Abbandono di persone minori o incapaci

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|12 maggio 2021| n. 18665.

In tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l’agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell’agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata affermata la responsabilità dell’imputato che aveva lasciato in abbandono la madre incapace, con lui convivente, omettendo di richiedere l’intervento di soggetti esterni in grado di evitare l’insorgere di un pericolo per l’incolumità della donna ed impedendo a chiunque altro l’accesso all’ambiente domestico).

Sentenza|12 maggio 2021| n. 18665. Abbandono di persone minori o incapaci

Data udienza 3 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abbandono di minori o disabili – Abbandono di persone minori o incapaci – Reati contro la persona – Esistenza di una posizione di garanzia – Posizione assunta volontariamente in assenza di obblighi contrattuali – Rilevanza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/02/2018 della CORTE ASSISE APPELLO di L’AQUILA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GUARDIANO ALFREDO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA.

Abbandono di persone minori o incapaci

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di assise di appello di L’Aquila riformava parzialmente in senso favorevole a (OMISSIS), solo con riferimento alla determinazione della entita’ del trattamento sanzionatorio, previa dichiarazione di non doversi procedere nei suoi confronti in ordine alla condotta illecita da lui posta in essere sino alla data del 9.11.2011, perche’ giudicato per il medesimo fatto con sentenza divenuta irrevocabile, la sentenza con cui la corte di assise di Teramo, in data 25.11.2015, aveva condannato il suddetto (OMISSIS) alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia in relazione al reato ex articolo 591 c.p., commi 1, 3 e 4, commesso in danno della madre (OMISSIS), in rubrica ascrittogli in concorso con altri, esclusa la circostanza aggravante di cui all’articolo 591 c.p., comma 3, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) violazione di legge in relazione al disposto di cui all’articolo 649 c.p.p., in quanto il giudicato formatosi in conseguenza della sentenza pronunciata dal tribunale di Teramo in data 28.11.2014, divenuta irrevocabile, con cui lo (OMISSIS), per la medesima fattispecie di reato, sia pure diversamente circostanziata, era stato assolto con la formula perche’ il fatto non sussiste, con riferimento alla condotta antecedente al 9.11.2011, estende i suoi effetti anche nei confronti della condotta successiva al 9.11.2011; 2) vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza dello stato di salute in cui versava la persona offesa, dell’elemento soggettivo del reato, dello stato di abbandono e dell’esistenza di una posizione di garanzia in capo all’imputato; 3) violazione di legge, con riferimento alla inesigibilita’ della condotta che si assume l’imputato avrebbe dovuto porre in essere a tutela dell’incolumita’ della persona offesa, essendo stata accertata l’inidoneita’ e l’incapacita’ del prevenuto di poter operare correttamente e di poter adempiere ai propri compiti di cura e di assistenza in favore dell’anziana madre, in conseguenza della quale il tribunale di Teramo aveva revocato l’incarico di amministratore di sostegno conferitogli; 4) violazione di legge, in relazione alla mancata applicazione del disposto di cui all’articolo 47 c.p., essendo nel caso in esame configurabile un errore da parte dell’imputato, sia in relazione alla sussistenza a suo carico di obblighi e doveri discendenti da norma extrapenale, di stampo civilistico, sia in relazione agli elementi oggettivi richiesti per l’esistenza del reato di cui si discute, quali lo stato di abbandono della (OMISSIS) ovvero l’incapacita’ di quest’ultima di soddisfare le proprie primarie esigenze di vita; 5) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di eccessiva entita’ del trattamento sanzionatorio e di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

 

Abbandono di persone minori o incapaci

2.1. Con requisitoria scritta del 13.1.2021, depositata sulla base della previsione del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita’ di celebrazione e’ stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4. Manifestamente infondato appare il primo motivo di ricorso.
Come si evince dalla motivazione della sentenza oggetto di impugnazione e dai motivi di ricorso, il tribunale di Teramo in composizione monocratica, con sentenza pronunciata il 28.11.2014, divenuta irrevocabile, aveva assolto lo (OMISSIS) dal reato di cui all’articolo 591 c.p., diversamente circostanziato, con la formula “perche’ il fatto non sussiste”, contestato in riferimento ad una condotta “accertata il (OMISSIS)”.
La corte di assise di appello, rilevato che la condotta oggetto della nuova contestazione abbracciava anche un periodo successivo, sino a giungere alla data della morte della persona offesa (“quantomeno dal mese di luglio 2011, con condotta perdurante fino all’1.12.2012”), in presenza di una parziale coincidenza tra i fatti oggetto delle due autonome contestazioni, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di cui si discute, “sino alla data del (OMISSIS), perche’ giudicato per il medesimo fatto” con la richiamata sentenza del tribunale di Teramo (cfr. pp. 16-17 della sentenza oggetto di ricorso).
Orbene, la pretesa del ricorrente di estendere gli effetti preclusivi del giudicato anche alla condotta posta in essere dallo (OMISSIS) nel periodo successivo al (OMISSIS), per la quale egli e’ stato condannato, e’ del tutto priva di fondamento, perche’ tale condotta, come rilevato dalla corte territoriale, integra un fatto diverso, che impedisce l’applicazione del disposto dell’articolo 649 c.p.p., comma 1.

