Ai fini del riconoscimento della sussistenza dei legami parentali

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 28 settembre 2020, n. 5709.

Ai fini del riconoscimento della sussistenza dei legami parentali di cui all’art. 5, comma 5, Dlgs n. 286 del 1998, si richiede l’attualità della stabile presenza in Italia dei parenti e, soprattutto, l’effettività del legame familiare, intesa come partecipazione dei congiunti alla costituzione di un unico nucleo familiare o, almeno, come esistenza tra essi, al di là del dato genealogico, di rapporti di assidua frequentazione e cooperazione.

Sentenza 28 settembre 2020, n. 5709

Data udienza 17 settembre 2020

Tag – parola chiave: Immigrazione – Stranieri – Permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo – Reati contestati – Condizioni ostative – Prossimi congiunti presenti in Italia – Valutazione – Capacità reddituale futura

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 69 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno e Questura di Milano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2020 il Cons. Ezio Fedullo e udito l’Avvocato dello Stato Is. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con la sentenza (in forma semplificata) appellata, il T.A.R. Lombardia ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante, cittadino -OMISSIS-, avverso il decreto del Questore della Provincia di Milano col quale veniva disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, di cui il medesimo era titolare.
Premesso che, a fondamento del provvedimento reiettivo, l’Amministrazione poneva essenzialmente la condanna riportata dallo straniero in data 9 giugno 2017 alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 300,00 di multa, siccome riconosciuto responsabile dei reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p., il T.A.R., al fine di respingere le censure attoree, ha richiamato il disposto dell’art. 26, comma 7 bis, d.lvo n. 286/1998, nonché la mancanza di redditi sufficienti in capo al ricorrente.
Mediante i motivi di appello interposti dall’originario ricorrente al fine di conseguire la riforma della sentenza appellata, viene dedotto che: 1) quanto al profilo reddituale, la relativa valutazione deve comprendere anche la capacità reddituale futura, quale è desumibile dalle nuove e documentate occasioni lavorative colte dallo straniero; 2) l’Amministrazione ha omesso di valutare i legami familiari in Italia dello straniero, attesa la presenza sul territorio nazionale -OMISSIS-; 3) è mancata la formulazione, da parte dell’Amministrazione, di un giudizio concreto di pericolosità sociale dello straniero, tenuto conto del carattere di non particolare gravità dei reati contestati e dei suoi legami familiari in Italia.
Resiste all’appello l’appellato Ministero dell’Interno.
Tanto premesso, l’appello non è meritevole di accoglimento.
Deve preliminarmente rilevarsi che, ai sensi dell’art. 5, comma 5, d.lvo n. 286/1998, “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato…”.
L’art. 4, comma 3, quarto periodo d.lvo cit., a sua volta, dispone che “impedisce l’ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale, nonché dall’articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall’articolo 24 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773”.
Con specifico riferimento alla fattispecie de qua (concernente un permesso di soggiorno per lavoro autonomo), l’art. 26, comma 7 bis, d.lvo n. 286/1998 dispone altresì che “la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”.
Mediante il provvedimento di diniego impugnato, l’Amministrazione, al fine di sancire il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dall’odierno appellante, ha appunto fatto leva sulla sentenza di condanna pronunciata a suo carico dal Tribunale di Ferrara in data 9 giugno 2017 alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 300,00 di multa, in relazione ai reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p., nonché sulla valenza ostativa (al rinnovo del titolo) ad essa attribuita dalle disposizioni citate.
L’appellante, al fine di inficiare la concatenazione causale da cui è derivato il provvedimento reiettivo, nei termini innanzi illustrati, deduce, da un lato, l’assenza nei reati contestati dei tratti (di gravità) atti a qualificare il loro autore come persona socialmente pericolosa, dall’altro lato, la sussistenza di legami familiari in Italia, tali da elidere il carattere necessitato del diniego, conseguente al precedente penale contestato.
Le prospettazioni di parte appellante non possono però essere condivise.
Quanto al primo aspetto, invero, deve osservarsi che, come recentemente evidenziato da questa Sezione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3957 del 22 giugno 2020), la condanna de qua “costituisce in sé, da sola, circostanza sicuramente e insuperabilmente ostativa al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 26, comma 7-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998”: ciò in quanto “non si richiede affatto l’accertamento in concreto della pericolosità sociale, avendo il Legislatore operato a monte una valutazione presuntiva, in relazione alla tipologia di reato e all’oggetto della tutela penale ed anche al tipo di attività lavorativa svolta” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5014 del 28 novembre 2016).
Quanto al secondo profilo, invece, deve rilevarsi che, come statuito sempre da questa Sezione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2506 del 17 aprile 2019), la “tutela rafforzata” riconosciuta dall’art. 5, comma 5, d.lvo n. 286/1998 è delimitata, nel suo perimetro soggettivo, dall’art. 29, il quale riguarda solo i prossimi congiunti ivi elencati, cui sono estranei i “-OMISSIS-”, cui fa riferimento la parte appellante: non senza evidenziare che questa, nemmeno in primo grado, ha offerto congrui elementi documentali a supporto della sussistenza del legame di parentela addotto, della attuale stabile presenza in Italia dei menzionati parenti e, soprattutto, della effettività del legame familiare, intesa come partecipazione dei congiunti alla costituzione di un unico nucleo familiare o, almeno, come esistenza tra essi, al di là del dato genealogico, di rapporti di assidua frequentazione e cooperazione.
L’appello in conclusione, essendo inidoneo ad inficiare una delle autonome ragioni sottese al provvedimento impugnato, connessa come si è detto al menzionato recedente ostativo, deve essere respinto.
Deve solo rilevarsi, ad abundantiam, che la parte appellante non ha fornito, nella pertinente sede procedimentale, gli elementi documentali dimostrativi della dedotta “capacità reddituale futura”, la quale, nella presente sede processuale, viene essenzialmente correlata al contratto di lavoro stipulato in data -OMISSIS- 2018, ovvero in coincidenza con l’adozione dell’impugnato provvedimento di diniego, con la conseguente non configurabilità, a carico dello stesso, di alcun profilo di carenza istruttoria e/o motivazionale in relazione a circostanze che non facevano (né potevano far parte) del materiale informativo messo a disposizione della procedente Amministrazione.
L’entità dell’attività difensiva posta in essere dall’Amministrazione giustifica infine la compensazione delle spese del giudizio di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere, Estensore
Giovanni Tulumello – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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