Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 23 luglio 2020, n. 22066.
Ai fini della configurabilità del reato di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale, commesso dalla persona che abbia acquisito autonomamente informazioni strumentali al compimento di atti con la suddetta finalità, è comunque necessario che il soggetto agente ponga in essere comportamenti significativi sul piano materiale, univocamente diretti alla commissione delle condotte di cui all’art. 270-sexies cod. pen., senza limitarsi ad una mera attività di raccolta di dati informativi o a manifestare le proprie scelte ideologiche. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile in sede cautelare il reato di cui all’art. 270-quinquies cod. pen. sulla base di molteplici indici fattuali concreti, tra i quali: il possesso da parte dell’imputato di video ed immagini riconducibili alla propaganda terroristica per lo Stato islamico o illustrativi di tecniche per la preparazione di ordigni esplosivi, scaricati con elevata frequenza nell’arco di un significativo periodo di tempo, nonché di appunti manoscritti riproducenti la celebrazione di simboli e delle pratiche terroristiche dell'”Isis” e in cui l’indagato si proclamava “servo di Allah” votato al martirio; la partecipazione a chat di gruppo e canali di propaganda jihadista nei quali venivano manifestati propositi terroristici e di esaltazione del martirio e della guerra santa contro gli infedeli; il rinvenimento all’interno della sua abitazione di materiale destinato alla fabbricazione di un ordigno rudimentale).
Sentenza 23 luglio 2020, n. 22066
Data udienza 6 luglio 2020
Tag – parola chiave: Misura cautelare – Custodia in carcere – Messaggistica Whattsapp – Associazioni sovversive – Reato ex art. 270 quinquies c.p. – Propaganda stato islamico – Radicalizzazione – Autoaddestramento – Straniero o apolide – Diritto all’assistenza dell’interprete – Non è automatico – Richiede l’accertata ignoranza della lingua italiana – Gravità indiziaria – Esigenze cautelari
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere
Dott. RICCARDI Giusep – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 09/03/2020 del Tribunale della liberta’ di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Epidendio Tomaso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette le richieste del difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso ribadendo i motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 09/03/2020 il Tribunale della liberta’ di Bologna ha rigettato l’istanza di riesame proposta da (OMISSIS) avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Bologna – al quale era stata disposta la trasmissione ai sensi dell’articolo 27 c.p.p. dall’A.G. di Parma, che aveva convalidato il fermo ed emesso la misura cautelare – che, in data 24.02.2020, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’articolo 270 quinquies c.p..
Secondo la ricostruzione dei fatti richiamata dall’ordinanza impugnata, la Polizia Postale di Perugia ha accertato un profilo Whatsapp in uso all’indagato inserito in diversi gruppi (creati in diversi territori a livello internazionale) su cui venivano veicolati messaggi propagandistici dello Stato Islamico, venivano scaricati video concernenti la jihad, l’esaltazione del martirio e della guerra agli infedeli miscredenti occidentali; il (OMISSIS) aveva altresi’ due profili Facebook con contenuti del medesimo genere, con i quali aveva espresso consenso – mediante un “like” – a due messaggi propagandistici; in seguito alla perquisizione domiciliare del 13.6.2019 venivano sequestrati il telefono cellulare del (OMISSIS) ed una serie di fogli manoscritti.
