Affinché il giudicato risultante da un giudizio separato possa essere posto a base di un’istanza di revocazione

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 21 novembre 2019, n. 7936.

La massima estrapolata:

Affinché il giudicato risultante da un giudizio separato possa essere posto a base di un’istanza di revocazione ex art. 395, n. 5 c.p.c., occorre che tra i due giudizi vi sia perfetta identità, oltre che di soggetti, anche di oggetto, di modo che possa ritenersi sussistente una ontologica e strutturale concordanza fra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudice e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto od un fatto ad esso antitetico e sempreché l’eccezione (o anche la censura) di cosa giudicata non fu né proposta, né presa in esame dalla sentenza, atteso che lo spirito informatore dell’istituto presuppone nel giudice l’ignoranza del fatto che dà adito alla revocazione.

Sentenza 21 novembre 2019, n. 7936

Data udienza 14 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2873 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ve. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, Questura Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. III n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno in cui si incardina, quale organo periferico, la Questura di Bergamo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Fr. Na. su delega dell’avvocato Ve. Bi. e l’avvocato dello Stato Wa. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con proprio decreto del 6 maggio 2011 il Questore della Provincia di Bergamo irrogava all’Ispettore odierno ricorrente la sanzione disciplinare della pena pecuniaria pari ad 1/30 della retribuzione mensile. Tanto a seguito di un episodio verificatosi il 05.03.2011 in cui l’Ispettore suddetto, nell’espletamento di un servizio di ordine pubblico svolto presso una discoteca, coordinato da un Vicequestore, procedeva al controllo ed identificazione di uno degli agenti di polizia locale che pure partecipava all’operazione.
1.1. Invero il ricorrente, dopo aver constatato che uno dei vigili impiegato nella suddetta operazione interforze di ordine pubblico portava con sé uno sfollagente estensibile e che lo stesso era sprovvisto del decreto prefettizio di autorizzazione al porto d’armi da fuoco, provvedeva ad identificarlo promuovendone il successivo accompagnamento presso il relativo Comando di polizia locale al fine di procedere alla verifica dell’esistenza e della regolarità della licenza di porto d’armi.
1.2. Questo episodio faceva seguito ad un episodio ana, datato 24.09.2010, sanzionato con un richiamo scritto emesso nei confronti dello stesso suindicato ispettore che, anche in quel caso, aveva accertato che agenti della polizia municipale del Comune di Bergamo detenevano strumenti operativi denominati “mazzette di segnalazione”, relazionando in via gerarchica al Questore. Gli episodi sopra menzionati inducevano, altresì, il Questore di Bergamo a disporre, in data 09.03.2011, il trasferimento del ricorrente per incompatibilità ambientale dalla Questura di Bergamo a quella di Milano, trasferimento che veniva, poi, annullato con sentenza n. -OMISSIS- del Tar Lombardia – Milano.
2. L’ispettore suindicato proponeva ricorso innanzi al Tar per la Lombardia – Sez. staccata di Brescia per l’annullamento del provvedimento del Questore della Provincia di Bergamo recante la sanzione disciplinare qui in rilievo della pena pecuniaria di 1/30 della retribuzione mensile e la relativa domanda veniva accolta con sentenza n. -OMISSIS-.
3. Di contro, nel successivo giudizio di appello (RG -OMISSIS-), proposto dal Ministero dell’Interno, questa Sezione, con sentenza n. -OMISSIS-, accoglieva il gravame e, per l’effetto, riformando la sentenza appellata, respingeva il ricorso di primo grado.
3.1. Con il mezzo in epigrafe, il ricorrente agisce in revocazione, ex art. 106 c.p.a. e 395 n. 4 e n. 5 c.p.c., avverso la suindicata sentenza n. -OMISSIS- del Consiglio di Stato, Sez. III, resa in data 24.05.2018 e depositata il 05.09.2018, sulla scorta dei seguenti motivi:
a) deduce, anzitutto, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 395 comma 1 n. 4 c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice appello sia quanto alla ricostruzione del materiale processuale sulla scorta del quale è stata delibata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per omessa/inesistente notificazione dell’atto di gravame sia rispetto alla ricostruzione e qualificazione del comportamento come inusuale ed inopportuno poiché posto in essere in violazione dei doveri di cortesia e correttezza nei rapporti istituzionali;
b) deduce, poi, sub articolo 395 comma 1 n. 5 c.p.c., il contrasto tra la pronuncia revocanda ed altra sentenza, n. -OMISSIS-, resa tra le medesime parti dal Tar per la Lombardia – Milano ed avente efficacia di giudicato.
