Ai fini della dichiarazione di latitanza

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 19 febbraio 2020, n. 6537

Massima estrapolata:

Ai fini della dichiarazione di latitanza, l’art. 295, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che il verbale di vane ricerche deve essere trasmesso senza ritardo al giudice che ha emesso l’ordinanza da eseguire, al fine di consentirgli di valutare la sussistenza delle condizioni per emettere il relativo decreto, ma non contempla un termine perentorio per tale adempimento, sicché, in linea di principio, è esente da vizi il decreto di latitanza emesso sulla base delle risultanze di ricerche effettuate anche anni prima della sua emissione. (Nella fattispecie, il decreto di latitanza era stato emesso nel 2007 sulla scorta di ricerche che risalivano al 1999).

Sentenza 19 febbraio 2020, n. 6537

Data udienza 13 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo – Presidente

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/05/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE CAPPUCCIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CANEVELLI PAOLO, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio delle sentenze di 1 e 2 grado con restituzione degli atti al giudice competente.
udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di BRESCIA, che conclude insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 16 maggio 2017 la Corte di assise di appello di Bari ha confermato la sentenza con la quale la Corte di assise di Foggia, il 24 novembre 2009, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del delitto di omicidio e lo ha condannato alla pena di ventuno anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, e gli ha applicato le sanzioni accessorie previste per legge.
2. (OMISSIS) e’ stato tratto a giudizio e condannato per avere, la sera dell'(OMISSIS), cagionato, in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS) ed (OMISSIS), la morte di (OMISSIS), colpito da cinque colpi di arma da fuoco all’interno del podere (OMISSIS) del (OMISSIS).
I giudici di merito hanno valorizzato, a carico di (OMISSIS), cosi’ come dei correi, le dichiarazioni rese da (OMISSIS) (in altri atti definito, erroneamente, (OMISSIS)), il quale, nell’occasione, venne attinto alla gamba da un colpo di arma da fuoco, da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e dal coimputato (OMISSIS), oltre che dalla circostanza obiettiva del suo immediato allontanamento verso il Nord Italia.
L’omicidio, stando alla ricostruzione dei giudici di merito, era maturato a cagione della resistenza frapposta dalla vittima, impiegata nella raccolta dei pomodori, all’imposizione, proveniente da (OMISSIS) ma condivisa dai complici, della corresponsione, a titolo parassitario, di una quota della retribuzione percepita.
3. (OMISSIS) propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a nove motivi.
3.1. Con i primi due motivi, deduce violazione della legge processuale e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello disatteso l’eccezione di nullita’ del decreto che ha disposto il giudizio di primo grado e dei successivi atti processuali, ivi compresa la sentenza della Corte di assise, in quanto notificato ad imputato ritenuto latitante in difetto delle condizioni di legge.
Segnala, specificamente, con il primo motivo, che il decreto di latitanza venne emesso nel 2007 sulla scorta dell’esito negativo delle ricerche effettuate otto anni prima, in vista dell’accertamento dell’irreperibilita’ di (OMISSIS).
Lamenta l’illogicita’ della motivazione adottata dalla Corte di assise di appello a sostegno del rigetto dell’eccezione nella parte in cui trae argomento dall’arresto dell’imputato in Albania, avvenuto in epoca successiva all’adozione del contestato decreto di latitanza e, pertanto, non incidente sull’apprezzamento della sua legittimita’.
Osserva, ulteriormente, che il decorso di molti anni tra l’esecuzione delle ricerche e l’emissione del provvedimento che si fonda sul loro esito si pone in contrasto con l’obbligo, sancito dall’articolo 295 c.p.p., di trasmissione “senza ritardo” del verbale attestante le vane ricerche al giudice che ha emesso il titolo cautelare e conduce ad un risultato contrario alle finalita’ della norma e tale da arrecare, in ultimo, non marginale vulnus alle prerogative difensive.
Sotto altro aspetto, deduce che il mancato reperimento, nel 1999, di (OMISSIS) non puo’ legittimamente fondare il convincimento, attualizzato al 2007, che egli si sia volontariamente sottratto all’esecuzione della misura cautelare emessa a suo carico, che appare, altresi’, contraddetto dalla restituzione, disposta nel 2016, di (OMISSIS) nel termine per impugnare la sentenza di primo grado, motivata dalla carenza di prova in ordine all’avere egli avuto conoscenza del procedimento.