In seguito alla perizia informatica del telefono emergeva la forte radicalizzazione dell’indagato, desunta: dai collegamenti telematici con gruppi dediti all’esaltazione del martirio e della guerra santa contro gli infedeli, e delle pratiche terroristiche dell’ISIS; dal rinvenimento di filmati e video scaricati concernenti attentati, esecuzioni sommarie, decapitazioni eseguite dal gruppo terroristico dell’ISIS, bandiere e scritte esaltanti la lotta armata contro l’occidente, la propaganda di atti terroristici negli USA e nell’UE; dagli appunti manoscritti sull’agenda e sui fogli sequestrati, riproducenti la medesima esaltazione e celebrazione di simboli ISIS, ed in cui il (OMISSIS) si proclamava servo di Allah votato al martirio; dai video, rinvenuti nel cellulare, concernenti le istruzioni per la fabbricazione di materiale esplodente, quali “molotov” e bombe del tipo ANFO, illustrate in tre “lezioni” da un uomo con il viso coperto da un passamontagna; dai contatti con numerose utenze estere, contenute nella rubrica o rintracciate tramite l’esame dei tabulati; dalle chat in modalita’ riservata su Telegram con l’utenza di (OMISSIS), anch’egli inserito in gruppi e canali di propaganda jihadista.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), deducendo cinque motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 143 c.p.p., per l’omessa traduzione degli atti nella lingua conosciuta dall’indagato.
Sostiene che non fosse in discussione l’ignoranza della lingua italiana, posto che all’udienza di convalida del fermo era presente l’interprete di lingua araba. Nondimeno non sono stati tradotti ne’ il provvedimento di fermo, ne’ le due ordinanze genetiche del Gip di Parma, che aveva disposto espressamente la traduzione e la notifica, e del Gip di Bologna; lamenta che il Tribunale non abbia annullato l’ordinanza genetica, erroneamente ritenendo che la nullita’ a regime intermedio fosse sanata dall’impugnazione del difensore; tuttavia, l’impugnazione del difensore, che non ha potuto confrontarsi con il merito delle contestazioni, non esaurisce l’autonomo diritto di difesa dell’indagato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c) e c-bis), per l’omessa motivazione in ordine alla scelta della misura.
Lamenta che il Tribunale non abbia annullato l’ordinanza genetica in ordine all’omessa motivazione sulla scelta della misura custodiale in carcere, ritenendo che si trattasse di un mero errore materiale del Gip, che, ritenendo la configurabilita’ dell’articolo 270 bis, per il quale vige la presunzione relativa di adeguatezza, anziche’ dell’articolo 270 quinquies, per il quale e’ necessaria un’analitica motivazione, non e’ incorso in un errore materiale, bensi’ in un errore-omissione.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso espletamento di una perizia informatica con le garanzie di cui all’articolo 360 c.p.p..
La difesa aveva eccepito l’inutilizzabilita’ del materiale acquisito mediante perizia informatica, in quanto espletata senza le garanzie, poiche’ le applicazioni Whatsapp e Telegram possono comportare la ricezione automatica del materiale inviato da altri (gestori del canale o altri utenti partecipanti alla chat) in maniera passiva ed inconsapevole; non sarebbe piu’ possibile verificare se l’indagato li abbia soltanto ricevuti o anche visualizzati, a causa dell’apertura indiscriminata dei file audio e video rinvenuti nel cellulare. La motivazione del Tribunale sarebbe insufficiente ed apodittica
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai gravi indizi di colpevolezza.
Richiamando la giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 5, n. 6061 del 2016), deduce che la condotta di autoaddestramento, descritta dalla seconda parte dell’articolo 270 quinquies, richiede che il soggetto attivo ponga in essere comportamenti significativi sul piano materiale, senza limitarsi ad una semplice attivita’ di raccolta di dati informativi o a manifestare le proprie scelte ideologiche, e che siano idonei a realizzare uno degli scopi di terrorismo descritti nell’articolo 270 sexies.
Nel caso in esame, il materiale probatorio consiste soltanto in file audio e video rinvenuti nel telefono dell’indagato, che riguardano tematiche vicine allo stato islamico; la condotta si e’ limitata ad una visione “passiva” di materiale prodotto e veicolato da altri, e non puo’ ritenersi idonea ad integrare l’articolo 270 quinquies; non e’ stata rinvenuta una riga scritta dall’indagato nelle chat o in altre comunicazioni telefoniche o telematiche.