3.2. Resiste in giudizio l’Amministrazione intimata.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
5. Con un primo gruppo di censure l’odierno ricorrente ha dedotto, sotto molteplici profili, che la sentenza di cui chiede la revocazione sarebbe viziata da un errore di fatto revocatorio ex art 395 c.p.c. n. 4.
5.1. Preliminarmente, si rivela, pertanto, opportuno ricostruire le coordinate normative e giurisprudenziali predicabili in subiecta materia ed alle quali ci si atterrà nello scrutinio della res iudicanda.
Com’è noto, l’art. 106 del cpa prevede che “salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile”.
A sua volta, il citato art. 395 c.p.c., prevede, tra i casi di revocazione, quello in cui (n. 4), “la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.”
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo perimetrato i presupposti che identificano l’errore di fatto “revocatorio”, distinguendolo dall’errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione, evidenziando, in apice, che l’istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio.
Orbene, l’orientamento costante di questo Consiglio è nel senso che “Nel processo amministrativo il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l’errore di fatto – idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c. – deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; esso è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice; si versa pertanto nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4, c.p.c. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita” (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. IV, 14/06/2018, n. 3671; Consiglio di Stato, sez. IV, 22 gennaio 2018 n. 406; Id., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4928; Id., sez. V, 6 aprile 2017, n. 1610; Id., sez. V, 12 gennaio 2017 n. 56). Peraltro, affinché possa ritenersi sussistente l’errore di fatto revocatorio nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti, è necessario che “nella pronuncia impugnata si affermi espressamente che una certa domanda o eccezione o vizio – motivo non sia stato proposto o al contrario sia stato proposto” (Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 8); inoltre, ricorre l’errore revocatorio in ipotesi di mancata pronuncia su di una censura sollevata dal ricorrente “purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima; si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame o di valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione, non censurabile in sede di revocazione” (Cons. Stato, VI, 22 agosto 2017, n. 4055); sempre in termini, Cons. Stato, V, 12 maggio 2017, n. 2229, secondo cui “L’errore revocatorio è […] configurabile in ipotesi di omessa pronuncia su una censura sollevata dal ricorrente purché risulti evidente dalla lettura della sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima; si deve trattare, in altri termini, di una totale mancanza di esame e/o valutazione del motivo e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 5/4/2016, n. 1331; 22/1/2015, n. 264; Sez. IV, 1/9/2015, n. 4099)” ed ancora “si può affermare che, laddove una sentenza menzioni nella parte descrittiva in fatto un motivo di doglianza, pur se ometta di pronunciarsi espressamente su di esso nella parte motiva, ciò non configura un vizio di omessa pronuncia, dovendosi considerare la pronuncia sul punto implicita nella statuizione complessiva della sentenza” (Cons. Stato, V, 19 ottobre 2017, n. 4842).
6. Orbene, procedendo nel solco delle coordinate tracciate dai suindicati principi deve, anzitutto, evidenziarsi come non abbia pregio la prima doglianza incentrata sul presunto abbaglio dei sensi che avrebbe impedito al giudice d’appello di valorizzare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per omessa o inesistente notificazione in base ai criteri dell’articolo 93 del d.lgs. n. 104/2010.
Sul punto è sufficiente notare che questa Sezione ha scrutinato l’eccezione qui in rilievo superandola “…perché contrariamente a quanto afferma la difesa della parte appellata, l’atto di appello dell’Avvocatura Generale risulta essere stato ritualmente notificato presso la segreteria del TAR, Sezione Staccata di Brescia, in via (omissis)”.
6.1. E’ pur vero che, avuto riguardo al materiale processuale, risulta versata in atti, nel caso qui in rilievo, la sola distinta di accettazione della raccomandata dell’appello spedito a mezzo posta, senza che risulti acquisito agli atti del giudizio anche l’avviso di ricevimento.
6.2. Ciò nondimeno, rilievo dirimente assume, ai fini in rilievo, la circostanza della non decisività della questione qui dedotta, dal momento che la suddetta notifica, anche se nulla, risulterebbe comunque sanata, ai sensi dell’art. 156, comma terzo, c.p.a., dall’avvenuta costituzione in giudizio della stessa parte appellata, che, nonostante le contrarie affermazioni di principio, non ha dedotto e comprovato un effettivo vulnus al proprio diritto di difesa, avendo potuto, di contro, pienamente esercitare tale diritto con il deposito tempestivo dei propri atti e documenti e sviluppando compiutamente le proprie tesi difensive, dimostrando concretamente come si sia conseguito il raggiungimento dello scopo (cfr. CdS, Sez. III n. 1959 del 25.3.2019).