3.2. Con il terzo motivo, eccepisce violazione della legge processuale e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello ritenuto l’utilizzabilita’ delle dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), acquisite per sopravvenuta irripetibilita’ ai sensi dell’articolo 512 c.p.p. sebbene in assenza, lamenta il ricorrente, delle condizioni di legge.
3.3. Con il quarto motivo, deduce vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello utilizzato i verbali di individuazione fotografica sottoscritti da (OMISSIS) e (OMISSIS), persone che non comprendevano ne’ parlavano la lingua italiana, redatti, a differenza dei verbali relativi alle sommarie informazioni rese dai medesimi soggetti, in assenza dell’interprete.
3.4. Con il quinto motivo, eccepisce violazione della legge processuale e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello ritenuto che la formazione della prova in assenza dell’interprete non determina nullita’ ne’ inutilizzabilita’ a dispetto dell’articolo 143-bis c.p.p., introdotto con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, che prevede la nomina dell’interprete anche nel caso di audizione di persona offesa alloglotta.
3.5. Con il sesto e settimo motivo, lamenta violazione della legge processuale e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello violato il principio di diritto – affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento del 4 aprile 2012, resa a seguito del ricorso proposto dal coimputato (OMISSIS), ed applicata anche a (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 587 c.p.p., comma 1, – secondo cui l’affermazione della responsabilita’ postula l’acquisizione di elementi di prova ulteriori rispetto a quelli tratti dalle dichiarazioni dei testi non escussi in dibattimento per sopravvenuta irreperibilita’ e dotati di autonoma significativita’.
Osserva, al riguardo, che, stando alla ricostruzione avallata dalla Corte di assise di appello, la prova regina sarebbe costituita dalle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS) che, tuttavia, non ha mai riconosciuto (OMISSIS) ne’ rappresentato circostanze univocamente sintomatiche della sua partecipazione al delitto.
Aggiunge che tutti i contributi testimoniali sono concordi nell’indicare il complice dei due (OMISSIS) in tale ” (OMISSIS)”, loro cugino, ma che, se si eccettuano le postille ai verbali di individuazione fotografica sottoscritti, in assenza dell’interprete, da (OMISSIS) e (OMISSIS), nulla autorizza ad inferire che il soggetto indicato come ” (OMISSIS)” sia proprio l’odierno ricorrente, il cui rapporto di parentela con i (OMISSIS) non e’ stato accertato in dibattimento.
Ne’, rileva ulteriormente, la segnalata incertezza e’ superata attraverso il contatto telefonico, avvenuto alla presenza dei Carabinieri, tra (OMISSIS) e soggetto che egli, nella circostanza, chiamava ” (OMISSIS)” e che, stando all’impostazione accusatoria, dovrebbe identificarsi con (OMISSIS).
3.6. Con l’ottavo ed il nono motivo, lamenta violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello omesso il prescritto vaglio critico degli elementi probatori disponibili, limitandosi a riportarli graficamente in sentenza senza mai entrare nel merito di ciascuno di essi e senza confrontarsi con le contestazioni mosse con l’appello ne’ attenersi al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione con la citata sentenza di annullamento.
Imputa, in specie, alla Corte pugliese di non avere verificato se l’odierno ricorrente fosse soprannominato ” (OMISSIS)” e fosse cugino dei germani (OMISSIS), e se fosse lui il soggetto che, all’indomani dell’omicidio, ha abbandonato il lavoro e si e’ reso irreperibile, che viveva in quel casolare ed aveva in uso il telefono contattato da (OMISSIS).
Non essendo stati effettuati riconoscimenti ne’ individuazioni fotografiche, avrebbe dovuto piuttosto accertarsi, prosegue, se l’imputato (OMISSIS) sia o meno il soggetto chiamato ” (OMISSIS)”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due motivi di ricorso sono infondati.
L’eccezione di nullita’ sottesa a tali doglianze afferisce alla rituale instaurazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado – nel quale (OMISSIS) e’ stato citato secondo le modalita’ previste per i latitanti e sulla scorta di un decreto emesso, ai sensi dell’articolo 296 c.p.p., nel 2007 – che si e’ concluso con la sentenza della Corte di assise di Foggia del 24 novembre 2009.
