Accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 21 ottobre 2019, n. 26774.

La massima estrapolata:

E’ lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. “put”) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società

Ordinanza 21 ottobre 2019, n. 26774

Data udienza 26 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26074/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.p.a. (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 473/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 05/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2019 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto che la Corte di cassazione voglia rigettare il ricorso.

FATTI DI CAUSA

La (OMISSIS) s.p.a. chiese al Tribunale di Perugia che (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero condannati all’acquisto delle azioni della (OMISSIS) s.p.a., sottoscritte da (OMISSIS) s.p.a. in esecuzione di un patto parasociale, con il quale la medesima si era obbligata a finanziare le attivita’ della partecipata al fine di consentirle la realizzazione del business pian, patto contenente la clausola negoziale secondo cui i signori (OMISSIS) si impegnavano a rilevare la partecipazione di (OMISSIS) s.p.a., qualora il piano industriale non avesse avuto attuazione (opzione put).
Il Tribunale con sentenza del 14 settembre 2012 accolse la domanda, nel contempo respingendo la domanda riconvenzionale di manleva proposta dai convenuti avverso gli amministratori della societa’.
Proposero appello i soccombenti, sostenendo che la pattuizione di acquisto, condizionata alla mancata realizzazione degli obiettivi prefissati, configurasse un patto leonino, interferendo “attraverso vari meccanismi” nell’esercizio dell’azione amministrativa, quale sindacato di gestione.
Con sentenza del 5 agosto 2015, la Corte d’appello di Perugia ha respinto l’impugnazione, negando la nullita’ dell’accordo parasociale, il quale prevedeva una condizione sospensiva di inefficacia in caso di mancata attuazione del piano, patto che non contrasta con l’ordine pubblico; mentre nessuna responsabilita’ e’ ascrivibile agli amministratori, avendo le stesse parti osservato come l’inosservanza del piano fosse dipesa dall’oggettiva congiuntura economica.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affidato a tre motivi.
Resiste la (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.
Le parti ricorrenti hanno depositato la memoria.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso vanno cosi’ riassunti:
1) violazione degli articoli 1354, 2380-bis, 2383 c.c., in quanto il patto in questione contiene una condizione impossibile ed illecita, diretta a condizionare l’organo amministrativo nelle sue scelte;
2) violazione degli articoli 1362, 1363 e 2380-bis c.c., articolo 2383 c.c., comma 3, in quanto il patto parasociale reca anche altri articoli, tutti miranti parimenti a condizionare l’operato dell’organo gestorio e la corte d’appello ha errato a non considerare tutte le clausole nel loro complesso;
3) violazione degli articoli 1362, 1363 e 2265 c.c., in quanto il patto in questione viola il divieto di patto leonino, mirando ad escludere totalmente alcuni soci dalle perdite, e l’interpretazione letterale del patto, in guisa della quale la corte d’appello ha ritenuto che l’obbligo di acquisto fosse legato all’osservanza delle misure contenute nel piano industriale e non ai risultati perseguiti, ha impedito di riconoscerne la natura di patto leonino.
2. – E’ infondata l’eccezione di improcedibilta’ del ricorso per difetto di deposito di copia autentica della sentenza, essendo questa stata redatta con modalita’ digitali, essendo stato affermato il principio (Cass., sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312) secondo cui il deposito in cancelleria di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico – priva di attestazione di conformita’ del difensore del Decreto Legge n. 179 del 2012, ex articolo 16-bis, comma 9 bis convertito dalla L. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilita’ del ricorso per cassazione, laddove il controricorrente (depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero) non disconosca la conformita’ della copia informale all’originale.
3. – I tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono inammissibili.
Invero, essi sono tutti intesi a censurare – come traspare dalla stessa premessa alla loro illustrazione, laddove sono indicati in sintesi – il ragionamento ermeneutico svolto dal decidente di secondo grado che, costituendo accertamento di fatto, e’ insindacabile in sede di legittimita’, se non per violazione dei canoni ermeneutici e, nei limiti in cui ancora sia denunziabile, per vizio di motivazione.
Escluso quest’ultimo, la censura ermeneutica non e’ svolta in modo coerente rispetto ai criteri dettati dallo statuto di censurabilita’ per cassazione dell’errore ermeneutico, in ordine al quale occorre, da un lato, in ossequio al principio di specificita’ del ricorso di cui all’articolo 366 c.p.c., la trascrizione del testo integrale della regolamentazione privata (e multis, Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), e, dall’altro lato, che non ci si limiti al rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicche’, quando di una clausola siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (fra le altre, Cass. 10 maggio 2018, n. 11254).
Giova, altresi’, osservare che la questione sollevata con il primo motivo e’ mal posta, posto che l’opzione put non si lega al condizionamento dell’azione amministrativa, ma alla realizzazione del piano industriale (la clausola imponendo l’obbligo di acquisto in caso di mancata realizzazione del piano industriale, non se non sara’ possibile per il socio oblato ingerirsi nella gestione); la questione sollevata con il secondo motivo non ha fondamento, dacche’, attraverso i poteri che l’ordinamento riconosce ai soci in materia di approvazione del bilancio, il peso delle loro determinazioni nella politica gestoria e’ connaturato al fatto di essere soci; mentre la questione sollevata con il terzo motivo e’ fugata dagli argomenti esposti da recente decisione di questa Corte.
Tale decisione ha, invero, affermato il principio di diritto, da cui il Collegio non intende discostarsi, secondo cui e’ “lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una societa’ azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo cosi’ operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in societa’, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della societa’” (Cass. 4 luglio 2018, n. 17498).
Giova, infine, rilevare l’inammissibilita’ delle censure, che risultano nuove in mancanza di indicazione del luogo e del tempo della precedente allegazione, relative alla presenza di altre clausole asseritamente invalide, delle quali la S.C. non puo’ direttamente conoscere. Del pari inammissibili le nuove deduzioni contenute nella memoria depositata prima dell’adunanza.
3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite per il giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte solidale dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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