Deve, invero, ritenersi che, in tema di notifica a mezzo posta, il deposito dell’avviso di ricevimento non è un requisito di “esistenza” della notificazione, ma semplicemente la prova dell’avvenuta esecuzione di essa. Pertanto, se il destinatario dell’atto d’appello si costituisca in giudizio, tale costituzione di per sé rende palese che la notificazione ha raggiunto il suo scopo, e supplisce la mancanza dell’avviso di ricevimento (cfr. Cassazione civile, sez. III, 27/04/2017, n. 10390; Sez. 5, Sentenza n. 26108 del 30/12/2015).
7. Con ulteriore motivo, il ricorrente lamenta, altresì, un’errata ricostruzione dei fatti di causa su cui riposerebbe la decisione fatta oggetto di revocazione: il ricorrente avrebbe tenuto un comportamento inusuale ed inopportuno, travalicando i doveri di cortesia e correttezza nei rapporti istituzionali non avvisando il superiore delle proprie iniziative e distogliendo due agenti dal servizio di istituto per accompagnare uno dei vigili che partecipavano alle operazioni di controllo presso il Comando di appartenenza, onde poter svolgere accertamenti ulteriori e diversi (segnatamente circa il possesso del decreto che legittimava il porto dell’arma) da quelli per i quali erano stati comandati.
7.1. A confutazione di tale ricostruzione il ricorrente richiama, tra l’altro, la relazione redatta al termine del servizio svolto nella notte del 05.03.2011, nella quale attesta la ritualità del controllo effettuato, rientrante nelle prerogative connesse al suo status. Inoltre, quanto alle modalità del controllo svolto, fa presente che il suo superiore gerarchico, ossia il Vice Questore che coordinava il servizio, reso opportunamente edotto, seppure per tramite di un terzo agente, dell’iniziativa assunta, nessuna contestazione muoveva sul suo operato. Sarebbe poi fuori sesto la prospettiva di valutazione privilegiata dal Collegio laddove valorizza, ai fini dell’accoglimento dell’appello, la presunta violazione dei doveri di cortesia e di correttezza di cui all’art. 13 del DPR 782/1985 sovrapponendo così alla condotta sanzionata e contestata all’Ispettore, rappresentata da una grave violazione dei doveri di diligenza, una nuova, distinta fattispecie, e cioè la mancata correttezza di comportamento.
7.2. Anche tale censura non ha pregio. Ed, invero, nel decisum qui in rilievo la Sezione ha, contrariamente a quanto dedotto, avuto chiara percezione del materiale processuale su cui riposava il tema in discussione.
Ed è proprio per effetto ed a seguito dello scrutinio della suddetta documentazione, nonché delle tesi difensive che da essa prendevano abbrivio, il giudice di appello è giunto alla statuizione qui contestata.
Nè emergono, attraverso la disamina dei passaggi in cui si articola la traiettoria argomentativa del corrispondente capo della decisione, elementi sintomatici di una sviata attività ricognitiva di lettura degli atti acquisiti al processo che possa aver falsato la corretta rappresentazione delle risultanze di causa.
Il giudice d’appello ha, in sintesi, ritenuto corretto l’operato dell’Amministrazione nella parte in cui ha censurato le modalità e le condizioni di tempo in cui l’odierno ricorrente ha dato avvio ai suoi controlli.
Occorre qui rammentare, anzitutto, che lo scenario di riferimento evoca con immediatezza la particolare delicatezza del momento in cui tali iniziative sono state poste in essere, vale a dire in occasione di un servizio di controllo ad ampio raggio disposto dal Questore di Bergamo presso una discoteca, in orario 0:00/6:00, affidato ad un contingente inter-forze, diretto da un Vice – Questore di P.S. e di cui faceva parte anche un’aliquota di personale della Polizia Locale.
7.3. Orbene la sanzione disciplinare intendeva punire l’iniziativa personale dell’odierno ricorrente che, mentre erano in corso delicati controlli nei confronti degli avventori presenti in un esercizio pubblico, avviava personali ed autonomi accertamenti sulla dotazione di armi degli agenti della Polizia Locale comandati per il medesimo servizio di ordine pubblico.
