Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 32229.
L’Accomandante nel giudizio promosso da una società in accomandita è capace di testimoniare
Il socio accomandante, nel giudizio promosso da una società in accomandita semplice, è capace di testimoniare, purché non abbia, di fatto, l’amministrazione della società.
Ordinanza|| n. 32229. L’Accomandante nel giudizio promosso da una società in accomandita è capace di testimoniare
Data udienza 18 gennaio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Prova civile – Testimoniale – Capacita’ a testimoniare – Persone aventi interesse nel giudizio accomandante – Capacità a testimoniare – Sussistenza – Condizioni.
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere
Dott. GIANNACARI Rosanna – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15909/2018 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., sig. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), con studio in (OMISSIS), ed ivi elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.A.S. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante p.t., Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), con studio in (OMISSIS), ed ivi elettivamente domiciliata;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4719/2017 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI del 16.11.2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18.1.2023 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
L’Accomandante nel giudizio promosso da una società in accomandita è capace di testimoniare
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
Rilevato:
che il Tribunale di Avellino condannava (OMISSIS) s.r.l. al pagamento di Euro 25.000 in favore di (OMISSIS) s.a.s. a titolo di corrispettivo per la realizzazione di un documentario sull’infestazione delle palme da parte del Rhyncophorus ferrugineus (comunemente noto come punteruolo rosso), presentato in occasione di un convegno internazionale;
che la Corte d’appello di Napoli, adita da (OMISSIS) s.r.l., confermava la sentenza di prime cure, rigettando integralmente l’appello e condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite;
che, in particolare, la Corte d’appello riteneva raggiunta la prova dell’esistenza di un contratto d’opera o di appalto tra le parti, precisando che la mancata pattuizione del compenso non pregiudicava la formazione del contratto, dal momento che lo stesso poteva ben essere determinato dal giudice in assenza di accordo delle parti ai sensi degli articoli 2225 e 1657 c.c.;
che (OMISSIS) s.r.l. ha impugnato per cassazione la sentenza della corte d’appello di Napoli, sulla scorta di due motivi di ricorso;
che l’intimata (OMISSIS) s.a.s. ha depositato controricorso;
che la causa e’ stata chiamata all’adunanza di Camera di consiglio del 18 gennaio 2023, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria.
Considerato:
che con il primo motivo di ricorso, riferito all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli articoli 1321, 1235, 1326, 1346, 1418, 2222, 2233 c.c. e degli articoli 115, 116 e 202 c.p.c., deducendo che non era stato concluso alcun contratto tra le parti in quanto non era stato raggiunto un accordo in merito agli elementi essenziali ed accessori dello stesso; secondo la ricorrente, quindi, la Corte d’appello avrebbe violato le suddette disposizioni ritenendo concluso il contratto sulla scorta di una “erronea valutazione del materiale probatorio” e, dunque, di una “inesatta ricostruzione della quaestio facti” (pagina 13 del ricorso);
che, in particolare, la ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 2561 del 2009, non massimata, la’ dove si afferma che “Ai fini della configurabilita’ di un definitivo vincolo contrattuale, e’ necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza la’ dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorche’ riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori”;
che il primo motivo di ricorso non puo’ trovare accoglimento, in quanto, sotto le sembianze di una denuncia di violazione di legge, attinge, in sostanza, l’accertamento di fatto della Corte di appello in punto di conclusione del contratto per fatti concludenti; accertamento qui non censurabile nemmeno con il mezzo di cui al 360 n. 5 c.p.c., fondandosi la sentenza di appello sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (articolo 348 ter c.p.c.);
che comunque, quanto alle argomentazioni in diritto sviluppate dalla ricorrente, vanno qui ribadito i seguenti principi di diritto:
