Adozione del provvedimento di scioglimento degli organi elettivi dell’ente locale

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 1 aprile 2019, n. 2129.

La massima estrapolata:

L’adozione del provvedimento di scioglimento degli organi elettivi dell’ente locale, con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso “connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture ovvero all’affidamento in concessione di pubblici servizi locali”; presuppone altresì la nomina della commissione straordinaria per la gestione dell’ente ed il conferimento delle relative attribuzioni, contenuto necessario del decreto di scioglimento ai sensi dell’art. 144 T.U.E.L..

Sentenza 1 aprile 2019, n. 2129

Data udienza 17 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4155 del 2018, proposto da:
Società Cooperativa Fa. So., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato El. Ra., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. D’O. e Ri. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Lu. D’O. in Giustizia, Pec Registri;
per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. 01695/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2019 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Ra. e Ro., in dichiarata delega di D’O. e Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, ha respinto il ricorso avanzato dalla società cooperativa Fa. So., nei confronti di Roma Capitale, per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 1248 del 9 giugno 2017, notificata a mezzo PEC in data 16 giugno 2017, a firma del direttore del Municipio X, mediante la quale venivano annullati d’ufficio la procedura di gara e tutti i relativi atti approvati con le D.D. nn. 325/2014 e 2355/2014, aventi ad oggetto l’affidamento dei servizi connessi alla balneazione sulle spiagge libere del litorale di Roma Capitale, nonché per la condanna di Roma Capitale al risarcimento del danno patito dall’istante a causa dell’attività illegittima posta in essere dall’amministrazione.
1.1. La sentenza sintetizza come segue i fatti esposti nel ricorso:
“Con D.D. n. 325 del 4 febbraio 2014, l’amministrazione resistente ha approvato il bando pubblico, il disciplinare e lo schema di convenzione per l’affidamento dei servizi connessi alla balneazione sulle spiagge libere di Roma Capitale, avente ad oggetto i servizi elencati dettagliatamente in ricorso ai punti da 1 a 11.
Il bando ha individuato i tratti di arenile interessati e li ha suddivisi in otto lotti.
Espletata la procedura di gara sulla base di 19 offerte pervenute, nella seduta pubblica dell’11 marzo 2014 è stata stilata la graduatoria provvisoria; quindi con D.D. n. 1066 del 9 aprile 2014 sono stati approvati i verbali di gara e disposta l’aggiudicazione definitiva.
Due dei lotti messi a bando (il lotto n. 3 e il lotto n. 4, identificati come in ricorso) sono andati deserti.
E’ seguito un cospicuo contenzioso intrapreso sia dai concorrenti esclusi sia dai concorrenti che non erano risultati aggiudicatari.
Nelle more, l’amministrazione ha stipulato comunque le convenzioni con i soggetti risultati aggiudicatari e quindi con D.D. n. 2355 del 25 settembre 2014, ha approvato il bando, il disciplinare e lo schema di convenzione per l’affidamento dei due lotti deserti.
Limitatamente al lotto n. 2 (ex lotto n. 4), ha partecipato unicamente l’odierna ricorrente, la quale si è aggiudicata la gara, giusta D.D. n. 220 del 9 febbraio 2015.
E’ stata così sottoscritta la convenzione per l’affidamento dei servizi connessi alla balneazione sul lotto n. 2, giusto atto protocollato al n. CO 34933 del 19 marzo 2015 e con scadenza al 31 dicembre 2017.
La ricorrente ricorda in ricorso le note vicende giudiziarie che hanno interessato il Municipio X e che hanno condotto allo scioglimento dello stesso con provvedimento del Presidente della Repubblica del 27 agosto 2015; dal che la conseguente gestione commissariale con relativa riorganizzazione mediante nomina di nuovi dirigenti apicali.
E’ altresì accaduto che, a seguito di un esposto all’ANAC, presentato dal presidente del laboratorio urbanistico (con cui si contestavano illegittimità a carico delle procedure de quibus, segnatamente con riferimento al lotto n. 8), si è originata un’intensa attività istruttoria da parte degli organi del Municipio, all’esito della quale sono state rilevate numerose illegittimità a carico delle procedure di gara, siccome rilevate con deliberazione ANAC n. 1086 del 5 ottobre 2016.
Le rilevate anomalie ed illegittimità sono elencate in ricorso alla pag. 5, cui si rinvia.
All’esito di ciò, l’amministrazione ha proceduto ad una ricognizione generale delle modalità di affidamento in concessione dei tratti di arenile onde verificare eventuali violazioni normative.
[…] nel marzo 2017, con nota prot. CO 26726 del 10 marzo 2017, il Municipio X ha richiesto all’Avvocatura capitolina un parere in ordine alla violazione delle norme nazionali in materia di sub delega regionale per la gestione del demanio marittimo; attività consultiva di cui si dà conto nella motivazione nell’atto di autotutela gravato.
Pertanto, con nota CO 30545 del 21 marzo 2017, il Municipio X ha comunicato a tutti gli aggiudicatari degli 8 lotti, l’avvio del procedimento di annullamento di ufficio delle procedure di gara con D.D. nn. 325/2014 e 2355/2014”.
1.2. Dato quanto appena esposto, la ricorrente ha dedotto di avere sollecitato la conclusione del procedimento, sia per le vie brevi sia con note PEC del 26 aprile e 28 aprile 2017, anche in ragione degli impegni economici ed organizzativi già assunti, avendo altresì rappresentato all’amministrazione di essere estranea rispetto ad eventuali irregolarità commesse dalla stazione appaltante nell’affidamento del servizio e di essere stata rassicurata sulla scadenza della concessione al 31 dicembre 2017 (ciò sarebbe avvenuto in una riunione tenutasi in data 21 febbraio 2017).