Lamenta inoltre che i contatti internazionali documentati nei tabulati telefonici e valorizzati facciano riferimento alle utenze del padre e della fidanzata algerina, non avendo mai intrattenuto conversazioni con utenze yemenite, saudite, ecc.; le utenze segnalate erano soltanto inserite in gruppi Whatsapp o canali Telegram, senza alcun contatto diretto tra gli iscritti; l’unico contatto reale e’ con l’utenza di (OMISSIS), che non risulta gravato da alcun pregiudizio e consiste in un messaggio privo di significato terroristico; ne’ l’aver disegnato un soldato arabo o il testo di una canzone aggiungerebbe alcunche’ all’insufficiente compendio indiziario.
2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari.
Quanto al pericolo di reiterazione, contesta che sia desumibile dai contatti, tenendo conto che il periodo in cui e’ stato scaricato materiale e’ stato circoscritto a circa 15 giorni, e l’attivita’ si e’ interrotta successivamente alla perquisizione del giugno 2019; ne’ puo’ essere valorizzato il possesso di normalissime lampadine “da casa” e di una sveglia.
Quanto al pericolo di fuga desunto dal viaggio in Tunisia, esso e’ stato determinato da un lutto familiare, se avesse voluto darsi alla fuga, non sarebbe tornato in Italia, dove vive e lavora.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’, nel suo complesso, infondato e va rigettato.
2. Il primo motivo e’ infondato.
Giova rammentare che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete non discende automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero “status” di straniero o apolide, ma richiede l’ulteriore presupposto, in capo a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana (Sez U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239693, in una fattispecie in cui, avendo il ricorrente lamentato la mancata traduzione, nella lingua madre o in inglese, del decreto di sequestro preventivo, la Corte ha ritenuto congruamente accertata in sede di merito la sua dimestichezza con l’idioma italiano, sottolineando, peraltro, che la non recente acquisizione della cittadinanza italiana per effetto di matrimonio gli avrebbe imposto l’onere, non assolto, della prova contraria alla presunzione stabilita nell’articolo 143 c.p.p., comma 1); l’obbligo di traduzione della ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del cittadino straniero sussiste a norma dell’articolo 143 c.p.p., come modificato dal Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 32, articolo 1, comma 1, lettera b, anche nel caso di provvedimento disposto a seguito di dichiarazione di incompetenza del g.i.p. che aveva emesso originariamente il titolo custodiale, ma la sua configurabilita’ non discende automaticamente dal mero “status” di straniero o apolide, essendo la stessa, subordinata all’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana (Sez. 3, n. 11514 del 27/02/2015, Morante Zarate, Rv. 262980).
Inoltre, qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero, del quale si ignori che non e’ in grado di comprendere la lingua italiana, non e’ dovuta l’immediata traduzione dell’ordinanza che la dispone e il diritto alla conoscenza del relativo contenuto e’ soddisfatto – una volta eseguito il provvedimento – o dalla traduzione in lingua a lui nota (anche in applicazione dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-bis), ovvero dalla nomina, in sede di interrogatorio di garanzia, di un interprete che traduca le contestazioni mossegli, rendendolo edotto delle ragioni che hanno determinato l’emissione del provvedimento nei suoi confronti. In tal caso la decorrenza del termine per impugnare il provvedimento e’ differita al momento in cui il destinatario ne abbia compreso il contenuto (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717, che, nell’occasione, ha precisato che, qualora non sia stata portata a conoscenza dello straniero, in una lingua a lui nota, l’ordinanza cautelare, quest’ultima e’ viziata da nullita’ a regime c.d. intermedio solo quando risulti inequivocabilmente, dagli atti in possesso del giudice al momento della sua adozione, che lo straniero non era in grado di comprendere la lingua italiana).
Anche di recente e’ stato ribadito il principio secondo cui la mancanza di traduzione nella lingua nota all’indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell’ordinanza che rigetta la richiesta di riesame del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale, non ne determina l’invalidita’ e comporta soltanto che i termini per l’eventuale ricorso per cassazione decorrono dal momento in cui l’indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza (Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883).