E’, dunque, nella detta prospettiva – ben colta dal giudice d’appello – che si colloca il rimprovero disciplinare culminato nell’applicazione della sanzione qui in rilievo.
7.4. Né costituisce una conferma della distorta ricostruzione operata dal Consiglio di Stato il riferimento operato alle norme generali di condotta di cui all’articolo 13 del d.p.r. 782/1985 e, segnatamente, ai doveri di cortesia e di correttezza esigibili dagli agenti di P.S., laddove tale riferimento, pur contenuto nella decisione qui in rilievo, non identifica, nella ricostruzione ivi offerta, la ragione unica ed assorbente della sanzione disciplinare irrogata, ma rappresenta, a ben vedere, solo uno dei passaggi argomentativi che vale a confermare, in una necessaria lettura di insieme, la qualificazione come negligente della condotta tenuta dall’odierno ricorrente durante lo svolgimento del servizio di ordine pubblico qui in rilievo.
7.5. Ed, invero, l’inopportunità e l’inusualità della suddetta attività di indagine, posta in essere nei confronti di soggetto appartenente ad altro corpo di Polizia e pur impiegato nella medesima operazione, avrebbe potenzialmente potuto turbare l’ordinario e sereno svolgimento del servizio in questione, vieppiù in considerazione della estemporaneità dell’iniziativa che aveva luogo senza il preventivo coinvolgimento della linea di comando ed anzi, costringendo il dirigente responsabile dell’intera operazione, non preventivamente avvertito, ad inviare personale della squadra mobile (che veniva così distolto dal servizio di controllo in atto) al fine di appurare cosa fosse accaduto.
Lo stesso dirigente, nella sua relazione di servizio del 6.3.2011, evidenziava che l’intervento di tale personale interrompeva il controllo in atto (operato dal ricorrente) “..impedendo così che tale situazione potesse degenerare”, soprattutto durante un servizio in corso”.
Il medesimo dirigente, al termine del servizio, faceva svolgere controlli presso il Comando di appartenenza dell’agente di Polizia Locale, dove emergeva la regolarità del porto d’armi.
7.6. Trova, dunque, una decisa smentita l’assunto di una decisione che muove da uno sviamento dei fatti di causa apparendo di tutta evidenza come la Sezione abbia maturato il proprio convincimento analizzando l’intero materiale processuale disponibile di cui ha avuto chiara e corretta percezione.
7.7. Quanto, poi, alla correttezza della valutazione offerta, anche rispetto al vaglio critico del materiale probatorio raccolto, deve rilevarsi come ciò attenga al processo di valutazione delle prove ed all’iter logico della decisione del giudice e, dunque, ma solo in via di mera tesi, all’errore di diritto, poiché, giova qui ribadirlo, sono vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione, che, collocandosi al di fuori del perimetro dell’errore di fatto revocatorio, non sono qui sindacabili.
7.8. Ritiene, dunque, il Collegio che, con l’azione qui in rilievo, risultino attratte nel fuoco della contestazione attorea le implicazioni in termini di risultato probatorio e di giudizio che il giudice d’appello ha inteso trarre dal materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio.
Tale è, dunque, il reale significato della contestazione veicolata con la domanda in epigrafe che involge la diversa esegesi delle acquisizioni processuali in relazione, peraltro, ad un punto dirimente della controversia, fatto oggetto di diretto scrutinio da parte del giudice procedente, con decisione che, pertanto, resta qui non sindacabile.
8. Infine, il ricorrente fonda le azionate pretese di revocazione sul disposto di cui all’art. 395 n. 5, ovvero per contrarietà della sentenza revocanda rispetto ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata.
8.1. In particolare, nel costrutto giuridico del ricorrente viene valorizzata la diversa qualificazione della medesima condotta compiuta nella sent. -OMISSIS- resa dal TAR Lombardia, Sez. I in data 29.10.2014 e divenuta irrevocabile il 08.03.2015.
Tale decisione, pronunciandosi sull’illegittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale disposto dal Questore, prendeva in considerazione anche il comportamento serbato nel caso qui in rilievo. Segnatamente, il Tar, nel corpo del proprio decisum di accoglimento, qualificava la condotta tenuta dal ricorrente, sia con riferimento ai fatti del 5.03.2011 che a quelli più risalenti del 24.09.2010, come “..lecita, oltre che doverosa..”, in quanto lo stesso “..si è in realtà limitato a verificare la regolarità dell’armamento degli appartenenti ad altro corpo di polizia”.