In data 12 maggio 2017 è stata emanata la nota CO 53622 a firma del competente direttore, con la quale, a riscontro delle note predette, si è comunicato alla ricorrente che il procedimento avrebbe portato all’annullamento delle gare e che pertanto la società cooperativa Fa. So. avrebbe dovuto considerarsi non più affidataria del lotto n. 2 e non più incaricata dei servizi di cui è causa; quindi, in data 6 giugno 2017, l’amministrazione ha notificato alla ricorrente e alle affidatarie, alla Procura della Repubblica, al Sindaco, alla Capitaneria di Porto, alla Polizia Locale ed al Demanio, la nota prot. CO 64472, con cui si è, tra l’altro, contestato che la ricorrente si era rifiutata di riconsegnare il tratto di arenile e le chiavi della struttura, contestualmente fissandosi il giorno7 giugno 2017 per l’accesso finalizzato alla riconsegna; la ricorrente ha replicato alla suddetta nota con comunicazione via PEC del 7 giugno 2017, ottemperando comunque alla riconsegna e riservandosi di tutelare i propri diritti; in data 16 giugno 2017 è stato notificato il provvedimento di autotutela impugnato.
2. La sentenza -riassunti i tre motivi di ricorso e le difese svolte da Roma Capitale- ha ritenuto legittimo l’atto di autotutela assunto dall’amministrazione municipale, respingendo la domanda di annullamento e quella risarcitoria avanzata ex art. 34, comma 3, Cod. proc. amm..
2.1. Ha premesso come la motivazione del provvedimento si incentri, sia sulla deliberazione dell’ANAC nota n. 62296 del 19 aprile 2016, sia sui rilievi sollevati dagli organi competenti in merito alle anomalie ed alle irregolarità commesse nell’ambito degli affidamenti in contestazione, rappresentando “con congruo apparato giustificativo lo scenario di illegittimità dilagante che ha connotato l’azione amministrativa municipale negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore delle disposizioni sulla sub delega in tema di demanio marittimo”.
2.2. Ha quindi rigettato i motivi di ricorso, rilevando:
– quanto alla lamentata violazione del termine di 18 mesi previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che il provvedimento è l’esito ultimo di una lunga istruttoria recepita dall’amministrazione, ma derivante dagli accertamenti effettuati dalla Commissione straordinaria insediatasi a seguito dello scioglimento del municipio adottato con d.P.R. del 27 agosto 2015e prorogata con d.P.R. del 30 dicembre 2016; che, attesa l’opera di riorganizzazione degli uffici e di ripristino della legalità avviata dall’organo straordinario, i termini ordinari procedimentali si sono allungati; che, in particolare, il termine di 18 mesi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 va reputato “recessivo rispetto all’azione straordinaria in questione, la quale, ispirata ad una preminente ratio di ripristino della legalità, tollera eventuali lievi scostamenti rispetto alla tempistica ordinaria”; che, rappresentando l’art. 21-nonies “una previsione di massima di carattere ordinario”, superabile in forza di “esigenze superiori”, il provvedimento gravato dà ampiamente conto di tali esigenze nel caso di specie derivanti “sia dal grave contesto di illegittimità …sia dalle palesi anomalie dei singoli procedimenti di gara”;
– quanto alle dedotte violazioni degli artt. 21-quinquies e 21-sexies della legge n. 241 del 1990, che il provvedimento impugnato va qualificato come atto di annullamento, sicché sarebbero inconferenti le contestazioni della ricorrente che ne prospettano la qualificazione in termini di revoca o recesso; che le anomalie esposte nell’atto hanno viziato tutta l’attività di gestione del litorale, ledendo la regolarità degli affidamenti “senza che, atomisticamente, si possa in alcun modo astrarre ed isolare una singola procedura ovvero un singolo lotto rispetto agli altri”; che in particolare rilevano il vizio di incompetenza riscontrato dall’amministrazione municipale e le irregolarità ritenute dall’ANAC ed esposte nella delibera n. 1086 del 5 ottobre 2016; che scarso rilievo va attribuito al dedotto affidamento dell’istante, asseritamente derivante da condotte equivoche dell’amministrazione (che l’avrebbero indotta ad affrontare spese ed impegni organizzativi frustrati dall’annullamento), atteso che la criticità del procedimento era sicuramente nota all’istante quanto meno e sicuramente dal 21 marzo 2017 “e cioè abbondantemente prima della stagione balneare dell’anno di riferimento”; che la stessa aveva comunque goduto del bene nelle prime due stagioni balneari; che ogni ulteriore iniziativa intrapresa dalla cooperativa “rappresenta evenienza unilateralmente ed arbitrariamente adottata a proprio rischio e pericolo”;
– quanto alla domanda risarcitoria, che questa è stata prospettata soltanto a titolo di responsabilità da provvedimento illegittimo, la quale non sussiste per la correttezza degli atti assunti dagli uffici comunali.
2.3. Ne è seguito il rigetto del ricorso, con compensazione delle spese di lite.
3. Avverso la sentenza la società cooperativa Fa. So. ha avanzato appello con due motivi ed ha riproposto la domanda risarcitoria.
3.1. Roma Capitale ha resistito al gravame.
3.2. All’esito dell’udienza pubblica del 17 gennaio 2019 la causa è stata posta in decisione, previo deposito di memorie da ambedue le parti.
