In tema di bancarotta fraudolenta

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 26 maggio 2020, n. 15814.

Massima estrapolata:

In tema di bancarotta fraudolenta, il potere del pubblico ministero di procedere nel corso dell’istruzione dibattimentale alla modifica dell’imputazione o alla contestazione di una circostanza aggravante per l’individuazione di diverse modalità della condotta illecita ovvero di ulteriori condotte di distrazione o, comunque, previste dall’art. 216 legge fall., che non integrano fatto nuovo ex art. 518 cod. proc. pen., non è soggetto a specifici limiti temporali o di fonte, avendo l’imputato la facoltà di chiedere un temine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva, come la richiesta di nuove prove o il diritto di essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi.

Sentenza 26 maggio 2020, n. 15814

Data udienza 20 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Bancarotta fraudolenta – Condanna – Presupposti – Articoli 518 e 521 cpp – Contestazioni suppletive – Articolo 216 legge fallimentare – Condotta distrattiva – Elementi probatori – Valutazione del giudice di merito – Articoli 37 e 133 cp – Trattamento sanzionatorio – Sentenza della corte costituzionale 222 del 2018 – Pene accessorie – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 33040 del 2015 – Criteri – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 28910 del 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Francesca – Presidente

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29 novembre 2018 della Corte d’appello di Trento-Sezione di Bolzano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandrina Tudino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 29 novembre 2018, la Corte d’appello di Trento-Sezione distaccata di Bolzano ha confermato la decisione del Tribunale di Bolzano in data 5 dicembre 2016, con la quale e’ stata affermata la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, nella qualita’ di amministratore unico di (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita l’ (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento-Sezione distaccata di Bolzano ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma dei difensori, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) affidando le proprie censure a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge ex articolo 521 c.p.p. in riferimento alle contestazioni suppletive operate dal Pubblico Ministero alle udienze del 15 dicembre 2014 e del 13 aprile 2015 che avrebbero dovuto determinare la regressione del procedimento, trattandosi di ulteriori fatti distrattivi gia’ emersi nel corso delle indagini preliminari, in violazione del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce analoga censura in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva per non essere stati ammessi i testi a discarico addotti sulle nuove contestazioni, relativamente all’impiego delle somme per la remunerazione di lavoratori nei periodi relativi; prova decisiva in quanto mirata ad escludere la natura distrattiva delle contestazioni suppletivamente elevate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile, mentre la sentenza impugnata deve essere annullata, d’ufficio, limitatamente al punto relativo alla determinazione delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c..
1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
1.1. Questa Corte si e’ gia’ espressa, con orientamento consolidato, nel senso che, in tema di bancarotta fraudolenta, non integra fatto nuovo ai sensi dell’articolo 518 c.p.p., la individuazione di diverse modalita’ della condotta illecita ovvero di ulteriori condotte di distrazione o, comunque, di difformi condotte integrativa della violazione dell’articolo 216 L. Fall., trattandosi di fatto che non puo’ generare “novita’” dell’illecito, ma soltanto l’integrazione della circostanza aggravante (e non la modifica del fatto tipico), in virtu’ della peculiare disciplina dell’illecito fallimentare – connaturato alla c.d. unitarieta’ del reato desumibile dalla L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1, che deroga alla disciplina della continuazione – e della peculiarita’ della norma incriminatrice che non assegna alle condotte di distrazione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione, previste dalla L. Fall., articolo 216, n., natura di fatto autonomo, bensi’ fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioe’ modalita’ di esecuzione alternative e fungibili di un unico reato (Sez. 5, n. 4551 del 02/12/2010 – dep. 2011, Mei, Rv. 249262).
In riferimento al momento processuale in cui il potere di precisazione della contestazione, immediatamente derivante dal principio costituzionale dell’obbligatorieta’ dell’azione penale di cui all’articolo 103 Cost., deve essere esercitato, le direttrici ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza di legittimita’, nella sua piu’ autorevole composizione (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998 – dep. 1999, Barbagallo, Rv. 212757), non assegnano alcuna preclusione correlata alla preesistenza, rispetto all’apertura del dibattimento, degli elementi di fatto che portano alla modifica dell’imputazione di cui all’articolo 516 c.p.p. e alla contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’articolo 517 c.p.p., poiche’ le nuove contestazioni possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti gia’ acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
Di guisa che il potere di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni va riconosciuto al Pubblico ministero senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l’imputato ha facolta’ di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione (ex multis Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B., Rv. 262614, N. 10551 del 1999 Rv. 214630, N. 3192 del 2009 Rv. 242672, N. 44501 del 2009 Rv. 245006, N. 44980 del 2009 Rv. 245284, N. 16989 del 2014 Rv. 259857).
1.2. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.
Nel caso in esame, alla modifica dell’imputazione, mediante contestazione di ulteriori ipotesi distrattive emerse all’esito dell’esame del curatore fallimentare e, comunque, gia’ delineate negli atti di indagine – e dunque, del tutto prevedibili quanto alla latitudine della contestazione – e’ seguito il pieno esercizio delle prerogative difensive, avendo l’imputato optato per la definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato condizionato, con conseguente manifesta infondatezza della censura articolata nel primo motivo di ricorso.
2. Il secondo motivo e’, invece, aspecifico.