E’ stato inoltre chiarito che, anche a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 32 del 2014, con cui e’ stata data attuazione alla direttiva 2010/64/UE sull’assistenza linguistica, la traduzione scritta dell’ordinanza applicativa di misura cautelare personale, emessa all’esito di udienza di convalida alla quale lo straniero alloglotta in stato di fermo o arresto abbia partecipato con la regolare assistenza di un interprete, non e’ necessaria in quanto l’indagato e’ stato reso edotto degli elementi di accusa a suo carico ed e’ posto in grado di proporre ricorso al tribunale del riesame (Sez. 1, n. 6623 del 16/12/2015, dep. 2016, Darbo Cheikh, Rv. 266210, che ha aggiunto che il principio affermato consente nell’ipotesi in discorso, nella quale all’interessato si offre la maggiore garanzia di un contraddittorio anticipato, la conoscenza tempestiva del provvedimento, con conseguente accelerazione anche dell’azionabilita’ dei rimedi impugnatori previsti, che sarebbero invece dilatati ove si imponesse la traduzione scritta del provvedimento medesimo).
Inoltre, la proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullita’ conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta, anche a seguito della riformulazione dell’articolo 143 c.p.p., sempre che l’impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale (Sez. 3, n. 7056 del 27/01/2015, Owalengba, Rv. 262425).
Tanto premesso, va rilevato che, nel caso in esame, l’indagato, che pure risulta residente in Italia dal 2012, ove vive e lavora regolarmente, ha ricevuto l’assistenza linguistica dell’interprete nel corso dell’udienza di convalida del fermo, allorquando, pur avvalendosi della facolta’ di non rispondere, ha rilasciato dichiarazioni spontanee pertinenti alle contestazioni (“sono entrato nei siti che mi vengono contestati solo per curiosita’. Forse alcuni video si sono scaricati da soli a causa di un virus del telefono”); inoltre, e’ stata proposta richiesta di riesame dinanzi al Tribunale della liberta’, con impugnazione non limitata alla sola eccezione della mancata traduzione dell’ordinanza genetica, bensi’ concernente i profili di merito relativi alla gravita’ indiziaria ed alle esigenze cautelari.
A prescindere, dunque, dal concreto accertamento in ordine all’effettiva ignoranza o insufficiente comprensione della lingua italiana, che nella fattispecie non puo’ essere desunta dal mero status di straniero, essendo l’odierno ricorrente residente da anni in Italia, dove vive e lavora, va dunque ribadito che la traduzione scritta dell’ordinanza applicativa di misura cautelare personale, emessa all’esito di udienza di convalida alla quale lo straniero in stato di fermo ha partecipato con la regolare assistenza di un interprete, non e’ necessaria in quanto l’indagato e’ stato reso edotto degli elementi di accusa a suo carico ed e’ posto in grado di proporre ricorso al tribunale del riesame (Sez. 1, n. 6623 del 16/12/2015, dep. 2016, Darbo Cheikh, Rv. 266210), in tal senso altresi’ sanando l’eventuale nullita’ c.d. intermedia (Sez. 3, n. 7056 del 27/01/2015, Owalengba, Rv. 262425), avendo devoluto doglianze nel merito delle contestazioni.
In ogni caso, l’omessa traduzione non inciderebbe sulla invalidita’ dell’ordinanza cautelare, ma soltanto sulla decorrenza dei termini di impugnazione (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717; Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883).
3. Il secondo motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’.
Il ricorrente lamenta, infatti, che il Tribunale della liberta’ non abbia annullato l’ordinanza genetica, che aveva omesso l’autonoma valutazione in ordine alla scelta della misura cautelare, sull’erroneo presupposto che il titolo cautelare fosse l’articolo 270 bis c.p., per il quale vige una presunzione di adeguatezza della custodia in carcere.