4. Col primo motivo (Errores in procedendo, omessa motivazione, violazione artt.112 e 115 c.p.c.; Errores in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies L. 241/1990; violazione art. 97 Cost.; violazione del principio generale dell’affidamento, eccesso di potere sotto il profilo della perplessità e della irragionevolezza) l’appellante torna a sostenere la violazione del termine massimo di diciotto mesi previsto dall’art. 21-nonies, sotto i diversi profili di cui alla rubrica, evidenziando che l’atto di annullamento della gara è stato notificato solo in data 16 giugno 2017, dunque 29 mesi dopo l’aggiudicazione e quando oramai mancavano solo 6 mesi alla scadenza della convenzione triennale.
Argomenta quindi in merito all’insussistenza di regioni di pubblico interesse a sostegno dell’annullamento dell’atto.
Censura, infine, la sentenza quanto alle affermazioni concernenti la mancanza, in capo alla ricorrente, di un legittimo affidamento meritevole di tutela.
4.2. Col secondo motivo (Errores in procedendo, omessa motivazione, omesso apprezzamento dei presupposti in fatto, violazione artt. 112 e 115 c.p.c.) l’appellante deduce altresì -in merito alla già dedotta violazione del principio di affidamento- che il primo giudice non avrebbe potuto considerare “arbitraria” l’attività svolta dall’odierna appellante sino al giugno 2017, atteso che la comunicazione di avvio del procedimento del marzo 2017 non era atto idoneo a sollevarla dagli obblighi contrattuali e che, a causa del “perdurante silenzio dell’amministrazione”, si era vista costretta a garantire i servizi essenziali per non incorrere in responsabilità .
5. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione, non sono fondati, pur necessitando la motivazione della sentenza delle correzioni di cui appresso.
5.1. La vicenda oggetto del presente contenzioso si inserisce nel contesto amministrativo del Municipio Roma X di Roma Capitale, i cui organi di governo sono stati sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso con d.P.R. del 27 agosto 2015, ai sensi degli artt. 143 e 146 del d.lgs. n. 267 del 2000; con lo stesso d.P.R. è stata nominata la Commissione straordinaria per la gestione della struttura territoriale per la durata di diciotto mesi; questa è stata prorogata per altri sei mesi con D.P.R. del 30 dicembre 2016.
Pertanto, quando vennero adottati il provvedimento impugnato e gli atti presupposti era insediata la Commissione straordinaria; questa, all’epoca, aveva già disposto la generale rotazione della precedente compagine dirigenziale.
5.2. Per quanto qui rileva, va sottolineato che la Commissione straordinaria, con i poteri del Consiglio municipale, con la deliberazione n. 3 del 18 dicembre 2015, ha formulato le linee di indirizzo per le attività di carattere gestionale, conferendo mandato al Direttore del Municipio X a porre in essere tutti i provvedimenti relativi “ad una serie di argomenti fondamentali per il territorio”, tra cui il “Litorale”, ed in particolare la gestione delle spiagge libere e dei relativi servizi e le concessioni demaniali marittime rilasciate nel corso degli anni.
5.3. Nell’espletamento di tale mandato, il Direttore apicale del Municipio, arch. Cinzia Esposito (già Direttore dell’allora denominata Direzione Ambiente e Territorio e correlata Unità organizzativa Ambiente e Litorale), frattanto nominata con ordinanza del 29 settembre 2015, ha emanato il provvedimento impugnato, preceduto dalla nota CO30545 del 21 marzo 2017, con la quale è stata data comunicazione dell’avvio del procedimento, e dalla nota CO53622 del 12 maggio 2017, di riscontro alle note inviate dalla società cooperativa Fa. So..
5.4. Il provvedimento impugnato n. 1248 del 9 giugno 2017, pur riportando nell’oggetto il riferimento all'”annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies L. n. 241/1990 e s.m.i […]”, dà conto, nelle trenta pagine dell’articolata motivazione, oltre che delle vicende delle procedure di gara aventi ad oggetto l’affidamento dei “servizi connessi alla balneazione sulle spiagge libere del Litorale di Roma Capitale” (pagg.1-8), altresì :
– delle vicende dello scioglimento degli organi municipali di cui sopra e dell’attività della gestione straordinaria, anche quanto al coinvolgimento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (pagg.8- 11);
– dei primi rilievi operati dall’ANAC in ordine alla procedura di gara indetta con D.D. n. 325/2014 (pagg.11-13);
– della “capillare e metodica azione complessiva di natura ispettiva, coadiuvata dall’intervento della Capitaneria di Porto e dell’Agenzia del Demanio, nonché della Polizia Locale di Roma Capitale”, condotta dalla Struttura territoriale su impulso della Commissione straordinaria, avente ad oggetto le “spiagge libere” interessate dai “servizi” concessi in affidamento, svolta nel corso dell’anno 2016 (pagg. 13-17);
– della gestione delle “spiagge libere” del litorale di Roma Capitale, “oggetto di una fuorviante ed alterata percezione delle disposizioni di rango sovraordinato”, nel contesto di uno “scenario di illegittimità e di illeciti dilagante che ha caratterizzato l’azione amministrativa negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore delle disposizioni sulla subdelega in materia di Demanio Marittimo”, per come esposto nel dettaglio alle pagg. 17-20;
– ancora, del contenuto della deliberazione del Consiglio dell’ANAC n. 1086 del 5 ottobre 2016, conclusiva del procedimento di cui sopra (pagg. 20-21); dei pareri espressi dall’Avvocatura capitolina in merito alla gestione delle “spiagge libere” (pagg. 21-22); dell’ulteriore attività istruttoria svolta dalla Struttura su impulso della Commissione straordinaria (pagg. 23-24).