Il vizio non viene, invece, autonomamente dedotto in relazione alla fase di appello, suggellata dall’emissione della sentenza qui impugnata ed introdotta, a seguito di un tortuoso iter processuale, dall’impugnazione proposta, con atto del 15 aprile 2016, dall’imputato.
La precisazione appare opportuna in quanto la Corte di assise di appello ha rigettato la censura difensiva assegnando rilevanza (cfr. pagg. 5-6 della motivazione della sentenza impugnata) anche a vicende di alcuni anni successive rispetto alla sentenza di primo grado (il provvisorio arresto, nel marzo 2012, di (OMISSIS) in esecuzione di ordine di carcerazione poi revocato, la declaratoria di nullita’ del decreto di irreperibilita’, le nuove ricerche vanamente eseguite in Italia ed all’estero) nonche’, ovviamente, alla dichiarazione di latitanza.
Pertinente si palesa, pertanto, l’obiezione sollevata in proposito dal ricorrente, che deduce come dette circostanze non possano essere valorizzate, a posteriori e con portata retroattiva, per attestare la legittimita’ del decreto emesso nel 2007.
Il medesimo decreto, nondimeno, e’ stato emesso legittimamente.
Se e’ vero, infatti, che, ai sensi dell’articolo 295 c.p.p., comma 1, il verbale di vane ricerche e’ trasmesso senza ritardo al giudice che ha emesso l’ordinanza della cui esecuzione si discute, si’, tra l’altro, da consentirgli di valutare la sussistenza delle condizioni per emettere decreto di latitanza, non e’ men vero, per converso, che, come osservato dalla Corte di assise di appello di Bari, la normativa vigente non contempla un termine perentorio per l’adempimento, sicche’.esente da vizi e’, in linea di principio, la decisione che si fonda sulle risultanze delle ricerche effettuate otto anni prima.
Ineccepibile e’, del resto, a questi fini, l’utilizzo, in vista della dimostrazione della volontarieta’ dell’allontanamento di (OMISSIS), del dato connesso alla localizzazione di una utenza che si assume essere stata nella sua disponibilita’, circostanza che, per ammissione dello stesso ricorrente (cfr. pag. 3 del ricorso), e’ destinata ad assumere rilievo nella diversa cornice dell’identificazione nell’odierno imputato del soggetto, indicato come ” (OMISSIS)”, che, alla presenza degli investigatori, venne contattato telefonicamente da (OMISSIS).
Ne’, per pervenire a soluzione opposta, possono essere addotte le informazioni apprese, in ordine alla presenza di (OMISSIS) sul territorio albanese, a partire dal 2011, dovendosi, per contro, ribadire che l’esito degli accertamenti eseguiti nell’immediatezza del fatto di sangue ed in funzione dell’esecuzione del titolo cautelare non risulta smentito da alcun elemento acquisito nell’ampio lasso temporale che lo separa dall’adozione del provvedimento ex articolo 296 c.p.p..
Ricordato che, secondo condiviso indirizzo ermeneutico, “In tema di dichiarazione di latitanza, l’accertamento della volontarieta’ dell’imputato di sottrarsi alle ricerche, che costituisce presupposto necessario del relativo decreto, puo’ fondarsi anche su presunzioni, purche’ le stesse risultino fondate su una base fattuale idonea a dimostrare tale volonta’, tenuto anche conto delle concrete abitudini di vita del ricercato” (Sez. 5, n. 54189 del 20/10/2016, Buzi, 268827) e “Ai fini dell’accertamento della volontarieta’ della sottrazione ad un provvedimento restrittivo della liberta’ personale, che costituisce il presupposto psicologico della declaratoria di latitanza, non occorre dimostrare la conoscenza della avvenuta emissione di tale provvedimento, ma e’ sufficiente che l’interessato si ponga in condizioni di irreperibilita’, sapendo che quel provvedimento puo’ essere emesso” (Sez. 5, n. 19891 del 30/01/2014, A., Rv. 259839; Sez. 6, n. 43962 del 27/09/2013, Hassad, Rv. 256684), restano, allora, confermate tanto la legittimita’ della dichiarazione di latitanza di (OMISSIS) quanto il successivo, regolare svolgimento del dibattimento di primo grado.