Tuttavia, il Tribunale della liberta’, pur riconoscendo l’errore dell’ordinanza genetica nell’indicazione della norma incriminatrice, ha ritenuto comunque che sussistesse una motivazione sufficiente in ordine alla scelta della misura della custodia in carcere, avendo il Gip assolto all’onere motivazionale nell’illustrazione dei pregnanti pericoli di reiterazione di reati della stessa specie e di fuga individuati e posti a fondamento dell’applicazione della custodia in carcere.
A fronte di tale argomentazione, tuttavia, il ricorso si e’ limitato ad una mera reiterazione della doglianza, senza una specifica censura della motivazione del Tribunale (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496: “in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, il ricorrente per cassazione che denunci la nullita’ dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate”).
Peraltro, nel rilevare che il Tribunale ha formulato una valutazione di adeguatezza della sola misura in carcere, sulla base dei gravi pericoli di reiterazione di reati della stessa specie e di fuga individuati e richiamati alle p. 10 e 11, va evidenziato che in relazione alla fattispecie di cui all’articolo 270 quinquies c.p. – rientrando essa nell’elenco dei reati di cui all’articolo 51 c.p.p., comma 3 quater richiamati dall’articolo 275, comma 3 (terzo periodo) – vige una doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere (che e’ applicata “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”).
4. Il terzo motivo, con cui si deduce l’inutilizzabilita’ della c.d. perizia informatica, per violazione dell’articolo 360 c.p.p., e’ manifestamente infondato.
E’, infatti, consolidato il principio affermato da questa Corte secondo cui l’estrazione dei dati contenuti in un supporto informatico, se eseguita da personale esperto in grado di evitare la perdita dei medesimi dati, costituisce un accertamento tecnico ripetibile (Sez. 1, n. 11863 del 26/02/2009, Ammutinato, Rv. 243922), e non da’ luogo ad accertamento tecnico irripetibile l’estrazione dei dati archiviati in un computer, trattandosi di operazione meramente meccanica, riproducibile per un numero indefinito di volte (Sez. 2, n. 24998 del 04/06/2015, Scanu, Rv. 264286, che ha precisato che l’eventuale alterazione dei dati informatici e quindi la loro inutilizzabilita’ costituisce un accertamento in fatto del giudice di merito, che, se congruamente motivato, non e’ suscettibile di censura in sede di legittimita’); l’estrazione di dati archiviati in un computer non costituisce accertamento tecnico irripetibile anche dopo l’entrata in vigore della L. 18 marzo 2008, n. 48, che ha introdotto unicamente l’obbligo di adottare modalita’ acquisitive idonee a garantire la conformita’ dei dati informatici acquisiti a quelli originali; ne deriva che la mancata adozione di tali modalita’ non comporta l’inutilizzabilita’ dei risultati probatori acquisiti, ma la necessita’ di valutare, in concreto, la sussistenza di eventuali alterazioni dei dati originali e la corrispondenza ad essi di quelli estratti (Sez. 2, n. 29061 del 01/07/2015, Posanzini, Rv. 264572, che ha chiarito che i dati di carattere informatico rientrano in ogni caso nel novero delle prove documentali; Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, dep. 2016, Branchi, Rv. 266477).
Cio’ posto, nel ribadire che l’estrazione dei dati – numeri telefonici, contatti, e partecipazione a chat su Whatsapp e Telegram – integra un accertamento tecnico ripetibile, va osservato che la doglianza del ricorrente, secondo cui non sarebbe piu’ possibile dimostrare che i files ricevuti erano stati soltanto scaricati, ma non visualizzati, oltre ad essere contraddetta dalle dichiarazioni dell’indagato, che, in sede di udienza di convalida, ha spontaneamente ammesso la volontarieta’ degli accessi ai siti (“sono entrato nei siti che mi vengono contestati solo per curiosita’”), fornendo una generica e indimostrata spiegazione rimasta priva di riscontro fattuale (“Forse alcuni video si sono scaricati da soli a causa di un virus del telefono”), e’ astrattamente suscettibile di un apprezzamento di attendibilita’ demandato al giudice del merito, e non ridondante sul diverso profilo dell’utilizzabilita’.
