In materia edilizia allorché l’opera abusiva perisca in tutto o in parte

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|11 gennaio 2021| n. 648.

In materia edilizia, allorché l’opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive comunque finalizzate al suo consolidamento, il proprietario (anche se diverso dall’autore dell’abuso) non acquista il diritto di ricostruirla o comunque di ristrutturarla o manutenerla senza alcun titolo abilitativo anche se originariamente l’abuso non sia stato represso, giacché anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente. Ciò sul rilievo che se l’opera abusivamente realizzata (e non sanata) deve essere demolita e non può essere oggetto, nemmeno in parte, di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali (art. 46, d.P.R. n. 380 del 2001), non se ne può contraddittoriamente consentire la conservazione, dovendosene invece ordinare la demolizione nella sua interezza, se a tanto in precedenza non si sia provveduto. Il regime di denuncia di inizio attività (d.i.a., ora segnalazione certificata di inizio attività, s.c.i.a.) non è applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti il cui originario carattere abusivo è stato accertato con sentenza definitiva e che non risultino essere stati oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dall’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente. (Amb. Dir.)

Sentenza|11 gennaio 2021| n. 648

Data udienza 9 ottobre 2020

Integrale
Tag – parola chiave: Diritto urbanistico – Edilizia – Interventi edilizi su una costruzione realizzata abusivamente – Attività manutentive – Presupposti – Condono edilizio o di sanatoria – Proprietario diverso dall’autore dell’abuso – Ininfluenza – Artt. 44, 46 64-71, 65-72 e 93-95, d.P.R. n. 380/2001 Art. 181, d.lgs. n. 42/2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. FUSCO Salvatore – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/11/2019 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CORASANITI GIUSEPPE, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS), e Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. I sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per l’annullamento della sentenza del 26/11/2019 della Corte di appello di Salerno che, rigettando la loro impugnazione, ha confermato la condanna alla pena di venticinque giorni di arresto e 15.000,00 Euro di ammenda ciascuno per il reato di cui agli articoli 110, 81 cpv. c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), articoli 64-71, 65-72 e 93-95, Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, accertato in (OMISSIS).
2. (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono un unico motivo con il quale deducono la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della motivazione.
Deducono che i lavori edilizi oggetto di condanna, ancorche’ oggetto di S.C.I.A., erano liberamente realizzabili in quanto riguardavano un garage pertinente ad un fabbricato legittimamente realizzato, posto che il diniego di domanda di sanatoria riguardava esclusivamente i lavori di innalzamento interno di un solaio che aveva determinato un aumento della volumetria. A dimostrazione della regolarita’ del fabbricato, inoltre, era stata depositata in primo grado la concessione in sanatoria n. (OMISSIS) rilasciata a seguito di domanda presentata dopo l’ingiunzione a demolire n. (OMISSIS). Inoltre, i lavori erano stati completati ben dopo il termine di sei mesi fissato dalla legge per concludere l’iter amministrativo relativo alla presentazione della S.C.I.A.
Di tali elementi ed argomenti la Corte di appello non ha tenuto conto, essendosi limitata ad affermare che i lavori avevano interessato un immobile abusivo.
3. Il (OMISSIS) propone un unico motivo con il quale, relativamente al proprio concorso nel reato, deduce l’erronea applicazione dell’articolo 530 c.p.p., articolo 533 c.p.p., comma 1, articoli 546, 125, 192 c.p.p., articolo 195 c.p.p., comma 7.
Sostiene che la propria condanna si fonda esclusivamente su testimonianze de relato del tutto inutilizzabili ai sensi dell’articolo 195 c.p.p., comma 7. Gli operai che avrebbero fornito le notizie sull’impresa esecutrice di lavori non sono nemmeno stati identificati ed, anzi, l’ufficiale di polizia giudiziaria aveva dichiarato di non essere nemmeno certo della presenza di operai sul posto di lavoro. Appare evidente il travisamento delle prove utilizzate ai fini della decisione in parte qua e l’omessa valutazione dei motivi di appello.
In particolare, sono stati travisati:
– le dichiarazioni del Brig. (OMISSIS), il quale aveva riferito che al momento del sopralluogo non erano presenti operai sul cantiere sicche’ l’indicazione del nominativo della ditta rappresentata dall’imputato era il frutto del recupero dei dati relativi alle indagini sui lavori effettuati l’anno precedente;
– le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) l’11/12/2017 (nel corso delle quali il testimone si era limitato ad affermare quanto appreso dal (OMISSIS)) ed il 16/01/2019 (nel corso delle quali aveva riferito che non vi erano operai sul posto e che l’impresa era stata identificata dalla polizia locale);
– le foto scattate dal (OMISSIS), dalle quali emergeva la assenza di operai ma solo la presenza di utensili;
– il verbale di sequestro, dal quale emerge la sola presenza del proprietario dell’immobile e non vengono menzionati operai.
