Corte di Cassazione, civile, Sentenza|13 maggio 2021| n. 12872.
Domanda di riduzione della quota di legittima: La pronuncia di condanna contenuta nella sentenza di accoglimento della domanda di riduzione della quota di legittima non è immediatamente eseguibile quando rappresenti il conguaglio di una operazione divisionale; è invece immediatamente eseguibile quando sia stata pronunciata senza necessità di alcuna divisione, ai sensi dell’articolo 560, commi secondo o terzo, del codice civile. (Nel caso di specie, enunciando espressamente il principio di diritto, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la decisione impugnata; in particolare, osserva la sentenza, il giudice dell’opposizione all’esecuzione, al quale spetta istituzionalmente il compito di interpretare il titolo esecutivo, ha trascurato di compiere gli accertamenti sopra indicati, ed ha anzi compiuto dichiarazioni sotto questo profilo inconciliabili; dapprima, infatti, ha riferito che il titolo esecutivo oggetto dell’opposizione era rappresentato da una sentenza in cui gli opponenti erano stati condannati a pagare una certa somma di denaro “…ex articolo 560 c.c….”, poi, però, ha affermato che la suddetta pronuncia di condanna era in rapporto “…di stretta sinallagmaticità con la divisione del compendio ereditario…”: affermazione inspiegabile, dal momento che l’articolo 560 cod. civ. trova applicazione proprio sul presupposto che non sia stata eseguita nessuna divisione; il donatario, infatti, non è comproprietario del bene donato insieme con l’erede pretermesso; e persino quando il donatario sia al tempo stesso anche legittimario, il presupposto della sua condanna al pagamento del controvalore è che l’immobile donato resti nella sua disponibilità; in mancanza di questo accertamento, conclude la pronuncia, non avrebbe dunque potuto il giudice di merito ritenere esistente un “rapporto di sinallagmaticità” tra la condanna degli opponenti al pagamento di una somma di denaro, ed il capo di sentenza con cui era stata accolta la domanda di riduzione).
Sentenza|13 maggio 2021| n. 12872
Data udienza 14 gennaio 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Esecuzione forzata – Domanda di riduzione della quota di legittima – Conguaglio di una operazione divisionale – Non è immediatamente eseguibile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 22276/17 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata a (OMISSIS), difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in margine al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato a (OMISSIS), difeso dall’avvocato (OMISSIS), e (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonche’
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati a (OMISSIS), difeso dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia 24 maggio 2017 n. 775;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 gennaio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa SOLDI Anna Maria; che ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di ricorso;
udito per la ricorrente l’avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2000 (OMISSIS), vedova di (OMISSIS), convenne dinanzi al Tribunale di Brescia gli altri coeredi (e cioe’ (OMISSIS), fratello del de cuius; (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente moglie e figli di (OMISSIS), altro fratello premorto di (OMISSIS)).
L’attrice espose che il proprio marito, in vita, aveva dissimulatamente donato agli altri eredi le quote di proprieta’ di due terreni; che inoltre uno dei convenuti aveva compiuto operazioni bancarie in nome e per conto del de cuius, sottraendo in tal modo somme di denaro all’attivo ereditario.
Concluse pertanto chiedendo che il Tribunale:
-) accertasse che i trasferimenti immobiliari compiuti dal de cujus dissimulavano altrettante donazioni;
-) accertasse la conseguente lesione della quota di legittima spettante all’attrice;
-) previa riduzione delle disposizioni testamentarie, dei legati e delle donazioni dissimulate “assegnasse” all’attrice la quota ereditaria a lei spettante secondo le norme della successione necessaria;
-) dichiarasse di conseguenza lo scioglimento della comunione ereditaria e condannasse i convenuti “al rilascio dei beni assegnati”.
2. Con sentenza 5 giugno 2013 n. 2183 il Tribunale di Brescia accolse la domanda, e condanno’ i convenuti al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 787.049,35, oltre gli interessi e le spese di lite.
Ne’ la sentenza impugnata, ne’ il ricorso, ne’ i due controricorsi, riferiscono con esattezza la ratio decidendi di tale condanna.