5. Con il quarto motivo di ricorso viene contestato il requisito dei gravi indizi di colpevolezza, deducendo che il materiale probatorio acquisito consiste soltanto in file audio e video rinvenuti nel telefono dell’indagato, che riguardano tematiche vicine allo stato islamico, che la condotta si e’ limitata ad una visione “passiva” di materiale prodotto e veicolato da altri, e non puo’ ritenersi idonea ad integrare l’articolo 270 quinquies, che non e’ stata rinvenuta una riga scritta dall’indagato nelle chat o in altre comunicazioni telefoniche o telematiche, e che i contatti internazionali documentati nei tabulati telefonici fanno riferimento alle utenze del padre e della fidanzata algerina, non avendo mai intrattenuto conversazioni con utenze yemenite, saudite, ecc.; le utenze segnalate, sostiene il ricorrente, erano soltanto inserite in gruppi Whatsapp o canali Telegram, senza alcun contatto diretto tra gli iscritti, e l’unico contatto reale e’ con l’utenza di (OMISSIS), che non risulta gravato da alcun pregiudizio e consiste in un messaggio privo di significato terroristico; ne’ l’aver disegnato un soldato arabo o il testo di una canzone aggiungerebbe alcunche’ all’insufficiente compendio indiziario.
Le doglianze proposte, oltre ad essere generiche, perche’ prive di un concreto confronto argomentativo con la motivazione del provvedimento impugnato, del quale si limitano a contestare il risultato della valutazione, sono inammissibili, perche’ eminentemente di fatto, dirette a sollecitare, in realta’, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimita’, sulla base di una “rilettura” – calibrata su una inammissibile parcellizzazione valutativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., sono ictu oculi dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
In particolare, va ribadito il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, e’ ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628); in sede di giudizio di legittimita’ sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicita’ del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione; sicche’ il controllo di logicita’ deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non e’ possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, Martorana, Rv. 210019; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).
Tanto premesso, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla gravita’ degli elementi indiziari acquisiti.
Il controllo di legittimita’, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non gia’ il rapporto tra prova e decisione; sicche’ il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non gia’ nei confronti della valutazione sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, e’ estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione e’ giudice della motivazione, non gia’ della decisione, ed esclusa l’ammissibilita’ di una rivalutazione del merito cautelare, va al contrario evidenziato che l’ordinanza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con argomentazioni prive di illogicita’ (tantomeno manifeste) e di contraddittorieta’, evidenziando che: l’indagato era inserito in diversi gruppi Whatsapp (dagli eloquenti nomi “L’esercito del Califfato”, “I nasheed dello Stato Islamico”, creati in diversi territori a livello internazionale) su cui venivano veicolati messaggi propagandistici dello Stato Islamico, venivano scaricati video concernenti la jihad, l’esaltazione del martirio e della guerra agli infedeli miscredenti occidentali; il (OMISSIS) aveva altresi’ due profili Facebook con contenuti del medesimo genere, con i quali aveva espresso consenso – mediante un “like” – a due messaggi propagandistici; inoltre, dalla perizia informatica del telefono sequestrato emergeva la forte radicalizzazione dell’indagato, desunta:
– dai collegamenti telematici con gruppi dediti all’esaltazione del martirio e della guerra santa contro gli infedeli, e delle pratiche terroristiche dell’ISIS;
– dal rinvenimento di filmati e video scaricati concernenti attentati, esecuzioni sommarie, decapitazioni eseguite dal gruppo terroristico dell’ISIS, bandiere e scritte esaltanti la lotta armata contro l’occidente, la propaganda di atti terroristici negli USA e nell’UE;
– dagli appunti manoscritti sull’agenda e sui fogli sequestrati nel corso della perquisizione domiciliare, riproducenti la medesima esaltazione e la celebrazione di simboli ISIS, ed in cui il (OMISSIS) si proclamava “servo di Allah” votato al martirio (“omaggiamo Allah con la morte”; “Verra’ innalzata con il nostro sangue e la parola di Allah sara’ suprema, se vorra’”; “Firma servo di (OMISSIS)”);
– dai video, rinvenuti nel cellulare, concernenti le istruzioni per la fabbricazione di materiale esplodente, quali “molotov” e bombe del tipo ANFO, illustrate in tre “lezioni” da un uomo con il viso coperto da un passamontagna;
– dai contatti con numerose utenze estere, contenute nella rubrica o rintracciate tramite l’esame dei tabulati;
– dalle chat in modalita’ riservata su Telegram con l’utenza di (OMISSIS), anch’egli inserito in gruppi e canali di propaganda jihadista.
