A seguito della introduzione del cd. domicilio digitale non sussiste alcun obbligo di indicare l’indirizzo Pec 

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 34858.

A seguito della introduzione del cd. domicilio digitale non sussiste alcun obbligo di indicare l’indirizzo Pec 

A seguito della introduzione del cd. domicilio digitale, conseguente alla modifica apportata dall’articolo 45- bis, comma 1, del decreto legge n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014, all’articolo 125 Cpc, non solo non sussiste alcun obbligo, per il difensore medesimo, di indicare nell’atto introduttivo l’indirizzo Pec comunicato al proprio ordine, trattandosi di dato già risultante dal Re.G.Ind.E, in virtù di della trasmissione effettuata dall’Ordine di appartenenza, in base alla comunicazione eseguita dall’interessato ex articolo 16-sexies del decreto legge n. 179 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014, ma neppure è concessa a quest’ultimo la facoltà di indicare un indirizzo Pec diverso da quello ovvero di restringerne l’operatività alle sole comunicazioni di cancelleria.

Sentenza|| n. 34858. A seguito della introduzione del cd. domicilio digitale non sussiste alcun obbligo di indicare l’indirizzo Pec 

Data udienza 11 ottobre 2023

Integrale

Tag/parola chiave:PROCEDIMENTO CIVILE – Notificazioni civili – Notificazioni civili in genere – Al procuratore – Domicilio digitale – Obbligo del difensore di indicare negli atti introduttivi il proprio indirizzo Pec – Disciplina successiva alla modifica apportata all’articolo 125 del Cpc dall’articolo 45-bis, comma 1, del Dl n. 90 del 2014 – Esclusione (Cpc, articolo 125; decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, articolo 16-sexies; Decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, articolo 54-bis)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. ROLFI Federico V. A. – Consigliere

Dott. CHIECA Danilo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25210/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso, in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), rappresentata e difesa, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del controricorso, dagli avv. (OMISSIS), e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 201/2017, pubblicata in data 27.3.2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21.12.2022 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Celentano Carmelo, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;

Uditi gli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS).

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FATTI DI CAUSA

1. La presente controversia trae origine dalla domanda con cui (OMISSIS) aveva chiesto al Tribunale di Pordenone di dichiarare la nullita’, per violazione del divieto dei patti successori, della donazione sotto condizione sospensiva di premorienza del donante effettuata da (OMISSIS) (cui era stata da tempo diagnosticata una malattia, ormai giunta in fase terminale) in favore della sorella (OMISSIS) nel (OMISSIS), avente ad oggetto le quote della (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) e della (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) (queste ultime gravate da usufrutto materno). La donataria aveva, in pari data, donato al fratello le proprie quote della (OMISSIS), sotto condizione sospensiva della propria premorienza. Nell'(OMISSIS) (OMISSIS) era deceduto e la sorella era divenuta esclusiva titolare delle quote sociali anche a seguito del decesso della madre, precedente usufruttuaria.

(OMISSIS) aveva, inoltre, chiesto di essere dichiarato unico erede del figlio e di condannare la convenuta al pagamento del controvalore delle quote che nel frattempo quest’ultima aveva ceduto a terzi, per un importo di Euro 4.071.900,00, oltre accessori dalla domanda.