Il ricorso tace, limitandosi a riferire che la condanna avvenne “in solido” (circostanza anomala, in verita’, con riferimento ad una azione di riduzione). Il controricorso di (OMISSIS) riferisce che la condanna avvenne “ai sensi dell’articolo 560 c.c.” (circostanza riferita anche dalla sentenza impugnata, a p. 6, ultimo capoverso).
Gli altri controricorrenti, per contro, riferiscono che il Tribunale “ha disposto la divisione e condannando i convenuti al pagamento del corrispondente valore in denaro della quota di pertinenza della moglie del de cuius”.
Tanto e’ necessario premettere sin d’ora, per miglior chiarezza di quanto si verra’ dicendo nelle “Ragioni della decisione”.
3. (OMISSIS), non avendo ottenuto l’adempimento spontaneo della suddetta condanna, il (OMISSIS) notifico’ atto di precetto agli altri coeredi, intimando loro il pagamento della somma complessiva di Euro 1.102.252,05. (OMISSIS) da un lato, e gli altri quattro coeredi dall’altro ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), pagate le spese di soccombenza (secondo quanto riferito dalla sentenza d’appello), proposero separate opposizioni all’esecuzione ex articolo 615 c.p.c..
A fondamento di esse dedussero, per quanto in questa sede ancora rileva, che la sentenza di primo grado era priva di efficacia esecutiva, in quanto avente natura costitutiva e non condannatoria, e non era ancora passata in giudicato al momento dell’inizio dell’esecuzione.
4. Con sentenza 19 giugno 2014 n. 2170 il Tribunale di Brescia rigetto’, previa riunione, le due opposizioni.
Il Tribunale, richiamando a sostegno della propria decisione una sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., Sentenza n. 4059 del 22/02/2010), ritenne che la condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di reintegrazione della quota di legittima non fosse “in rapporto di stretta sinallagmaticita’” con la statuizione accertativa della lesione di legittima e della nullita’ delle donazioni che l’avevano determinata.
Ritenne invece che la suddetta statuizione di condanna fosse una “statuizione dipendente o accessoria” della lesione di legittima, e che di conseguenza fosse immediatamente esecutiva.
5. La sentenza venne appellata dalle parti soccombenti.
Con sentenza 24 maggio 2017 n. 775 la Corte d’appello di Brescia accolse il gravame.
La Corte d’appello ritenne che la condanna dei coeredi al pagamento di una somma di denaro in favore del legittimario pretermesso fosse una statuizione “in rapporto di stretta sinallagmaticita’, ovvero di interdipendenza e addirittura corrispondenza, con la lesione della quota di legittima e con la divisione del compendio”.
6. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) con ricorso fondato su due motivi.
Hanno resistito con separati controricorsi (OMISSIS) da un lato, e gli ulteriori quattro coeredi dall’altro.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la ricorrente lamenta la nullita’ della sentenza, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale nullita’ deriverebbe dal difetto assoluto di motivazione, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 2. Espone la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe completamente frainteso l’oggetto del giudizio; che ha mostrato di ritenere che il giudizio riguardasse unicamente l’esecutivita’ del capo della sentenza di primo grado concernente la regolazione delle spese di lite; che la ratio decidendi della decisione d’appello sarebbe “incomprensibile”.
1.1. Il motivo e’ infondato.
Il contenuto della sentenza d’appello e’ ben chiaro, e si fonda su un’affermazione di puro diritto, rispetto alla quale nemmeno e’ concepibile un vizio di motivazione (configurabile, come noto, solo con riferimento agli accertamenti di fatto: ex multis, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14476 del 28/05/2019, Rv. 654306 – 04; Sez. 2 -, Ordinanza n. 20719 del 13/08/2018, Rv. 650017 – 01).
La Corte d’appello ha infatti ritenuto che la pronuncia di condanna al pagamento di un conguaglio in denaro, da parte dei coeredi in favore del legittimario pretermesso, fosse strettamente dipendente dalla pronuncia di accertamento della lesione di legittima; con la conseguenza che in mancanza del passaggio in giudicato della seconda, non poteva mettersi in esecuzione la prima (p. 9, ultimo capoverso, della sentenza impugnata).
Si tratta, dunque, d’una motivazione ben chiara.