5.5. Come dedotto dalla difesa di Roma Capitale, il dato di fatto che emerge dalla motivazione dell’impugnato provvedimento è che la deliberazione dell’ANAC riferita alla procedura di gara indetta con D.D. n. 325/2014, ha costituto soltanto uno dei momenti di verifica dell’azione amministrativa, avendo, per contro, l’amministrazione municipale condotto, sotto l’impulso ed il controllo della Commissione straordinaria, un’autonoma attività ispettiva, che ha finito per coinvolgere anche la procedura di gara indetta con D.D. n. 2355/2014 per l’affidamento dei servizi connessi alla balneazione sui due lotti andati deserti nella gara precedente, uno dei quali aggiudicato alla società cooperativa Fa. So..
5.6. Pertanto, sono riferibili anche a tale affidamento le conclusioni raggiunte all’esito dell’istruttoria, esposte alle pagg. 24 e seg. del provvedimento impugnato, in particolare quelle per cui:
– l’attività ispettiva svolta ha ” […] disvelato elementi di illegittimità che per diverso tempo hanno caratterizzato la gestione delle spiagge libere affidate all’Ente locale e, per esso, alla Struttura Territoriale del Decentramento Amministrativo di Roma Capitale”;
– “[…] è stato possibile ricostruire un metodo ed un sistema di amministrazione della res publica contrari(a) alle norme di rango sovraordinato ad ogni livello, con evidenti distorsioni che si sono riverberate nel corso degli anni sulla gestione dei servizi da erogare alla collettività che fruisce del Demanio Marittimo dello Stato”;
– […] “è stato accertato e suffragato dalle attività di indagine in atto come quelle finalità pubbliche sottese alla normativa di subdelega siano state, viceversa, artefatte e compromesse da una gestione non corretta delle attività delegate, con serie ripercussioni di natura erariale”;
– […] “è stato dimostrato…come mediante il ricorso all’illegittimo frazionamento in lotti di tratti unitari di spiaggia libera, mediante la possibilità di noleggiare attrezzature e di somministrare al pubblico alimenti e bevande, gli affidatari dei servizi oggetto di gara abbiano potuto realizzare elevati guadagni, senza, tuttavia, corrispondere all’Erario alcuna somma di denaro per l’occupazione dell’area del Demanio Marittimo, gestendo le proprie attività di impresa come un qualsiasi stabilimento balneare, senza, tuttavia, versare alcun canone demaniale marittimo allo Stato”.
5.7. Sulla base di dette conclusioni -e dato atto sia dei profili di illegittimità degli atti di gara rilevati dall’ANAC, in riferimento alla prima procedura, sia degli indirizzi assunti dalla Commissione straordinaria per il buon andamento dei servizi di competenza della Struttura territoriale, e specificamente della gestione delle spiagge libere- col provvedimento impugnato si è disposto “l’annullamento d’ufficio, con efficacia ex tunc di tutti gli atti di gara indetti con la D.D. n. 325/2014, con la D.D. n. 2355/2014 e di tutti i conseguenti, connessi e correlati atti e provvedimenti amministrativi […]”.
6. Quanto precede consente di condividere le argomentazioni difensive di Roma Capitale circa la specialità del regime giuridico dell’azione amministrativa de qua, condotta alla stregua di poteri amministrativi straordinari.
Corretto, in proposito, è il richiamo che la difesa capitolina fa all’art. 145 del d.lgs. n. 267 del 2000; meno convincente è l’interpretazione, da parte della stessa difesa, dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, come norma derogabile quanto al termine di diciotto mesi decorrente dall’adozione dei provvedimenti di autorizzazione e di attribuzione di vantaggi economici (introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1) della legge 7 agosto 2015, n. 124).
6.1. Siffatta interpretazione, fatta propria dalla sentenza gravata, attribuisce alla modifica normativa la qualificazione di mero indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza, nel caso concreto, della regola del termine ragionevole, di modo che questo potrebbe essere derogato in situazioni eccezionali adeguatamente valutate dalla p.a..
Si tratta di un’impostazione che prende le mosse da una non condivisibile lettura di alcune decisioni che effettivamente hanno ravvisato nella novella del 2015 (anche) una funzione ermeneutica, ma soltanto riguardo a provvedimenti di annullamento d’ufficio cui la disposizione novellata non era applicabile ratione temporis (così, tra le altre, in Cons. Stato, VI, 10 dicembre 2015, n. 5625 e id., VI, 27 gennaio 2017, n. 341).
6.2. Diversamente va considerata la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici laddove, come nel caso di specie (avente ad oggetto un annullamento d’ufficio, in data 9 giugno 2017, di un’aggiudicazione del 9 febbraio 2015), si tratti di provvedimento (di secondo grado) adottato nel vigore della norma modificata e al quale questa sarebbe applicabile anche seguendo l’interpretazione di diritto transitorio più favorevole all’amministrazione, secondo cui rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati prima della nuova disposizione, il termine di diciotto mesi per l’autotutela caducatoria comincia a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, vale a dire dal 28 agosto 2015 (cfr. Cons. Stato, V, 19 gennaio 2017, n. 250).
6.3. Orbene, l’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha conservato il limite previgente della ragionevolezza del termine, da valutare in considerazione delle peculiarità del caso concreto, in particolare quanto alla posizione del destinatario del provvedimento ed al suo ragionevole affidamento, ma ha riconfigurato il potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti rispetto ai provvedimenti attributivi di utilità giuridiche od economiche, fissando altresì il detto termine massimo.
A tale interpretazione conduce sia la lettera del comma 1 (secondo cui trattasi di termine “comunque non superiore a diciotto mesi…”) sia dal contenuto del comma 2-bis (secondo il quale le eccezioni sono soltanto quelle ivi previste).