(OMISSIS) resisteva, sostenendo che, dopo la morte di (OMISSIS), era stata sciolta la comunione ereditaria e i rapporti successori erano stati definitivamente regolati mediante a) un “atto di assegnazione di beni immobili” di data (OMISSIS), con cui le parti, incluso (OMISSIS), avevano accettato gli atti dispositivi compiuti in vita dal defunto, rinunciando all’azione di riduzione, e (OMISSIS) aveva rinunciato a “tutti gli altri beni immobili posseduti da (OMISSIS)”, impegnandosi a rinunciare all’eredita’ del fratello “relativamente alla quota di beni immobili di cui al presente atto, eventualmente di spettanza”, si’ da consentirne l’accettazione del solo (OMISSIS); b) un “atto di assegnazione di beni mobili” di data (OMISSIS), con cui le parti avevano dato “per regolata e definita ogni controversia esclusivamente in relazione ai beni sopra indicati, senza che sorgessero ulteriori diritti a compensazioni, versamenti, conguagli in denaro tra le parti”; c) un atto di ripartizione spese e rimborso ASL” del (OMISSIS), con il quale, premessa l’avvenuta definizione dei “rapporti inerenti alla quota immobiliare di spettanza di ciascun erede nonche’ alle quote di partecipazione nelle (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) s.a.s.”, (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano accollati al 50% “le spese sostenute ed i rimborsi pervenuti”; d) un “atto riepilogativo” con il quale, sempre in data (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano dichiarato di “di aver sciolto la comunione ereditaria su tutti i beni mobili e immobili di proprieta’ o nel possesso di (OMISSIS), di aver definito spese e rimborsi e dunque ogni e qualsiasi controversia presente e futura avente per oggetto la massa ereditaria, senza che nessuno possa pretendere o rivendicare in futuro ulteriori diritti a compensazioni, versamenti, assegnazioni, conguagli in denaro o quant’altro, rinunciando espressamente all’azione di riduzione eventualmente loro spettante in ordine alla sua eredita’”.

La convenuta affermava di aver comunque tacitamente accettato l’eredita’ del fratello mediante il compimento di atti di disposizione dei diritti successori; eccepiva la prescrizione dell’azione di restituzione, non suscettibile di accoglimento essendo state cedute le quote sociali, sostenendo che nella determinazione del relativo loro valore avrebbero dovuto tenersi in debito conto i miglioramenti, le addizioni e le spese sostenute.

A seguito delle descritte deduzioni difensive della convenuta, (OMISSIS) impugnava per nullita’ – ai sensi dell’articolo 1972 c.c. – anche l’atto di assegnazione di beni immobili del (OMISSIS), l’atto di assegnazione dei mobili del (OMISSIS) e l’atto di ripartizione e rimborso Asl concluso in pari data e, infine, l’atto riepilogativo, reiterando le precedenti conclusioni unitamente alla richiesta di essere ammesso alla successione ai sensi dell’articolo 571 c.c. e di ottenere il controvalore delle quote sociali.

Il Tribunale di Pordenone – con sentenza n. 216/2016 – respingeva tutte le domande, regolando le spese.

La decisione, impugnata da (OMISSIS), veniva confermata dalla Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 201/2017 (pubblicata il 27.3.2017).

La Corte territoriale osservava che il gravame, nella parte in cui riproponeva l’eccezione di nullita’ delle donazioni per motivo illecito, era inammissibile, non essendo la questione oggetto di domanda, ritenendo che, comunque, non vi fosse prova che il donante avesse disposto delle quote sociali con l’unico scopo di aggirare il divieto di legge.

Rigettava, inoltre, l’eccezione di nullita’ della donazione effettuata da (OMISSIS), ritenendo che l’atto costituisse una disposizione sottoposta a condizione sospensiva si premoriar e non di una donazione mortis causa, immediatamente vincolante tra le parti, giacche’ l’evento morte del donante non era elevato a causa dell’attribuzione, ma incideva esclusivamente sull’efficacia della donazione senza impedire la produzione di effetti limitati o prodromici, peculiari del contratto sottoposto a condizione sospensiva.

Non vi erano elementi – secondo il giudice territoriale – per ritenere che l’uscita del bene dal patrimonio del donante dovesse avvenire prima della morte di (OMISSIS), ne’ che questi potesse ancora modificare ulteriormente l’assetto patrimoniale, rendendo inoperante il congegno negoziale posto in essere, evidenziando che la natura di atto inter vivos trovava conferma nel fatto che il bene “non veniva a definirsi come commisurato al tempo della morte del donante, sfuggendo all’applicazione dell’articolo 458 c.c.”.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

La causa e’ stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 16160/2023.