La precedente conclusione non e’ contraddetta, ad onta di quanto eccepito dal ricorrente, dalla successiva remissione in termini di (OMISSIS), disposta nel 2016 dalla Corte di assise di appello – peraltro a seguito di annullamento con rinvio, da parte della Corte di cassazione, di precedente provvedimento reiettivo dell’istanza proposta dall’imputato – in relazione alla conoscenza della sentenza di primo grado, ovvero a profilo del tutto diverso e distinto, sotto il profilo sia cronologico che della scansione procedimentale, da quello che attiene alla verifica della sussistenza delle condizioni per dichiarare, in funzione dell’avvio del dibattimento di primo grado, la latitanza.
2. Il terzo motivo di ricorso e’, ugualmente, privo di pregio.
(OMISSIS) lamenta che la Corte di assise di appello abbia acriticamente condiviso la valutazione illo tempore dal Giudice per le indagini preliminari nel disattendere la richiesta di assunzione anticipata, nelle forme dell’incidente probatorio, delle testimonianze di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), omettendo di considerare, piuttosto, che gia’ a quel tempo era ampiamente prevedibile che costoro, extracomunitari irregolari, privi di documenti, dediti a lavori precari e domiciliati presso un immobile fatiscente, peraltro sottoposto a sequestro subito dopo l’omicidio, ben difficilmente sarebbero stati reperibili al momento dell’escussione dibattimentale.
Trattasi, e’ facile replicare, di obiezione che, attenendo al merito della questione controversa, si traduce in una prospettazione alternativa rispetto a quella recepita dalla Corte di assise di appello, la cui congruita’ logica non puo’ essere revocata in dubbio, in quanto incentrata, sia pure per relationem al provvedimento del Giudice per le indagini preliminari, sulla concreta ed incontestata possibilita’ di reperire i tre a distanza di piu’ di un anno dall’omicidio e sulla conseguente prognosi di ripetibilita’ del loro contributo, si’ da escludere la sindacabilita’ della decisione in questa sede.
In questo senso si e’, del resto, orientata la Corte di cassazione nella sentenza della Prima Sezione n. 14807 del 04/04/2012, resa sul ricorso presentato da (OMISSIS), originario coimputato di (OMISSIS), nella cui motivazione si legge: “Parimenti infondata e’ l’eccezione di inutilizzabilita’ delle dichiarazioni dei tre testi non sentiti in dibattimento per irreperibilita’, in quanto nel caso di specie costoro, pur essendo non compiutamente identificati, erano stati individuati senza dubbio come le persone fisiche che erano state presenti all’aggressione ed avevano visto gli imputati tra i quali anche l’attuale ricorrente; il GIP aveva escluso che fosse necessario procedere con incidente probatorio in quanto la richiesta era stata avanzata a distanza di oltre un anno dai fatti e quindi se si trovavano ancora in Italia, nonostante fossero irregolari, era ben evidente che non sussisteva il pericolo che si dileguassero. Tale giudizio quindi si era fondato proprio sul fatto che non sussistesse il pericolo di un loro allontanamento, o comunque che tale pericolo non fosse prevedibile, unica condizione che avrebbe consentito di assumerli con incidente probatorio (Sez. 1, 21 giugno 1995 n. 8004, rv. 202911). Deve poi osservarsi che la valutazione sulla non ripetibilita’ dell’atto e sulla imprevedibilita’ dell’evento, e’ rimessa alla valutazione del giudice di merito che deve formulare un giudizio di prognosi postuma con motivazione logica e adeguata e quindi il controllo di legittimita’ e’ limitato a quest’ultimo esame (sez. 2 4 dicembre 2008 n. 1202, rv. 242712); nel caso di specie puo’ certamente affermarsi che l’acquisizione ai sensi dell’articolo 512 c.p.p. e’ avvenuta nel pieno rispetto delle regole e dei principi che presidiano la legittimita’ di tale acquisizione”.
3. Passibile di rigetto e’, altresi’, il quarto motivo, afferente alla legittimita’ dell’utilizzo, a riscontro dell’impostazione accusatoria, dell’affermazione, contenuta nei verbali di individuazione fotografica sottoscritti da (OMISSIS) e (OMISSIS), secondo cui uno dei protagonisti della violenta aggressione sfociata nell’uccisione di (OMISSIS) e nel fermento di (OMISSIS), era un soggetto di nome (OMISSIS) e nazionalita’ albanese, dell’apparente eta’ di venti anni, alto circa m 1,70, con i capelli neri, cugino del fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS).