1.2. I passaggi e le espressioni verbali additate dalla ricorrente quale indice della contraddittorieta’ della motivazione in realta’ non sono tali, ove si consideri che, secondo la nota sentenza 8053/14 una sentenza puo’ dirsi nulla per difetto di motivazione solo quando quest’ultima manchi del tutto, sia totalmente incomprensibile, ovvero presenti contraddizioni insanabili.
Nessuna di queste tre ipotesi ricorre nel caso di specie.
La ricorrente, infatti, sostiene che la sentenza sarebbe nulla perche’, con affermazione totalmente incoerente rispetto all’oggetto del gravame, per tre volte ripete in motivazione che il titolo esecutivo azionato da (OMISSIS) era privo di efficacia esecutiva con riferimento al capo di condanna alle “spese di lite”.
Tuttavia le spese di lite liquidate nel titolo esecutivo giudiziale erano state pagate dai convenuti, e su esso non vi era questione.
Deve tuttavia in contrario osservarsi che il riferimento alle spese di lite contenuto a pagina 5, terz’ultimo capoverso, della sentenza impugnata e’ irrilevante, in quanto in quel punto la motivazione riferisce soltanto dello svolgimento del processo, e comunque da’ conto che la lite riguardava anche “il conguaglio” che gli odierni controricorrente erano stati condannati a pagare; quanto al riferimento alle “spese di lite” contenuto a pagina 9 della sentenza impugnata, esso appare con evidenza un lapsus calami, dal momento che poche righe prima la corte d’appello inequivocabilmente afferma che doveva ritenersi privo di efficacia esecutiva “il capo condannatoria o di corresponsione della somma di Euro 787.049,35”.
2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 282 c.p.c..
Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe erronea in punto di diritto, ed articola a sostegno di questa tesi un sillogismo cosi’ riassumibile:
-) quando una sentenza non passata in giudicato contenga un capo di condanna, un’immediata esecutivita’ di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 282 c.p.c., non e’ in assoluto preclusa dal fatto che la sentenza contenga anche un accertamento costitutivo;
-) potranno dunque darsi sentenze dichiarative o costitutive cui accedono capi di condanna non provvisoriamente eseguibili, e sentenze dichiarative o costitutive cui accedono capi di condanna provvisoriamente eseguibili, come nel caso di condanna al pagamento delle spese di lite;
-) quel che rende provvisoriamente eseguibile un capo di condanna accessorio ad una sentenza dichiarativa e’ la sua natura di “dipendenza o consequenzialita’” dalla pronuncia dichiarativa;
-) la condanna al pagamento di una somma di denaro in favore del legittimario pretermesso e’ una pronuncia “dipendente” dall’accertamento della lesione di legittima, ma non e’ una pronuncia “in rapporto di stretta sinallagmaticita’” rispetto al suddetto accertamento;
-) ergo, la suddetta pronuncia di condanna poteva legittimamente essere messa in esecuzione prima ancora del passaggio in giudicato della sentenza cui accede.
3. Il motivo e’ fondato.
Questa Corte ha gia’ stabilito a quali condizioni il capo condannatorio contenuto in una sentenza costitutiva o dichiarativa possa essere messo provvisoriamente in esecuzione, ai sensi dell’articolo 282 c.p.c..
Al riguardo questa Corte ha stabilito tre regole ben chiare.
3.1. La prima regola e’ che l’articolo 282 c.p.c., la’ dove stabilisce che “la sentenza di primo grado e’ provvisoriamente esecutiva tra le parti”, in realta’ plus dixit quam voluit.
Tale regola, infatti, non s’applica indistintamente a tutte le “sentenze di primo grado”, ma solo a quelle che hanno un contenuto condannatorio. Non s’applica, invece, alle sentenze dichiarative o costitutive (ex permultis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 28508 del 08/11/2018, Rv. 651634 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1211 del 18/01/2018, Rv. 647352 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25743 del 15/11/2013, Rv. 629082 – 01).
3.2. La seconda regola e’ che quando nella medesima sentenza siano compresenti una statuizione dichiarativa o costitutiva, ed una statuizione di condanna, l’immediata esecutivita’ di quest’ultima dipendera’ dal tipo di rapporto che la lega alla statuizione dichiarativa o costitutiva.