6.4. La natura perentoria del termine è stata affermata da diversi precedenti, tra cui le sentenze su citate ed anche le decisioni di questo Consiglio di Stato, VI, 13 luglio 2017, n. 3462 e id., V, 26 giugno 2018, n. 3940, richiamate, rispettivamente, nell’atto di appello e nella memoria dell’appellante.
Condividendo le argomentazioni e le conclusioni esposte nelle relative motivazioni, va qui ribadito che si è in presenza di un limite temporale assoluto, il cui superamento preclude definitivamente l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, precludendo altresì qualsivoglia apprezzamento in merito alla ragionevolezza della relativa tempistica.
6.5. Giova aggiungere che, così come per le eccezioni contemplate dall’art. 21-nonies, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990, altre sono state espressamente previste dalla legge. Restando in tema di esecuzione delle concessioni di pubblici servizi, va menzionata la deroga di cui all’art. 176 del d.lgs. n. 50 del 2016, che, al comma 2, esclude l’applicazione dei termini dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 nelle ipotesi di cessazione della concessione tassativamente previste al comma 1, lett. a, b e c.
La disciplina di cui agli artt. 141 e seg. del d.lgs. n. 267 del 2000 – T.U.E.L., relativa al controllo sugli organi degli enti locali, non contiene una norma espressamente derogatoria del termine dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
6.6. Dato quanto fin qui esposto, va corretta l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui troverebbe diretta applicazione nel caso di specie l’art. 21-nonies, con deroga al termine massimo di esercizio del potere di annullamento d’ufficio ivi previsto, per la specialità dei poteri amministrativi riconosciuti in caso di “commissariamento” dell’ente locale.
7. La norma applicabile è piuttosto quella dell’art. 145 (Gestione straordinaria), comma 4, del T.U.E.L., per il quale “Nei casi in cui lo scioglimento è disposto anche con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso, connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture, ovvero l’affidamento in concessione di servizi pubblici locali, la commissione straordinaria di cui al comma 1 dell’articolo 144 procede alle necessarie verifiche con i poteri del collegio degli ispettori di cui all’articolo 14 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. A conclusione degli accertamenti, la commissione straordinaria adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessari e può disporre d’autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso.”.
7.1. La disposizione attribuisce alla commissione straordinaria poteri extra ordinem, in quanto le consente l’adozione, senza limiti temporali, di provvedimenti amministrativi dal contenuto non rigorosamente definito. Sono tuttavia individuati con sufficiente determinazione i presupposti giuridici e di fatto per l’esercizio di tali eccezionali poteri (secondo quanto già evidenziato nel precedente giurisprudenziale, citato dalla difesa dell’appellante, di cui a Cons. Stato, V, 22 dicembre 2005, n. 7335).
L’esercizio dei poteri in esame presuppone infatti l’adozione del provvedimento di scioglimento degli organi elettivi dell’ente locale, con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso “connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture ovvero all’affidamento in concessione di pubblici servizi locali”; presuppone altresì la nomina della commissione straordinaria per la gestione dell’ente ed il conferimento delle relative attribuzioni, contenuto necessario del decreto di scioglimento ai sensi dell’art. 144 T.U.E.L..
L’art. 145, comma 4, T.U.E.L., a sua volta, riconosce alla commissione di nomina governativa -mediante rinvio all’art. 14 del d.-l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni dalla legge n. 203 del 1991- eccezionali poteri ispettivi, finalizzati al raggiungimento dello scopo istituzionale dell’intera gestione straordinaria dell’ente locale (o della sua articolazione territoriale), vale a dire -per quanto qui rileva- il ripristino della legalità nello specifico settore di intervento degli appalti pubblici e della gestione di pubblici servizi.
La finalità in discorso va perseguita avvalendosi di strumenti di tipo amministrativo, normativamente individuati nella “adozione di tutti i provvedimenti ritenuti necessari”; nella “revoca delle deliberazioni già adottate in qualunque momento e fase della procedura contrattuale”; nella “rescissione del contratto già concluso”.
Si tratta, come evincibile dalla ricostruzione che precede, di disposizione speciale che prescinde da qualsivoglia riferimento ai tradizionali strumenti di esercizio del potere di autotutela decisoria, in primo luogo a quelli disciplinati in via generale dagli artt. 21-quinquies, 21-sexies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Ne consegue che, come già affermato da questo Consiglio di Stato, “il potere “extra ordinem” affidato alla commissione straordinaria non si atteggia come mero riesame della legittimità formale o dell’opportunità dei provvedimenti amministrativi, ma rappresenta momento autonomo di ricostituzione di un tessuto amministrativo, che può portare anche ad avere effetti ablatori su atti amministrativi consolidati nel tempo con sacrificio di situazioni giuridiche soggettive ad essi collegate, ma che trova la sua giustificazione, ed al tempo stesso il suo parametro di legittimità, nella necessità di chiudere radicalmente qualsiasi via che consenta l’infiltrazione della criminalità organizzata.” (così Cons. Stato, V, n. 7335/05 cit.).
Giova aggiungere che la compatibilità del potere in esame con il principio di legalità è assicurata dalla su evidenziata specificazione dei presupposti giuridici e fattuali per l’esercizio dell’autotutela.
8. S’impongono, allora, tenuto conto delle deduzioni svolte dalla difesa dell’appellante nella memoria conclusiva depositata ai sensi dell’art. 73, comma 1, Cod. proc. amm., le seguenti precisazioni, sia in merito all’autonomia degli istituti previsti dall’art. 145, comma 4, T.U.E.L.rispetto all’annullamento d’ufficio ed alla revoca e recesso disciplinati dalla legge n. 241 del 1990, sia in merito ai presupposti per la loro adozione.