Eccepisce, al riguardo, il ricorrente che tale precisa indicazione, compiuta senza che, per quanto consta dal verbale, ai dichiaranti fosse stata sottoposta in visione l’immagine ritraente (OMISSIS) ne’ garantita l’assistenza dell’interprete, proviene da soggetti che, rendendo, nel medesimo contesto, sommarie informazioni testimoniali, furono assistiti da un interprete a cagione della scarsa familiarita’ con la lingua italiana, secondo quanto, peraltro, confermato in dibattimento dai testimoni M.llo (OMISSIS) e Car. (OMISSIS).
Deduce, quindi, la contraddittorieta’, innanzitutto dal punto di vista logico, del contributo di (OMISSIS) e (OMISSIS) i quali, dopo avere indicato, nelle sommarie informazioni rese con l’ausilio dell’interprete, il solo soprannome, ” (OMISSIS)”, del soggetto di cui si discute, sarebbero stati in grado, al di fuori di condizionamenti esterni e pur non potendo contare sull’assistenza linguistica, di esporre i dati di dettaglio sopra enunciati.
La censura non coglie nel segno, perche’ non si confronta con le considerazioni espresse, al riguardo, dalla Corte di assise di appello, che ha rilevato come le ridotte competenze linguistiche dei soggetti de quibus agitur non abbiano impedito loro di esprimersi in un italiano comprensibile, nel contesto di un atto dal contenuto espositivo largamente piu’ circoscritto, perche’ limitato all’individuazione di alcune persone, rispetto a quello nel quale erano stati chiamati a riferire, in termini complessivi, quanto a loro conoscenza sull’accaduto, si’ da giustificare la presenza dell’interprete, ritenuta, invece, non necessaria ai fini della mera ricognizione fotografica.
Ne’ – continua, con affermazione conforme a logica ordinaria, la Corte barese – vi e’ ragione alcuna per ritenere che (OMISSIS) e (OMISSIS) siano stati condizionati nell’individuazione fotografica degli autori del delitto e, deve qui opportunamente aggiungersi, nella contestuale indicazione in (OMISSIS) di uno di loro.
4. Infondato e’, ancora, il quinto motivo di ricorso, vertente sulla violazione dell’articolo 143-bis c.p.p. e sulla conseguente inutilizzabilita’ dei verbali di individuazione fotografica redatti, nei confronti di soggetti che non conoscevano la lingua italiana, senza l’assistenza di un interprete.
A tal fine, e’ sufficiente richiamare, da un canto, quanto appena osservato in ordine al possesso in capo ai dichiaranti – confermato dai testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS) (“…intendere si facevano intendere ma non e’ che parlassero un italiano… a gesti, un po’ a gesti, un po’ con qualche parola tirata qua e la’ si riusciva a capire, ma non era un italiano…”) – di cognizioni, sia pure elementari, della lingua italiana e ricordare, dall’altro, che la norma la cui violazione e’ dedotta dal ricorrente, di natura certamente processuale, e’ stata introdotta con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, ovvero oltre sedici anni dopo l’assunzione dei contributi di cui si discute, onde se ne deve escludere, in virtu’ del principio tempus regit actum, l’applicabilita’ alla fattispecie in esame.
5. Gli ultimi quattro motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
5.1. L’oggetto del giudizio di secondo grado risulta delimitato dalla sentenza della Corte di cassazione, resa a seguito del ricorso proposto dal coimputato (OMISSIS), ed applicata anche a (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 587 c.p.p., comma 1, che ha ribadito il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27919 del 25/10/2010, dep. 2011, D.F., secondo cui “Le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorche’ legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza Europea, in applicazione dell’articolo 6 della CEDU – fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilita’ penale”.
Nel caso di specie, ha rilevato la Corte di cassazione nella citata sentenza di annullamento, “tale esame non e’ stato compiuto dal giudice di merito nel senso che la prova di resistenza, volta a verificare se la responsabilita’ dell’imputato si basi in misura significativa o determinante su queste dichiarazioni oppure se esse costituiscano ulteriori e non unici elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, deve per prima cosa essere compiuto dal giudice di merito e poi essere sottoposto al vaglio di legittimita’”.
5.2. Nell’adempiere a tale compito, la Corte di assise di appello ha correttamente rivolto l’attenzione al contributo della vittima superstite, (OMISSIS), escussa in dibattimento, la quale ha indicato in ” (OMISSIS)”, cugino dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), il terzo componente del commando omicida.