Appare altresi’ evidente l’elusione dell’obbligo di motivazione, non potendo la Corte di appello rimandare alla corretta valutazione delle risultanze processuali operata con la sentenza di primo grado che non aveva speso una sola parola sulla sua responsabilita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi dei sigg.ri (OMISSIS) sono inammissibili perche’ manifestamente infondati e proposti per motivi non consentiti dalle legge nella fase di legittimita’; e’ invece fondato il ricorso del sig. (OMISSIS).
5. (OMISSIS), (OMISSIS).
5.1. Nessuno dei ricorrenti contesta la materialita’ del fatto consistente nella esecuzione di lavori di rivestimento con pietre a faccia vista della parete esterna di un garage, di modifica dell’accesso al medesimo garage mediante la realizzazione di una finta colonna in malta cementizia, di posa in opera, sul terrazzo costituente la copertura del garage, di una pensilina con struttura metallica e lastre di vetro e rifacimento degli intonaci della facciata del garage.
5.2. La Corte di appello qualifica gli interventi come di manutenzione straordinaria ma ne afferma la penale rilevanza ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), perche’ il garage costituiva parte di un fabbricato abusivo oggetto di domanda di condono rifiutata e destinatario di un ordine di demolizione. La mancanza di un progetto, della denunzia allo Sportello Unico e di preavviso, concorrevano a qualificare penalmente gli interventi ai sensi delle altre disposizioni di legge sopra indicate, trattandosi di lavori effettuati in zona sismica e che potevano interessare la pubblica incolumita’.
5.3. E’ bene precisare che i ricorsi degli (OMISSIS) riguardano la sola affermazione della responsabilita’ per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), non avendo nel resto sviluppato argomenti di sorta.
5.4. La Corte di appello ha applicato il principio secondo il quale qualsiasi intervento su una costruzione realizzata abusivamente, ancorche’ l’abuso non sia stato represso, costituisce ripresa dell’attivita’ criminosa originaria integrante un nuovo reato identico a quello precedente e non attivita’ irrilevante sotto il profilo penale. In altre parole, allorche’ l’opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attivita’ manutentive comunque finalizzate al suo consolidamento, il proprietario (anche se diverso dall’autore dell’abuso) non acquista il diritto di ricostruirla o comunque di ristrutturarla o manutenerla senza alcun titolo abilitativo anche se originariamente l’abuso non sia stato represso, giacche’ anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, Rv. 267582 – 01; Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016, Rv. 267582 01; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232364). Cio’ sul decisivo rilievo che se l’opera abusivamente realizzata (e non sanata) deve essere demolita e non puo’ essere oggetto, nemmeno in parte, di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 46), non se ne puo’ contraddittoriamente consentire la conservazione, dovendosene invece ordinare la demolizione nella sua interezza, se a tanto in precedenza non si sia provveduto. Ne e’ stato tratto l’ulteriore corollario secondo il quale il regime di denuncia di inizio attivita’ (d.i.a., ora segnalazione certificata di inizio attivita’, s.c.i.a.) non e’ applicabile a lavori da eseguirsi su manufatti il cui originario carattere abusivo e’ stato accertato con sentenza definitiva e che non risultino essere stati oggetto di condono edilizio o di sanatoria, atteso che gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimita’ dall’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente (Sez. 3, n. 30168 del 24/05/2017, Rv. 270252 – 01; Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rv. 261330 01; Sez. 3, n. 1810 del 02/12/2018, dep. 2019, Rv. 242269 – 01; Sez. 3, n. 21490 del 19/04/2006, Rv. 234472 – 01).
5.5. Non ha alcuna rilevanza, di conseguenza, il fatto che i lavori fossero iniziati e ultimati prima della definizione (negativa) della pratica di condono. Per altro verso, la affermazione secondo la quale l’immobile principale, al quale il garage accedeva, non era abusivo costituisce una deduzione di natura fattuale non devoluta in appello dai due ricorrenti.
6. (OMISSIS).
6.1. La Corte di appello indica, per la prima volta (non avendolo fatto il primo Giudice), le fonti di prova della responsabilita’ del ricorrente individuandole nelle testimonianze del Brig. (OMISSIS) e del Geom. (OMISSIS); l’uno aveva affermato di aver accertato che sul posto vi erano gli operai del (OMISSIS) (verbale di udienza del 18/06/2018, pag. 5), l’altro che l’appartenenza degli operai alla ditta del (OMISSIS) era stata riferita da questi ultimi al (OMISSIS) (verbale di udienza dell’11/12/2017, pag. 5).
6.2. Dall’esame delle trascrizioni delle testimonianze assunte nel dibattimento, regolarmente allegate al ricorso e delle quali viene dedotto il travisamento, risulta quanto segue:
6.2.1. sentito all’udienza del 18/06/2018, esaminato dal PM, il (OMISSIS) aveva riferito della presenza di operai sul posto nei seguenti termini: “allora, lo adesso non ho memoria certa della presenza degli operai, c’erano degli operai, pero’ non ricordo chi erano. P.M.: Di (OMISSIS)- TESTE: Di (OMISSIS), esatto” (pag. 5); a domanda del difensore, il testimone aveva ribadito di non ricordare se sul posto ci fossero degli operai e di aver effettuato un accertamento postumo sull’impresa esecutrice dei lavori (“se ce ne fossero pure, perche’ adesso non ho ricordo della situazione. Ricordo solo che, di ufficio, fu fatta la verifica della delega precedente, che era praticamente, l’anno precedente, qualche mese prima degli abusi, che erano stati contestati per l’appartamento superiore (…) confermo che non e’ stato accertato al momento”; pag. 6);