8.1. Quanto al primo profilo, va detto che gli interventi di ripristino della corretta gestione amministrativa disciplinati dall’art. 145 T.U.E.L. sono istituti differenti rispetto a quello di scioglimento degli organi elettivi dell’amministrazione locale disciplinato dal precedente art. 143, essendo le due misure fondate su distinti presupposti, implicanti, la prima, valutazioni di tipo oggettivo e, la seconda, valutazioni anche soggettive. Malgrado ciò, si tratta di misure strettamente collegate, in quanto la gestione straordinaria presuppone, come detto, l’adozione del provvedimento di scioglimento, ed il previo insediamento della commissione straordinaria, con affidamento a quest’ultima, ex artt. 144-145 TUEL, di poteri sostitutivi di quelli spettanti agli organi elettivi, per il ripristino della legalità violata.
Tale collegamento rende evidente come assumano preminente rilievo quei profili di illegalità che, a causa di situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso -sia pure con le specificazioni di cui si dirà a proposito di appalti pubblici e concessioni di servizi-, abbiano, in un determinato contesto territoriale, indotto gli organi statali competenti a decretare lo scioglimento degli organi elettivi dell’ente locale.
Pertanto, contrariamente a quanto assume la difesa dell’appellante, non è l’appellata amministrazione a “confondere”, nel presente giudizio, “i profili di illegittimità con i profili di illegalità “, ma è piuttosto la normativa di riferimento ad attribuire rilevanza ai secondi, a prescindere dalla sussistenza o meno dei primi. Si vuole con ciò significare che, se è vero che, di norma, come nota l’appellante, nel caso di illegittimità amministrativa, intesa come scostamento dai parametri procedimentali fissati dalle norme di azione, non è consentito il ricorso all’esercizio di poteri straordinari, ma è necessario fare ordinario uso del ius poenitendi, come disciplinato dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990; per contro, discende dalle richiamate disposizioni normative che, in presenza dei presupposti di cui agli artt. 143 e 145 del d.lgs. n. 267 del 2000, l’ordinario strumento di autotutela astrattamente adottabile -quali l’annullamento d’ufficio in caso di illegittimità o la revoca per motivi di pubblico interesse- cede il passo all’esercizio dei poteri straordinari di gestione.
Va aggiunta la precisazione che, pur essendo l’illegittimità “altro dalla illegalità “, secondo la suggestiva argomentazione dell’appellante, è innegabile che -in contesti quale quello bene descritto nel provvedimento qui impugnato- lo scostamento dell’azione amministrativa dalle norme di legge che ne regolano la competenza ed il procedimento ben può costituire un indice significativo del condizionamento criminale posto a fondamento delle misure straordinarie in esame.
8.2. Venendo quindi a dire dei presupposti di queste ultime, va premesso che l’appellante insiste nel sottolineare l’estraneità della società cooperativa Fa. So. ad episodi di corruttela o di turbativa d’asta, specificamente con riguardo alla gara all’esito della quale ha conseguito l’aggiudicazione, al fine di sostenere che l’art. 145 T.U.E.L. non attribuisce alla gestione commissariale un potere generale di annullamento di tutti gli atti compiuti dall’amministrazione sciolta per infiltrazioni mafiose, ma occorrerebbe che “sia proprio l’atto revocato o annullato l’oggetto, anche parziale, di condotte penalmente rilevanti”.
Tale assunto non è del tutto corretto, in linea di principio, tenuto conto delle norme applicabili; è comunque infondato, in riferimento al caso concreto.
8.2.1. Quanto alle norme applicabili, ed in specie all’art. 143 T.U.E.L., non è qui necessario soffermarsi sull’orientamento della giurisprudenza amministrativa che riconosce all’istituto dello scioglimento degli organi elettivi comunali una finalità preventivo-cautelare, piuttosto che strettamente sanzionatoria (cfr., tra le tante, Cons. Stato, III, 8 giugno 2016, n. 2454), traendone le debite conseguenze a proposito dell’individuazione degli indici concretamente sintomatici dei fatti costitutivi della fattispecie normativa.
L’art. 143, comma 1, T.U.E.L. nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della legge n. 94 del 2009 individua tali fatti nel collegamento, diretto o indiretto, degli amministratori locali, con le consorterie mafiose o nel loro condizionamento da parte di queste ultime, che abbiano comportato e comportino le conseguenze di disfunzionalità dell’ente o di pericolo per la sicurezza pubblica specificate nella parte finale della disposizione (“un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”). In proposito, è qui sufficiente ricordare che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato da tempo richiede -come la legge, novellata nel 2009 in modo da conformarsi al prevalente indirizzo giurisprudenziale- elementi sintomatici che si caratterizzino per concretezza, univocità e rilevanza, pur nella varietà della casistica giurisprudenziale e pur con l’avvertenza, presente in diverse decisioni, che il sindacato del giudice amministrativo non si arresti ad un’atomistica e riduttiva analisi dei singoli elementi, senza tenere conto del contesto locale e dei suoi rapporti con l’amministrazione del territorio, dovendosi considerare la permeabilità degli organi elettivi a logiche e condizionamenti di tipo mafioso, sulla base di una valutazione complessiva che costituisca “bilanciata sintesi e non mera somma dei singoli elementi” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, III, 2 luglio 2014, n. 3340 e id., III, 20 gennaio 2016, n. 876).