2.1. Il ricorrente deduce mancata assunzione di prove decisive senza specificare se i testi, di cui si lamenta la mancata ammissione, siano stati addotti con la richiesta di giudizio abbreviato condizionato o ne sia stata, invece, solo sollecitata l’escussione.
Ne’ si confronta con il principio per cui nel giudizio abbreviato di appello, le parti non hanno diritto all’assunzione di prove nuove, ma hanno solo il potere di sollecitare l’esercizio dei poteri istruttori di cui all’articolo 603 c.p.p, comma 3, essendo rimessa al giudice la valutazione dell’assoluta necessita’ dell’integrazione probatoria richiesta (Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, PG C/ GRAZIANO, Rv. 278061, N. 17103 del 2017 Rv. 270069, N. 37901 del 2019 Rv. 276913, N. 44324 del 2013 Rv. 258320, N. 12928 del 2019 Rv. 276318, N. 8316 del 2016 Rv. 266145).
Sotto il versante da ultimo evocato, la rinnovazione istruttoria e’, dunque, ammessa solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perche’ potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti (V. Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018 – dep. 2019, P., Rv. 276318), gravando sull’imputato l’onere di evidenziare analiticamente le ragioni dell’assoluta necessita’ del mezzo di prova da assumere in relazione al compendio istruttorio gia’ formatosi nel caso concreto (Sez. 3, n. 5441 del 19/09/2017 – dep. 2018, G., Rv. 272573).
2.2. Nel caso in esame, il ricorrente lamenta la mancata ammissione di fonti dichiarative, asseritamente addotte riguardo la destinazione di risorse sociali al pagamento non tracciato di spettanze lavorative, articolando una prospettazione non solo generica ed indeterminata, ma anche del tutto inidonea ad incidere sull’accertata distrazione di un vasto compendio di beni aziendali, con conseguente difetto di decisivita’ della prova mancata ed insindacabilita’ dell’esercizio del potere discrezionale del giudice in ordine alla rinnovazione istruttoria se, come nella specie, razionalmente motivata (Sez. 2, n. 35987 del 17/06/2010, Melillo, Rv. 248181).
Il secondo motivo di ricorso e’, pertanto, inammissibile.
3. La sentenza impugnata deve essere, invece, annullata con rinvio quanto al punto concernente la durata delle pene accessorie fallimentari, illegalmente determinate nella misura di anni dieci.
3.1. Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Consulta ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone che “la condanna per uno dei delitti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, escludendo esplicitamente l’applicabilita’ dello strumento di commisurazione (cor)relativa declinato dall’articolo 37 c.p. che, in ipotesi di pena accessoria indeterminata, ne commisura la durata a quella della principale, ritenendo il relativo meccanismo non adeguato ad assicurare la necessaria autonoma quantificazione, in considerazione della specifica e non sovrapponibile funzione del diverso ordine di pene sia in relazione al diverso carico di afflittivita’ rispetto ai diritti fondamentali della persona, che della diversa finalita’.
Siffatta interpretazione non e’ stata ritenuta vincolante in una prima applicazione giurisprudenziale (Sez. 5, 7 dicembre 2018 in proc. 23648/2016, Piermartiri), mentre altro orientamento (Sez. 5, 13 dicembre 2018 in proc. 3703/2018, Retrosi; Sez. 5, n. 5882 del 6 febbraio 2019, Rv. 274413) si e’ determinato nel senso di dover rimettere al giudice del merito la determinazione discrezionale dell’entita’ delle pene accessorie ex articolo 216 u.c..
3.2. Alla stregua del contrasto, manifestatosi nell’immediatezza della pronuncia della Consulta, e’ stata rimessa alle Sezioni Unite la questione “se le pena accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dalla L. Fall., articolo 216, u.c., come riformulato ad opera della sentenza n. 222 del 5/12/2018 della Corte costituzionale con sentenza dichiarativa di illegittimita’ costituzionale, mediante l’introduzione della previsione della sola durata massima “fino a dieci anni” debbano considerarsi pena con durata non predeterminata e quindi ricadere nella regola generale di computo di cui all’articolo 37 c.p. (che prevede la commisurazione della pena accessoria non predeterminata alla pena principale inflitta), con la conseguenza che e’ la stessa Cassazione a poter operare la detta commisurazione con riferimento ai processi pendenti; ovvero se, per effetto, della nuova formulazione, la durata delle pene accessorie debba invece considerarsi predeterminata entro la forbice data, con la conseguenza che non trova applicazione l’articolo 37 c.p. ma, di regola, la rideterminazione involge un giudizio di fatto di competenza del giudice del merito, da effettuarsi facendo ricorso ai parametri di cui all’articolo 133 c.p.”.
Con sentenza n. 28910 del 28 febbraio 2019, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito come “le pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 della Corte costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.” (Rv. 276286).
In applicazione dell’enunciato principio di diritto, la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, in quanto sanzione predeterminata, in riferimento al carico di afflittivita’ rispetto ai diritti fondamentali della persona (liberta’ di iniziativa economica) ed alla finalita’ (non (solo) rieducativa) della medesima, resta assegnata alla discrezionalita’ del giudice del merito; con la conseguenza per cui, in presenza di una forbice edittale particolarmente ampia, quanto piu’ ci si discosti dal minimo edittale, tanto piu’ e’ richiesta una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’articolo 133 c.p. (V. Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, 276932), valutati ed apprezzati tenendo conto della specifica funzione delle pene accessorie fallimentari, come esplicitamente declinate nella sentenza della Consulta richiamata.
3.3. Nel caso in esame, la durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3, e’ stata determinata dal giudice di merito in conformita’ alla disposizione normativa, con conseguente obbligo di rideterminazione.
In applicazione degli enunciati principi di diritto, che assegnano alla discrezionalita’ del giudice del merito la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della durata delle sanzioni accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., irrogate all’imputato nella misura di dieci anni, con rinvio al giudice di merito per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari con rinvio alla Corte d’appello di Trento; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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