Il dato e’ coerente, oltre che con le dichiarazioni acquisite per sopravvenuta irreperibilita’ di chi le ha rese, con il contatto telefonico registrato, alla presenza dei militi, tra (OMISSIS) ed il soggetto, di nome ” (OMISSIS)” che, subito dopo l’omicidio, si era allontanato alla volta del Nord Italia, e con le dichiarazioni rese da coloro alle cui dipendenze i (OMISSIS) e ” (OMISSIS)” erano stati occupati, concordi nell’attestare che i tre, il giorno successivo al fatto di sangue, non si erano presentati sul luogo di lavoro.
5.3. La Corte di assise di appello ritiene accertata, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, la responsabilita’ concorsuale di (OMISSIS) in ordine al reato in contestazione, evidentemente mutuando l’assunto investigativo secondo cui ” (OMISSIS)” altri non e’ che l’odierno ricorrente, conosciuto con tale diminutivo.
Perviene a tale conclusione, tuttavia, in esito ad un iter argomentativo insoddisfacente.
Sul punto, va premesso che ne’ (OMISSIS) ne’ (OMISSIS) riconobbero su fotografia l’odierno ricorrente, del quale, indicarono nome, cognome, eta’ apparente, altezza, colore dei capelli, nonche’ il rapporto di parentela con i germani (OMISSIS).
Nessuno di tali elementi – fatta eccezione per nome e cognome, che non escludono il rischio di omonimia – risulta oggetto di specifico accertamento, i giudici di merito reputando, deve inferirsi, sufficiente, la relazione parentale con i (OMISSIS), che danno per scontata e che, nondimeno, avrebbe potuto e dovuto essere oggettivamente verificata.
Tanto vale a dire, in altri termini, che, una volta individuato, con certezza, in ” (OMISSIS)” il complice, e cugino, di (OMISSIS) e (OMISSIS), sarebbe stato necessario – in carenza, si ribadisce, di individuazione fotografica e, tantomeno, de visu – riscontrare l’assunto, anche a livello anagrafico, in modo da elidere il persistente margine di incertezza.
Il vizio, e’ opportuno chiarire, prescinde in toto dalla riconosciuta attendibilita’ di (OMISSIS) e financo dei soggetti che, escussi in fase di indagini preliminari, non e’ stato possibile esaminare nel contraddittorio dibattimentale, perche’ si appunta su un tema, l’individuazione di ” (OMISSIS)” in (OMISSIS), che, in buona sostanza, e’ stato del tutto trascurato, fors’anche in ragione dell’anomalo inserimento delle indicazioni individualizzanti rese da (OMISSIS) e (OMISSIS) nel contesto di un atto di ricognizione fotografica che, tuttavia, ha riguardato i fratelli (OMISSIS) ma non anche (OMISSIS) la cui immagine, va ribadito, non risulta essere stata sottoposta in visione ai due testimoni.
5.4. Ne’, e’ utile aggiungere, il margine di perplessita’, da apprezzarsi anche in ragione della gravita’ dell’addebito, e’ eliso dagli ulteriori elementi segnalati dalla Corte di assise di appello.
Da un lato, infatti, la conversazione cui i Carabinieri ebbero occasione di assistere ed intercorsa tra (OMISSIS) e ” (OMISSIS)” impegno’ un’utenza intestata a soggetto diverso da (OMISSIS) e (OMISSIS) non forni’, per quanto consta, informazioni utili a risolvere il dilemma.
Dall’altro, dalle sentenze di merito non emergono, in relazione alle dichiarazioni dei datori di lavoro, spunti idonei al controllo della correttezza dell’operata identificazione, compiuta, va ricordato, su soggetti irregolari e privi di documenti.
6. La sentenza impugnata non appare, conclusivamente, assistita da adeguata motivazione su un punto, con ogni evidenza, decisivo: se ne impone, pertanto, l’annullamento, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari, in vista di un nuovo giudizio che, libero nell’esito, proceda ad una nuova e piu’ accurata delibazione della questione controversa, se del caso supportata da opportuni approfondimenti istruttori in ordine, in primo luogo, all’effettivo rapporto di parentela tra (OMISSIS), nato a (OMISSIS), ed i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ alle sue caratteristiche somatiche e, ove possibile, all’identita’ del soggetto, conosciuto come ” (OMISSIS)”, che presto’ attivita’ lavorativa alle dipendenze di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Bari.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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