Tali elementi, oggetto di una valutazione complessiva e non parcellizzata (come quella proposta dal ricorrente), sono stati ritenuti indizianti di un’attivita’ non limitata al mero indottrinamento, ma diretta altresi’ all’auto-addestramento univocamente finalizzato al compimento di atti di terrorismo.
L’articolo 270 quinquies, al secondo periodo, descrive la fattispecie di chi, gia’ “addestrato”, o “auto-addestrato” (la “persona che, avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti” di violenza terroristica), “pone in essere comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies”.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte, chiarito che non integra il delitto di addestramento ad attivita’ con finalita’ di terrorismo la mera attivita’ di informazione e di proselitismo che non costituisce in chi riceve il messaggio un bagaglio tecnico sufficiente a preparare o usare armi, esplosivi o sostanze nocive o pericolose, o a compiere atti di violenza o di sabotaggio, poiche’ si tratta di condotta non qualificabile come insegnamento, ma come mera divulgazione o proposta ideologica (Sez. 1, n. 4433 del 06/11/2013, dep. 2014, El Abboubi, Rv. 259020, con riferimento alla prima parte della norma incriminatrice), ha affermato che, ai fini della configurabilita’ del reato di addestramento ad attivita’ con finalita’ di terrorismo (articolo 270 quinquies c.p.) anche internazionale, commesso dalla persona che abbia acquisito autonomamente informazioni strumentali al compimento di atti con la suddetta finalita’, e’ comunque necessario che il soggetto agente ponga in essere comportamenti significativi sul piano materiale, univocamente diretti alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies c.p., senza limitarsi ad una mera attivita’ di raccolta di dati informativi o a manifestare le proprie scelte ideologiche (Sez. 5, n. 6061 del 19/07/2016, dep. 2017, Hamil, Rv. 269581, in relazione ad una fattispecie in cui e’ stato ritenuto configurabile in sede cautelare il reato di cui all’articolo 270 quinquies c.p. sulla base di molteplici indici fattuali concreti, tra i quali il possesso da parte dell’imputato di video ed immagini riconducibili alla propaganda terroristica per lo Stato islamico o illustrativi di tecniche per la preparazione di un ordigno, scaricati con elevata frequenza nell’arco di un significativo periodo di tempo, nonche’ l’avere in rubrica telefonica un’utenza collegata ad altra in uso a soggetto poi arrestato per detenzione di armi ed esplosivi; analogo principio e’ stato affermato da Sez. 1, n. 7898 del 12/12/2019, dep. 2020, Hamil, Rv. 27849904, che, nella fattispecie, ha ritenuto insufficiente ad integrare una condotta penalmente rilevante – ancorche’ dotata di valenza altamente sintomatica della contiguita’ con ambienti dell’estremismo islamico – l’avere l’imputato, tra l’altro, visionato numerosi video riguardanti tematiche “jihadiste”, di cui alcuni strumentali all’auto-addestramento).
