La richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ex art. 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|22 aprile 2021| n. 15293.

La richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ex art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, può essere proposta per la prima volta anche in appello, in quanto non ricorre nessuna norma che vieta di avanzare tale istanza solo in secondo grado.

Sentenza|22 aprile 2021| n. 15293

Data udienza 8 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: ESECUZIONE PENALE – CONCORSO FORMALE E REATO CONTINUATO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefan – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 09/07/2020 della CORTE APPELLO di MILANO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. BONI MONICA;
lette le conclusioni del Dr.ssa PICARDI Antonietta, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza in data 9 luglio 2020, la Corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Pavia in data 5 novembre 2019, che lo aveva condannato alla pena di giorni tredici di arresto in quanto ritenuto responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 76, comma 3, fatto commesso in (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso, lamentando con unico motivo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 597 c.p.p. e vizio di motivazione quanto all’ingiustificata declaratoria di inammissibilita’ dell’appello. Secondo il ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto che, in assenza di specifiche doglianze riguardanti la commisurazione della pena, come determinata in primo grado, nei motivi relativi al giudizio di responsabilita’ non fossero incluse contestazioni sulla pena e sulla recidiva, la cui esclusione esorbitava dai poteri del giudice di appello. Tale decisione viola l’articolo 597 c.p.p. poiche’ nell’atto di gravame non erano contenute doglianze sulla recidiva, ma al primo motivo la richiesta di applicazione della continuazione fra il reato contestato ed i fatti analoghi, di cui al decreto pe’nale di condanna n. 1511/2018 del 19/09/2018. Anche il secondo motivo di appello, relativo alla mancata conversione della pena detentiva in pecuniaria, e’ strettamente connesso al primo. Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, l’atto di appello non trascura i temi affrontati dal Tribunale e contesta le valutazioni condotte in ordine alle risultanze istruttorie e processuali, che hanno condotto a decisione censurata sul piano sanzionatorio.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott.ssa Antonietta Picardi, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato e merita dunque accoglimento.
1.L’ordinanza impugnata, premesse alcune osservazioni in linea generale sulla delimitazione dell’ambito di cognizione attribuito al giudice di appello e sull’effetto devolutivo proprio dell’appello operante in relazione ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi ed ai poteri esercitabili d’ufficio, ha ritenuto che l’atto di gravame proposto nell’interesse di (OMISSIS) trascurasse “completamente tutti i temi affrontati dal primo giudice nella propria decisione, proponendo questioni del tutto estranee ai “capi” ed ai “punti” della sentenza e alle deduzioni in fatto e argomentazioni in diritto svolte dal giudice di primo grado….questioni (che, n.d.r.) non sono neppure “intimamente connesse” con altre parti della decisione impugnata ed esorbitano altresi’ dall’ambito dei poteri officiosi del giudice d’appello”. Piu’ in dettaglio, tali nuove questioni, ritenute non introducibili nel grado d’appello, perche’ non comprese nei capi e punti della decisione investita dall’appello, riguardavano il riconoscimento della continuazione tra il reato giudicato ed altro, oggetto di precedente decreto penale di condanna, emesso dal Tribunale di Pavia, e la conversione in pena pecuniaria della pena detentiva inflitta.
2. La questione non e’ nuova ed e’ stata gia’ affrontata e risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216238. In questa autorevole pronuncia si e’ osservato che rientra tra le facolta’ difensive riconosciute alla parte richiedere l’applicazione della continuazione e sollecitare i poteri del giudice della cognizione nel processo ancora in corso, piuttosto che del giudice dell’esecuzione a seguito della proposizione di apposito incidente, posto che l’unico limite alla facolta’ di scelta tra le due opportunita’ e’ indicato dalla disposizione dell’articolo 671 c.p.p., comma 1, nella gia’ avvenuta esclusione della continuazione ad opera del giudice della cognizione.
Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno affermato che quando “l’imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della continuazione, il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciare sul tema di indagine devolutogli, per l’evidente ragione che al principio devolutivo, espresso dal brocardo “tantum devolutum quantum appellatum”, e’ coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante: sicche’, stante la correlazione tra motivi di impugnazione ed ambito della cognizione e della decisione, non e’ ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione, e possa, cosi’, sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la propria valutazione circa l’opportunita’ di esaminare o non l’istanza dell’imputato”. A ragione di tale affermazione si e’ osservato che, in materia di applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato, la legge processuale assegna al giudice dell’esecuzione una mera funzione sussidiaria e suppletiva, subordinata all’inesistenza di un preesistente giudicato negativo, per cui, in presenza di un esplicito motivo di gravame, deve reputarsi illegittima e senz’altro censurabile nel giudizio di cassazione la pronuncia del giudice dell’impugnazione, il quale, investito della cognizione della richiesta di riconoscimento dei presupposti della continuazione, abbia declinato l’adempimento del dovere di decidere sull’intera regiudicanda, rimettendo la predetta istanza all’esame del giudice dell’esecuzione.
2.1. Successive piu’ recenti pronunce delle singole sezioni di questa Corte hanno ribadito i medesimi principi (sez. 2, n. 990 del 13/12/2019, dep. 2020, Fusco, rv. 278678; sez. 5, n. 3867 del 7/10/2014, dep. 2015, Varrica, rv. 262679; sez. 6, n. 38648 del 30/09/2010, Cosentino ed altro, rv. 248582) e riconosciuto l’interesse dell’imputato a contestare mediante ricorso per cassazione la sentenza di appello che, pur a fronte di specifico motivo d’impugnazione sulla continuazione, non si sia pronunciata sul punto.
2.2. Il Collegio ritiene di dover ribadire i medesimi principi per la loro insuperata correttezza giuridica: dal carattere sussidiario e suppletivo della giurisdizione esecutiva discende che la sede appropriata per l’assunzione della decisione sulla richiesta di applicazione della continuazione e’ quella di cognizione e privare la parte appellante della possibilita’ di conseguirla implica imporre un dispendio di attivita’ processuale con il sacrificio immotivato delle facolta’ di impugnazione, molto piu’ ampie, per quantita’ e qualita’, nel processo di cognizione rispetto a quanto previsto per la fase esecutiva.
2.3. Anche in riferimento alla richiesta di conversione della pena detentiva ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 53 si e’ gia’ sostenuto da parte della giurisprudenza di legittimita’, e qui si riafferma, che la stessa puo’ essere proposta per la prima volta anche in appello, in quanto non sussiste nessuna norma che vieta di avanzare tale istanza solo in secondo grado (Sez. 5, n. 53750 del 21/09/2018, B., Rv. 274165).
Il provvedimento impugnato non si e’ confrontato con gli orientamenti sopra riassunti e ha proposto soluzione incentrata sulla sola disposizione testuale dell’articolo 597 c.p.p., comma 1; va dunque annullato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano, che dovra’ uniformarsi ai principi di diritto richiamati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.

 

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