Le parti hanno poi depositato memorie.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve essere valutata, in via preliminare, l’eccezione – formulata dalla controricorrente – di inammissibilita’ del ricorso per sua tardivita’.

Rileva il collegio che essa e’ priva di fondamento.

L’attuale controricorrente (quale appellata) ha notificato la sentenza di appello presso la cancelleria della Corte territoriale e non presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore, non avendo questi eletto un domicilio autonomo.

Detta notifica era nulla e inidonea a far decorrere il termine breve per proporre il ricorso, essendo compiuta nel vigore delle disposizioni in tema di domicilio digitale, come recentemente novellate Decreto Legge n. 90 del 2014 (convertito, con modif., dalla L. n. 114 del 2014).

Il ricorso era stato, quindi, avviato tempestivamente alla notifica postale in data 26.10.2017, applicandosi il termine lungo ex articolo 327 c.p.c. (nella formulazione successiva alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, dato che il giudizio di primo grado e’ stato introdotto in data 27.6.2014), tenuto conto della data di pubblicazione della sentenza di appello, avvenuta in data 27.3.2017 e della sospensione feriale dei termini processuali.

E’ utile evidenziare che: 1) a seguito della introduzione del cd. domicilio digitale, conseguente alla modifica apportata all’articolo 125 c.p.c. ad opera cit. Decreto Legge n. 90 del 2014, articolo 45-bis, comma 1, convertito con L. n. 114 del 2014, non sussiste alcun obbligo, per il difensore di indicare nell’atto introduttivo l’indirizzo PEC “comunicato al proprio ordine”, trattandosi di dato gia’ risultante dal “ReGindE”, in virtu’ di della trasmissione effettuata dall’Ordine di appartenenza, in base alla comunicazione eseguita dall’interessato Decreto Legge n. 179 del 2012, ex articolo 16-sexies convertito con L. n. 221 del 2012 (Cass. 33806/2021; Cass. s.u. 23620/2018; Cass. 13224/2018); b) le notificazioni e le comunicazioni vanno, quindi, eseguite al “domicilio digitale” di cui ciascun avvocato e’ dotato, corrispondente all’indirizzo P.E.C. – risultante dal ReGindE e conoscibile dai terzi attraverso la consultazione dell’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC; cfr. Cass. 3685/2021; Cass. 33806/2021; Cass. 2460/2021); c) la notifica effettuata – ai sensi del Regio Decreto n. 37 del 1934, articolo 82 – presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite – e’ nulla anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede l’ufficio, a meno che, oltre a tale omissione, l’indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass. 14140/2019; Cass. 14194/2018; Cass. 30139/2017; Cass. 17048/2017); d) detta notifica e’, invece, valida solo ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggere il domicilio presso la cancelleria, dato che l’introduzione del domicilio digitale non esclude la facolta’ di eleggere domicilio fisico (Cass. 1982/2020).

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E’ infondata anche l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, non essendo dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, ma risultando proposte censure attinenti alla qualificazione della donazione sottoposta a condizione di premorienza come atto mortis causa o inter vivos.

2. L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 458 e 1353 c.c. e l’omesso esame circa l’ammissione dei mezzi di prova richiesti con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 2.

Assume il ricorrente che (OMISSIS) aveva disposto delle quote sociali in favore della sorella allorquando era in fase di malattia terminale e gli restavano pochi mesi di vita, per cui la validita’ della donazione andava valutata senza arrestarsi al dato formale dell’apposizione della condizione di premorienza del donante, occorrendo vagliare il reale scopo perseguito dalle parti, consistente nell’intento di eludere il divieto di patti successori e di regolare la futura successione, in considerazione della decisiva circostanza che il donante aveva disposto nella piena consapevolezza che gli rimanevano pochi mesi di vita e che la sua premorienza era ormai certa.

Sussistevano, a parere del ricorrente, tutti gli elementi sintomatici del perfezionamento di un patto istitutivo nullo alla luce delle circostanze dedotte ad oggetto della prova per testi che illegittimamente il giudice di merito aveva ritenuto di non ammettere.