Premesso che la fattispecie incriminatrice in esame, introdotta nel 2015 (dal Decreto Legge 18 febbraio 2015, n. 7), appresta una tutela penale spiccatamente anticipata, punendo atti, non associativi, preparatori rispetto a condotte criminose con finalita’ di terrorismo, va evidenziato che, nel caso in esame, risulta che l’indagato avesse ripetutamente scaricato video che illustravano le modalita’ per la costruzione di bombe, ed una sorta di manuale con 200 consigli per sfuggire ai controlli e disarmare l’avversario, per commettere azioni violente, per realizzare un’azione da kamikaze, la cui univocita’ rispetto alla commissione di condotte terroristiche – e’ stata desunta dai numerosi video inneggianti alla violenza e all’affermazione armata dello Stato Islamico, agli attentati contro l’Occidente e gli Stati Uniti, alle decapitazioni dei c.d. âEuroËœinfedeli’ ed al martirio di musulmani celebrati come eroi, ma, altresi’, dai manoscritti sequestrati al (OMISSIS), che manifestano una chiara intenzione di immolarsi per la “guerra santa”, e dai contatti telefonici e, soprattutto, telematici intrattenuti a livello internazionale, partecipando a gruppi Whatsapp e canali di propaganda jihadista, in uno dei quali vengono indicati, quali possibili obiettivi sul territorio italiano, Roma e Pisa, ed il Presidente del Consiglio dell’epoca (OMISSIS).
Tali condotte, consistenti nel possesso di video ed immagini riconducibili alla propaganda terroristica per lo Stato islamico o illustrativi di tecniche per la preparazione di ordigni esplosivi, scaricati con elevata frequenza nell’arco di un significativo periodo di tempo, e nella partecipazione a chat e canali di propaganda jihadista nei quali venivano manifestati propositi terroristici, non possono essere ritenute circoscritte ad una mera attivita’ di raccolta di dati informativi o di manifestazione delle proprie scelte ideologiche, ma integrano comportamenti significativi sul piano materiale, univocamente diretti alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies c.p..
Inoltre, l’univocita’ delle condotte preparatorie e’ stata altresi’ rilevata con riferimento al rinvenimento di materiale destinato alla fabbricazione di un ordigno rudimentale all’interno dell’abitazione del (OMISSIS): nel corso della perquisizione domiciliare, infatti, venivano rinvenute 31 lampadine di diversa misura e voltaggio ed una sveglia, priva di batteria ed inutilizzata, all’interno di un sacco custodito sotto il letto; l’idoneita’ indiziaria e’ stata desunta non soltanto dal numero di lampadine, ultroneo rispetto ai punti luce dell’alloggio occupato, tra l’altro privo di lampadari, ma altresi’ dal file rinvenuto sul cellulare dell’indagato, intitolato “schema semplificato di ordigno con orologio”, che descrive e illustra graficamente come costruire un ordigno con una sveglia.
6. Il quinto motivo, con cui si contesta la sussistenza delle esigenze cautelari, e’ inammissibile, in quanto si limita a proporre doglianze di mero fatto, sollecitando una non consentita rivalutazione del merito cautelare, sulla base di una parcellizzazione valutativa e di una assertiva contestazione dell’idoneita’ indiziaria di alcuni elementi.
Nel ribadire che in relazione alla fattispecie di cui all’articolo 270 quinquies c.p. – rientrando essa nell’elenco dei reati di cui all’articolo 51 c.p.p., comma 3 quater richiamati dall’articolo 275, comma 3 (terzo periodo) – vige una doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere (che e’ applicata “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”), va evidenziato che l’ordinanza impugnata ha compiutamente motivato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, desumendo il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie dal numero e dalla frequenza dei contatti con gli ambienti di propaganda jihadista, dal grado di radicalizzazione e di auto-addestramento, e dal rinvenimento del materiale idoneo alla fabbricazione di un ordigno rudimentale all’interno dell’abitazione, ed il pericolo di fuga dal viaggio in Tunisia – giustificato dalla partecipazione al funerale del nonno -, in occasione del quale l’indagato e’ rimasto per circa un mese fuori dal territorio nazionale ove vive e lavora, e dai plurimi contatti internazionali con ambienti fondamentalisti e di propaganda jihadista.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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