– nei contratti a forma libera, incombe su chi ne invoca l’esistenza, validita’ ed efficacia l’onere di dimostrare l’avvenuto perfezionamento del negozio, anche mediante presunzioni semplici, la cui valenza probatoria deve essere valutata ed adeguatamente motivata dal giudice del merito; tale onere puo’ essere assolto anche mediante la prova per presunzioni, ma le stesse devono necessariamente rivestire, a norma dell’articolo 2729 c.c., i caratteri della gravita’ e precisione nonche’, qualora siano piu’ d’una, della concordanza (cosi’ Cass. n. 12971/18);
– ai fini della configurabilita’ di un vincolo contrattuale definitivo, e’ necessario che l’accordo delle parti si formi su tutti gli elementi di cui all’articolo 1325 c.c., non potendosene ravvisare la sussistenza ove i contraenti abbiano raggiunto un’intesa soltanto sugli elementi essenziali, rinviando ad un momento successivo la determinazione di quelli accessori; cio’ non di meno, in base al generale principio dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1322 c.c., un contratto con gli effetti di cui all’articolo 1372 c.c., puo’ considerarsi perfezionato ove, alla stregua della comune intenzione delle parti, possa ritenersi che le stesse abbiano inteso come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia, pero’, da configurare come mera esecuzione del contratto gia’ concluso (cosi’ Cass. n. 30851/18; in senso conforme Cass. ord. n. 16068/19, non massimata);
– in tema di contratto d’opera, la mancata determinazione del corrispettivo non e’ causa di nullita’ del contratto, poiche’ lo stesso puo’ essere stabilito, ai sensi dell’articolo 2225 c.c., in base alle tariffe vigenti od agli usi; il ricorso a tale norma e’ possibile anche quando le parti, pur avendo pattuito detto corrispettivo, non abbiano fornito la relativa prova (Cass. n. 18286/2018).
che, alla stregua dei menzionati principi, il ragionamento decisorio sviluppato nella sentenza impugnata risulta immune da errori di diritto;
che, infine, quanto all’asserita violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., va qui ribadito che, per la valida formulazione di tali censure, e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti e abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi di legge, mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c. (S.U. 16598/16, p. 33, gia’ Cass. n. 11892/16; nello stesso senso Cass. n. 6774/22 e Cass. n. 1229/19);
che il secondo motivo di ricorso, riferito all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la violazione degli articoli 245 e 246, nonche’ articoli 115, 116 e 202 c.p.c., in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa confermando l’ammissibilita’ della testimonianza del sig. (OMISSIS), socio accomandante di (OMISSIS) s.a.s.; quest’ultimo invece, secondo la ricorrente, sarebbe stato incapace di testimoniare, essendo portatore di un interesse nel giudizio;
che neanche il secondo motivo di ricorso puo’ trovare accoglimento, in quanto esso non attinge la ratio decidendi della pronuncia impugnata, la quale espressamente si fonda su risultanze diverse ed ulteriori rispetto alla deposizione (OMISSIS), alla quale in sentenza si riconosce un valore “solo rafforzativo” (pag. 4, terzultimo capoverso della sentenza);
che puo’, comunque, aggiungersi che:
– l’accomandante non e’ incapace di testimoniare, a meno che non abbia di fatto l’amministrazione della societa’ circostanza, quest’ultima, che nel presente procedimento non emerge dalla sentenza, ne’ e’ stata dedotta dal ricorrente); cfr., a contrariis, Cass. 1441/1981: “Ai sensi dell’articolo 246 c.p.c., e’ incapace a testimoniare, nel giudizio promosso contro una societa’ in accomandita semplice, il socio accomandante che ne abbia in effetti l’amministrazione, in virtu’ di procura generale rilasciatagli contro il divieto implicitamente posto dall’articolo 2320 c.c., e che, pertanto, data la conseguente personale responsabilita’ illimitata per le obbligazioni sociali, sia portatore di un interesse personale allo esito della lite”;
– questa Corte ha gia’ chiarito che, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; e’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (cfr. Cass. 21187/2019);
che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione ad entrambi i motivi in cui esso si articola;
che le spese seguono la soccombenza;
che deve altresi’ darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000 oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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