3. Il motivo non e’ fondato.

Ai fini della configurazione di un patto successorio vietato, occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico abbia avuto la specifica finalita’ di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entita’ della futura successione e se siano, comunque, ricompresi nella successione stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, cosi’ dello “jus poenitendi”; 4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il programmato trasferimento, dal promittente al promissario, avrebbe dovuto aver luogo “mortis causa”, ossia a titolo di eredita’ o di legato (cfr. da ultimo, Cass. 14110/2021; gia’ in tal senso Cass. 1683/1995; Cass. 2404/1971).

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L’articolo 485 c.c. mira a salvaguardare il principio – di ordine pubblico – secondo cui la successione mortis causa puo’ essere disciplinata, oltre che dalla legge, solo dal testamento (cd. tipicita’ degli atti mortis causa) e a tutelare la liberta’ testamentaria fino alla morte del disponente.

In considerazione della ratio del divieto sono – invece – sottratti all’ambito applicativo della norma i negozi in cui l’evento morte non e’ causa dell’attribuzione, ma viene ad incidere esclusivamente sull’efficacia dell’atto, il cui scopo non e’ di regolare la futura successione.

In particolare, secondo un autorevole orientamento dottrinale (condiviso esplicitamente da questo Corte: cfr. Cass. 19198/2020), l’atto mortis causa vietato (diverso dal testamento) e’ destinato a regolare i rapporti che scaturiscono dalla morte del soggetto, senza produrre alcun effetto, neppure prodromico o preliminare fino a quando il soggetto e’ in vita.

Il negozio mortis causa investe rapporti e situazioni che si formano in via originaria con la morte del soggetto o che dall’evento morte traggono una loro autonoma qualificazione, mentre il negozio post mortem valido e’ destinato a regolare una situazione preesistente, sia pure subordinandone gli effetti alla morte di una delle parti.

Nei primi tale evento incide sia sull’oggetto che sulla posizione del beneficiario, nel senso che la disposizione mortis causa interessa non il bene come si trova al momento dell’atto, ma come esso figura nel patrimonio del disponente al momento della morte (cd. quod superest) e nel quale il beneficiario e’ considerato tale in quanto esistente al momento in cui l’atto acquistera’ definitiva efficacia.

In carenza di tali condizioni il negozio integra un atto inter vivos ed e’ in genere valido, salvo che specifiche clausole o condizioni contrattuali conservino in capo al disponente il potere di farne venir meno gli effetti e il carattere vincolante.

In definitiva, l’atto mortis causa e’ diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, senza produrre alcun effetto, nemmeno prodromico o preliminare.

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L’evento della morte riveste un ruolo diverso nell’atto post mortem, perche’ qui l’attribuzione e’ attuale nella sua consistenza patrimoniale e non e’ limitata ai beni rimasti nel patrimonio del disponente al momento della morte (Cass. SU 18831/2019, nonche’ Cass. 18198/2020).

Su tali premesse la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte ha da tempo riconosciuto piena validita’, sia pure in presenza di determinate condizioni, alla donazione con clausola sospensiva di efficacia subordinata alla premorienza del donante (clausola si premoriar; Cass. 2619/1976; nello stesso senso Cass. 576/1950; contra Cass. 4053/1987).

Ferma, difatti, la nullita’ della donazione mortis causa per violazione dell’articolo 485 c.c., la donazione con clausola sospensiva di premorienza del donante produce effetti preliminari immediati in vita del donante ed investe un singolo bene inteso come entita’ separata dal resto del patrimonio, sempre che permangano l’irrevocabilita’ della disposizione e l’immediata costituzione del vincolo giuridico tra le parti, con conseguente attualita’ dell’attribuzione la cui efficacia e’ solo differita alla morte, avendo il donatario facolta’ di compiere atti conservativi e finanche di disporre del bene (sotto condizione).

Il bene donato viene valutato dai contraenti non quale entita’ che residua al momento della morte, ma nella sua consistenza ed oggettivita’ al momento del perfezionamento del negozio.