Il medesimo giudice si è poi soffermato sulle specifiche modalità seguite dal ricorrente nel porre in essere dette contestazioni, escludendo, anche sotto tale profilo, che le modalità concretamente seguite “..siano state effettuate secondo canoni non conformi ai suoi doveri d’ufficio, od altrimenti offensive del decoro del controllato”. Il ricorrente si è infatti semplicemente limitato all’accertamento dei fatti, dichiarando che li avrebbe segnalati alle autorità preposte, come avvenuto, ad esempio, nel sopralluogo del 24.9.2010, che ha peraltro dato luogo alla sanzione disciplinare annullata con sentenza del T.A.R. Lombardia, Brescia 3.12.2013 -OMISSIS-, ed in quello del 5.3.2011, che ha dato luogo alla sanzione annullata con sentenza n. -OMISSIS- del medesimo Tribunale”.
8.2. Il motivo è infondato. Ed invero, l’art. 395, comma 1 punto 5) del codice di procedura civile, dispone che può essere impugnata per revocazione “la sentenza che è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”.
Come è noto, affinché il giudicato risultante da un giudizio separato possa essere posto a base di un’istanza di revocazione ex art. 395, n. 5 c.p.c., occorre che tra i due giudizi vi sia perfetta identità, oltre che di soggetti, anche di oggetto, di modo che possa ritenersi sussistente una ontologica e strutturale concordanza fra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudice e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima, avendo questa accertato lo stesso fatto od un fatto ad esso antitetico (così, ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 19/04/2017, n. 1844; Cons. St., sez. IV, 24.9.2013, n. 4712 e 5 marzo 2015, n. 1124; Cons. St., VI, 26 maggio 2015, n. 2646) e semprechè l’eccezione (o anche la censura) di cosa giudicata non fu né proposta, né presa in esame dalla sentenza, atteso che lo spirito informatore dell’istituto presuppone nel giudice l’ignoranza del fatto che dà adito alla revocazione (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 19/10/2015, n. 4775; Cons. St. Sez IV n. 5613/2000; Sez VI n. 3845/2010; n. 6145/2014).
8.3. Nel caso qui oggetto di esame appare evidente come le due sentenze, pur avendo in comune taluni elementi di fatto, non sono, tra loro sovrapponibili, né presentano identico petitum e causa petendi. In disparte, la diversità del relativo oggetto (trasferimento per incompatibilità ambientale, da un lato, e sanzione disciplinare, dall’altro), deve rilevarsi che, pur facendo riferimento la sentenza del TAR Lombardia n. -OMISSIS- anche all’episodio qui in rilievo deve rilevarsi che è completamente diversa la prospettiva di valutazione privilegiata.
8.4. Anzitutto, non è qui in discussione l’astratta legittimità della condotta quanto alla potestà di verificare la regolarità del porto di un’arma, di talchè l’espressa qualificazione contenuta nella decisione meneghina di una condotta lecita, oltre che doverosa, riflette in questa sede una valenza neutra.
8.5. Lo stesso è a dirsi quanto ai residui profili che più direttamente afferiscono alle modalità concretamente seguite per lo svolgimento di tale controllo, la cui ritualità, nella prospettiva di valutazione seguita dal TAR per la Lombardia, è rimasta ancorata ai soli aspetti afferenti all’accertamento del fatto in sé, nella sua valenza assoluta e statica, in connessione cioè con le attribuzioni istituzionali del predetto funzionario ovvero alle modalità formali del controllo operato.
8.6. Di contro, non risulta sottoposta a scrutinio in quella sede – viceversa rilevante sotto il diverso profilo della negligenza della condotta – il contesto dinamico in cui quella condotta è maturata, quanto cioè alla censurata concomitanza con il delicato servizio di ordine pubblico che tanto il ricorrente, quale Ispettore di PS, che l’Agente di Polizia Locale stavano in quel frangente svolgendo con potenziali riflessi negativi sulla stessa buona riuscita dell’intera operazione.
8.7. Né vi è cenno all’ulteriore profilo fattuale legato all’elusione dell’obbligo di rispetto del principio di gerarchia, avendo il predetto Ispettore agito, nelle dette condizioni, senza, peraltro, preventivamente coinvolgere la linea di comando, pur presente in loco.
In ragione di quanto fin qui evidenziato va, dunque, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Le spese, in ragione della peculiarità della vicenda scrutinata, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe, lo dichiara inammissibile. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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