 

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Ed invero, premesso che in tema di “ne bis in idem”, nel caso in cui la sentenza gia’ irrevocabile riguardi un reato permanente, come quello di cui si discute, contestato con l’indicazione soltanto della data di accertamento, spetta al giudice dinanzi al quale sia stata sollevata l’eccezione di giudicato verificare, attraverso l’interpretazione della sentenza, quando si sia interrotta la permanenza (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 31479 del 07/06/2013, Rv. 256632), va osservato come da tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nella sua espressione piu’ autorevole, abbia evidenziato che la posticipazione della data finale della permanenza incida sulla individuazione del fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversita’, sotto il profilo temporale (cfr. Cass., Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, Rv. 199171).
Sul punto, l’evoluzione della giurisprudenza di legittimita’ ha opportunamente chiarito che, ai fini della preclusione del giudicato, costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, si presenta come ulteriore estrinsecazione dell’attivita’ del soggetto, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella posta in essere in precedenza ed accertata con sentenza definitiva (cfr. Cass. Sez. 4, n. 10097 del 03/05/2006, Rv. 236093).
Sicche’, in tema di reato permanente, il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta delineata nell’imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di assoluzione, divenuta irrevocabile e non anche la prosecuzione della stessa condotta o la sua ripresa in epoca successiva, giacche’ si tratta di “fatto storico” diverso non coperto dal giudicato (cfr. Cass., Sez. 3, n. 9988 del 19/12/2019, Rv. 278534).

 

Abbandono di persone minori o incapaci

La “identita’ del fatto”, che rileva ai fini dell’operativita’ del principio del “ne bis in idem”, in conclusione, non sussiste con riguardo ad uno stesso reato permanente contestato in relazione a periodi diversi, qualora la permanenza venga protratta oltre la data di cessazione accertata nel precedente giudizio, in particolar modo quando venga anche allegato un fatto nuovo (cfr. Cass., Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Rv. 259642), che, nel caso in esame, come correttamente evidenziato dalla corte territoriale, e’ rappresentato dall’aggravamento delle condizioni psicofisiche della (OMISSIS), integrante lo stato di incapacita’ di provvedere a se stessa, previsto dall’articolo 591 c.p., comma 1, (cfr. p. 16 della sentenza impugnata).
5. Con riferimento ai motivi di impugnazione sintetizzati nelle pagine che precedono sub n. 2) e n. 3), il ricorrente non tiene nel dovuto conto che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Cass., Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita’ il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
In questa sede di legittimita’, infatti, e’ precluso il percorso argomentativo seguito dal menzionato ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita’, quale e’ quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).

 

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In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realta’ non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimita’ in un recente e condivisibile arresto il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non puo’ limitarsi, pena l’inammissibilita’, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, tra gli altri necessari passaggi argomentativi, indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilita’” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, Rv. 274816).
Tale indispensabile profilo non si rinviene nel ricorso di cui si discute, con il quale, in definitiva, l’imputato si limita, da un lato, a proporre, come gia’ detto, una versione dei fatti genericamente alternativa, dall’altro ad articolare censure, che, risolvendosi nella pedissequa reiterazione di quelle gia’ dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, non possono considerarsi specifiche, ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
6. Cio’ posto, appare, tuttavia, utile ribadire alcuni principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, in sede di interpretazione della fattispecie di cui all’articolo 591 c.p., cui si e’ attenuta la corte territoriale.

 