Orbene, tra gli elementi sintomatici della disfunzionalità dell’ente e della compromissione del suo buon andamento per via delle infiltrazioni o dei condizionamenti di tipo mafioso notevole rilievo assumono -nella casistica giurisprudenziale, ma anche nell’impianto normativo- le gravi irregolarità nella gestione dei pubblici appalti e dei servizi pubblici locali.
Significativo, al riguardo, è che l’art. 143, comma 3, T.U.E.L., riguardo al contenuto della relazione del prefetto propedeutica alla proposta ministeriale di scioglimento, preveda che “nella relazione sono… indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica”. La possibilità di prescindere dalla rilevanza penale dei fatti è palesata dall’alinea seguente della stessa disposizione, che presuppone come solo eventuali la pendenza del procedimento penale e la richiesta di informazioni al procuratore della Repubblica.
L’art. 145, comma 4, del T.U.E.L., a sua volta, nel presupporre il già disposto scioglimento degli organi elettivi, prevede che questo sia stato riferito anche a situazioni di infiltrazione o condizionamento di tipo mafioso connesse all’aggiudicazione degli appalti pubblici o alla gestione dei pubblici servizi. Il testo della norma è chiaro nel richiedere che lo scioglimento degli organi elettivi si fondi, nel caso concreto, oltre che su altri eventuali indici sintomatici dell’infiltrazione o del condizionamento, anche specificamente su disfunzionalità riscontrate nel settore dei pubblici affidamenti. Al contempo, però, riferendosi genericamente a situazioni connesse alla gestione dei pubblici appalti, non riferisce i poteri della commissione straordinaria a procedure che siano singolarmente individuate negli atti propedeutici al decreto di scioglimento né richiede che le relative condotte siano state oggetto di indagini o procedimenti penali. Conferma di ciò si ha nel fatto che i poteri ispettivi riconosciuti alla commissione straordinaria dall’art. 145, comma 4, T.U.E.L., di cui si è ampiamente detto, in tanto si giustificano, in quanto sia necessario accertare l’effettiva incidenza dei condizionamenti evidenziati nel decreto di scioglimento (quindi nella relazione della commissione d’indagine ed in quella prefettizia, nonché nella proposta di scioglimento) sulle procedure di aggiudicazione degli appalti e di affidamento delle concessioni di servizi pubblici locali oggetto dell’ispezione a cura della commissione.
Per rendere legittimo l’intervento di quest’ultima è sufficiente -per quanto qui rileva- che siano individuati, nel provvedimento di scioglimento degli organi elettivi o negli atti presupposti, i servizi pubblici locali la cui gestione sia risultata interessata dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotata da condizionamenti o da una condotta antigiuridica, senza che sia necessario (pur essendo ben possibile, come di norma accade) che le singole procedure di affidamento ritenute irregolari siano ivi specificate né che le stesse siano state connotate da condotte aventi autonoma rilevanza penale.
8.2.2. Il caso di specie è conforme al paradigma normativo sopra delineato.
La proposta del Ministro dell’Interno allegata al D.P.R. 27 agosto 2015 di scioglimento degli organi elettivi del Municipio X di Roma Capitale dà atto, tra l’altro, del fatto che “nel corso dell’accesso, particolare attenzione è stata… dedicata alle modalità con cui l’ente municipale ha amministrato il litorale, sede di lucrose attività, e come tale, polo di attrazione per gli interessi della criminalità organizzata”.
Lo stesso provvedimento impugnato, peraltro, riporta diversi passaggi della relazione della Commissione d’accesso presso Roma Capitale, contenuti nelle 140 pagine dedicate al Municipio Roma X (Ostia), come recepiti nella relazione prefettizia e nella proposta ministeriale allegate al decreto di scioglimento.
La motivazione del provvedimento impugnato è stata sopra riassunta, sicché ne è qui sufficiente il richiamo per evidenziare come l’operato della Commissione straordinaria, e degli organi apicali municipali, investiti di apposito mandato proveniente dall’organo commissariale competente, sia stato conforme alle previsioni dell’art. 145, comma 4, T.U.E.L., come sopra interpretato.
10. Parte appellante obietta che, nel provvedimento impugnato, l’amministrazione appellata non ha mai fatto esplicito riferimento all’art. 145 T.U.E.L.
Sebbene si tratti di un dato incontestabile, esso non determina una situazione di integrazione postuma della motivazione del provvedimento di ritiro né ne impedisce la riqualificazione in sede giurisdizionale.
10.1. Quanto a quest’ultima, è sufficiente richiamare l’univoco orientamento giurisprudenziale per il quale il nomen iuris attribuito dall’amministrazione ad un proprio atto o provvedimento non vincola il giudice adì to, che può riqualificarlo, con l’unico limite che, laddove la riqualificazione riguardi atti regolarmente gravati, v’è onere di provocare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 73, comma 3, Cod. proc. amm., quale esigenza immanente alla garanzia costituzionale del giusto processo ex art. 111 della Costituzione (così, tra le altre, Cons. Stato, 7 dicembre 2015, n. 5570).
Nel presente giudizio tale limite non è di ostacolo alla riconducibilità del provvedimento impugnato al disposto dell’art. 145, comma 4, T.U.E.L.
Infatti, la parte ricorrente, sin dal primo grado di giudizio, ha avuto contezza della linea difensiva dell’amministrazione resistente, volta a sostenere l’applicabilità, nel caso di specie, delle disposizioni speciali in tema di poteri della commissione straordinaria in caso di scioglimento degli organi elettivi dell’ente locale.