A tal riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha distinto quattro possibili tipi di rapporti tra la statuizione di condanna e le altre:
a) rapporto di sinallagmaticita’;
b) rapporto di corrispettivita’;
c) rapporto di dipendenza;
d) rapporto di accessorieta’.
Nelle prime due ipotesi il capo condannatorio non e’ immediatamente esecutivo, nelle altre due si’.
3.3. Il rapporto di sinallagmaticita’ sussiste quando il capo condannatorio costituisca un elemento costitutivo delle altre statuizioni, sicche’ mancando l’esecuzione di quello, non sarebbero applicabili questi.
E’ il caso, in particolare, della condanna al pagamento del prezzo pronunciata a carico del promissario acquirente e contenuta in una sentenza di condanna all’esecuzione specifica dell’obbligo di contrattare, ex articolo 2932 c.c. (Sez. U., Sentenza n. 4059 del 22/02/2010, Rv. 611643 – 01).
3.4. Il rapporto di corrispettivita’ sussiste quando il capo condannatorio, se messo provvisoriamente in esecuzione separatamente dalle altre statuizioni contenute nella sentenza, costringerebbe una delle parti a patire gli effetti sfavorevoli della decisione, senza goderne i benefici pur da essa scaturenti.
E’ il caso, in particolare, della condanna al pagamento di un conguaglio in denaro pronunciata a carico di uno dei condividenti e contenuta nella sentenza dichiarativa dello scioglimento della comunione (Sez. 3 -, Sentenza n. 2537 del 30/01/2019, Rv. 652662 – 01).
3.5. Il rapporto di dipendenza sussiste quando il capo condannatorio e’ la conseguenza necessaria del capo dichiarativo o costitutivo.
E’ stato ritenuto sussistente, ad esempio, tra la pronuncia di accoglimento dell’azione revocatoria di una vendita immobiliare, e la pronuncia di condanna al rilascio dell’immobile richiesta dall’assuntore del concordato succeduto al curatore fallimentare che aveva proposto l’azione revocatoria (Sez. 3 -, Ordinanza n. 28508 del 08/11/2018), come pure tra l’accoglimento d’una azione revocatoria fallimentare L. Fall., ex articolo 67, comma 2 e la condanna d’una banca alla restituzione del pagamento dichiarato inefficace (Sez. 1, Sentenza n. 16737 del 29/07/2011).
3.6. Il rapporto di accessorieta’, infine, sussiste quando il capo condannatoria non incide in alcun modo sul presupposto sul contenuto del capo dichiarativo o costitutivo.
E’ il caso, in particolare, della condanna alle spese (Sez. 3, Sentenza n. 21367 del 10/11/2004).
4. Cio’ posto in punto di diritto, osserva questa Corte che il titolo esecutivo messo in esecuzione da (OMISSIS) era costituito da una sentenza che ha:
a) accolto l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni (previo accertamento della loro natura dissimulata) lesive della legittima proposta da (OMISSIS), spettante, promossa sul presupposto di essere stata totalmente esclusa dalla successione del marito;
b) condannato gli eredi ed i donatari al pagamento di una somma di denaro a favore dell’erede pretermesso.
L’azione ad supplendam aut implendam legitimam di cui agli articoli 553 c.c. e segg., e’ un’azione personale, e non un’azione reale (Sez. 2, Sentenza n. 3077 del 30/11/1963; Sez. 2, Sentenza n. 2202 del 28/06/1968).
Essa mette capo ad una pronuncia di natura costitutiva (Sez. 1, Sentenza n. 3177 del 10/11/1971; Sez. 2, Sentenza n. 2859 del 09/02/2006), avente l’effetto di risolvere (con effetto limitato alle parti) le disposizioni testamentarie, i legati e le donazioni lesive della quota di legittima.
L’azione di riduzione puo’ avere ad oggetto tanto beni che si trovavano nel patrimonio del defunto al momento dell’apertura della successione (il relictum: cfr. articolo 556 c.c., ove si parla di “beni che appartenevano al defunto”); sia beni che, al momento dell’apertura della successione, ne erano gia’ usciti (il donatum: cfr. articolo 556 c.c., ove si parla di “beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione”).