Abbandono di persone minori o incapaci

6.1. L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci e’ integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumita’ del soggetto passivo (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2018, Rv. 271431).
Ai fini della sussistenza di tale reato e’ necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di minore di anni quattordici, l’incapacita’ del soggetto passivo di provvedere a se stesso. Ne consegue che non vi e’ presunzione assoluta di incapacita’ per vecchiaia la quale non e’ una condizione patologica ma fisiologica che deve essere accertata concretamente quale possibile causa di inettitudine fisica o mentale all’adeguato controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l’incolumita’ propria. Ne consegue, altresi’, che il dovere di cura e di custodia deve essere raccordato con la capacita’, ove sussista, di autodeterminazione del soggetto anziano (cfr. Cass., Sez. 5, n. 6885 del 09/04/1999, Rv. 213801).
Si tratta di un reato sorretto da dolo generico, che puo’ assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l’agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilita’ del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l’incolumita’ fisica di quest’ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l’evento si verifichi (cfr. Cass., Sez. 5, n. 44013 del 11/05/2017, Rv. 271431).
Orbene la corte territoriale ha reso una motivazione in cui tali profili sono stati puntualmente affrontati, secondo un percorso argomentativo affatto manifestamente illogico o contraddittorio, che ha evidenziato, attraverso una puntuale ed esaustiva valutazione delle risultanze processuali, la sussistenza: 1) dello stato di incapacita’ della (OMISSIS), donna di eta’ avanzata, di provvedere alle proprie esigenze, emergente da una pluralita’ di elementi sintomatici, a partire dagli esiti della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero al fine di acclarare se ricorrevano le condizioni per la nomina di un amministratore di sostegno; 2) dello stato di abbandono della persona offesa, contraddistinto da “degrado ambientale, gravissima carenza di igiene personale, gravissimo deperimento, sia fisico, sia psichico, assoluta solitudine in cui versava la (OMISSIS), privata anche dell’utenza telefonica e non piu’ in grado neppure di aprire la porta della propria abitazione”, tale da configurare un obiettivo pericolo, anche solo meramente potenziale, per la sua vita o la sua incolumita’ fisica; 3) dell’elemento soggettivo del reato, desunto dalle modalita’ della condotta del reo (secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’: cfr. Cass., sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; nonche’ Cass., Sez. 6, 6.4.2011, n. 16465, Rv. 250007), che, vivendo a stretto contatto con la propria madre, era perfettamente consapevole del pericolo derivante dalle sue precarie condizioni, e, nonostante cio’, ha persistito nella sua condotta omissiva, accettando il rischio del verificarsi dell’evento lesivo (cfr. pp. 13-18 della sentenza oggetto di ricorso).
6.2. Quanto al tema della “posizione di garanzia”, va ribadito il principio secondo cui, in tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l’agente e la persona offesa che puo’ sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonche’ dall’esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilita’ e di controllo dell’agente, in cio’ differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19448 del 12/01/2016 Rv. 267126).
Proprio su tale condivisibile orientamento giurisprudenziale i giudici di merito hanno fondato la propria decisione, evidenziando come la posizione di garanzia dello (OMISSIS) trovi la sua fonte in una situazione di fatto caratterizzata dalla convivenza con la propria madre e dalla circostanza che l’imputato si era comunque fatto carico della gestione di quest’ultima e, pur non allontanandosi fisicamente dalla madre, da un lato, aveva omesso di richiedere l’intervento di soggetti esterni in grado di evitare l’insorgere di un pericolo per l’incolumita’ della (OMISSIS), dall’altro, aveva impedito a chiunque altro l’accesso all’ambiente domestico (cfr. pp. 5;
12 della sentenza oggetto di ricorso).

 

Abbandono di persone minori o incapaci

Con tale condotta integrando il delitto in parola, in quanto, come evidenziato da un condivisibile arresto, il necessario “abbandono” e’ integrato da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumita’ del soggetto passivo, sicche’ risponde del delitto ex articolo 591 c.p., colui che, pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso (cfr. Cass., Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012, Rv. 255172).
Appare, pertanto, manifestamente infondato il rilievo difensivo fondato sull’intervenuta revoca del ruolo di amministratore di sostegno, disposta dal tribunale di Teramo, poiche’, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, il fondamento della posizione di garanzia dello (OMISSIS) prescinde completamente da tale ruolo, posto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, l’amministratore di sostegno non risponde del reato di abbandono di persone incapaci in quanto, salvo che sia diversamente stabilito nel decreto di nomina (circostanza nel caso in esame non dimostrata), lo stesso, a differenza del tutore, non e’ investito di una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumita’ individuale del soggetto incapace ma solo di un compito di assistenza nella gestione dei suoi interessi patrimoniali (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7974 del 19/10/2015, Rv. 265920).
Sotto diverso profilo, devono ritenersi anche manifestamente infondati i rilievi difensivi attinenti alla inesigibilita’ della condotta.
Come chiarito, infatti, da tempo dalla giurisprudenza di legittimita’, il principio della non esigibilita’ di una condotta diversa – sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui “umanamente” pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” dell’antigiuridicita’ riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente di uniformare la condotta al precetto penale – non puo’ trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilita’ attraverso l'”analogia juris” (cfr. Cass., Sez. 6, n. 973 del 02/04/1993, Rv. 194384; Cass., Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Rv. 273833).

 

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7. Manifestamente infondato appare anche il motivo di ricorso sub n. 4), posto che, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte sul punto, deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per “legge diversa dalla legge penale”, ai sensi dell’articolo 47 c.p., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata neppure implicitamente (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, Sentenza n. 25941 del 31/03/2015 Rv. 263808).
8. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, il ricorrente rappresenta rilievi sul merito del trattamento sanzionatorio, non scrutinabili in sede di legittimita’.
D’altro canto, con particolare riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non puo’ non rilevarsi come la corte territoriale abbia correttamente individuato nella gravita’ della condotta del reo (in uno con l’assenza di elementi concreti da valutare in favore dell’imputato), l’ostacolo al riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 62 bis c.p., facendo, pertanto, corretto uso dei criteri fissati dall’articolo 133 c.p., conformemente all’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’ (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. 4, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. 3, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172).
9. Alla dichiarazione di inammissibilita’, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilita’ dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita’ (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
Va, infine, disposta l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, comma 5.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

 

Abbandono di persone minori o incapaci

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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