L’eventuale contrasto della donazione con il divieto di patti successori puo’ allora dipendere dalla persistenza di un residuo potere dispositivo in capo al donante, tale da minare o rendere solo apparente l’irrevocabilita’ della disposizione e la sua immediata efficacia vincolante, non in se’ per la maggior o minore probabilita’ del verificarsi dell’evento condizionante.

La premorienza del donante e’, per sua natura, evenienza incerta anche ove il donante versi in condizioni di malattia irreversibili (non potendo escludersi, in linea di principio, che premuoia il donatario per cause accidentali, improvvise, impreviste e indipendenti dal suo stato di salute sicche’ la donazione non diviene efficace), ne’ e’ – in tal caso – prevedibile la durata della vita residua, conservando utilita’ pratica la connotazione di irrevocabilita’ della disposizione.

Questa Corte ha chiarito che per accertare nei singoli casi se le parti abbiano posto una donazione inter vivos, coi requisiti richiesti per la sua validita’, ovvero un’attribuzione patrimoniale gratuita, di altra natura, eventualmente non consentita dalla legge, e’ necessario procedere alla ricerca della volonta’ negoziale delle parti in applicazione delle regole ermeneutiche stabilite dalla legge per la interpretazione dei contratti e, in particolare, del criterio dell’interpretazione complessiva, che postula l’esame delle varie clausole dell’atto onde interpretarle le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna di esse il senso risultante dal loro complesso, facendo, inoltre, applicazione del principio secondo cui la qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio non dipende dal significato letterale delle parole o dal nomen juris attribuitogli dalle parti, ma dal suo concreto contenuto e dalla comune intenzione delle parti (cfr., testualmente, Cass. 1547/1966).

Nel caso di cui si discute, la Corte di merito ha, appunto, stabilito che la donazione era immediatamente efficace ed aveva ad oggetto beni (quote sociali) considerati nella loro consistenza e valore al momento della disposizione, dando vita ad un vincolo giuridico produttivo di effetti prodromici, valorizzando l’assenza di elementi che deponessero – anche solo in via indiretta – per l’effettiva persistenza in capo al donante di un potere dispositivo, a conferma dell’irrevocabilita’ dell’attribuzione.

Benche’ (OMISSIS) fosse certamente affetto da un male incurabile, la sua premorienza rispetto alla sorella poteva al piu’ considerarsi altamente probabile ma non certa, ne’ comunque imminente (la morte e’ sopraggiunta mesi dopo il perfezionamento della donazione, nell'(OMISSIS)), permanendo, nonostante la gravita’ delle condizioni di salute del donante, lo scopo pratico di assicurare il trasferimento delle quote in capo alla sorella con effetti irrevocabili e parzialmente anticipati, indirizzando da subito, nella direzione auspicata, le vicende del complesso aziendale.

L’unico motivo di ricorso non merita, pertanto, accoglimento, non potendo addebitarsi alla Corte di merito di aver escluso la violazione dell’articolo 485 c.c., sottovalutando le condizioni di grave malattia e il grado di probabilita’ della premorienza del donante rispetto alla donataria nella ricerca dello scopo pratico voluto dai contraenti; e’ incensurabile, nella presente sede di legittimita’, la qualificazione della donazione quale negozio inter vivos valido alla luce degli indici posti in rilievo nella sentenza, consistenti nella natura condizionale della clausola di premorienza, nell’idoneita’ dell’atto a produrre effetti prodromici e nell’assenza di previsioni che, anche solo indirettamente, conducessero a ravvisare la permanenza in capo al donante della facolta’ di revoca della disposizione.

4. In definitiva, il ricorso deve essere respinto, con la regolazione delle spese del presente giudizio in base al generale principio della soccombenza. Esse si liquidano come da dispositivo, tenendo contro del rilevante valore della causa (Euro 4.071.900,00) e delle attivita’ defensionali in concreto espletate nell’interesse della controricorrente.

Si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

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P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in solido delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 22.000,00 per onorari, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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