Peraltro, per come reso evidente da quanto detto a proposito degli argomenti difensivi della parte appellante, anche nel grado di appello, la difesa della società cooperativa Fa. So. ha avuto modo di interloquire in merito all’ambito di applicazione del comma 4 di detto articolo ed in merito alle conseguenze applicative nel caso di specie.
Pertanto, pur risultando formulato il primo motivo di gravame in relazione al nomen iuris di “annullamento d’ufficio” dato al provvedimento dall’Amministrazione municipale, tuttavia le censure contenute nella relativa illustrazione, nonché in quella del secondo motivo ed, ancora, e specificamente, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 73, primo comma, Cod. proc. civ.consentono di affermare la pienezza del contraddittorio processuale anche accedendo alla riqualificazione giudiziale del provvedimento nei termini di cui sopra.
10.2. Considerata la motivazione del provvedimento di cui alla determinazione dirigenziale n. 1248 del 9 giugno 2017, sopra riassunta nei passaggi essenziali e richiamata nella sua interezza, è da escludere che fosse necessaria -e perciò sia stata illegittimamente prospettata solo in sede giudiziale- un’integrazione motivazionale al fine di consentire la sussunzione del provvedimento tra quelli di revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, di cui all’art. 145, comma 4, T.U.E.L.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è nel senso che non sia possibile integrare né sostituire in giudizio la motivazione del provvedimento, ogniqualvolta questo comporti l’indicazione di ragioni di fatto e di diritto della determinazione amministrativa che siano del tutto assenti nel provvedimento o comunque nemmeno desumibili da motivazione e dispositivo.
Evidentemente la situazione non ricorre nel caso di specie, considerato che la presente decisione ha preso le mosse proprio dalla motivazione del provvedimento impugnato ed in ragione di tale motivazione ha proceduto alla riqualificazione giudiziale del provvedimento in termini di revoca degli atti di gara per l’affidamento dei servizi connessi alla balneazione sulle spiagge libere del Litorale di Roma Capitale indetti con la D.D. n. 325/14 e n. 2355/14.
10.3 Trattandosi di concessione di servizi (così qualificata anche nella delibera ANAC n. 1086/2016), non si pone nemmeno la questione della compatibilità della revoca con i principi espressi dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza del 20 giugno 2014, n. 14.
10.4. La sentenza appellata va quindi confermata quanto al rigetto della domanda di annullamento, sia pure con la diversa motivazione fin qui esposta.
11. La conformità del provvedimento di revoca al paradigma normativo dell’art. 145, comma 4, T.U.E.L. comporta inoltre la conferma del rigetto della domanda risarcitoria, atteso che, come già evidenziato nella sentenza di primo grado, la stessa è stata avanzata a titolo di responsabilità da provvedimento illegittimo.
11.1. Sulla pretesa della ricorrente di ottenere il riconoscimento di un indennizzo, è sufficiente osservare che questo non è previsto dalla norma speciale dell’art. 145, comma 4, T.U.E.L., sul punto già ritenuta immune da profili di illegittimità costituzionale (cfr. Cons. Stato, V, n. 7335/05 cit.).
11.1.1. Peraltro, il provvedimento impugnato è motivato congruamente in riferimento al fatto che la violazione delle norme sulla competenza e sul procedimento da parte dell’amministrazione municipale, nel predisporre sia il bando relativo alla gara indetta con la D.D. n. 325/2014 che quella indetta con la D.D. n. 2355/2014, si configura, dal punto di vista oggettivo, come espressione dell’inquinamento dell’amministrazione pubblica da parte della criminalità organizzata, ma anche come modalità attraverso la quale si sono venuti a garantire agli affidatari proventi indebiti derivanti dallo sfruttamento del demanio marittimo, senza la corresponsione di alcun canone.
Quindi non rileva tanto, come già detto, la posizione individuale della società cooperativa Fa. So. ma il fatto che essa abbia finito per avvantaggiarsi della situazione di disfunzionalità nella quale il Municipio X di Roma Capitale si è venuto a trovare per i detti fenomeni di infiltrazione mafiosa ed alla quale la Commissione straordinaria ha inteso porre rimedio, al fine di ripristinare, non solo la legalità violata, ma anche il buon funzionamento dei servizi, ed in specie dei servizi connessi all’utilizzazione delle spiagge libere (interessati proprio dai detti fenomeni di infiltrazione, evidenziati negli atti propedeutici al decreto di scioglimento).
11.1.2. Nell’ottica di tale ultima finalità, rilevano altresì i fatti già presi in considerazione dalla sentenza per escludere, in concreto, l’esistenza di danni emergenti indennizzabili nei confronti della cooperativa. Tenuto conto della motivazione della sentenza, da intendersi sul punto integralmente confermata, va altresì sottolineato, per un verso, che risulta dirimente la comunicazione di avvio del procedimento del 27 marzo 2017 (confermata dalla diffida del 12 maggio 2017), ricevuta quindi prima dell’avvio della stagione balneare, i cui costi gestionali -ove inopinatamente affrontati- non sono indennizzabili, per le ragioni già ritenute dal primo giudice; per altro verso, che, considerato il piano finanziario posto a base dell’offerta di gara, gli investimenti -non tutti documentati, come da difese di Roma Capitale- avrebbero dovuto comunque essere ammortizzati nel primo biennio di attività, regolarmente esercitata, malgrado le anomalie riscontrate.
11.2. Sono pertanto infondate le censure con le quali sono state riproposte in appello la domanda di risarcimento del danno e di riconoscimento dell’indennizzo corrispondente ad asseriti danni emergenti, rigettate in primo grado.
12. In conclusione, l’appello va respinto.
12.1. Le spese processuali del presente grado vanno compensate in ragione della novità delle questioni affrontate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore

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