Nel primo caso, la riduzione della disposizione testamentaria avverra’ per contributo e simultaneamente (articolo 558 c.c.); nel secondo caso la riduzione delle donazioni avviene successivamente e progressivamente (articolo 559 c.c.). Infine, il quadro della disciplina della riduzione e’ completato dalla previsione della facolta’ del donatario di immobili di ritenere il bene donato pagando all’erede pretermesso il controvalore della quota legittima, nelle ipotesi di cui all’articolo 560 c.c., commi 2 e 3.
4.1. L’azione di riduzione, di conseguenza, richiede al giudice due statuizioni. La prima e’ sempre uguale, e consiste nell’accertamento costitutivo della avvenuta lesione della quota di legittima.
La seconda puo’ invece variare, a seconda che siano ridotte disposizioni testamentarie, legati o donazioni; a seconda che l’attore abbia ricevuto una quota di legittima inferiore al dovuto o sia stato del tutto pretermesso; a seconda che l’erede pretermesso domandi la divisione dei beni ereditari, la separazione in natura del bene donato o il pagamento del controvalore in denaro; a seconda che sia proposta contro altri legittimari, contro eredi o donatari non legittimari, o contro subacquirenti.
4.2. Col variare della pronuncia di reintegra contenuta in una sentenza di accoglimento della domanda di riduzione, secondo le varie ipotesi previste dalla legge, varia di conseguenza il rapporto tra capo condannatorio e capo costitutivo della sentenza.
Se la reintegra richiedesse la divisione dei beni ereditari, ed il giudice condannasse uno dei condividenti al pagamento d’un conguaglio in denaro, tale capo sarebbe in rapporto di corrispettivita’ rispetto alla pronuncia di divisione (che ha natura e fondamento ben diversi dall’azione di riduzione, anche se puo’ essere insieme a questa proposta), e non sarebbe immediatamente eseguibile.
Se invece la reintegra richiedesse unicamente il pagamento da parte del donatario del controvalore della quota di legittima, ex articolo 560 c.c., ed il giudice lo condannasse al relativo pagamento, tale capo sarebbe in rapporto di dipendenza rispetto alla pronuncia di riduzione, e sarebbe immediatamente eseguibile.
4.3. Nel caso di specie il giudice dell’opposizione all’esecuzione (cui spetta istituzionalmente il compito di interpretare il titolo esecutivo) ha trascurato di compiere gli accertamenti sopra indicati, ed ha anzi compiuto dichiarazioni sotto questo profilo inconciliabili.
Dapprima, infatti, ha riferito che il titolo esecutivo oggetto dell’opposizione era rappresentato da una sentenza in cui gli opponenti erano stati condannati a pagare una certa somma di denaro “ex articolo 560 c.c.” (cosi’ la sentenza d’appello, pagina 6, terzultimo rigo); poi, pero’, ha affermato che la suddetta pronuncia di condanna era in rapporto “di stretta sinallagmaticita’ con la divisione del compendio (ereditario)”: affermazione inspiegabile, dal momento che l’articolo 560 c.c., trova applicazione proprio sul presupposto che non sia stata eseguita nessuna divisione. Il donatario, infatti, non e’ comproprietario del bene donato insieme con l’erede pretermesso; e persino quando il donatario sia al tempo stesso anche legittimario, il presupposto della sua condanna al pagamento del controvalore e’ che l’immobile donato resti nella sua disponibilita’.
In mancanza di questo accertamento, non avrebbe dunque potuto il giudice di merito ritenere esistente un “rapporto di sinallagmaticita’” tra la condanna degli opponenti al pagamento di una somma di denaro, e il capo di sentenza con cui era stata accolta la domanda di riduzione.
4.4. La sentenza impugnata, in conclusione, va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, la quale tornera’ ad esaminare l’appello proposto da (OMISSIS) e dagli altri appellanti, e – dopo avere interpretato il titolo esecutivo alla luce dei principi sopra indicati – applichera’ il seguente principio di diritto:
“la pronuncia di condanna contenuta nella sentenza di accoglimento della domanda di riduzione della quota di legittima non e’ immediatamente eseguibile quando rappresenti il conguaglio di una operazione divisionale; e’ invece immediatamente eseguibile quando sia stata pronunciata senza necessita’ di alcuna divisione, ai sensi dell’articolo 560 c.c., commi 2 e 3”.
5. Le spese del presente giudizio di legittimita’ saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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