6.2.2. sentito all’udienza dell’11/12/2017, il (OMISSIS), esaminato dal PM, aveva riferito che ” (OMISSIS) (era) il legale rappresentante della ditta esecutrice delle opere”, e rispondendo al Giudice aveva precisato che cio’ non risultava dalla d.i.a. ma dall’accertamento effettuato “in fase di controllo sul cantiere abbiamo (…) gli operai che hanno detto a chi apparteneva, a quale ditta appartenesse, insomma, se ricordo bene, perche’ fu fatto..”; subito dopo, pero’, rispondendo al PM che gli aveva chiesto se avesse sentito gli operai, aveva affermato che: “gli accertamenti furono fatti dalla Polizia Locale, quindi non li ho seguiti io” (pag. 5); tali concetti furono ribaditi dal testimone all’udienza del 19/01/2019, allorquando riferi’ di non ricordare se ci fossero degli operai e che gli accertamenti erano stati fatti dalla polizia locale (“Non ricordo se c’erano operai o non. Se sono scappati non…sono accertamenti che ha fatto la polizia locale, non li ho seguiti io, assolutamente”; pag. 6).
7. Il ricorrente deduce il travisamento delle due testimonianze delle quali allega le trascrizioni integrali.
7.1. Secondo l’insegnamento di questa Corte, il travisamento della prova e’ configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Come piu’ recentemente (ed autorevolmente) ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita’ cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).
7.2.Poiche’ il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l’errore e’ imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita’, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d “doppia conforme”, il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo’ essere eccepito in sede di legittimita’, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438).
7.3.Inoltre, quando si deduce la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, e’ onere del ricorrente, in virtu’ del principio di “autosufficienza del ricorso” suffragare la validita’ del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia’ stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita’ il loro esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell’11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302).
7.4. Non e’ sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’articolo 606 c.p.c., comma 1, lettera e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita’, puo’ essere soddisfatta nei modi piu’ diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purche’ detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita’ del ricorso, in base al combinato disposto dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591 c.p.p.).
7.5. E’ necessario, pertanto: a) identificare l’atto processuale omesso o travisato; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita’ dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche’ della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilita’” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
7.6.Nel caso di specie, le informazioni utilizzate dalla Corte di appello per confermare la responsabilita’ del (OMISSIS) sono state effettivamente travisate, per omissione, posto che dalla loro lettura risulta che: a) il (OMISSIS) non condusse accertamenti autonomi e addirittura non ricordava nemmeno la presenza di operai sul posto (o comunque non ne era assolutamente certo), sicche’ l’informazione da lui resa in modo perentorio sulla presenza degli operai del (OMISSIS), oltre a derivare da quella evidentemente appresa dalla polizia locale (i.e., dal (OMISSIS)), era del tutto malferma ed insuscettibile di fornire certezze oltre ogni ragionevole dubbio siccome annullata, come detto, dalle reiterate precisazioni di non ricordare nemmeno della presenza di operai (parte della testimonianza omessa e non valutata); b) il (OMISSIS), a sua volta, aveva riferito di aver accertato quale fosse la ditta esecutrice dei lavori in base ad atti investigativi compiuti l’anno precedente e relativi a lavori diversi da quelli per i quali si procede (parte della testimonianza, relativa alla fonte della conoscenza del dato da parte del testimone, omessa e non valutata).
7.7. Tali informazioni, poste dalla Corte di appello a base della decisione impugnata, sono state rese note al ricorrente solo con la sentenza di appello posto che il Tribunale non aveva affatto spiegato le ragioni della condanna, sicche’, anche sul piano formale, la deduzione del travisamento e’ tempestivamente proposta e correttamente corredata dei verbali di prova nella loro interezza.
7.8. E’ chiaro, insomma, che la condanna dell’imputato si fonda su informazioni non valutate nella loro interezza si’ da rendere il quadro probatorio descritto in sentenza non conforme ai dati derivanti dalla lettura diretta delle prove in essa indicate. Poiche’ il tema probatorio era stato ampiamente e ripetutamente scandagliato in sede di merito, non si ravvisa la necessita’ di un annullamento con rinvio della sentenza impugnata non potendo il giudice rescissorio aggiungere nulla di piu’ a quanto gia’ chiaramente evincibile dalla lettura delle prove: l’assoluta incertezza dell’impresa che aveva eseguito i lavori.
7.9. Ne consegue che nei confronti del (OMISSIS) la sentenza deve essere annullata senza rinvio per non aver commesso il fatto.
8.Alla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi dei sigg.ri (OMISSIS) consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Salerno nei confronti di (OMISSIS) per non aver commesso il fatto.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i predetti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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