necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, Sentenza n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647; in senso conforme Sez. 3, Sentenza n. 34151 del 18/06/2018, Rv. 273678).
6. La ritenuta inammissibilita’ del ricorso comporta per il ricorrente le conseguenze di cui all’articolo 616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in Euro tremila.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

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